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Autore: Semperinfelix    13/04/2019    8 recensioni
Tutti sappiamo quale fu la sorte del principe Ettore, il più valoroso fra tutti i Troiani che combatterono la famosa guerra di Troia, scoppiata, secondo il mito, dalla contesa fra Paride e Agamennone per la mano della bella Elena, e provocata ancor prima, in verità, da una competizione fra dee.
Ma come sarebbe stato, invece, se Ettore non fosse morto? Se nello scontro finale col terribile Achille fosse stato lui ad avere la meglio? Sarebbe bruciata ugualmente Ilio sacra, crollata sotto il furore degli Achei, o vivo ancora il suo eroe avrebbe avuto una sorte diversa, una sorte migliore?
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prefazione

I ricordi dell'infanzia resistono confusi nella mia mente, immagini brevi, sfuocate, accompagnate da parole distanti, ma uno dei primissimi che si affaccia alla mia memoria comincia proprio col pomo della discordia, la mela che la dea Eris lanciò sul tavolo ove stavasi svolgendo il banchetto per il matrimonio di Peleo e Teti: l'evento che scatenerà poi l'epica guerra di Troia.

Perché, vi chiederete. Ebbene fin dalla più tenerissima età sono cresciuta a pane e antichità, mia madre infatti è sempre stata sprovvista di fantasia e, per compensare, attingeva dal proprio repertorio classico. Con ciò intendo che, per farmi mangiare, soleva raccontarmi durante la cena l'Iliade e l'Odissea, e quei racconti, per quanto confusi, si sono sempre mantenuti saldi nella mia mente di bambina. 

Ne rimanevo affascinatissima, ma più che le avventure di Odisseo, che mia madre preferiva, a me piaceva ascoltare i racconti della grande guerra di Troia, e soprattutto volevo sentir parlare di lui, del valoroso Ettore. Fu così che me ne innamorai, bambinetta di tre anni o poco più, e fu veramente il primo amore. Ancora oggi quest'amore me lo trascino dietro come una dolce catena e non intendo liberarmene.

Non so di preciso quante e quante volte io abbia rivisto quella pellicola epica, debuttata ormai quindici anni orsono, che narra proprio di queste vicende. Ma se tutte le volte che la guardavo mi ritrovavo stupidamente a sperare che essa si concludesse con la sconfitta degli Achei, ogni qual volta Ettore perdeva la vita mi ritrovavo a piangere disperata. Ricordo ancora la prima che la vidi, potevo avere sì e no quattro o cinque anni e, durante le scene della battaglia, non riuscendo proprio a star dietro a tutto quel cozzare confuso di armi e di morti, ingenuamente mi lamentai "ma non ci capisco niente!" e mia madre allora mi rispose: "è la guerra, cosa ci vuoi capire?" 

Non sono tra l'altro mai riuscita a spiegarmi questo mio ostinato parteggiare per la fazione troiana, il che comportava un odio feroce nei confronti degli Achei, cosa insolita dato che invece mia madre tendeva sempre per lo schieramento opposto. L'illuminazione mi venne proprio in quest'ultimo anno o poco prima, quando scoprì che nell'Orlando Innamorato del Boiardo è scritto:

[...] E dopo molte angoscie e molti affanni
Fo Troia presa ed arsa con inganni.
E come e Greci poi sol per sua boria
Fierno un pensier spietato ed inumano,
Tra lor deliberando che memoria
Non se trovasse del sangue troiano.

[...] E cercando Astianatte in ogni parte,
Che era di Ettorre un figlio piccolino,
La matre lo scampò con cotale arte:
Che in braccio prese un altro fanciullino,
E fuggette con esso a la disparte.
Cercando i Greci per ogni confino,
La ritrovarno col fanciullo in braccio,
E a l'uno e a l'altro dier di morte spaccio.

Ma il vero figlio, Astïanatte dico,
Era nascoso in una sepoltura,
Sotto ad un sasso grande e molto antico,
Posto nel mezo de una selva oscura.
Seco era un cavallier del patre amico,
Che se pose con esso in aventura,
Passando il mare; e de uno in altro loco
Pervenne in fine alla Isola del Foco.

