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Autore: Urban BlackWolf    10/04/2019    7 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Mamoru Kiba, Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Sirena

 

Si concentrò. Prese bene la mira. L’avambraccio destro leggermente inclinato all’indietro. Il deltoide nudo contratto. Le dita salde alla gomma dura. Le tre ali colorate di giallo immobili davanti a due fessure verde scuro. Un lungo respiro. Poi la fissità nello sterno. Uno scatto nei muscoli e via. Un secondo dopo, il consueto suono del bersaglio ligneo penetrato dalla punta metallica unito al frastuono del pub gremito.

Un fine settimana come tanti in quel piccolo scorcio di provincia. Una televisione appesa al muro sintonizzata sull’immancabile programma sportivo del sabato. Due giovani baristi indaffarati con pinte e piatti di hamburger. Gente che mangia, beve, si diverte seduta alle panche di castagno levigato o al bancone. Comunelle accese in conversazioni leggere al fumo denso di qualche sigaretta appena fuori dalla porta d’ingresso. L’aria carica degli odori di un’estate afosa, lenta, scandita dal lavoro dei viticoltori, dal tic ritmato degli innaffiatori meccanici che ai lati delle strade danno refrigerio alle giovani coltivazioni e dai pochi turisti che gironzolano tra le gelaterie del centro.

Un mondo intenso fatto di gente dura, abituata al lavoro e a molte privazioni. Cuori divisi tra colline e mare, ma che per scelta d’amore e d’anima, rimane arpionata alla sua terra, accettando non senza qualche imprecazione a Dio, tutte le bizze che madre natura lancia loro contro ad ogni anno.

Haruka ghignò al suo quasi centro andando con fare sicuro verso il bersaglio rotondo. Estraendo le tre freccette che aveva appena lanciato si girò verso i suoi sfidanti cercando di mantenere il decoro dell’umiltà.

“Allora? Il mio punteggio?” Chiese inarcando le sopracciglia chiare come un neofita al suo primo giro di poker.

“Santa Pace Tenou… Che beneamato culo che hai questa sera!” Si sentì dire da uno dei ragazzi che stavano gareggiando con lei.

“Tzs… chiamalo come vuoi, ma anche questa volta berrò gratis. E si che ci cascate ogni volta. - Lasciando le freccette nel palmo calloso di uno dei suoi avversari, afferrò la birra dimenticata sul bancone appoggiandovi la schiena. - La solita scommessina persa ed io che godo anche questo sabato. Come da copione.”

“Come farai poi ad avere tanta precisione in quel braccio …” Se ne uscì il proprietario del locale, vecchio amico della famiglia della ragazza e che in pratica aveva visto lei e le sue sorelle nascere e venir su come giovani viticci irrequieti.

“Eh Max… E’ un dono di natura. - Rispose sbirciando l’orologio a muro mentre allungava goduriosa la colonna vertebrale con fare sornione. - Piuttosto… le mie zavorre? Le hai viste in giro?”

L’uomo sulla sessantina, addome da bevitore, leggera stempiatura, ma due occhi azzurri che in un tempo non troppo lontano avevano fatto girare gran parte delle teste femminili della provincia, voltandosi a mezzobusto indicò con il mento rasato una delle finestre che davano sullo spiazzo esterno. - Usa è fuori in dolce compagnia… Mina non saprei.”

Perdendo di colpo la solarità della vittoria, la ragazza schizzò verso l’uscita non prima d’aver sbattuto il bicchiere sul piano. Con le mani occupate da un vassoio di pinte, l’uomo cerco di fermarla. “Tenou… vedi di non iniziare l’ennesima rissa… Haruka!”

Urlò con pochissima convinzione vedendola sparire tra la folla. Quanto sei testarda benedetta figliola. Tutta tua madre, pensò lui riprendendo il lavoro pronto a servire l’ennesimo tavolo.

Cercare di far riflettere quel puledro biondo dalla scorza dura come il granito, era sempre stato un azzardo, fin da ragazzina, ma con l’età adulta ed i calci sui denti che la vita le aveva riservato, sembrava che quella testa matta avesse finalmente trovato un suo equilibrio, una dimensione fatta di responsabilità e di crescita personale, di lavoro duro ed amicizie preziose. Tutto fino a quell’inverno, quando la più giovane delle sorelle Tenou, la diciassettenne Usagi, non si era trovata un bravo ragazzo di qualche anno più grande, dedicandosi anima e corpo a quel primo vero balzo di cuore. Per la protettiva Haruka era stato un colpo violentissimo, perché pur conoscendo la famiglia Kiba, il suo primogenito, ed essendo stata per qualche tempo con sua cugina, pur sapendo quanto quella storia fosse la normalità per un’adolescente ed Usagi una ragazza comunque coscienziosa, pur capendo quanto dovesse sforzarsi di essere elastica per non rischiare d’incrinare il già barcollante rapporto che aveva con lei dalla morte dei loro genitori, nonostante tutto, da capo famiglia qual’era, suo malgrado non riusciva proprio ad essere lucida quel tanto per non cedere nell’errore di essere soffocante. E così discussioni interminabili avevano iniziato a riecheggiare per le stanze della masseria Tenou, soprattutto nel fine settimana o dopo la consegna di qualche nota scolastica all’indirizzo della scarsa concentrazione dell’innamorata diciassettenne.

Una volta all’aperto, Haruka svoltò a sinistra e non prestando troppo caso ad alcuni saluti, iniziò a camminare a pugni stretti verso il parcheggio poco dietro la struttura. Nella testa il solito ronzio fastidioso che montava ogni qual volta sapeva con certezza che la sorellina e Mamoru Kiba stavano insieme. I motori della provinciale in sottofondo, la musica pompata di qualche nuovo cantante emergente ed il brusio provenienti dall’interno del locale, non riuscirono a coprire quella zanzara interiore. Poi, improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, una voce femminile alle sue spalle e tutto si fermò.

“Cos’è Tenou? Non si saluta più?”

Un passato vissuto solamente qualche anno prima, un paio per l’esattezza. Un timbro anglofono apparentemente docile, ma che nascondeva nelle pieghe di quella musicalità, forza, determinazione ed una certa dose di cattiveria.

Bloccandosi di colpo la bionda si voltò riconoscendo Bravery alla luce di un lampione di strada. La sua ultima fiamma, una storia burrascosa, ma travolgente, nata e sviluppatasi nell’arco di un’estate al termine della quale, una sera molto simile a quella, in un posto molto simile a quello, Haruka aveva guardato negli occhi scuri come la pece quella moretta tutt’ossa uscendosene con un semplicissimo finiamola qui.

