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Autore: VALE__97    10/04/2019    1 recensioni
La crepa che si era spalancata all’interno degli Avengers era apparentemente insanabile e Steve Rogers cercava di raccogliere i cocci. Era a pezzi, lo eravamo tutti… Non c’erano né vincitori né vinti, avevamo tutti perso e ne eravamo ben consapevoli. Che cosa avremmo fatto da quel momento in poi nessuno lo sapeva, non mi serviva leggere le loro menti perché lo potevo benissimo intuire dalle loro facce affrante e pensierose.
«Che cosa facciamo capitano?» disse Sam rompendo il silenzio.
Steve alzò lo sguardo da terra. «Non chiamatemi più così»
~Raccolta di missing moments focalizzati nel periodo di tempo tra CivilWar e InfinityWar~
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers/Captain America, Visione, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

Escape

Wanda

Il silenzio assordante mi colmava la testa di pensieri, gli unici a farmi compagnia in quella cella di isolamento.

Non avevo opposto nessuna resistenza quando una squadra di agenti del governo mi aveva bloccata e scortata lì dopo lo scontro in aeroporto.

Mi doleva ancora ogni singolo muscolo e a causa delle onde ad alta frequenza che mi avevano poche ore fa stordita, sentivo ogni rumore attutito. Rumore?

Solo in quel momento mi accorsi che all’esterno della cella proveniva un fragore sommesso, come se le guardie avessero ingaggiato una lotta per conquistarsi l’ultima ciambella.

Ci fu un breve silenzio seguito dall'avviso sonoro che precede l’apertura delle porte. Il cuore mi sussultò quando dietro alle sbarre scorrevoli comparve finalmente un volto amico: Steve Rogers.

~~<><><><>~~

Quando mi vide rannicchiata contro l’angolo delle pareti vidi una scintilla di rabbia nei suoi occhi. «Che ti hanno fatto? » disse contraendo la mascella e scattando nella mia direzione.

«Sto bene » sospirai. Si inginocchiò davanti a me e cominciò a sciogliermi dalla prigione di cinghie che mi avvolgeva dal collo alla vita. Quando fui libera mi avvicinò al collo una sorta di telecomando per liberarmi dall’anello di ferro che avevo al collo.

La luce a intermittenza rossa si spense e potei togliermi quell’affare di dosso.

«Fin troppo facile » disse lui, che ammiccò e gettò il telecomando dietro di sé. Sorrisi involontariamente e allo stesso tempo sentii gli occhi imperlarsi di lacrime. Pensavo che avrei riavuto la mia libertà dopo mesi o forse anni ma avevo sperato con tutte le mie forze che qualcuno mi sottraesse da quello spazio grigio e triste in cui mi trovavo.

«Wanda...ce la fai ad alzarti?» non dissi nulla, mi limitai ad annuire. Steve afferrò il mio braccio e lo mise attorno al suo collo per sostenermi e rialzarmi dal mio giaciglio.

Mi trascinò lungo il corridoio e percorremmo qualche decina di metri, superando guardie distese a terra e allarmi che rimbombavano tra le pareti grigie.

Dopo qualche minuto arrestammo la nostra corsa dinanzi a un portone metallico che indicava essere l’uscita di emergenza. Barcollai quando Steve mi lasciò il braccio e si avvicinò alla soglia. Esaminò per qualche secondo la parete alla ricerca di un appiglio, il sistema elettronico in allarme non permetteva l’apertura automatica delle uscite.

Lo avrei aiutato volentieri ma mi accorsi che avevo ancora in circolo qualche traccia di sedativo e non avrei avuto la forza per spostare nemmeno un foglio di carta.

Finalmente Cap riuscì a far leva sfruttando la fessura che si creava tra il passaggio e la parete iniziando poi a tirare con forza. La porta continuò a scorrere lungo i cardini stridendo fastidiosamente fino a quando un colpo secco non segnò la fine della sua corsa.

