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Autore: Lilylunapotter004    13/04/2019    0 recensioni
Anche se sono passati nove mesi Abigail non riesce ancora a superare il trauma dell'incidente. Nonostante il suo migliore amico Ethan cerchi di aiutarla ad affrontare i suoi demoni, Abby sa che ormai qualcosa dentro di lei si è spezzato. C'è qualcosa che non va in lei, qualcosa che lei stessa non è in grado di controllare. Sarà solo quando la sua storia si intercetterà a quella di Logan, il nuovo ragazzo arrivato in città, Abby capirà qual è la sua vera natura...o meglio, la sua vera condanna.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Bondage
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FineUn finale piuttosto raccapricciante per una come me. Era la prima volta che leggevo un romanzo in cui non c'era Il "vissero per sempre felici e contenti" e ciò mi aveva reso molto triste. Sarebbe assurdo pensare che una persona ci rimanga male per uno stupido libro di cui nulla di tutto ciò che vi è scritto è reale. Per me però era diverso... Pensavo che quel libro fosse stata la via di fuga da quella triste realtà che mi circondava. Ma quel finale non aveva fatto altro che peggiorare il mio umore già precario. Anche quel libro contribuì ad alimentare il ricordo di quella notte che non riuscivo a togliermi dalla testa:l'incidente del 1 Gennaio 2018. Chiusi il libro, lo fissai ancora un attimo prima di metterlo nella mia piccola e polverosa libreria, e fu proprio in quel momento che una lacrima mi rigò la guancia. Mi asciugai subito il viso, non volevo che mia madre entrasse in camera e mi vedesse in quello stato. Non era il caso che si preoccupasse ancora per questa faccenda. Ormai erano passati otto mesi e se mi avesse visto così, stavolta mi avrebbe portata veramente da uno strizzacervelli. Posato il, aprì la finestra della camera e uscì sul mio balcone personale. Il sole stava tramontando e il freddo crepuscolare iniziava già a farsi sentire. Mi accovacciai sul dondolo che papà mi aveva comprato quando ero più piccola, e iniziai a spingermi lentamente avanti e indietro. A quell'ora il quartiere era molto silenzioso e poche erano le persone passavano che passavano per strada. Una folata di vento mi scompiglio i capelli, mentre alcune foglie si adagiavano sul balcone. Una di queste fini sulle mie gambe. La presi e me la girai tra le mani. Era grande quanto il mio palmo, di un colore rossiccio molto particolare e aveva venature ben visibili e definite. Quel colore mi piaceva tanto, mi ricordava un po' il caldo estivo che ormai stava scandendo in tutta la città. Appoggiai la foglia accanto a me e mi voltai alla mia destra dove c'era un grande grande albero, i cui rami tendevano ad intrecciarsi con la ringhiera del balcone. I vicini, una coppia di anziani, mi dicevano sempre che quell'albero c'era da prima che loro nascessero,e che nonostante fosse ingombrante, nessuno in città aveva mai avuto intenzione di tagliarlo. Questo perché, secondo le leggende, quell'albero era stato piantato quando era stata fondata la nostra città. Era un po' il simbolo di Sunshine. Arrivò un'altra folata di vento, più fredda della precedente. Un brivido mi percorse tuttala schiena, facendomi tremare non poco. Rientrai quindi in camera. Chiusi la finestra e prima di accostare la tenda color cremisi, lanciai uno sguardo all'albero. La chioma, in balia del vento, si muoveva vivacemente da una parte all'altra. Ad ogni folata qualche foglia si staccava dai rami, si liberava in volo e poi si posava delicatamente sul ruvido asfalto. Ogni volta che guardavo quell'albero capivo che il tempo passava. Ormai stava arrivando l'autunno, e quindi anche il tempo delle piogge, e tra qualche giorno il cielo si sarebbe fatto plumbeo e minaccioso. Mi consolai pensando che comunque non sarei rimasta tutti i giorni in camera, annoiandomi a morte. Sarei andata a scuola come tutti gli anni, avrei studiato, preso buoni voti, chiacchierato e sarei uscita con i miei amici. C'era quindi qualcosa che poteva distrarmi da tutta questa tristezza che mi aveva colpito da un po' di mesi. Lasciai andare la tenda, quando mia madre mi chiamò dalla cucina. -Abby staccati un po' dai tuoi libri e vieni a mangiare!