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Autore: LadyBlueSky    11/04/2019    0 recensioni
Guardarsi allo specchio e non riconoscersi. La confusione nella testa e nel cuore, che pare andare sempre nella direzione più dolorosa. Il caos di una vita che sono due che sono sempre una. Il Silenzio, voluto e non, bramato e ostacolato, assordante come un grido.
P.S. Questa storia partecipa al contest #MiraculousEasterEgg indetto dagli Ambrogisti Anonimi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Silent Scream

 

 

 

 

 

Il filo dello yo-yo si legò saldamente alla trave di metallo più alta della Tour Eiffel; una figura indistinta vorticò nell’aria per il più breve degli attimi. Roteando su sé stessa a causa dello slancio preso, Ladybug compì un paio di giri prima di ridiscendere a terra, in un atterraggio preciso e silenzioso. Nel momento in cui tocco il gelido ferro l’immagine della supereroina di Parigi svanì in un lampo di luce, lasciando al suo posto ciò la maschera nascondeva con così tanta solerzia.

Marinette si avvicinò al bordo fino quasi a sfiorare il nulla con la punta dei piedi, rimanendo poi immobile ad osservare tutto e niente. Tikki, nascostasi nella borsetta un attimo dopo il rilascio della trasformazione, decise per il silenzio, arrendevole e inquieto al contempo, concedendosi solo un sospiro che sapeva di amara consapevolezza. Sapeva che sarebbe successo; sapeva che prima o poi quel momento si sarebbe presentato, puntuale come ogni volta; sapeva che quell’istante avrebbe bussato alla porta della sua Portatrice, dilatandosi quasi all’infinito, tendendosi fino allo spasmo. Era sempre stato così, da secoli e secoli.

Marinette chiuse gli occhi e allargò le braccia proprio nel momento in cui il cielo plumbeo sopra a Parigi iniziava il proprio spettacolo. Il vento le sferzava violentemente il viso, e la pioggia gelida e torrenziale pareva ferirle la pelle lasciata scoperta. Nessuna pietà, in quella notte che parlava di decadenza e dolore, sembrava venir mostrata.

Era stata svegliata all’improvviso, poco prima, da un’orribile sensazione che improvvisamente le aveva stretto il cuore in una morsa di lame acuminate che attimo dopo attimo parevano piantarsi maggiormente in profondità. Cos’era? Era a causa di quell’incubo che non ricordava? Erano lo stress e la stanchezza della sua doppia vita? O era, più semplicemente, l’insieme degli eventi dell’ultimo periodo che, piano, stavano logorando la sua fragile psiche di quattordicenne?

Aveva scostato le coperte in fretta, e con altrettanta agitazione era corsa davanti allo specchio. L’immagine che le venne rimandata la congelò sul posto, facendo crescere in lei un senso di inquietudine che difficilmente l’avrebbe abbandonata. Quegli occhi – i suoi occhi! – parevano non appartenerle più. Di chi era lo sguardo che ora la fissava di rimando?

Il fulmine che aveva squarciato il cielo e reso il mondo negativo l’aveva abbagliata a tal punto che, per il più breve degli istanti, al posto di una ragazzina scarmigliata e in pigiama era comparsa la giovane donna mascherata pronta alla battaglia. Le bastò quell’istante per capire: non si riconosceva più in niente. Forse per questo l’aveva fatto – l’aveva richiamata, Lei, Ladybug.

Aveva corso; aveva saltato; si era librata nel cielo. Per quei pochi minuti la sua mente si era svuotata, e la pace si era impadronita di lei. Poi era stata costretta a fermarsi, perché ciò che ancora le imbrigliava il cuore aveva iniziato a battere con violenza sulle pareti della sua anima, cercando di farla cedere. Alla fine la verità della confusione le aveva tagliato le gambe, e il muro contro il quale l’aveva fatta sbattere era stato più duro del previsto.

Respirò a fondo e l’aria gelida le provocò un dolore acuto ai polmoni, ma resistette e non rilasciò quel respiro così maledettamente violento. Era tempo del muro contro muro.

Ripensò a Luka, che solo qualche ora prima le aveva fatto una delle più belle dichiarazioni che avrebbe mai potuto sognare di ricevere. Ripensò alle parole così chiare, allo sguardo così limpido, al sorriso così sincero. Sì, Luka l’amava. Davvero. E pensò che sarebbe stato facile, lasciarsi andare a lui, accoccolarsi nel suo abbraccio, lasciarsi avvolgere dalle sue labbra. Eppure, malgrado il rossore sulle proprie gote e la lusinga che le di lui parole aveva provocato in lei, non era stato abbastanza. Il suo cuore, ancora una volta, non sembrava voler collaborare, e la reindirizzava su un’altra strada.