Così Sicilia se appellava avante,
Per la fiamma che getta Mongibello.
Or crebbe il giovanetto, ed aiutante
Fu di persona a meraviglia e bello;
E in poco tempo fie' prodezze tante,
Che Argo e Corinto pose in gran flagello;
Ma fu nel fine occiso a modo tristo
Da un falso Greco, nominato Egisto.

Ma prima che morisse, ebbe a Misina
(De la qual terra lui n'era segnore)
Una dama gentile e pellegrina,
Che la vinse in battaglia per amore.
Costei de Saragosa era regina,
[...] Prese per moglie poscia la donzella,
E fece contra e Greci il suo passaggio,
Insin che Egisto, la persona fella,
Lo occise a tradimento in quel rivaggio.

[...] Gravida era la dama de sei mesi,
Quando alla terra fu posto lo assedio [...]
Ma essa, quella notte, sola sola
Sopra ad una barchetta piccolina
Passò nel stretto, ove è l'onda che vola
E fa tremare e monti alla ruina; [...]
A Regio se ricolse a salvamento. [...]
Ora la dama a tempo ebbe un bel figlio,
Che rilucente e bionde avia le chiome,
Chiamato Polidoro a dritto nome.

In pratica sta dicendo che il figlio di Ettore, Astianatte, arrivò in Sicilia (domus mea) dove concepì con la regina di Siracusa un figlio, Polidoro, dalla cui stirpe nacque il famoso Ruggero, dal quale a sua volta discende niente di meno che la nobile casata degli Este di Ferrara.

Nella tradizione epica, tuttavia, secondo una delle varie versioni del mito, a seguito della morte del padre e della caduta di Troia, il piccolo Astianatte venne precipitato dalle alte mura della città, morendo ancora infante. Ebbene, e se non fosse stato così? Che sarebbe successo se Ettore fosse riuscito a sconfiggere Achille durante il famoso duello finale?

Sarò per voi in parte aedo e in parte rapsodo, poiché molto riprenderò dall'originale greco, molto altro aggiungerò e stravolgerò io stessa, perseguendo lo stile omerico. Secondo lo stesso principio ho cercato di inserire molte ripetizioni anche delle stesse identiche frasi, così come si trovano nell'opera originale, anche se potrei aver inventato nuovi epiteti. Forse potrà sembrarvi uno stile ancor più arcaico e desueto del mio solito, ma come quando Dante tentando di leggere una porta disse a Virgilo: << maestro, il senso lor m'è duro! >> ed egli gli rispose << zittiti e lieggi! >>, così anch'io or vi dico.

 Forse potrà sembrarvi uno stile ancor più arcaico e desueto del mio solito, ma come quando Dante tentando di leggere una porta disse a Virgilo: << maestro, il senso lor m'è duro! >> ed egli gli rispose << zittiti e lieggi! >>, così anch'io or vi ...


Sulla Troade boscosa, terra di contesa, scendeva la Notte veloce, madre del Sonno, dominatrice di uomini e déi, allorché si tuffava dentro l'Oceano il raggio splendente del sole, portando una notte oscura sopra i campi fecondi (1). Tramontava così la luce ai combattenti che s'affrontavano nella pianura dinnanzi Ilio ventosa, genitrice di eroi audaci.

Tornavano allora i valorosi al di là delle possenti mura, stringendo ancora salda la vita nel petto. Non appena giunti alle porte Scee, correvano loro incontro le spose e le figlie, ansiose del loro ritorno. Tutte avevano pur pregato gli dèi per la salvezza dei propri cari, ma ora molte gemendo bagnavano il viso di lacrime, avendo ricevuto notizia luttuosa. Molte altre ancora avrebbero presto seguito la medesima sorte, inconsapevoli che per un'ultima notte soltanto avrebbero potuto offrire agli sposi il petto odoroso.

Anche Ettore pastore di eserciti tornava alle porte Scee (2), presso l'alta quercia che ivi cresceva, e la sua sposa preziosa, Andromaca figlia di Eetione magnanimo, credeva di trovarla ad attenderlo nella bella casa in cima all'alta rocca, costrutta per loro vicino alla reggia del padre e alla casa del fratello suo Alessandro, che come la propria era stata il frutto del lavoro di coloro che nella fertile Troia erano i migliori fra i più abili artigiani.