Non che Bravery non le piacesse ancora, o che una curiosa e celebrale bionda non trovasse più stimolante la sua compagnia. Era solo che Haruka Tenou era fatta così, non riusciva ad innamorarsi veramente e fino in fondo di qualcuna ed il problema era che pur se non lo faceva apposta, a lungo andare questo suo limite portava al ferimento della partner di turno. Qualche settimana, al più due o tre mesi, fino a quando non subentrava la prima difficoltà o la stanchezza di un cuore non più cadenzato dall’aritmia. Ed ormai per tutta la zona si sapeva che se non si voleva incappare in una sonora batosta o avere un’avventura più lunga di una notte, si doveva stare lontano da quella bionda trentenne fascinosa; che guidava la sua moto come un asso, che amava la solitudine ed il respiro del vento, che sapeva far crescere viti anche dalla terra più arcigna e che amava la sua famiglia forse anche più di se stessa.

“Allora Tenou? Neanche un sorriso dei tuoi per bentornato?!”

“Bravery…” Soffiò rimanendo colpita a freddo. Non si aspettava di rivederla, anzi, credeva fermamente che non si sarebbero mai più incontrate.

“Che ci fai qui? Ti sapevo a Portland per il dottorato.”

Soddisfatta della riuscita di quell’improvvisata, la moretta dai capelli corti e scarmigliati da un sottile strato di gel, alzò lievemente le spalle nude e con fare ammiccante le andò incontro. “Una visita di cortesia alla famiglia di mia madre. Vedo che mio cugino non ti ha avvertita.”

“No, anzi… - Ritornata in se dopo la sorpresa e facendo come se non avesse avvertito il colpo, la bionda si girò verso la piazzola del parcheggio mettendo nel mirino l’automobile di Kiba. - Non vorrei essere scortese, ma ora ho da fare Bravery. Scusami.”

Capita l’antifona l’altra le fu subito addosso. “Aspetta Haruka! Lasciali in pace.” E a quell’implorazione lo sguardo di Tenou si accese come invasato.

Guardando prima la mano della ragazza serrata al suo braccio destro, poi il retro della macchina di Mamoru ferma a qualche decina di metri, a fari spenti, immersa in una romantica melodia di sottofondo, comprese e la fantasia iniziò a correre veloce.

“Cos’è, torni dagli States per venire a reggere il gioco a tuo cugino!?”

“Cosa?”

“Levati!”

“Hai completamente travisato la cosa Haruka. Ero convinta che sapessi che stessero insieme.” Cercò di spiegarsi.

“Certo che lo so! Cosa credi che viva sugli alberi! E’ da prima di Natale che non fanno altro che starsene appiccicati, ma lui è troppo grande per mia sorella. Si mettesse con quelle della sua età!”

“Se non lo avessi notato Usagi è abbastanza adulta per poter decidere da sola con chi stare e chi frequentare e la tua iper protettività non porterà altro che al suo staccarsi da te, non da lui!”

Stralunata da quelle parole Haruka se la guardò un'ultima volta prima di mollarle uno spintone allo sterno che in pratica la lanciò alla sua sinistra. “Ma come cazzo ti permetti di pontificare quando sono due anni che te ne sei tornata in America. Che ne vuoi sapere tu della mia famiglia!”

“Guarda che Mamoru mi ha parlato di Usagi! So tutto della loro storia. So di te che remi contro e di Minako che cerca di fare da paciere tra te e lei. Mio cugino ha intenzioni serie! - E scorgendo con apprensione la testa del ragazzo spuntare da fuori l’auto continuò rincarando la dose. - Devi metterti in testa Tenou che non sono tutti come te! Non tutti usano le persone per i loro porci comodi illudendole per poi mollarle alla prima difficoltà.”

Puntandole l’indice contro, Haruka fece due passi avanti schiumando collera. “Difficoltà? Il volere andare a studiare a Portland tu la vedi come una difficoltà?! Bè io no! Io la vedo come una scelta ben pensata che non lascia molto spazio ad un rapporto a distanza!”

“Ipocrita! Sei stata tu a lasciarmi!”

Scoppiando in una fragorosa risata l’altra reputò terminata la conversazione e voltandosi di scatto vide Kiba venirle incontro calmissimo. Oltre al fatto che appartenesse ad una famiglia da sempre in gara per la leadership della zona, che fosse un ragazzo facoltoso e che in pratica potesse permettersi cose che lei non riusciva a dare alle sue sorelle, era quella calma a mandare spesso Haruka sui nervi. Mai una parola fuori posto o una reazione scomposta. Sempre pacato, razionale, mai esagerato. Tutto l’opposto di lei. Se non avessero avuto gli stessi gusti in fatto di donne avrebbero potuti essere una coppia perfetta.

“Haruka…” Sembrò salutarla, ma conoscendola si preparò al peggio.

“Dov’è Usagi?!”

“Sai benissimo dov’è, altrimenti non avresti questa faccia. Tranquilla… l’accompagno a casa tra una mezzoretta.”

“No! Usa viene via con me! E’ tardi.” Ordinò sentendo la portiera del lato passeggero aprirsi.

“Mezz’ora in più o in meno cosa vuoi che…”

“Ma sei sordo Kiba!? Ti ho detto che Usa viene via con me e la questione è chiusa! - Sottolineò a denti stretti arrivando con il viso a pochi centimetri dal suo. - A casa portaci tua cugina e la prossima volta, vedi di srotolare la lingua per cose serie. Potevi anche dirmelo che sarebbe tornata.”

“Un’improvvisata. Starà con noi fino alla fine dell’estate.”

Un tempo che ad Haruka parve lunghissimo e che, ne era sicura, sarebbe stato difficile da gestire. Le aziende vinicole delle famiglie Kiba e Tenou erano confinanti. Le divideva solamente un fossato, un piccolo rivolo d’acqua che fungeva da confine naturale. Improbabile non incontrarsi. Impossibile nascondersi. E lei comunque non lo avrebbe mai fatto.

Respirando pesantemente scorse la sorella dietro alle spalle del ragazzo e ritenendo la questione chiusa la richiamò con uno scatto del mento. “Vai alla moto e aspettami lì.”

“Haru, per favore. Non stavamo facendo nulla di male.”

“Vai ho detto!”

“Non trattarla sempre come una stupida.” Puntualizzò l’uomo.

“Non l’ho mai trattata da stupida.”

“Lei mi dice il contrario ed anche se non te ne accorgi lo fai spesso e volentieri Haruka.”

“Stai zitto! Fino a prova contraria Usagi è mia sorella e non sei certo tu o la tua cuginetta qui presente a potermi dare lezioni su come si fa il genitore!”

Abbaiò, ma invece d’impressionarsi, Mamoru fece un mezzo passo in avanti lasciando aderire il proprio petto a quello della ragazza. Haruka era molto alta ed in pratica avevano quasi la stessa stazza.