Ripensò a Chat Noir, a cui pochi giorni prima aveva donato un bacio, e dal quale aveva ricevuto il medesimo dono. Non ricordava nulla, di quel momento, ma malgrado il buio nella sua mente sentiva ancora un leggero sapore estraneo sulle proprie labbra; le sentiva sfrigolare, bruciare, ogni qualvolta tornava a pensarci o si trovava faccia a faccia con la foto che provava l’esistenza di quel momento. E pensò che anche lasciarsi amare da lui sarebbe stato facile, ma che anche in quel caso il cuore pareva rifiutarsi di collaborare.

Ripensò ad Adrien, e al suo sguardo in cui qualcosa pareva essere mutato, che ora più che mai sembrava spinto verso Kagami e la sua sicurezza inscalfibile. Ripensò al bacio che aveva avuto il coraggio di dargli, il giorno del pic-nic; ripensò alla complicità dei piccoli momenti, delle piccole cose, che a volte sembrava avvicinarli, per poi ritrasformarsi nella voragine che li divideva. Ripensò a quel giorno di pioggia, in cui un ragazzino biondo le aveva donato un ombrello in segno di pace, e in cambio si era preso il suo cuore. E pensò, per il più breve e assurdo degli istanti, che odiarlo per quel furto sarebbe stato non più facile, ma almeno le avrebbe risparmiato il dolore della delusione. Invece no. Invece continuava ad amarlo.

Ripensò a sé stessa, a Marinette e a Ladybug. Due identità per un’unica persona; una ragazza in cui coesistevano due entità distinte. La sicurezza e l’audacia della supereroina; la goffaggine e la timidezza della ragazza. E pensò che, in fondo, quella distinzione non aveva senso di esistere. Perché senza Marinette Ladybug non sarebbe esistita, e senza Ladybug Marinette non avrebbe potuto continuare a vivere la propria vita in quella che era la sua città.

Tese le spalle e raddrizzò la schiena. Iniziava a sentire la testa vuota, e la cassa toracica faceva male; il corpo non avrebbe retto ancora a lungo senza un adeguato apporto di nuovo ossigeno.

 

Non ancora…

Non è ancora il momento…

Solo un attimo…

 

Un attimo. Solo questo. Niente di più.

Non voleva altro. Non avrebbe chiesto di più.

Il giorno dopo, quando avrebbe riaperto gli occhi, quello sarebbe stato solo un istante su cui presto la memoria avrebbe allentato la presa; il tempo e la quotidianità avrebbero fatto il resto, e nessuno avrebbe mai saputo.

Un fulmine squarciò nuovamente il cielo di Parigi, e Marinette si tese allo spasmo. Quando il rombo del tuono scosse la città un rombo si propagò prima dentro di lei, così violento da provocarle dolore, e fuoriuscì l’istante successivo, coperto dalla forza di madre natura.

Poche ore prima Luka le aveva rubato la voce; ora era il mondo che la circondava a portarla al silenzio. Ma non importava.

L’urlo silenzioso a cui si lasciò andare vibrò rumorosamente dentro di lei, ma nessun altro lo sentì.

 

Lasciami gridare a questo cielo piangente.

Lascia che questa pioggia lavi via ogni traccia della confusione e dell’inquietudine.

Lascia che il buio di questa notte rumorosa nasconda questo bisogno di essere debole, di crollare in ginocchio.

Lascia che io gridi, per poter affermare me stessa.

Domani tornerò io; domani mi rialzerò. Ma non adesso.

 

Lasciami questo Grido Silenzioso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’Autrice:

Sì, lo so cosa state pensando: “hai in corso una raccolta con ritmi di aggiornamento che dire da lumaca è un eufemismo e ti metti a scrivere altro?”. Eh, che volete farci. Incoerenza portami via xD

Che dire? Questa storia nasce… Ehm… Difficile dire come nasca. Definiamola pure un’accozzaglia tra: temporale allucinante fuori dalla finestra, gatto acciambellato tra le gambe perché terrorizzato dai tuoni, tazza di thé caldo che ci sta sempre e in sottofondo “Silent Scream” di Anna Blue. E qui viene il bello. Perché l’ascolti e dici: “ok, non centra un’emerita mazza con la storia!”. Ed è vero. Però il modo in cui nel ritornello canta le parole “Silent Scream” hanno fatto partire per la tangenziale la mia testa, e il collegamento con l’episodio 3x08, Silence, è stato automatico. Non so dire esattamente cosa avevo intenzione di scrivere; sono andata a ruota libera e “bye bye” al resto.

In tutto questo ci si aggiunge il fatto che ieri una mia amica mi ha girato il posto del contest #MiraculousEasterEgg indetto dagli Ambrogisti Anonimi, e visto che bene o male la storia un collegamento con il tema del contest ce l’aveva mi sono detta: “perché no? Buttiamoci. Male che vada è sempre un’esperienza nuova.”. Quindi eccomi qui, alle 2 di notte, a pubblicare questa storia.

Detto questo vi auguro buonanotte.

Alla prossima.

 

LadyBlueSky

  
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