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Autore: _aivy_demi_    13/04/2019    11 recensioni
Alphonse ha riottenuto il suo vero corpo, pulsante in carne sangue e respiri. Edward ha donato in cambio la sua arte alchemica, preferendo mantenere la gamba e il braccio allo stato attuale come monito di ciò che è accaduto nella loro infanzia.
Sa che non sarà più come prima, soprattutto dopo tutti quegli anni passati a sacrificarsi, lottare e raggiungere un risultato dopo l'altro soltanto per restituire la vecchia vita al fratello minore, liberandolo dalla gelida armatura di metallo in cui era stata legata la sua anima. Come riuscirà a rapportarsi nuovamente alla persona che ama di più al mondo, essendo consapevole di come si sia evoluto quel sentimento nel corso del tempo?
non contiene sesso incestuoso
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Brothers'
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Love him

 

 

Stai ancora stringendo quelle dita calde mentre Edward si è fatto sopraffare dal sonno e ti ha lasciato vigile in camera sua. Sua, vostra semmai. Una volta non faticavate certo a condividere la stessa stanza, gli stessi spazi. Tutto è cambiato quando entrambi avete raggiunto la consapevolezza del ritorno del tuo corpo; le cose si sono decisamente complicate, e quel rapporto profondo e speciale, unico, che vi legava ora sembra aver tutt'altra valenza.
Non era l'armatura il problema dunque: era sempre stato quel filtro fisico che vi permetteva la piacevole vicinanza. Per quanto possa sembrarti assurdo ancora ora, ti manca.
«Che cazzata.» Ridi ironico, perché sai bene che lo scopo primario del vostro viaggio e dei vostri sacrifici è stato raggiunto con successo. «Però, se fossi ancora il vecchio Alphonse, ora potrei abbracciarti, infilarmi tra le coperte che ti avviluppano e tenerti stretto durante la notte senza avere paura delle conseguenze. Sì, è proprio una cazzata.»
«Certo.»
Sussulti inaspettatamente. Non credevi tuo fratello potesse sentirti, come non ti saresti aspettato una sua risposta. Lo osservi e ti stupisci del fatto che non abbia ancora aperto gli occhi nonostante il suo intervento.
«Dormi?»
«No, sto solo ascoltando le stronzate dette da un ragazzino.»
«Infierisci, eh?» Sbuffi divertito. Ultimamente scherzare con lui
è diventato un fatto più unico che raro. «Quando mi trovavo rinchiuso tra quelle pareti di metallo, sembravi più felice, vero? Eri più tranquillo, non puoi negarlo.»
Spalanca gli occhi dorati incontrando i tuoi di una tonalità più scura e brillante. Si solleva seduto. «Sì, effettivamente era tutto più facile.»
Lo immaginavi, eppure non credevi avrebbe fatto così male sentirselo dire.
Il problema è questo dunque: essere tornato umano. Lasci la stretta delle sue dita e ti alzi senza dire una parola. Aspetti un attimo nella speranza che ti richiami a sé, che si scusi o che tenti di trattenerti in qualche modo.
Non accade nulla di tutto questo.
Ti dirigi verso quella porta tanto familiare ed in un ultimo moto di speranza indugi qualche secondo di più sulla maniglia.
«Al?»
Sapevi che non avrebbe potuto trattarti davvero così. Ti volti teso, vuoi solamente sentirti dire che ha bisogno di te e che desidera la tua presenza come quando eravate piccoli.
«Ho deciso di partire.»
Ti si spezza qualcosa dentro, lo senti distintamente: qualcosa di irreparabile, un dolore che si è conficcato senza pietà. Una parte di te vorrebbe scappare senza voltarsi; la tua irrazionalità invece ti sta guidando verso di lui. I nervi tesi, così come i muscoli, ti portano ad afferrarlo per la canotta, percependo per un attimo con i polpastrelli il duro metallo della sua spalla. Rabbrividisci come tutte le volte al ricordo del dolore che tuo fratello ha patito per poter farsi innestare quel dannato automail, eppure non stacchi gli occhi dai suoi, non stavolta. Non più.
Vorresti dirgli tante cose: che non vuoi abbandonarlo, che hai bisogno della sua vicinanza, che è l'unica famiglia che ti rimane e la persona più importante che esista. Vorresti, ma non lo fai. Resti in silenzio, le lacrime che pizzicano; le ricacci a fatica nel tentativo di non dimostrarti un debole, non dopo tutto quello che avete passato. Regge il tuo sguardo senza neppure abbassare le palpebre, ma quando senti le guance accaldate di rabbia inumidirsi d'improvviso, si volta dall’altra parte.
Vigliacco.
«Non andartene...» Poco più che un sussurro. «Non farlo. Non abbandonarmi ora che finalmente sei riuscito a riportarmi indietro...»
Un singhiozzo ti scuote il petto. Maledizione, ripeti a te stesso, non saresti dovuto cedere, il tuo orgoglio non avrebbe dovuto permetterlo.
Spalanca le iridi luminose mordendosi il labbro. Con quelle ultime parole lo hai scosso fin nell'anima, e ne sei consapevole: glielo leggi addosso. Le dita si stringono maggiormente alla carne ed il tuo respiro accelerato si smorza nel momento in cui Ed prende il tuo volto tra le mani.
Il tempo sembra fermarsi.
Non ti capaciti ancora di stare piangendo davanti a lui.
Ti sussurra accanto alle labbra, mosso da piccoli tremiti. Ti dice che non può, che non deve. Ti rivela che è tutto tremendamente sbagliato, compreso quello che sta succedendo adesso.
Sta fremendo più forte, ed il suo sospiro strozzato si spezza a metà.
Pensi a quanto sia assurdo che una persona all’apparenza così forte riesca a cedere tanto rapidamente. Lo riadagi sul materasso stando attento a lasciargli i dovuti spazi, ma lui si aggrappa a te annaspando in cerca di ossigeno. Sa di stare sbagliando, ne è consapevole come è consapevole di non dover fare nulla.
Eppure ti strattona baciandoti.
Il sapore dolciastro delle labbra mischiate alle lacrime che scivolano sul viso di entrambi ha un che di nostalgico, proibito, ricercato…
Meraviglioso.
Questo il termine che cercavi, questa la parola che meglio descrive ciò che stai provando: non solo però. Disperazione, aspettative, consapevolezza dell’errore stesso, delle distanze bruciate.
Tutto scompare, mentre le tue unghie si aggrappano alla sua schiena ed il contatto diventa più profondo. Il resto non ha importanza perché sta accadendo ciò che per anni è stato un tuo chiodo fisso, malato, assurdo: il sapore di tuo fratello.
Ti stendi su di lui, sentendolo cercarti ancora, aggrapparsi ai tuoi capelli color del sole, attingere alla tua bocca come fosse vitale. Riesci a notare il rossore sul suo volto nell‘unico istante in cui i vostri sguardi si incrociano.
Non riesci a reggere le pupille liquide di dolore.
Serri le palpebre più che puoi, muovendoti su di lui e scorrendo le mani sul suo automail. Intrecciate le vostre dita, pelle su metallo, mentre i respiri si uniscono e stridono, si rincorrono nel tentativo di fondersi e trovare una sola possibilità misera di salvezza per tutto ciò che sta accadendo.
È sbagliato e lo sai.