«Prima le signore. » disse riprendendo fiato e indicando la scala a chiocciola avvolta nella penombra. Raccolsi le forze, lo superai e iniziai a risalire le scale, quasi incespicando ad ogni gradino. Sentii le mani calde di Steve cingermi le spalle.

«Salta, ti porto sulle spalle.» mi imbarazzai a tal punto che sentii le guance avvampare quando si girò per farmi montare sulla sua schiena. Iniziò a salire i gradini correndo e d’istinto strinsi forte le gambe attorno alla sua vita fino a che non si arrestò una volta raggiunta la fine della scalinata e mi posò a terra delicatamente.

Sferrò un calcio ben assestato alla porta di fronte a noi e mi prese la mano trascinandomi all’esterno. Avvistai davanti a noi il Quinjet che ci attendeva avvolto dal vento che sferzava dal roteare delle turbine. Il portellone posteriore era abbassato per permetterci di entrare e le ali erano spiegate e pronte alla partenza in volo, tutto lasciava intendere che vi era l’urgenza di dileguarsi al più presto da quel luogo.

«Finalmente siete qui» riconobbi la sua voce ancor prima di vederla, era Natasha, che a grandi passi ci raggiunse. «...pensavo ti fossi perso.» continuò lei, rivolgendo a Steve un sorriso beffardo.

«Era a due livelli più sotto degli altri, scusa se non ho avvisato.» disse lui con tono di sfida.

Percorsi gli ultimi metri costringendomi a fatica a mettere un piede davanti all’altro e mi sedetti sul primo sedile che trovai. Nat andò al posto di guida del Quinjet e vidi che Sam era accanto a lei, vicino a me rimase Steve e poco distante riconobbi James Barnes. Quest’ultimo stava premendo un panno bianco sul braccio sinistro ormai mancante e dal quale usciva una sostanza nera piuttosto densa, somigliante a del sangue. Non potei fare a meno di domandarmi che cosa lo avesse privato del suo braccio bionico e mi immaginavo uno scontro violento ingaggiato poche ore prima.

Natasha avviò i motori di volo e poco dopo la chiusura del portellone l’aereo si liberò in aria lasciandosi dietro il Raft.

Steve si sedette di fronte a me senza dire una parola.

«Grazie.» Azzardai.

«Non devi ringraziarmi»ci fu una breve pausa «...piuttosto sono io che dovrei ringraziarti.» continuò. Il suo volto per un attimo si rilassò e le sue labbra si incurvarono formando un luminoso sorriso.

Sapevo che fosse mirato a farmi sentire più tranquilla, ma era comunque una magnifica finestra sul suo viso.

«Dovrei ringraziarvi tutti. Non so se mi merito tutto questo.» disse infine, strascicando le ultima parole, quasi sussurrandole a se stesso.

«Taci Steve!» lo ammonì Natasha.

La crepa che si era spalancata all’interno degli Avengers era apparentemente insanabile e Steve Rogers cercava di raccogliere i cocci. Era a pezzi, lo eravamo tutti… Non c’erano né vincitori né vinti, avevamo tutti perso e ne eravamo ben consapevoli. Che cosa avremmo fatto da quel momento in poi nessuno lo sapeva, non mi serviva leggere le loro menti perché lo potevo benissimo intuire dalle loro facce affrante e pensierose.

«Che cosa facciamo capitano?» disse Sam rompendo il silenzio.

«Non chiamatemi più così...»

Ebbi un tuffo al cuore e alzai lo sguardo verso di lui, era corrucciato e scuro in volto, pieno di rimorsi.

Lo avevo conosciuto qualche anno fa come Captain America, ma non l'avevo mai visto solo come un simbolo di una nazione, piuttosto come un uomo che portava avanti i suoi ideali di libertà e di giustizia essendo per noi tutti un grande leader.

Ma da tempo sentivo che in lui qualcosa era cambiato, stava affrontando una continua lotta con se stesso con la consapevolezza che non avrebbe mai vinto.

   
 
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