“Non sei sua madre e tra meno di un anno lei sarà maggiorenne.”

Un brivido corse lungo la schiena della bionda mentre lui proseguiva. “Ti ricordo Tenou che quando si è trattato della mia di famiglia io non mi sono schierato lasciandoti fare con mia cugina il porco comodo tuo. E lo sai, come lo so io, che le hai fatto un torto. Ora… gradirei la stessa cortesia. So che vuoi bene ad Usagi, ma…” Sentendosi afferrato per la T-shirt sbatté le palpebre non muovendo un muscolo.

“Ti consiglio di finirla qui se non vuoi che te le suoni un’altra volta.”

“Non abbiamo più quindici anni Haruka e per quanto tu sia insopportabile, cafona ed arrogante, non picchierei mai una donna!” E questo ebbe il potere di atterrarla peggio che se avesse preso un pugno in pieno viso.

Cercando di reprimere l’incommensurabile voglia di fracassargli il setto nasale con una testata, la bionda serrò la mascella stringendo il tessuto fino al bianco delle nocche, poi, sentiti i palmi caldi della sorella premuti sulla spalla, puntò gli occhi al cemento dello spiazzo mollando la presa. Sapeva che quelli di Usagi erano umidi, ma volesse Iddio non riusciva proprio a comportarsi diversamente.

“Andiamo.” Non aggiungendo altro evitò saluti, sguardi o formalità sia con l'uomo che con sua cugina.

Camminando a passo svelto verso la Ducati rosso fuoco parcheggiata all’imbocco della strada, arpionò il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e scorrendo la rubrica innescò la chiamata attendendo un paio di squilli.

“Dove sei? - Masticò bile fermandosi accanto alla carena. - Torna presto, domani mattina dobbiamo andare in banca.” Ed aspettando una mezza risposta chiuse sospirando pesantemente.

Aprendo la sella prese i caschi e porgendone uno alla sorella le guardò la camicetta perfettamente abbottonata. Almeno hanno evitato di farlo in macchina, pensò afferrando il chiodo di pelle nera.

Haruka sapeva, capiva che il suo atteggiamento le stava dividendo, ma conosceva anche i rischi ai quali poteva andare incontro una giovane ragazza senza una madre ed un padre. Lei e Minako non potevano darle tutte le attenzioni che avrebbe meritato ed Haruka, che stava al mondo da più tempo e che di gente ne aveva conosciuta tanta, aveva una gran paura che quella relazione non avrebbe portato a nulla di buono, che l’infatuazione per un uomo navigato come Mamoru fosse solo l’ovvia conseguenza della prematura perdita dei loro genitori.

“Sali. - Disse inforcando la moto mentre l’altra si allacciava il casco. - Domani dovrai pensare tu alla casa.” E non sentendo risposta calciò il cavalletto con il tacco dell’anfibio aspettando che le cingesse la vita.

 

 

Quando l’acqua la inghiottì, si stupì di quanto fosse fredda. Non lo avrebbe mai immaginato. La giornata afosa era stata asfissiante e lunghissima, tanto che quel piccolo lago artificiale l'era sembrato la conclusione più ovvia per porre fine a tutto quel calore. Al sudore. Alla pesantezza che sentiva sulle ossa e nel cuore. Ma mai si sarebbe aspettata questo; il respiro che si spezza, la pelle che per reazione si ghiaccia, la mollezza nelle gambe. Nessun dolore, solo voglia d’ossigeno ed il liquido viscido che le entra nella gola, le invade la carotide per poi correre giù, verso i polmoni.

E’ finita, pensò aspettandosi di avere quanto meno il sentore della cosa, di iniziare a vedere scorrere quelle famose immagini della vita terrena che ogni individuo scampato ad una morte improvvisa e violenta dice di aver visto. Un’esistenza intera concentrata in un battito di ciglia e che grazie ad impulsi neurali sembra durare minuti. Ma nulla di tutto ciò; solo freddo, crampi alle gambe e tanta, tanta voglia d’aria.

Mentre annaspava cercando di combattere la presa dell’acqua, si ritrovò a pensare, come se avesse aspettato solo quel momento per farlo. E se fosse stato tutto inutile? Se la sua vita, per gran parte passata a calcare i palcoscenici di mezzo mondo, fosse stata tutta inutile? Se l’impegno per costruirsi una carriera, la costanza per rimanerne ai vertici, la caparbietà di una donna forte, determinata a raggiungere e superare barriere e confini, non avessero portato a nulla di realmente importante?

Inutile, le rimbombò nella testa sentendosi maledettamente stanca di lottare, sono inutile e smise di divincolarsi iniziando l’inesorabile discesa verso il basso. Le braccia alzate verso il pelo dell’acqua che pian piano si allontana dai palmi delle mani ed una strana sensazione di pace che soppianta la paura che le aveva fatto battere all’impazzata il cuore fino a quel momento.

L’abbandonarono prima la vista, poi l’udito. Tutti i sensi fino ai pensieri stessi in una completa assenza di se. Poi, d’un tratto, qualcosa che alla pelle del polso sembrò bollente a strattonarla verso l’alto in una violenta emersione e nuovamente la brezza del vento sul viso, le tinte scure della notte e quella benedetta voglia d’ossigeno. Di vita.

“Tieni duro! Tieni duro!“ Un eco impaurito e poi la vita arpionata da una stretta fortissima ed il fiato che torna convulso. Il contatto con il freddo dell’acqua che svanisce per ritrovarsi sospesa e raccolta in un abraccio.

“Ecco… Siamo quasi a riva… Usa… il cellulare! Chiama Minako svelta! - Ordinò Haruka mentre le piante dei piedi affondavano nella melma della riva. - E’ tutto apposto, tranquilla!.“ Rassicurò facendo l’ultimo sforzo.

Un paio di passi e la bionda crollò sulle gambe poggiando l’altra sull’erba. “Per tutti i Santi… Stai bene?” Chiese iniziando a massaggiarle energicamente la schiena in modo che potesse rimettere l’acqua bevuta.

Appena inquadrata quella Mercedes ferma sul ciglio della strada aveva intuito subito che qualche cosa non andava. La ruota anteriore sinistra piantata dentro un dosso, le quattro frecce accese che grazie al cielo l’avevano distratta sulla via di casa. Attratta come una falena, aveva voltato per quella strada sterrata rischiando le ruote della sua Ducati sul terreno spaccato dalla calura estiva, mentre urlando al rombo del motore la sorella le chiedeva il perché.

“Haru, che succede?”

“Guarda laggiù. Probabilmente qualcuno rimasto in panne.”