Invece s'ingannava Ettore divino, anche la sposa sua era accorsa alle porte insieme all'altre. Dall'alta torre di Ilio l'aveva visto tornare, ivi recatasi una volta saputa l'importanza dello scontro combattutosi quel giorno. Quindi assieme alle ancelle dalle belle chiome era corsa incontro al marito che rientrava dal dare battaglia. Lì lo vide: nella mano impugnava la lancia di undici cubiti, in cima all'asta brillava la punta di bronzo e le correva intorno un anello d'oro. Gli coprivano il corpo le armi di bronzo belle, tolte di forza a Patroclo dopo che quel giorno l'aveva mandato nell'Ade pauroso.

Andromaca a lui venne vicino, sollevata di vederlo incolume, lo sfiorò con la mano. « Sposo amatissimo, piangeva il figlio tuo chiedendo del padre: tu stesso vallo a vedere. Nella nostra casa lo lasciai con la balia, non lo portai meco, ché vedendoti qui con l'armi splendenti e l'alto cimiero non scoppiasse un'altra volta in pianto, come già accadde (3). Dunque va', in casa nostra un bagno caldo t'attende: io stessa diedi ordine alle ancelle dalla bella chioma di mettere un tripode grande sul fuoco, perché fosse pronto e accogliente il bagno per il tuo ritorno. Lì lascia le armi e le vesti insozzate di polvere e sangue e concediti ristoro ». Così parlava e gl'occhi suoi brillavano di gioia immensa. Tanto caro appariva il volto dello sposo allora, dolce l'aspetto.

Le rispondeva Ettore illustre, mentre, carezzandole il bel volto dalla pelle candida, la baciava sulle rosate labbra: « così farò, sposa mia amata, ma prima il dovere m'impone d'andare alla casa splendida di Priamo, a raccontargli ciò che oggi ho compiuto nella pianura fuori le porte, scontrandomi con i nemici Achei ».

S'incamminava pertanto Ettore massacratore per la città dalle strade ben costruite, gli veniva dietro la sposa fedele, non volendo tornare ad attenderlo in casa. Giungevano alla sontuosa reggia, vastissima dimora, dotata di portici ben levigati. Al suo interno stavano cinquanta talami di pietra ben levigata, costruiti tutti vicini fra loro, e quivi dormivano i figli di Priamo accanto alle spose legittime. Dall'altra parte, proprio di fronte, dentro al cortile, v'erano al piano di sopra i dodici talami delle figlie, anch'essi di pietra ben levigata, e quivi dormivano i generi del re accanto alle spose nobilissime.

Veniva allora incontro al figlio più amato la madre piena d'affetto, Ecuba regina, sposa legittima di Priamo, accompagnata da due delle sue belle figlie. Gli sfiorava la mano e articolando la voce gli diceva « figlio mio, fra tutti il più amato, grande pericolo hai corso oggi! Ti osservavamo io e il padre tuo dall'alta torre, cuore nostro! Chiuse gli occhi il povero vecchio per non vedere, allorquando venne Achille invincibile per affrontarti (4)! Ah credeva che più non t'avrebbe rivisto vivo, e io con lui! Ora va', va' a libare a Zeus potente che anche oggi t'ha protetto, che sempre tenga serrate per te le nere porte dell'Ade! »

A lei rispondeva Ettore valoroso: « così farò, madre sempre cara, ma prima lascia che veda Priamo, il padre mio, e ch'io gli parli ». S'avanzava proprio allora Priamo suo padre alle spalle di lui che parlava. Vecchio dalla barba bianca ma ancora forte nel senno e regale nel sembiante. Così lo esortava: « dunque parla figlio, fra tutti i miei il prediletto, ch'io t'ascolterò. Non è forse l'armatura di Achille figlio di Peleo quella che porti indosso o m'inganna forse la vista non più acuta? »

Batteva allora Ettore con fierezza una mano sul bronzo che gli copriva il petto e diceva: « non t'inganni, padre mio, queste armi che vedi io stesso le sottrassi al corpo del nemico da me ucciso. Non Achille, giacché egli ancora si asteneva dal combattimento, bensì l'amico suo Patroclo, il figlio di Menezio, che tanti ne aveva uccisi dei nostri valorosi e dei figli tuoi scesi oggi nella piana a difendere Ilio ventosa. Fui io a porre fine alla strage: per terzo lo percossi con la lancia puntuta, infine lo abbattei nella polvere. A me allora egli morente prediceva oscuri presagi! Ah superbo era, come tutti gli Achei vestiti di bronzo e i Mirmidoni suoi compagni! »