- strillò dal piano di sotto. Uscita dalla camera andai in bagno per lavarmi le mani e legarmi quella matassa di capelli biondi che mi coprivano il viso, facendomi sembrare una specie di zombie. Cancellai dalla faccia qll'espressione di agonia e, messe le forcine, scesi di corsa le scale e mi diressi in cucina. Entrai mostrando uno dei miei migliori finti sorrisi, vedendo mia madre con in mano un tegame di lasagne alla bolognese. -Mamma! Come mai oggi si mangia così bene?- le chiesi intono scherzoso. Lei mi sorrise tra il rimprovero e il diverito. -Beh, diciamo che io e tuo padre abbiamo una buona notizia per te!- annunciò, mentre mi faceva segno di prendere posto a tavola. -E di che si tratta?- le chiesi incuriosita. -Ne parliamo dopo mangiato quando arriva tuo padre- concluse lei frettolosamente e così ci sedemmo a tavola a gustarci quella delizia. Come al solito in meno di un minuto il mio piatto era già vuoto e, mentre aspettavo che mia mamma finisse di mangiare, iniziai a fissarla. Era davvero bella: capelli castani e lunghi che ammorbidivano la forma del suo viso e occhi verdi risaltavano sul roseo colore della pelle; era anche poco più alta di me e magra al punto giusto. Avrebbe potuto avere una carriera come modella, ma lei ci aveva rinunciato per amore. Ci aveva rinunciato per mio padre. Non le avevo mai chiesto il motivo per cui avesse deciso di rinunciare a una vita da celebrità, perché non volevo ferire i suoi sentimenti: a volte i miei litigavano a causa dello stress del lavoro, e quando mio padre le rinfacciava che avrebbe dovuto fare la modella, la mamma se ne andava in camera e iniziativa a piangere. Ogni volta poi papà andava da lei a consolarla e a chiederle scusa per il suo comportamento. E mentre divagavo nei miei pensieri qualcuno suonò alla porta. Stavo per andare ad aprire ma mamma, come al solito, mi battè sul tempo. La seguì verso l'ingresso e mi appoggiai al muro aspettando che papà entrasse in casa. -Ciao Robert! Finalmente sei arrivato! Oh ciao anche a te Simon!- esclamò mia mamma piena di entusiasmo mentre io, a sentire il nome Simon trasalii e sbiancai completamente. Che diavolo ci faceva qui Simon? -Ciao Mary, scusami se ho fatto tardi ma ho incontrato Simon per strada e così ho pensato di farlo venire un po' da noi- disse mio padre. Nel frattempo erano entrati in soggiorno e fu in quel momento che i due notarono la mia presenza. Mentre mamma stava apprendendo le giacche, papà mi fulminò con lo sguardo, per costringermi ad avvicinarmi per salutarli. Mi scostai allora dal muro e mi avvicinai di malavoglia a pugni stretti. Stavo andando verso mio padre, senza degnare di uno sguardo Simon, quando questo mi si parò davanti e mi porse la mano in segno di saluto. -Ciao Abigail, come stai?- mi chiese l'uomo in tono troppo formale e stringendomi la mano. -Tutto bene grazie..- risposi con un filo di voce, stringendo a mia volta la sua gelida mano e guardando quegli occhi di un azzurro ghiaccio che si addicevano perfettamente ai suoi atteggiamenti autoritari e freddi. Mi sentivo sempre sotto soggezione quando c'era Simon,e nonostante cercassi di nascondere la mia timidezza, questa sgorgava sempre fuori. Poi fu la volta di papà che vedendomi così imbarazzata mise via quello sguardo severo, riempendo i suoi occhi scuri di tanta dolcezza, facendo così risalire le sue guanciotte, e mi abbracciò forte. -Papà mi stai soffocando!- cercai di ribbellarmi da quella mossa inaspettata. Infatti non accadeva spesso che mio padre mi abbracciasse così, senza motivo. Cercavo di capire il perché, e supposi quindi che quel abbraccio fosse dovuto alla sorpresa che mi volevano dire i miei. -Abby, sei sempre la solita! Devi smetterla di fare la timida- rise lui slegandomi da quel abbraccio così affettuoso. In realtà non ero affatto timida, solo che tendevo a chiudermi a riccio in presenza di estranei o persone per cui non provavo alcuna simpatia. -Ehm, io devo lasciarvi da soli perché domani ho scuola e sono molto stanca...- iniziai a blaterare cercando una scusa per sgattaiolare in camera. E subito i miei alzarono gli occhi al cielo e subito mi fecero segno che potevo andare a dormire. Stavo salendo le scale quando Simon mi rivolse la parola. -Abigail, Ethan mi ha detto di avvisarti che domani ti aspetta davanti alla scuola, dice che deve parlarti.