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Autore: Nescio17    10/04/2019    0 recensioni
1 settembre 1939, Hitler invade la Polonia e la seconda guerra mondiale ha inizio.
Molti giovani italiani vengono richiamati alle armi per difendere il proprio paese e portargli lustro.
Moira Marzotti e Andrea Nolano si troveranno coinvolti in questo avvenimento più grande di loro e i destini di tutti saranno legati da un filo rosso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
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 16 luglio 1929

L’arsura estiva bruciava i campi con il grano alto fino alla vita: le spighe di piegavano sotto il vento rovente che soffiava silenzioso, aprendo strade infinite verso il fiume che scorreva placido, lento come se fosse prossimo a fermarsi e a cambiare direzione. L’umidità raggiungeva livelli mai sentiti e gli abiti sembravano appiccicarsi alla pelle come sudari, al tatto bagnato come se fossero stati immersi nell’acqua calda. Moira riposava silenziosa sotto la grande roverella che quest’anno aveva dato degli di sé: i lungi rami si inerpicavano alti, quasi a voler toccare il cielo lattiginoso e le grandi fogli davano riparo dalla luce accecante, regalando un po’ di ombra. Una spiga dondolava silenziosa fra i suoi denti, come se stringesse le sigarette che suo padre tanto amava e aspirava sentendo un leggero sapore di terra e di linfa. Gli occhi erano socchiusi, riparati dalla grande falda del cappello e i piedi incrociati che si muovevano in maniera impercettibile al suono di quella sinfonia estiva che le rimbombava nelle orecchie. I suoi capelli, più scuri di quel grano dorato, erano intrecciati ordinatamente dietro la nuca e il vestito morbido le cadeva leggero poco sotto le ginocchia sempre sbucciate e rovinate, tipiche di una bambina mai pronta a fermarsi. 

 

Quell’anno, nel mese di settembre, avrebbe iniziato le scuole medie, anche se il suo intento era ben diverso: si era sempre definita una ragazza curiosa, che amava la lettura, ma forse la scuola non sarebbe mai stata la sua strada. Lei voleva viaggiare per tutto il mondo, scoprire tutto quello che poteva scoprire e incontrare tante persone diverse per non essere più la bambina timida che tutti prendevano un po’ in giro. Chiudersi fra quelle quattro mura non la spaventava, ma il mondo era più interessante: suo padre glielo descriveva sempre insieme alla madre durante la cena, insieme ai suoi due fratelli. Tutte e due avevano viaggiato per il mondo e poi avevano deciso di tornare a casa e mettere su famiglia, rimanendo sempre in contatto con tutti coloro che avevano conosciuto durante le loro avventure. Moira sognava questo: una vita da avventuriera e poi, se ci fosse stata l’occasione, sposarsi con la persona che riteneva giusta per lei. 

 

Respirò profondamente cercando di prendere aria in quella calura opprimente, ma per un istante che sembrò infinito sentì dei passi leggeri come le foglie che cadono d’autunno. Sapeva perfettamente chi si sarebbe potuto trovare lì nei dintorni se non Andrea, il quinto figlio della famiglia Nolano. Quel birbante sapeva sempre dove trovarla, cosa stesse facendo o con chi fosse ed era bravissimo a rovinare i suoi momenti di calma. Eppure lei gli voleva bene, non come se ne vuole ad un fratello, ma nemmeno come se ne vuole ad un innamorato perché per lei quella parola era ancora qualcosa di sconosciuto e di poco chiaro. Lei non sapeva definire cosa significasse “amore”, che cosa si percepisse quando quel sentimento si instaurava nell’animo: l’aveva chiesto spesso alla madre e lei, con la sua immensa semplicità e bontà, le aveva risposto che l’amore era come un fiore che sbocciando, donava la sua bellezza al mondo e morendo riceveva in cambio una nuova vita. E lei ammirava quei fiori che tanto amore sapevano provare, lì osservava per carpirne i segreti, nascosti e imprigionati in quei lunghi steli verdi e in quei petali morbidi come seta. Il suo sentimento per il piccolo Nolano era strano: ogni tanto avrebbe voluto abbracciarlo e stringerlo forte; altre volte avrebbe preferito tirargli le pietre del suo cortile e vederlo saltellare da una parte all’altra per evitarle. Dopo pochi secondi le si palesò di fronte a testa in giù, appeso a un ramo basso di quell’imponente pianta: gli occhi azzurri come la pioggia la osservavano sereni, il sorriso furbo stampato sulla faccia e i capelli biondi come il grano arricciati per la forte umidità. Rideva sempre, come se il mondo fosse una grande barzelletta: la sua serenità era contagiosa; poche volte Moira l’aveva visto triste. Più volte l’aveva visto arrabbiato, pronto a difendere le sue idee e a difendere chi era in difficoltà. 