Si affacciò però al cuore del vecchio quel vago timore che ai padri mai non concede pace. « Che ti disse, figlio? Deh, non tenermi all'oscuro, ché quel che ai moribondi esce di bocca è bene non ignorarlo mai ». Così parlò il vecchio e a lui il valoroso per rassicurarlo rispondeva: « a me la morte prediceva egli morente, ormai allo stremo delle forze. Non avrai nemmeno tu molto da vivere, ma già ti è addosso la morte e il duro destino di cadere sotto i colpi di Achille, l'infallibile Eacide (5). Ah! Senza averne il dono mi preannunciava nero futuro, volendo vincere anche nella sconfitta! Ma rossa la morte scese a frenargli la lingua puntuta! (6)»

Tremarono le iridi belle della dolce sposa a quelle parole. Troppo era l'amore che gli recava per non generare paura. Gli si aggrappava allora al braccio e piangendo gridava: « ahimè! Cruda sciagura! Non illuminano forse gli dèi del dono profetico coloro che muoiono? Bel bottino ti sei procurato oggi in battaglia! Per te la morte e per me e tuo figlio solo lamenti e dolori! No, no! Troppo vicino mi appare già questo orrendo presagio! »

A lei che temeva, il marito faceva questo discorso: « alle parole di un superbo sconfitto, tu, mia tenera sposa, non dare ascolto. Già quest'oggi affrontai Achille in uno scontro corpo a corpo, né egli poté toccarmi benché sia forte come un dio: Apollo mi protegge. Non trascorrere i tuoi giorni in pianto: gli immortali hanno già deciso il nostro destino, allora per noi vi sarà gloriosa vittoria o cruenta sconfitta, ma chi può sapere se il figlio di Teti dalla bella chioma non muoia prima di me, trafitto dalla mia lancia? (7)»

Parlava allora Priamo, re dei Troiani domatori di cavalli. « Al domani non penseremo oggi: le sciagure non certe teniamole lontane dalle nostre menti. Due buoi grassi sacrificheremo ancora a Giove onnipotente, che sempre con noi è benevolo, e ad Apollo saettatore e all'invincibile Ares suoi figli. Ma tu riposa, o figlio adorato, dopo che ti sarai ben rifocillato discuteremo la guerra, la notte che viene voglio invece che tu la trascorra con la tua sposa devota, che tanto se n'è stata in angustie lontana da te ».

Così fu deciso, e Andromaca seguì lo sposo nella loro dimora. Attese ella che il marito, spogliatosi delle armi, si concedesse il ristoro del bagno caldo ch'ella già per lui aveva allestito, solo allora gli recò il bambino, piccolo piccolo, inconsapevole, l'Ettoride tanto amato, uguale a stella splendente (8). Il padre lo chiamava Scamandrio, quasi fosse dono del fiume Scamandro che presso Ilio ventosa notte e giorno scorre, mentre gli altri gli davano nome Astianatte (9), poiché il padre suo anche da solo era salvezza di Troia.

Sorrise Ettore massacratore guardando il bambino in silenzio. Lo prese fra le braccia vigorose, più volte lo palleggiò finché non ne rise, poi sedutosi sul talamo col figlio sulle ginocchia, così gli parlava: « mia speranza, mio orgoglio, ancora tenero alla mammella della tua madre ti aggrappi, ma quando un giorno la salda età ti avrà fatto uomo, Zeus voglia renderti fra tutti i Troiani il più glorioso. Ti temeranno allora i nemici in battaglia, e i cittadini di te avranno rispetto, vedendo con che potere reggi Ilio ventosa. Di te si dirà: certamente è costui il figlio di Ettore difensore della sacra Ilio, ma egli è invero molto migliore del padre. Ne godrà allora in cuore la madre, sentendoti lodare, te che nuovi onori recherai all'illustre dardanide stirpe ».