E quell’intuizione le aveva dato ragione ed una volta spenta la moto, scesa e controllato se nella vettura non ci fosse stato nessuno, attirata da un anomalo tonfo acquatico, si era precipitata verso le sponde di quello sputo innaturale che tanto conosceva bene e li aveva scorto la sagoma di una persona illuminata a stento da una luna non ancora formata. Ad una manciata di metri dalla riva, si muoveva convulsamente senza però emettere un fiato, senza urlare o chiedere aiuto, come una sirena muta indecisa sull’essere salvata o meno. Atterrita, Haruka era corsa istintivamente ai lacci degli anfibi e dopo essersene sbarazzata lasciandoli accanto alla giacca, si era immersa fino alle cosce per poi slanciarsi verso l’acqua.

Una fortunosa coincidenza o la mano del destino, ma sta di fatto che ora era li, alla ricerca di un cenno, uno qualunque. “Hei… Tutto bene?” Chiese mentre la ragazza si teneva la bocca con la mano cercando di tossire.

“Haru…”

Correndo lo sguardo alla sorella le chiese se fosse riuscita a mettersi in contatto con Minako. “Si. Stava tornando a casa… Grazie al cielo era ancora raggiungibile. Sarà qui tra una decina di minuti.”

“Bene, ci serve un’auto. La sospensione sinistra della Mercedes è andata.”

“Vuoi portarla a casa nostra?” Chiese accovacciandosi accanto alle due iniziando a studiare i bei lineamenti della donna che nel frattempo sembrava stare riprendendosi. Non l’aveva mai vista. Non era del luogo e vista la classe dell’auto, neanche della zona.

“Hai un’idea migliore? Ha bisogno di calore… E’ un pezzo di ghiaccio.” Rispose stizzita continuando a sfregare i palmi sulla schiena fradicia della donna.

Portava un vestito da sera nero, semplice, ma di alta moda, un pendaglio a forma di tridente al collo, due piccoli cerchi alle orecchie ed un gran bel bracciale al polso. I capelli era lunghi e mossi nonostante fossero zuppi e la carnagione delle braccia leggermente abbronzata. Ma furono gli occhi a colpire Haruka; un blu profondo, compatto, di una tristezza sottile, nitida, che le rizzò la peluria della schiena non appena la forestiera riuscì ad inquadrarle il viso.

“Io non… Non riuscivo più a… respirare…”

“Lo immagino, ma ora stai calma. E’ tutto passato.”

“Ci sono altre persone?” Intervenne Usagi iniziando a guardarsi intorno mentre l’altra scuoteva la testa.

“No. Sono sola.”

“Riesci ad alzarti?” Incalzò la bionda facendo leva sulle gambe.

“Si… Credo.” E si lasciò aiutare a rimettersi in piedi.

“Che ne dici Haru; forse sarebbe meglio portarla al Pronto Soccorso.”

“No! - Si rianimò la forestiera inspirando profondamente. - Non ce n’è bisogno. Grazie.”

Stupita dalla reazione e dall’immediata compostezza, la bionda fece un passo indietro abbandonando finalmente il contatto. “Va… bene. - Accettò accondiscendente alzando leggermente spalle e sopracciglia. - Ma la tua macchina è ko, perciò… o si chiama qualcuno che ti venga a prendere o dovrai accontentarti di pernottare da noi.”

Sospirando l’altra sembrò pensarci su qualche secondo incatenando poi gli occhi in quelli di Tenou. “Vi ringrazio… accetto volentieri, tanto più che sono esausta e non potrei comunque rimettermi in viaggio.”

“Ottimo!” Esclamò Usagi colta da un’improvvisa vampata di entusiasmo.

“Mia sorella si eccita per poco, ma vista la situazione mi sembra la scelta più saggia, signorina?”

“Michiru.”

“Michiru… e basta?”

“Michiru e basta.”

“Ok... dammi subito del tu che qui siamo gente semplice.- Sogghignò la bionda a quell’insolita richiesta di privacy. - Io sono Haruka e lei è mia sorella minore Usagi. La nostra masseria dista una ventina di chilometri da qui e non appena arrivate, mangerai e riposerai a dovere. Poi domani, con calma, penseremo alla tua auto.“

 

 

Usagi non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Immobile, piantata schiena al muro della camera degli ospiti, se la stava guardando da più di dieci minuti ormai, quando Michiru, la forestiera venuta da chissà dove, aprì gli occhi al mondo iniziando a guardarsi intorno. Erano riuscite a portarla a casa, a svestirla e ad infilarla a letto. Non le avevano chiesto nulla, ne da quale parte del paese provenisse, ne dove stesse andando al momento dell’uscita di strada della sua auto, ne tanto meno perché si fosse messa in testa di farsi un bagno a quell’ora, in un lago per nulla illuminato e soprattutto, sconosciuto. Avvallando l’intuizione di Usagi, le sorelle Tenou avevano però capito quanto quella donna fosse diversa da loro, quanto le movenze pacate ed aggraziate del suo corpo stridessero con il caos della loro casa e quanto il suo linguaggio pulito cozzasse soprattutto con l’irruente lingua di Haruka. Non che Michiru avesse parlato un gran che, ma la decisione con la quale aveva rifiutato gli avanzi della cena e la ferma determinazione di potersi fare una doccia da sola, avevano sottolineato una riservatezza che, per quella famiglia, era a dir poco fuori dal comune.

Sentendosi di troppo, la biondina cercò di defilarsi quando la voce calma dell’altra la raggiunse chiedendole che ore fossero. Bloccandosi come colta sul fatto, la diciassettenne le rispose quasi balbettando.

“Un quarto alle dieci, signorina.” Speranzosa che bastasse tornò a muoversi verso la porta.

“Sei solita fissare la gente mentre riposa, piccola Usagi?”

Serrando le spalle ed abbassando di colpo la testa l’altra fece prontamente un mea culpa. “Scusate, non era mia intenzione e che…” Siete così bella, avrebbe voluto dire, ma per non cedere alla sfacciataggine ammise solo che era entrata per portarle un cambio di vestiti.

“Le mie sorelle maggiori sono uscite questa mattina presto per una commissione piuttosto importante ed hanno affidato a me il compito di farla sentire a suo agio. - Grattandosi la buffa capigliatura che raccoglieva i lunghi e lisci fili d’orati in due codini piuttosto folti, continuò ammettendo di stare fallendo. - Vi prego, non dite ad Haru e Mina che mi avete trovato nella sua camera. Da queste parti teniamo molto all’ospitalità.”

Tirandosi su a sedere Michiru iniziò a sciogliersi i muscoli delle spalle ravvivandosi poi i capelli con le mani. “Figuriamoci. E poi dimmi, non è stata tua sorella… Haruka, ha dirmi di darvi del tu? Gradirei che facessi altrettanto, piccola Usagi.”

