Silent Scream
Il filo dello yo-yo si legò saldamente
alla trave di metallo più alta della Tour Eiffel; una figura indistinta vorticò
nell’aria per il più breve degli attimi. Roteando su sé stessa a causa dello
slancio preso, Ladybug compì un paio di giri prima di
ridiscendere a terra, in un atterraggio preciso e silenzioso. Nel momento in
cui tocco il gelido ferro l’immagine della supereroina di Parigi svanì in un
lampo di luce, lasciando al suo posto ciò la maschera nascondeva con così tanta
solerzia.
Marinette si avvicinò al bordo fino quasi a sfiorare
il nulla con la punta dei piedi, rimanendo poi immobile ad osservare tutto e
niente. Tikki, nascostasi nella borsetta un attimo
dopo il rilascio della trasformazione, decise per il silenzio, arrendevole e
inquieto al contempo, concedendosi solo un sospiro che sapeva di amara
consapevolezza. Sapeva che sarebbe successo; sapeva che prima o poi quel
momento si sarebbe presentato, puntuale come ogni volta; sapeva che
quell’istante avrebbe bussato alla porta della sua Portatrice, dilatandosi
quasi all’infinito, tendendosi fino allo spasmo. Era sempre stato così, da
secoli e secoli.
Marinette chiuse gli occhi e allargò le braccia
proprio nel momento in cui il cielo plumbeo sopra a Parigi iniziava il proprio
spettacolo. Il vento le sferzava violentemente il viso, e la pioggia gelida e
torrenziale pareva ferirle la pelle lasciata scoperta. Nessuna pietà, in quella
notte che parlava di decadenza e dolore, sembrava venir mostrata.
Era stata svegliata
all’improvviso, poco prima, da un’orribile sensazione che improvvisamente le
aveva stretto il cuore in una morsa di lame acuminate che attimo dopo attimo
parevano piantarsi maggiormente in profondità. Cos’era? Era a causa di
quell’incubo che non ricordava? Erano lo stress e la stanchezza della sua
doppia vita? O era, più semplicemente, l’insieme degli eventi dell’ultimo
periodo che, piano, stavano logorando la sua fragile psiche di quattordicenne?
Aveva scostato le coperte in
fretta, e con altrettanta agitazione era corsa davanti allo specchio.
L’immagine che le venne rimandata la congelò sul posto, facendo crescere in lei
un senso di inquietudine che difficilmente l’avrebbe abbandonata. Quegli occhi
– i suoi occhi! – parevano non
appartenerle più. Di chi era lo sguardo che ora la fissava di rimando?
Il fulmine che aveva squarciato
il cielo e reso il mondo negativo l’aveva abbagliata a tal punto che, per il
più breve degli istanti, al posto di una ragazzina scarmigliata e in pigiama
era comparsa la giovane donna mascherata pronta alla battaglia. Le bastò
quell’istante per capire: non si riconosceva più in niente. Forse per questo
l’aveva fatto – l’aveva richiamata, Lei, Ladybug.
Aveva corso; aveva saltato; si
era librata nel cielo. Per quei pochi minuti la sua mente si era svuotata, e la
pace si era impadronita di lei. Poi era stata costretta a fermarsi, perché ciò
che ancora le imbrigliava il cuore aveva iniziato a battere con violenza sulle
pareti della sua anima, cercando di farla cedere. Alla fine
la verità della confusione le aveva tagliato le gambe, e il muro contro il quale
l’aveva fatta sbattere era stato più duro del previsto.
Respirò a fondo e l’aria gelida
le provocò un dolore acuto ai polmoni, ma resistette e non rilasciò quel
respiro così maledettamente violento. Era tempo del muro contro muro.
Ripensò a Luka, che solo
qualche ora prima le aveva fatto una delle più belle dichiarazioni che avrebbe
mai potuto sognare di ricevere. Ripensò alle parole così chiare, allo sguardo
così limpido, al sorriso così sincero. Sì, Luka l’amava. Davvero. E pensò che
sarebbe stato facile, lasciarsi andare a lui, accoccolarsi nel suo abbraccio,
lasciarsi avvolgere dalle sue labbra. Eppure, malgrado il rossore sulle proprie
gote e la lusinga che le di lui parole aveva provocato in lei, non era stato
abbastanza. Il suo cuore, ancora una volta, non sembrava voler collaborare, e
la reindirizzava su un’altra strada.
Ripensò a Chat Noir, a cui
pochi giorni prima aveva donato un bacio, e dal quale aveva ricevuto il
medesimo dono. Non ricordava nulla, di quel momento, ma malgrado il buio nella
sua mente sentiva ancora un leggero sapore estraneo sulle proprie labbra; le
sentiva sfrigolare, bruciare, ogni qualvolta tornava a pensarci o si trovava
faccia a faccia con la foto che provava l’esistenza di quel momento. E pensò
che anche lasciarsi amare da lui sarebbe stato facile, ma che anche in quel
caso il cuore pareva rifiutarsi di collaborare.