Lo ascoltava piangendo in silenzio la gloriosa sposa. Fra tutte le spose troiane la più infelice, giacché presto vedova di un tal uomo per volere del nero Destino sarebbe rimasta. Allor gli diceva: « non dipingere al figlio tuo aurei giorni che giammai vivrà, troppo cruda menzogna da sopportare è questa per me, ché il figlio mio, lo sento in cuore, presto sarà morto per mano degli stessi che dapprima del padre valoroso lo avranno privato! O bambino mio, a vita breve t'ho dato alla luce! Quel giorno io gemendo stretta al tuo corpo martoriato dirò: oh fanciullo misero, t'uccise il valore del padre! »

A lei di rimando rispondeva Ettore illustre: « che dici, donna? Quale dio t'ha ottenebrato la mente? Simile a Cassandra bella come Afrodite d'oro mi sembri: solo sciagure ella predice da quando Apollo saettatore le sconvolse la mente, né v'è da fidarsi (10), ora non voglia la mia sposa seguirne l'esempio ».

« No, sposo tanto amato, nessun dio m'ha fornita del dono profetico come già Febo Apollo la sorella tua Cassandra (11), e nondimeno anch'io rimarrò inascoltata, poiché so bene che le mie parole non ti distorranno dal dare battaglia. Ah sventurato! Il tuo ardore sarà la tua rovina. Non hai pietà del figlio tuo che ancora non parla e di me disgraziata che presto sarò vedova? T'uccideranno presto gli Achei tutti insieme saltandoti addosso (12). Ah giorno funesto! Morto tu, custode vigile che la proteggi, per quanto pensi esisterà ancora la città nostra? Certo tuo figlio così piccolo non potrà difenderla, anzi perirà assieme ad essa, egli innocente! Guarda com'è bello il bambino nostro, com'è tenero e indifeso nel suo aspetto infantile. Morbida la pelle, soavissimo il profumo, dolce lo sguardo. Come sarà una volta che uno degli Achei l'avrà gettato per il braccio giù dalla torre? Ah morte tremenda! E io con che sguardo allora ne affronterò la vista? Io che teco l'avevo generato nel grembo accogliente e con amore nutrito al seno! Possa io sciagurata perire prima di assistere a tale strazio. Che chi m'uccise l'unico figlio mai non mi trascini schiava nella sua casa, a servire il suo talamo, io che a te solo mi promisi eterna sposa ».

Così parlava Andromaca allo sposo valoroso ed egli sentì scendere sovra di sé un freddo qual suol prendere colui che a morte vada. Cedeva il figlio allora alla balia, che lo portasse nell'adiacente stanza per farlo dormire, e alla moglie diceva queste parole: « non m'angustiare oltre con questi pensieri, cara sposa, già ne parlammo e già ti rivelai il pensier che sempre mi preme. Non con me devi adirarti, bensì con Paride profumato seduttor di donne, che tutti per propria lussuria ci ha condannati a soffrire aspra guerra. Oh se lì, sotto i suoi piedi, si spalancasse la terra! Una grande disgrazia ne ha fatto l'Olimpo per i Troiani e per Priamo magnanimo e per i figli di lui. Se lo vedessi discendere dentro i recessi di Ade, direi che un brutto malanno avrebbe scordato il mio cuore (13), ma invero Afrodite che ama il sorriso sempre lo trae fuor di pericolo!

Lo so bene, sposa amatissima, che fuor di quelle porte io me ne vado per una via senza ritorno, e ciò malgrado a questo non posso sottrarmi. Ma non tanto questo è il duol che m'affligge, quanto piuttosto il pensiero che su di te, vedova, ricadrà il peso della mia assenza, quando in catene sarai trascinata presso le navi ricurve, poi che sarà caduta la sacra Ilio per mano achea. E un giorno, te vedendo schiava in casa altrui, costretta contro voglia a intessere la tela con la conocchia, mentre andrai a prendere l'acqua alla fonte, qualcuno di te dirà: era costei un tempo la florida sposa di Ettore, che primeggiava in battaglia fra i Troiani domatori di cavalli, quando combattevano a Troia. E tu, sentendoli, avrai rinnovata la pena. Ma allorché un acheo vestito di bronzo ti trascini piangente, portandosi via la tua libertà, pria morto mi ricopra la terra ch'io di te i lai pietosi intenda (14)! »

Non gli rispondeva Andromaca figlia di Eetione magnanimo, ma gli occhi aveva rossi di lacrime che bagnavano le morbide guance. Le asciugava allora il volto lo sposo con la temibile mano, che tante anime di achei gloriosi aveva scaraventato nell'Ade tenebroso, e confortatala alquanto nel suo dolore, si congiungeva con lei per l'ultima volta. Oltre l'alte mura i roghi dei morti arsero per tutta la notte.