“Ssss… si, signorina, cioè, Michiru.”

“Bene, così va meglio. So in quale località siamo, ma… ho come dei buchi di memoria. Puoi aiutarmi?” Chiese appoggiando le mani al grembo una volta invitatala a sedersi.

E l’altra lo fece, non senza soggezione, ma con gioia, perché nonostante la forestiera fosse spiccatamente altolocata e dai suoi modi trasudasse una certa vena di nobiltà, qualcosa nel suo sguardo blu sembrava sofferente e voglioso di aiuto.

“Dunque, mentre ieri sera sul tardi mia sorella maggiore ed io stavamo rientrando a casa, abbiamo notato le luci intermittenti di un’auto verso la strada della masseria vecchia e sembrandoci una cosa strana siamo passate a vedere. In verità è stata un’intuizione di Haru e meno male, perché siamo arrivate appena in tempo altrimenti saresti annegata.”

“La macchina… ha sbandato, ha preso una cunetta e si è piantata. Faceva così caldo. Non c’era campo per chiamare il soccorso auto, così ho iniziato a camminare verso il gracchiare della rane.” Specificò puntando lo sguardo alle tende di mussola bianca inondate dalla luce del sole.

“Certo, i laghi artificiali sono molto pericolosi, ma con un caldo come quello di ieri anche io avrei pensato quanto meno di bagnarmi i piedi per avere un po’ di refrigerio.” Ne convenne l’altra prima di spegnere il sorriso e guardarla quasi con severità.

“Perché volevi solo rinfrescarti un poco, non è vero Michiru?”

“Mmmm, come? - Tornando alla giovane si accorse di come le sue azzurrissime iridi la stessero fissando. - Certo. Avevo solo bisogno di rinfrescarmi un po’. E così è stata tua sorella Haruka a salvarmi…”

“Si! Haru è grandiosa! E non solo per ieri sera. Lei è in gamba su tutto. Sa sempre cosa fare nei momenti no. Certo, è testarda oltre ogni dire, possessiva e quando decide di metter su il broncio non c’è torta al cioccolato che tenga, ma per il resto… è una donna eccezionale.”

Michiru sorrise a quella serie di elogi fraterni tornando a guardare lontano. Non ricordava molto della sera precedente, ma gli occhi della sua salvatrice, quelli si, le erano rimasti incisi dentro. La forza con la quale l’aveva strappata all’acqua. Il calore delle sue braccia nude mentre la portava in salvo. Non appena erano arrivate alla masseria, Haruka aveva ordinato qualcosa alle atre defilandosi e da quel momento non l’aveva più vista. La stanchezza per la lunga giornata ed un ospite non atteso, l’avevano spinta tra le lenzuola e di lei non aveva sentito altro che un leggero parlottare al telefono e nulla più.

Improvvisamente il suono di un clacson proveniente dallo spiazzo fuori la porta d’ingresso ed Usagi spezzò il momento alzandosi di scatto dal bordo del letto. “Finalmente! - Esclamò con fare entusiasta serrando tra loro i palmi delle mani. - Era ora che Yaten portasse il latte, così potrò preparare un bel dolce per l’occasione!”

“Quale occasione?!” Riuscì appena a chiedere l’altra stupita di tanta energia.

“Quella di averti qui con noi Michiru. Ti ho lasciato dei vestiti di Mina sulla sedia. Il tuo è ancora umido. Ah..., mi sono permessa di recuperare il tuo cellulare. Era sul sedile lato passeggero. Qui non prende niente, ma alla bisogna c’è il fisso nello studio. Approfittane pure se vuoi. Ora vado, a dopo.” E chiudendo la porta come un ciclone si dileguò correndo verso l’esterno.

Rimasta sola Michiru si rituffò nei suoi pensieri accorgendosi ben presto di quanto fosse rilassante quell’ambiente. I colori di una stanza semplice dal mobilio antico e i suoni completamente diversi da quelli sentiti da sempre provenienti invece da fuori. Infilandosi le pantofole si vestì di una vestaglia trovata ai piedi del letto ed aprendo la porta finestra uscì sullo spiazzo privato che dava sul retro della grande struttura bianca che era la masseria Tenou e li, di fronte a lei, come in un rigurgito di imperiosa bellezza, una distesa sconfinata di viti. Filari e filari tutti uguali ed allo stesso tempo tutti diversi, in un sali e scendi collinare fatto di chiaroscuri, di contrasti tra il verde scuro delle foglie picchiettato dal giallo dei giovani grappoli e il castano della terra polverosa.

Rimase di sasso. In lontananza il brontolio del motore di un trattore unito a quello delle Cince Allegre appollaiate tra il rampicante che faceva ombra dal gazebo di legno proprio accanto a lei. Il vento che soffiava tra i cipressi che si ergevano come soldati oscillanti ai lati della strada che portava al cancellone in ferro battuto dell’ingresso della tenuta, unito al nitrito di un paio di cavalli che stavano pascolando chissà dove.

“Che meraviglia.” Soffiò inondando i polmoni di quell’aria buona immergendosi completamente in quell’esperienza sensoriale fatta di leggeri odori dolciastri portati dal vento.

Mosto? Si chiese distratta dal vociare di Usagi proveniente dal lato opposto della struttura.

Rientrando nella stanza ritrovò il suo cellulare, il bracciale e gli orecchini sul comodino accanto al letto. Prendendo il primo si accorse di quanto la piccola Usagi avesse ragione; non c’era campo per telefonare o riceve qual si voglia comunicazione e questo, in un certo senso, la confortò, perché se da una parte la sua latitanza avrebbe portato problemi enormi a colui che attualmente stava lavorando con lei, da l’altro le avrebbero dato quanto meno un po’ di tempo per ricaricare le batterie.

Meglio così. Tanto cosa potremmo dirci in più di quanto non ci siamo già urlati contro? Si disse spegnendolo definitivamente.

Guardandosi decise di cambiare radicalmente abbigliamento ed andando verso il bagno iniziò a spogliarsi. Non era solita rimanersene con le mani in mano e se proprio si sarebbe dovuto festeggiare l’avvenimento di averla come ospite, avrebbe dato il suo contributo.

Un paio d’ore più tardi un fuoristrada piuttosto provato si fece strada sul brecciolino del vialone d’ingresso arrivando a parcheggiarsi al lato della struttura, proprio vicino alla porta della cucina. Ne scesero due donne scure in volto ed Usagi, che grazie anche alla collaborazione di Michiru aveva già finito d’infornare il dolce che aveva deciso di preparare per pranzo, annusò l’aria mefitica di una cattiva notizia prima ancora di sentir sbattere lo sportello lato guidatore. Sulla soglia della porta a vetri guardò Haruka avanzare come se avesse appena pestato a sangue qualcuno e capì.