- disse con la sua consueta voce pacata. -Okay- mi limitai a rispondere e dopo aver salutato velocemente con un gesto della mano, salì di sopra. Arrivata in camera mi chiusi a chiave e lanciai un sospiro di sollievo per essermi scampata la serata con Simon e i miei genitori. Mi accasciai sulla porta, pensando a Simon, il migliore amico di papà. Fino a qualche tempo fa adoravo Simon, gli volevo bene come a uno zio. Mi piaceva fare conversazioni con lui, sui più svariati argomenti. Ogni volta mi lasciava meravigliata da tutte le cose che conosceva e che esponeva con una tale intensità da coinvolgerli pienamente, anche nei discorsi meno interessanti come la politica, o l'economia. Durante quel periodo non mi ero mai sentita sotto soggezione come adesso, forse perché erano cambiati i sentimenti che provavo per lui. Ormai odiavo Simon, lo odiavo con tutta me stessa. Era stato lui a incolparmi dell'incidente, anche se non era vero, o perlomeno era quello che credevo. I miei non sapevano nulla di tutto ciò che e, fortunatamente non se ne erano mai accorti. Avevano soltanto notato che dal giorno dell'incidente io e Simon ci eravamo in qualche modo allontanati. Infatti era vero, tutto era cambiato durante una discussione avvenuta due giorni dopo l'incidente... Flashback Ero all'ospedale, mi ero appena svegliata e invece che vedere i miei genitori c'era Simon. Stava camminando avanti e indietro ai piedi del mio letto, e non faceva altro che borbottare parole incomprensibili tra sé e sé, sembrava quasi che ringhiasse. Avevo intuito che era molto nervoso e quella sensazione si impossessò anche di me. Mi iniziarono a tremare le mani. Sembrava che si sentisse in colpa per qualcosa, forse per quello che mi era successo, e invece appena notò che ero sveglia, il suo volto divennero neri, cupi di rabbia. Proprio quanto stavo per chiedergli cosa avesse, lui iniziò a parlarmi in malo modo e con molta foga. -Abigail hai rovinato tutto! Per colpa tua Lui se nè andato! E' morto! Vi siete ubriacarti e siete usciti in macchia, ma cosa vi è salutato in mente di fare! Ora è un casino, come faremo a proteggervi e...- di fermò di colpo. Io ero così confusa e così spaventata dalla sua reazione violenta che non riuscì ad emettere neanche un suono e non capì l'ultima parte del discorso. Abbassò per un attimo la testa, per autocontrollarsi, e poi la ringraziò e mi guardò fissa negli occhi senza parlare. Non c'era bisogno che parlasse, perché i suoi occhi parlavano di soli, urlavano di rabbia e di dolore. Probabilmente non continuò il suo discorso perché sentì arrivare i miei genitori, i quali appena mi videro sveglia mi assalgono con i loro abbracci. -Oh Abby! Come stai piccola? Per poco non ci hai fatto prendere un infarto!- disse mia mamma in preda alla paranoia. Io però non la stavo ascoltando, continuavo a guardare Simon, continuavo a guardare Simon, continuavo a osservare i suoi occhi che non si erano ancora staccati dai miei. Cercavo di trovare nel suo sguardo una bugia sulle che mi aveva urlato in faccia, ma il suo volto era troppa sincero e trasparente. Non mu stava mentendo. Era tutto vero. Fu in quel momento che amare lacrime iniziarono a rigarmi il viso, e iniziai così a piangere a dirotto... Lui era morto. Fine flashback Fortunatamente il cellulare iniziò a squillare così scacciai via quel vecchio ricordo che mi stava divorando lentamente l'anima. Mi diressi verso la scrivania e presi il cellulare. Era un messaggio da parte di Ethan. "Ciao domani ci vediamo alle 7:40 davanti alla scuola. Mi raccomando non fare tardi. Buona notte :) P.S. Immagino che mio padre ti abbia già avvertito ma sai com'è volevo assicurarmi che ricebessi il messaggio." Un piccolo sorriso illuminò il mio volto. In quel momento capì quanto era importante per me Ethan. Era l'unico che nei momenti più difficili riusciva a farmi star bene. Era anche per quella ragione che era il mio migliore amico, il fratello maggiore che non avevo mai avuto, ma che avevo sempre desiderato. Erano le dieci passate, e sapendo che Ethan dormiva già, non risposi al messaggio. Spento il telefono mi preparai la borsa e i vestiti per andare a scuola e sistemai il tutto sulla scrivania. Dopo di ché mi misi il pigiama sciolsi i capelli e, preso l'I-pod dal comodino indossai le cuffie e mi intrufolai nel mio enorme letto. Dopo qualche canzone la stanchezza prese il sopravvento e sprofondai in un sonno agitato.
   
 
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