Ripensò ad Adrien, e al suo
sguardo in cui qualcosa pareva essere mutato, che ora più che mai sembrava
spinto verso Kagami e la sua sicurezza inscalfibile.
Ripensò al bacio che aveva avuto il coraggio di dargli, il giorno del pic-nic;
ripensò alla complicità dei piccoli momenti, delle piccole cose, che a volte
sembrava avvicinarli, per poi ritrasformarsi nella voragine che li divideva.
Ripensò a quel giorno di pioggia, in cui un ragazzino biondo le aveva donato un
ombrello in segno di pace, e in cambio si era preso il suo cuore. E pensò, per
il più breve e assurdo degli istanti, che odiarlo per quel furto sarebbe stato non più facile, ma almeno le avrebbe risparmiato
il dolore della delusione. Invece no. Invece continuava ad amarlo.
Ripensò a sé stessa, a Marinette e a Ladybug. Due
identità per un’unica persona; una ragazza in cui coesistevano due entità
distinte. La sicurezza e l’audacia della supereroina; la goffaggine e la
timidezza della ragazza. E pensò che, in fondo, quella distinzione non aveva
senso di esistere. Perché senza Marinette Ladybug non sarebbe esistita, e senza Ladybug
Marinette non avrebbe potuto continuare a vivere la
propria vita in quella che era la sua città.
Tese le spalle e raddrizzò la
schiena. Iniziava a sentire la testa vuota, e la cassa toracica faceva male; il
corpo non avrebbe retto ancora a lungo senza un adeguato apporto di nuovo
ossigeno.
Non ancora…
Non è ancora il momento…
Solo un attimo…
Un attimo. Solo questo. Niente
di più.
Non voleva altro. Non avrebbe
chiesto di più.
Il giorno dopo, quando avrebbe
riaperto gli occhi, quello sarebbe stato solo un istante su cui presto la
memoria avrebbe allentato la presa; il tempo e la quotidianità avrebbero fatto
il resto, e nessuno avrebbe mai saputo.
Un fulmine squarciò nuovamente
il cielo di Parigi, e Marinette si tese allo spasmo.
Quando il rombo del tuono scosse la città un rombo si propagò prima dentro di
lei, così violento da provocarle dolore, e fuoriuscì l’istante successivo,
coperto dalla forza di madre natura.
Poche ore prima Luka le aveva
rubato la voce; ora era il mondo che la circondava a portarla al silenzio. Ma
non importava.
L’urlo
silenzioso a cui si lasciò
andare vibrò rumorosamente dentro di lei, ma nessun altro lo sentì.
Lasciami gridare a questo cielo piangente.
Lascia che questa pioggia lavi via ogni
traccia della confusione e dell’inquietudine.
Lascia che il buio di questa notte rumorosa
nasconda questo bisogno di essere debole, di crollare in ginocchio.
Lascia che io gridi, per poter affermare me
stessa.
Domani tornerò io; domani mi rialzerò. Ma
non adesso.
Lasciami
questo Grido Silenzioso.
Angolino dell’Autrice:
Sì, lo so cosa state pensando: “hai
in corso una raccolta con ritmi di aggiornamento che dire da lumaca è un eufemismo
e ti metti a scrivere altro?”. Eh, che volete farci. Incoerenza portami via xD
Che dire? Questa storia nasce…
Ehm… Difficile dire come nasca. Definiamola pure un’accozzaglia tra: temporale
allucinante fuori dalla finestra, gatto acciambellato tra le gambe perché
terrorizzato dai tuoni, tazza di thé caldo che ci sta
sempre e in sottofondo “Silent Scream”
di Anna Blue. E qui viene il bello. Perché l’ascolti e dici: “ok, non centra un’emerita
mazza con la storia!”. Ed è vero. Però il modo in cui nel ritornello canta le
parole “Silent Scream”
hanno fatto partire per la tangenziale la mia testa, e il collegamento con l’episodio
3x08, Silence, è stato automatico. Non so dire
esattamente cosa avevo intenzione di scrivere; sono andata a ruota libera e “bye
bye” al resto.
In tutto questo ci si aggiunge
il fatto che ieri una mia amica mi ha girato il posto del contest #MiraculousEasterEgg indetto dagli Ambrogisti
Anonimi, e visto che bene o male la storia un collegamento con il tema del
contest ce l’aveva mi sono detta: “perché no? Buttiamoci. Male che vada è
sempre un’esperienza nuova.”. Quindi eccomi qui, alle 2 di notte, a pubblicare
questa storia.
Detto questo vi auguro buonanotte.
Alla prossima.
LadyBlueSky