“Non ce l'hanno concesso, vero?” Le chiese spostandosi per lasciarla passare.

“Che si fottano! Banchieri del cazzo!” Furono le uniche parole concesse.

“Mina?”

“Lascia perdere amore. Era solo l’ultimo disperato tentativo per cercare di salvare il salvabile. - Intervenne Minako accarezzandole il viso. - Ma non preoccuparti. In qualche modo faremo.”

“Si, ma come?! Quel prestito ci serviva.”

“Vedrai che ci inventeremo qualcosa. Ora dimmi… cos’è questo buon profumo che viene dal forno?” Entrando vide la forestiera con il viso rivolto al soggiorno dov’era appena sparita la bionda. Haruka non l’aveva degnata neanche di un saluto. Forse non l’aveva neanche vista.

“Buongiorno Michiru. Come ti senti oggi?” Domandò freddamente inginocchiandosi davanti al forno.

“Bene, grazie. Colgo l’occasione per ringraziarti ancora. Ieri sera non credo di averlo fatto a dovere.”

“Ieri sera non eri in te!” Piatta la fulminò costringendola sulla difensiva.

“Probabilmente. Grazie comunque. Anche per questo.” Sottolineò alzando un poco le braccia per mostrarle un vestitino verde acqua deliziosamente calzante sulle sue forme.

“Da queste parti siamo soliti fare così. A proposito, un nostro amico andrà a prendere la tua macchina in tarda mattinata. Haruka le darà un’occhiata.”

“Non vorrei darvi troppo disturbo.”

Ripeto…, qui si fa così. E poi mia sorella smania per metterci le mani sopra. Non potresti farla più felice.”

Corrugando le sopracciglia Usagi la guardò alzarsi, perchè Mina non era solita essere tanto brusca.

“A meno che tu non abbia altri progetti Michiru.”

“No. Per la verità io…”

“Bene.” Così dicendo non lasciò all’altra alcun diritto di replica.

Un comportamento gelido al limite dell’astioso che non apparteneva al suo carattere solare. Sempre aperta con tutti, in particolar modo con chi non conosceva, le piaceva mostrare subito uno dei lati di se più positivo ed accattivante; il buon carattere.

Forte al pari di Haruka, Minako sapeva dare il giusto equilibrio alle cose riuscendo a farcire la vita con quel buonumore che alla maggiore, per esempio, mancava completamente.

L’appuntamento deve essere andato proprio male, rifletté Usagi mentre la sorella usciva dalla cucina seguendo Haruka nello studio. Cosa diavolo si sarebbero inventate ora?

Tornando al suo da fare, la ragazza richiamò l’attenzione di Michiru rimasta immobile accanto al grande tavolo di legno.

“Continuiamo?”

 

 

Verso il tardo pomeriggio Michiru uscì dalla sua stanza con fare circospetto. Quasi in punta di piedi. A differenza delle altre, la sua camera si trovava al piano terra, proprio di lato al grande ingresso che fungeva anche da sala da pranzo. Vi si era rifugiata subito dopo un pranzo ferale, fatto di mezzi monosillabi strappati a forza da una taciturna Haruka, degli sguardi astiosi di Minako e dalla pazienza casalinga della povera Usagi, che aveva cercato in tutti i modi di farla sentire a suo agio.

E meno male che l’ospite è sacro, aveva pensato la forestiera che dell’educazione aveva fatto il puntiglio di tutta una vita, ritrovandosi così a snocciolare per forza di cose la destrezza nel dialogo affinata in anni ed anni di cene di gala, vernissage ed incontri diplomatici. Così, approfittando della vita laboriosa di quella che aveva saputo essere una delle aziende vinicole della zona, appena terminato l’ultimo piatto di portata si era defilata sparendo in camera per distendersi sul letto, sonnecchiare ed aspettare che il via vai della casa si quietasse un poco.

Ora, avvertito un certo silenzio, costretta dalla sua coscienza a mettersi in contatto con il mondo esterno e vogliosa di recuperare alcuni oggetti personali lasciati nel portabagagli dell’auto trainata a gancio del trattore del famoso Yaten, si ritrovò a cercare il telefono fisso del quale tanto orgogliosamente le aveva accennato Usagi.

Arrivata davanti l’anta semiaperta di quello che era lo studio, bussò chiedendo se ci fosse qualcuno e non avendo risposta entrò dirigendosi alla scrivania. Il fisso era li, tra la tastiera del computer ed il monitor, una pila vergine di postite gialli ed una foto incorniciata d’argento che ritraeva una coppia sulla trentina vestita con sgargianti tute da rally. Sospirando di malavoglia prese la cornetta componendo prefisso e numero.

 

 

“Ma insomma, si può sapere dov’è?! Guardi che la penale per una data cancellata da tutto esaurito non è uno scherzo e a me non piace perdere soldi!” Scese a gamba tesa l’uomo vestito Armani accendendosi l’ennesima sigaretta per poi sprofondare sulla seduta del divano in pelle nera.

“Non si preoccupi signor Stërn, Michiru è una professionista. Non salterà mai un concerto contravvenendo al contratto firmato con la sua casa discografica.”

“Me lo auguro! Ma a quel che ho potuto vedere ieri sera, la discussione che avete avuto non è stata per niente piacevole e mi lasci dire che oltre a dare spettacolo, è stata anche di pessimo gusto!”

Il giovane moro, trentacinquenne ex cantante pop di un certo successo ed attuale manager, nonché compagno di una delle più talentuose regine della classica, capelli corti sapientemente arruffati, piccola coda di cavallo alla torero spagnolo e sguardo di uno scuro intenso, digrignò la dentatura tornando a guardare il display del cellulare per poi provare l’ennesima chiamata.

Utente al momento non raggiungibile. La stessa solfa da quando ore addietro aveva iniziato a cercarla.

Ma cazzo Kaiou… Dove sei finita!? Si chiese guardando lo sky line del centro città dalla vetrata del suo studio al quarantunesimo piano della sede centrale della Union Artists Foundation del quale era azionista nonché Direttore Artistico.

Mai possibile che una donna come te possa aver commesso l’incredibile follia di scappare dopo una banalissima discussione?! Continuò arrovellandosi il cervello al ricordo della festa danzante alla quale avevano partecipato. Coppia vincente nella vita come nel lavoro, idolatrati dal mondo delle riviste patinate e da quello musicale. Professionisti esemplari; lui del pop giovanile, soprattutto grazie alla luce riflessa di lei, orifiamma scintillante della classica ad arco, ricercati dalle etichette più in voga, ricchi, famosi, discreti nel far trapelare della vita privata solo lo stretto necessario e per questo misteriose entità particolarmente invidiate.