 

“Dormi?” Disse ancora capovolto a testa in giù. “Lo so che fai solo finta di non sentirmi e vedermi, ma ormai sono qui, quindi ti conviene ascoltarmi!” Disse gioioso: dentro di sé custodiva una notizia meravigliosa, o almeno lo era per lui. Moira non sapeva se demordere a quell’intrusione che sapeva di bucato appena fatto o ignorare palesemente la sua voce e far finta di essere morta: ma alla fine la sua decisione era sempre quella sbagliata. 

“Mi sembri troppo felice per continuare a ignorarti. Dimmi.” Disse senza nemmeno aprire gli occhi: solitamente le notizie meravigliose di Andrea si rivelavano fallimentari esperimenti di entrata illegale nella vecchia casa della signora Marzotti, ormai vedova da anni o la scoperta di qualche notizia riguardante la figlia dei Leali: la bella e acculturata figlia unica, dai capelli color del rame e gli occhi puri come quelli di Andrea. Moira non la odiava, l’odio era un altro dei sentimenti che ancora non comprendeva, ma provava nei suoi confronti una sottile invidia: amata da tutti, solare, bella e benestante. E tutte le volte che Andrea aveva una sua notizia, a lei le si storceva leggermente la punta del naso, come la prima volta che sentì l’intenso sapore dei limoni di Sicilia. 

 

“Ho trovato una tana di volpi dentro il boschetto di pioppi, quello dove Gino ci aveva perso gli occhiali. Vuoi venire a vederla?” Forse era per quello che lei, in fondo, lo amava a modo suo, in un modo tutto speciale. E forse nemmeno le notizie sulla bella figlia dei Leali potevano farle cambiare idea su come fosse in realtà quel ragazzo dai capelli color dell’oro. Il mondo per lei era un tesoro e Andrea sapeva cosa le potesse piacere, anche quando gli altri pensavano fosse una cosa strana o brutta: una ragnatela intricata, una tana di scoiattoli nell’albero, uno scarafaggio che camminava tranquillo per la sua strada o un pesce rimasto impigliato accidentalmente nell’amo di Pietro ‘l Tone, sempre bravo a dimenticarsi in giro le sue cose. 

 

Decise finalmente di alzarsi e di seguirlo: lui scese dall’albero e stretta la sua mano bruciata dal sole, la scortò fino al luogo non molto lontano dalla sua postazione primaria. Gli alti pioppi ripararono le loro testoline riscaldate dal forte sole, gettando giochi di ombre sul terreno morbido grazie al temporale della sera prima: Andrea la stringeva forte, senza lasciarla e senza voltarsi mai per assicurarsi di starla stringendo ancora. La loro amicizia era sempre stata strana, iniziata in un modo ancora più bizzarro: era il primo giorno di elementari, Moira indossava un abitino rosa che le arrivava poco sopra le ginocchia, un fiocco delicato che le avvolgeva i capelli già ribelli, ricci come le spire di foglie mosse da un turbinio di aria, mentre Andrea era entrato nel vestito di seconda mano del quarto fratello un po’ a fatica, essendo più alto di quest’ultimo. Lui le aveva subito rivolto lo sguardo e pure una linguaccia a cui aveva subito ricevuto una risposta identica da lei, che lo osservava incuriosita, con lo sguardo di chi vede per la prima volta un cucciolo appena nato. Non appena i due erano stati liberi di fare la ricreazione, Andrea era andato alla ricerca di qualsiasi cosa che si muovesse in quel giardino e aveva trovato, per sua somma gioia, una lucertola senza coda, scomparsa in chissà quale bocca di quei gatti che bazzicavano per il paese. Con il suo istinto da bravo bambino era corso per il cortile con la bestiola in mano, avvicinandosi pericolosamente alle bambine che fuggivano via tra schiamazzi e gridolini. Moira l’aveva guardato e poi gli si era avvicinata chiedendogli di mostrarle l’animale: gli occhi di Andrea non erano mai stato tanto sorpresi e con felicità gliela passò in mano. 