(1) Le descrizioni del tramonto e dell'alba sono in gran parte riprese dal testo originale dell'Iliade, così come gli epiteti e vari espressioni disseminate all'interno dello scritto

(1) Le descrizioni del tramonto e dell'alba sono in gran parte riprese dal testo originale dell'Iliade, così come gli epiteti e vari espressioni disseminate all'interno dello scritto.

(2) Tra l'uccisione di Patroclo e il duello definitivo tra Ettore e Achille passa pressappoco un giorno. Diversamente che in altre parti, nel libro XVIII dell'Iliade non è chiaro se i Troiani si siano ritirati all'interno delle mura per trascorrere la notte o se siano rimasti accampati al di fuori. Io in ogni caso ho optato per la prima scelta, descrivendo il rientro di Ettore nella propria dimora. Per la ricostruzione delle scene mi sono basata soprattutto sulle descrizioni presenti nel libro VI e in parte nel libro XXII.

(3) Andromaca allude al loro incontro presso le porte Scee, avvenuto qualche giorno addietro, durante il quale ella aveva tentato di persuadere il marito a ritirarsi dal vivo della battaglia e di schierare l'esercito al fico selvatico nel punto in cui le mura erano più sguarnite. Lì avviene il famosissimo e commovente dialogo fra i due, al termine del quale il bambino, spaventato dal cimiero del padre, in lacrime si aggrappa al collo della balia. Una scena di grande tenerezza che appare quasi fuori luogo in un così cruento contesto.

(4) Non si tratta del loro duello definitivo: già nello stesso giorno, subito dopo la morte di Patroclo, Achille scende in campo per vendicarsi su Ettore, ma, per quanto più volte gli scagli contro la propria lancia, Apollo devia tutti i colpi e gli impedisce di ucciderlo.

(5) Libro XVI, vv. da 852 a 854, trad. di G. Cerri.

(6) Nel libro XVI Patroclo scende in campo vestito delle armi di Achille e fa strage dei Troiani vantandosi poi delle proprie abilità. Tenta anche di uccidere Ettore ma invano, poiché il dio Apollo lo protegge. Viene stordito dallo stesso Febo, quindi colpito da Euforbo e finito da Ettore, al quale prima di morire con dure parole predice la morte per mano di Achille.

(7) Libro XVI, vv. 860-861, trad. di G. Cerri.

(8) Libro VI, vv. 400-401, trad. di G. Cerri.

(9) Astianatte: in greco Ἀστυάναξ, letteralmente "Signore della città".

(10) Nell'epica omerica non si parla in nessuna occasione della manteía di Cassandra, altra figlia di Priamo ed Ecuba, personaggio che compare solamente per pochi accenni, e del suo ruolo di indovina non v'è alcun riferimento in nessun passo dell'opera. Sarà l'epica successiva a riprendere il suo personaggio e a svilupparlo secondo le forme che noi oggi conosciamo e che io ho sfruttato anche in questo mio scritto.

(11) Secondo una versione del mito, Apollo, invaghitosi della bellissima Cassandra, le promise che le avrebbe conferito il dono profetico se in cambio ella gli si fosse concessa. La giovane accettò l'accordo, ma dopo aver ricevuto il dono non rispettò la promessa e rifiutò l'amore del dio. Pertanto Apollo, adirato, le sputò sulle labbra, condannandola a rimanere da chiunque inascoltata pur predicendo la verità.

(12) Libro VI, vv. da 407 a 410, trad di G. Cerri.

(13) Libro VI, vv. da 281 a 285, trad. di G. Cerri.

(14) frase parzialmente ripresa dalla libera traduzione del VI libro a cura di Vincenzo Monti.

 

   
 
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