Qualcosa, però, era cambiato da mesi, qualcosa in Michiru si era spezzato, un malessere, soprattutto fisico che la portava a periodi di forzata inattività rinchiusa in qualche località lontano dai pettegolezzi e dalla vita stressante del palcoscenico. E senza la sua costante presenza, lui si era scoperto vulnerabile nella carne e soprattutto nel lavoro, ritrovandosi ad essere più portato per la scrivania e le segretarie, che per un plettro e uno spartito.

La sera precedente, esasperata per l’ennesima richiesta di prolungamento della turnè che la vedeva primo violino per la Filarmonica di Vienna ed intuita la nuova relazione clandestina di colui che, in tutta onestà, non considerava più il suo uomo già da molto tempo, Michiru aveva ceduto all’alcol e alla pressione. Con troppi bicchieri di Champagne nelle vene, forse per non pensare, non vedere cosa era diventata la sua vita nei pochi anni nei quali erano stati insieme, aveva compiuto l’unico gesto irrazionale al quale lei per prima non si sarebbe mai aspettata di dar vita; una fuga.

E tutto questo perché non riesci più ad esibirti con la stessa gioia e cadenza di un tempo e non mi accetti più nel tuo letto, sospirò ormai vinto quando il cellulare che ancora stringeva nel palmo della sinistra non vibrò mostrando una chiamata anonima.

Fa che sia lei… “Kou…” Ed attese sperando.

“Seiya…”

“Grazie a Dio… Michiru, stai bene? Dove sei?!”

Dall’altra parte della cornetta lei si appoggiò alla scrivania chinando la testa. “In un bel posto.”

“Torna, ti prego. - Abbassando la voce per escludere il signor Stërn, continuò cercando di mantenere la calma che non sentiva di avere. - Qui è un casino. “

Sorridendo tristemente lei incrociò le braccia al petto bloccando la cornetta nell’incavo del collo. Era veramente un meschino donnaiolo arrivista come l’aveva apostrofato al ballo prima di schiaffeggiarlo di fronte a mezza sala. “Credevo che la tua priorità fossi io, non il mio archetto. Hai paura delle penali? Le pagherò io, stai pur tranquillo.”

“Non si tratta di soldi Kaiou, ma di reputazione. - E rialzò il tono perché apparisse chiaro all’altro dirigente lo sforzo per farla rientrare. - Tua, mia e della U.A.F.”

“Chi c’è li con te? Il signor Stërn!? - Sogghignò stirando le labbra. - Sempre pronto a farmi passare per una squilibrata, vedo.”

“Michiru…”

“Basta! Quello che avevo da dirti te l’ho già detto. Mi dispiace solo di non essere riuscita a controllarmi dando di me un’immagine indegna.”

“Si… Hai mancato di stile!”

Sentendo la solita fitta allo sterno preludio di un dolore più acuto, la donna iniziò a massaggiarsi il petto. “Non è un’ammissione di colpe che non ho Seiya. Non ne ho professionalmente, ne tanto meno umanamente.”

“Ah, quella di abbandonare la turnè per scappare come una ragazzina viziata non la reputi una colpa, Michiru?!”

“La turnè è finita un mese fa! Sei tu che continui a voler aggiungere date su date prorogando all'infinito quello che io reputo ormai un supplizio! Ho fatto il mio dovere fino alla fine, sorridendo come una brava scimmietta ammaestrata. Da ora in avanti intendo interfacciarmi solo con il signor Stërn ed alle mie condizioni. Sia economiche, che lavorative. Non voglio più che curi i miei interessi, il nostro sodalizio artistico è finito, anzi, pur riconoscendo la vigliaccheria di farlo per telefono, ritengo finita anche la nostra relazione. Da ora in avanti potrai portarti a letto chi ti pare e piace alla luce del sole.”

“Stai scherzando? Ti ricordo che hai ancora due anni di contratto!” Disse mettendosi sull’attenti.

"Ti ho già detto che pagherò le penali, ma per ora basta. Non ce la faccio più e se ieri sera mi avessi prestato un po’ più d’interesse lo avresti capito da solo!”

Tornando ad abbassare la voce l’uomo si diresse verso la vetrata mettendosi una mano in tasca con fare sicuro. “Lascia perdere la sfera privata Kaiou. Lo sappiamo entrambi che ormai tra noi è finita, ma una separazione sul piano lavorativo non potrebbe che penalizzarti. Con il tuo carattere orgoglioso e l’idealismo che in questo ambiente di merda ancora riesci a portarti dietro, non potrai mai farcela da sola. Sarai anche brava, la migliore, ma i contratti che hai firmato fino ad oggi te li ho fatti avere io e a peso d’oro. Se non sei più che scaltro, questo mondo è pronto a divorarti per poi sputarti nel dimenticatoio. E tu ne hai bisogno Michiru; hai bisogno di sentirti amata tramite la musica.”

Quanto era maledettamente vero e quanto le bruciava quel lato squallido di se. “Al diavolo la musica, il denaro, l’idolatria dei fans e… te!” Urlò alla cornetta prima di pronunciare un definitivo addio e mettere giù.

“Michiru… Michiru…” Ma gli rimase solo il vuoto di una linea interrotta.

Merda, pensò mentre le parole del signor Stërn gli arrivavano all’udito come un suono lontanissimo.

“L’ennesima crisi, Kou?!”

Rimanendo con lo sguardo all’oscurità del monitor l’altro scosse la testa incapace di pensare. Questa volta Michiru faceva sul serio. Non si trattava di un malessere da curare con un paio di settimane di riposo, ma di una vera presa di posizione di una donna ferita.

“Non si preoccupi… Farò in modo di scoprire dove diavolo è e di riportarla in città il prima possibile.”

Rimasta con entrambe le mani sulla cornetta ormai al suo posto, Michiru intravide dalla frangia chiara la luce esterna proveniente dalla finestra parzialmente aperta e nonostante il cuore le andasse a mille, provò comunque a calmarsi. Il ticchettio metallico della pendola a muro, la brezza esterna, le cicale. Da quanto non ascoltava le cicale.

Provata, ma liberatasi da un peso, si sfiorò ancora una volta lo sterno vogliosa d’aria. Così si mosse uscendo dallo studio ed oltrepassando la sala da pranzo, aprì il portone d’ingresso ritrovandosi fuori. Alla calura estiva.