È probabilmente la cosa più meschina che farai nella tua vita, ma insinui il tuo ginocchio tra le sue gambe, strappandogli un gemito strozzato e malcelato.
Non deve succedere.
Eppure profuma di buono, sa di buono, e tu non riesci a fare a meno di desiderarlo.
Le tue dita scendono sulla sua canotta nel tentativo di farsi strada sul suo corpo; il punto di non ritorno ormai è stato raggiunto nel momento in cui avete ceduto e vi siete sfiorati. Non avrebbe senso tornare indietro, non ora: è questo che ti stai ripetendo nel tentativo di dare una spiegazione, cercare un briciolo di razionalità.
Un secondo gemito spezza il silenzio nella stanza, e d’improvviso immagini e ricordi confusi degli anni della vostra infanzia si appropriano della tua ragione e ti fanno vacillare. Il suo sorriso innocente, quel divertimento tipico dei bambini, l’allegria data dall’affetto fraterno e dalla consapevolezza di avere sempre qualcuno accanto di cui fidarsi. Ti fermi come per un attimo il tuo battere in petto. Fiducia. Certo, come se ora contasse qualcosa. Quello che sta accadendo va al di là di ogni singola aspettativa ricreata nella tua testa; quel tipo di pensiero che t’eri ripromesso di non considerare dal momento in cui la vostra quotidianità aveva raggiunto di nuovo un equilibrio ti sta accompagnando nel baratro, e non sei il solo. Ti fermi e ti senti bloccato, mentre ancora lo sovrasti con il peso del tuo corpo e lo tieni fermo sotto di te. Finalmente hai il coraggio di guardarlo meglio, stringendogli i polsi tra le tue dita.
«Al… Alphonse…»
«Dimmi.» Vibri al suono del tuo nome pronunciato con tale desiderio.
Fermati.
Le perle che scivolano dai tuoi occhi si infrangono silenziose sul suo viso.
Fermati.
Spalanca le pupille e ti guarda. Trema. Quasi non respira.
Fermati adesso.
Sussurri qualcosa di incomprensibile sulle sue labbra coprendole con maggior forza. Il tuo bacino si muove impercettibilmente da sensazioni mai avresti pensato di provare davvero.
Alphonse, ti prego. Fermati.
Credi di essere impazzito, perché la voce che impera nella tua mente e che ordina perentoria non è altro che quella di Edward. Vorresti assecondarlo, ma non lo fai. Anzi, non lo vuoi.
Sei consapevole di una cosa sola: la risposta delle vostre viscere, dei neuroni, di ogni singola cellula che riempie il vostro essere è chiara ed urla.
Amalo.
Questo richiede.
Amalo.

 

 

 

 

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Ahhh non sentite il profumo di angst nell’aria? Io sì! Come mi sono ripromessa prima di cominciare con questa serie di storie sull’amore fraterno in difficoltà, non sono andata nel particolare, però non è stato affatto facile. Mi sono mantenuta alla lontana proprio, anche se una vocina dentro di me sussurrava continuaaaa, continuaaaaa… No, io da brava mi sono trattenuta e ho mantenuto fede al mio impegno. (Mannaggia!) Mi auguro chiudiate un occhio e comprendiate le limitazioni imposte dai piani alti.

Al prossimo capitolo dunque, augurandomi di non continuare a pensare a come dovrebbe continuare questo. Ringrazio tutti voi che mi sostenete sempre e riempite la mia attività di entusiasmo e sorrisi. Grazie!
-Stefy-

   
 
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