 

“Dobbiamo fare piano che son picinì.” Le disse con cautela, abbassando il tono della voce. I due si avvicinarono furtivamente, come ladri pronti a rubare delle mele nel campo di Franchino: non appena si fecero più vicino si iniziarono ad udire impercettibili guaiti, simili a degli urletti. Entrambi si accucciarono e poterono osservare tre piccole volpi, gli occhi ancora leggermente chiusi e il pelo non ancora folto. Erano così piccole da sembrare pulcini e Moira non seppe nemmeno quanta fu la gioia che le riempì il cuore, un regalo stupendo, una sorpresa inaspettata. Si fermò un attimo, come paralizzata da quella vista stupenda, ma il momento idilliaco fu rotto da un verso simile a quello dei cuccioli, ma più alto: la madre delle piccole volpi era tornata e non sembrava per nulla contenta della loro presenza. Il ringhiò le salì su per la gola sempre più rombante e la bava iniziava ad accumularsi di bava: la migliore idea era quella di fuggire a gambe levate dato che Leonardo Orzati, solo il mese scorso era stato morso ed era morto poco dopo a causa della rabbia. E così fecero, alzarono le loro gambine e corsero fino a perdere il fiato, fino a quando le ginocchia non iniziarono a dolergli per lo scatto fulmineo. Andrea fu il primo a fermarsi, arrestando la sua corsa pazza vicino alle anse del placido Adda, che scorreva con lentezza immane. Moira lo seguì poco dopo togliendosi le scarpe e lasciando i piedi a mollo nell’acqua quasi ferma, ancora leggermente fresca, rispetto a tutto quel calore. 

 

“Cosa hai da guardare stüped?” Gli disse sollevando il mento come a indicarlo. Andrea la fissava con occhi strani; la osservava, analizzandola come se fosse la prima volta che la vedeva in quelle vesti disinibite. Eppure di bagni nel fiume ne avevano fatti insieme e quante volte avevano corso per quei campi rubando la frutta ai contadini loro amici senza farsi beccare. In un certo senso era come se tutti e due conoscessero l’altro meglio di quanto non conoscessero loro stessi. 

“Niente, solo che sei corsa via così velocemente. Ti sei proprio presa paura, ne?” Moira lo fulminò lo sguardo: quella era una sfida alle sue capacità. Lei non era perfetta, lo sapeva, come sapeva che non sapesse fare tutto, ma dirglielo palesemente era un modo per spingerla a superare il limite impostosi prima. 

“Ha parlato lui, sei arrivato prima tu ché söl fiöm!” Gli disse senza mezzi termini: così come Andrea si trovava ad almeno due metri da lei, così se lo ritrovò addosso. Fare la lotta era un’altra di quelle cose che entrambi condividevano come passatempo: più di una volta Moira era stata richiamata a scuola e messa in punizione per aver fatto a botte. I genitori non sapevano come farle sfogare quella rabbia, ma un giorno avevano scoperto che la fotografia riusciva a calmarla, riusciva a farle sfogare quell’energia, come se nelle foto vi si rifugiasse. Fu così che le regalarono una Leica A, un modello recentissimo e per cui si indebitarono di qualche migliaio di lira: Moira non sarebbe potuta essere più riconoscente. 

 

Cercò di toglierselo di dosso, spingendolo via con le gambe: Andrea fece un piccolo volo, atterrando con il fondoschiena direttamente nell’acqua, bagnandosi completamente i pantaloncini di lino che gli arrivavano poco sopra le ginocchia ossute. Gli occhi azzurri rifulsero come illuminati dalla luce più abbagliante: prima si osservò e poi osservo Moira che ancora giaceva a terra, i gomiti appoggiati sul duro terreno per sostenersi e i capelli ormai sfuggiti alle trecce. Anche i suoi occhi color del mogano risplendevano forse per la fatica o forse perché quando il sangue l circolava più velocemente in corpo ottenevano una sfumatura arancione.

Andrea le saltò nuovamente addosso, ma questa volta fece una cosa inattesa, la lasciò come di stucco, esterrefatta da un semplice così banale e semplice: le diede un bacio. 

 

   
 
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