Era una masseria abbastanza grande e ben curata quella dei Tenou, immersa nel verde dei meli e nei colori tenui dei mazzi di lavanda che crescevano qui e la senza apparente ordine. Un complesso massiccio, di fine ottocento, dall’intonaco un poco scrostato, il tetto dai coppi rossi, i comignoli bianchi, le grondaie dalla ramatura ossidata e le finestre con le persiane di noce scuro. Al suo arrivo Michiru non si era certo fermata a guardarsi intorno, troppo infreddolita e scioccata, ma una cosa nel chiaro scuro della notte l’aveva notata; una specie di torre di forma circolare con un tetto a punta incastrata nell’angolo destro della struttura che lei aveva pensato essere un vecchio silos. Invece, attratta dai suoni tipici di un’officina, camminando piano sul vialetto che costeggiava il fronte, capì ben presto di essersi sbagliata ritrovando il muso della sua Mercedes e una tuta da lavoro blu e rossa seminascosta tra le ruote anteriori.

Scorgendo un anfibio dondolare al suono di un fischiettio stirò le labbra intuendo chi fosse. Un leggero colpo di tosse seguito da un saluto ed il suono cessò.

“Haruka?!”

“Michiru…” Scivolando fuori la bionda se la guardò sorridendo. In effetti Minako aveva detto il vero; grazie alla sua macchina l’umore del capofamiglia era drasticamente cambiato virando dal tempestoso al bello stabile.

“Il danno è più grave del previsto. Mi dispiace.”

“Non si può proprio far nulla?” Chiese tremando al pensiero di dover già andare via.

“Non ho i pezzi di ricambio per un’auto tanto costosa. E poi non ho il tempo. Devo preparare la vendemmia.”

Più che delusa l’altra sospirò mentre le veniva consigliato un altro mezzo di trasporto. “Non è questo Haruka.”

“E allora cos’è?! Un fidanzato abbandonato da cui scappare? Capita spesso alle belle donne.”

Senza vergogna la bionda se la guardò poggiando gli avambracci alle ginocchia penetrandola con il fascino dei suoi occhi. Ci sapeva fare Haruka, anche se il carattere non l’aiutava.

Vero solo per metà ed anche se volessi, ora come ora non saprei proprio dove andare per non essere rintracciata, pensò la violinista desolata.

“Se avessi i pezzi che ti servono sapresti ripararla?”

A quella domanda l’altra si strinse nelle spalle con l’aria più furbesca di questo mondo. “Naturalmente.”

“E se ti chiedessi di lavorarci a pagamento?”

“Michiru non si tratta di soldi… - Confessò alzandosi dal carrellino sfilandosi i guanti in lattice inzuppati di sudore. - Devo mandare avanti un’azienda. Non ho proprio il tempo ed il cielo mi è testimone se non mi piacerebbe aggiustare questa bambina.”

“Capisco…”

Vedendo la delusione dipinta sul bel volto della forestiera Haruka iniziò a sospettare qualcosa. “Dimmi un po’, questa frenesia è la logica conseguenza di un amore sviscerato per questa macchina, del voler tornare a casa o… l’esatto contrario?”

Titubante, ma non intimorita, l’altra ne sostenne lo sguardo non rispondendo.

“Non sei un tipo che si sbottona e questo lo apprezzo. Non voglio certo impicciarmi degli affari tuoi, ma purtroppo l’unica cosa che ora posso fare per te è quella di darti ospitalità per qualche giorno.”

“Pagherò! Non voglio essere un impiccio.” Sottolineò prontamente avendo intuito il brutto momento finanziario della casa.

“Ti ho detto che non si tratta di soldi e poi non siamo un B and B. Qui si produce vino, Michir....

“Allora lavorerò!”

“Chi… tu?!”

“Si, io!”

E la risata della bionda riecheggiò tra le travature lignee della copertura tanto che un paio di tortore fino a quel momento bellamente appollaiate si alzarono in volo uscendo.

“Scusa perché staresti ridendo?!” Chiese sentendosi le mani afferrate da quelle dell’altra.

Studiandole Haruka continuò a sghignazzare scaldandole i nervi già abbastanza tesi. “Ammetto di vedere dei calli, ma avanti, non scherziamo. Un tipo altolocato come te non è fatto per il lavoro dei campi.”

Scansandole in malo modo Kaiou si accese come una miccia. “Non puoi giudicare solo dal vestito che porto o dalle mani che ho Haruka. Non è giusto!”

“Va bene, hai ragione, ma non prender su d’aceto. - Si scusò alzando le braccia in segno di finta resa. - La stagione della vendemmia sta per partire, ma purtroppo non posso assumere altra gente.”

“Vitto e alloggio.”

“He?”

“Vitto e alloggio!”

“Ma dai, cosa siamo nel Medioevo?!”

“Vitto, alloggio e …in più ti lascerò giocare con la mia auto per tutto il tempo che vorrai provvedendo io a tutti i pezzi di ricambio che mi chiederai.”

Ed Haruka iniziò a pensarci. E Michiru a sperare.

“Avanti, cosa ti costa. Dammi un’opportunità Tenou. Vedrai che saprò stupirti.” Incalzò avvicinandosi tanto che la bionda se la ritrovò praticamente ad una manciata di centimetri dal viso.

“Certo che se lavori quanto chiedi.” Disse indietreggiando un poco il collo. Quella donna le faceva battere il cuore. Era un fatto.

“So essere molto testarda se voglio.”

“Questo non depone a tuo favore. Qui si obbedisce e si lavora in squadra.”

“Non è un problema. Sono stata abituata alla disciplina sin da piccola e so lavorare in gruppo.”

Spezzando improvvisamente il contatto visivo, Haruka cedette. “In prova per una settimana... Poi vedremo.”

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau, ben trovate/i. Ci ho messo un po’ per ritrovare l’ispirazione, poi, come alcune di voi mi ripetevano quasi giornalmente, è arrivata così, di getto. Questa nuova avventura, che si svolge nel presente, non ha una vera e propria collocazione geografica come tutte le altre che ho scritto. E’stata una scelta voluta e ben ponderata, così che ognuno (a parte gli USA da dove proviene Bravery) possa avere la possibilità di ambientarla in posti che conosce e che ama. Me inclusa.

Per tutte coloro che amano la stirpe Kuo, questa volta ho voluto inserire anche Seiya e Yaten. Mi servivano delle figure maschili oltre a Mamoru. Perciò vedremo qualche altra coppia oltre a quella cool per eccellenza e a tal proposito, remando distante dalle ultime ff, l’incontro tra Kaiou e Tenou c’è stato subito e visto i rispettivi caratteri, è stato anche piuttosto freddino. Proverò a fare in modo che i due personaggi evolvano man mano che la storia prende piede. Ora come ora vedo una Michiru lontana anni luce da Haruka. Altro che bianco e nero. Caratterialmente, emotivamente, culturalmente, sono agli antipodi in tutto.

Prometto colpi di scena al sole delle viti. Parola d’onore.

Buona lettura. Spero di appassionarvi un po’.

U BW

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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