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Autore: Melabanana_    13/04/2019    1 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Consigli di soundtrack per il capitolo: ,




Il pavimento continuava a tremare sotto i nostri piedi. Il ragazzo che aveva rubato un dono della terra era ancora a piede libero e stava facendo il possibile per complicarci la vita. Ci riusciva piuttosto bene: dal momento che le scosse erano discontinue, di varia frequenza e lunghezza, era diventato impossibile prevederle e pianificare i propri movimenti.
A causa di ciò, eravamo costretti a procedere lentamente, fermandoci di tanto in tanto per cercare di misurare l’intensità delle scosse. Avanzavamo in fila indiana, pistola alla mano, guardando le proprie spalle e quelle dei compagni. Desarm aveva preso la posizione da capofila, la nostra punta di lancia in caso di attacco frontale; a difenderci da dietro, come chiudi fila, c’era Endou. Il suo volto non tradiva cenni di nervosismo, era saldo come una roccia. Potevamo affidarci completamente a lui. Quando una scossa particolarmente inaspettata ci aveva fatti barcollare, poco prima, Kazemaru aveva rischiato di cadere, ma Endou aveva reagito all’istante: lo aveva afferrato per un braccio e lo aveva rimesso in equilibrio in un attimo. Mi sentivo leggermente più sicuro con Endou e Kazemaru là dietro, sapevo di poter contare su di loro. Ci saremmo protetti a vicenda, noi tre. Desarm ci guardava soltanto quando doveva darci ordini, apparentemente impaziente di raggiungere la meta.
D’un tratto il corridoio diventò tutto buio. I fanalini al neon sul soffitto si erano spenti di colpo. Sentii Desarm sospirare di sollievo e capii che Hiroto aveva trovato il generatore e l’aveva disattivato. Questo era un punto a nostro favore nella partita che stavamo giocando, anche se certamente il buio avrebbe potuto darci qualche problema al momento.
-Endou, Kazemaru, Reize- Desarm attirò la nostra attenzione. Intravidi il suo profilo, era tornato sui suoi passi avvicinandosi a noi. -Prendete questi- disse, tendendoci qualcosa con una certa urgenza.
-Sono occhiali a visione notturna- precisò Desarm. -Avevamo previsto che potesse succedere una cosa del genere mentre eravamo ancora dentro… Per fortuna Chang Soo me li aveva passati prima di… prima che...- La sua voce si affievolì in mancanza di parole.
Rinfoderai la pistola per prendere gli occhiali e, una volta indossati, vidi che Desarm si stava mordendo il labbro inferiore, probabilmente rimuginando su quanto era successo a Chang Soo. Tuttavia, il suo sconforto durò solo un momento.
-Perdonatemi- disse. -Non possiamo permetterci di pensarci adesso, abbiamo altre priorità. Chang Soo vorrebbe che proseguissimo e portassimo a termine ciò che abbiamo cominciato…- Si schiarì la voce con un leggero colpo di tosse. -Riprendiamo a camminare. Seguitemi.
-Sì, signore!- La nostra risposta venne all’unisono. Avevamo tutti già indossato gli occhiali, perciò eravamo pronti ad andare avanti.



xxx
 


-Le scosse sembrano essersi acquietate… Dovremmo riuscire a procedere più velocemente. Provo a mettermi in contatto con Urupa e Kruger…- mormorò Desarm dopo un po’. Avvertivo un lieve sollievo, quasi una speranza, nella sua voce. Dal canto mio, non potevo che essere nervoso: non solo la tensione nell’aria non era per nulla diminuita, ma nutrivo una profonda diffidenza verso quella quiete improvvisa. Mi strinsi a Endou e Kazemaru mentre Desarm si metteva in contatto con gli altri.
-Mark? Sì, qui Desarm. Ricevo bene. Avete già parlato con Seijirou? Ah, sono usciti sani e salvi…- stava dicendo la Spy Eleven. Un sorriso involontario apparve sul suo volto. –Quindi Hiroto ha… Bene, bene. Mandatemi le vostre coordinate precise… Ho tre agenti di Seijirou con me, vi raggiungeremo in poco tempo, spero. Chiudo. A tra poco.
Desarm spense il microfono e si girò verso di noi.
-Aphrodi ha raggiunto Diam e gli altri. Gazel e Hitomiko sono al sicuro, riceveranno le cure necessarie- ci disse, poi fece cenno col capo ad una porta chiusa, a qualche metro da noi. -Noi proseguiamo… Dietro quella porta dovrebbero esserci delle scale. È un rischio… Temo che presto o tardi incroceremo chiunque sta creando tutte queste dannate scosse, perciò occhi aperti e…
Proprio in quel momento, la sua voce fu inghiottita da un profondo rimbombo, segno che da qualche parte, non troppo lontano da noi, doveva essere avvenuto un altro crollo. Seguirono altri piccoli scoppi, sempre più vicini. Mi guardai intorno, il battito del mio cuore accelerò. Desarm lanciò uno sguardo preoccupato al soffitto, come se stesse cercando delle crepe, o qualsiasi altra traccia che potesse aiutarci a capire quale fosse la fonte dei rumori…
I neon si accesero all’improvviso e inondarono il corridoio con una luce bianca, accecante. Dall’espressione allarmata di Desarm, compresi che non era previsto. Il mio primo istinto fu quello di chiudermi agli altri, di scacciare le loro ansie e paure dalla mia mente, già abbastanza inquinata dalle mie preoccupazioni. Nella mia testa esplosero mille domande: è successo qualcosa a Hiroto? Sta bene? Cos’è accaduto al generatore? Non sapevamo da dove sarebbe venuto l’attacco. Non sapevo se togliermi o meno gli occhiali, dovevo farlo subito o mai più, perché non potevo permettermi di avere le mani occupate, se non per impugnare un’arma. Qual è la cosa più giusta da fare, ora?
Desarm urlò e diede un violento spintone a Kazemaru, buttandolo addosso a Endou e facendo cadere entrambi a terra. Mi spostai in fretta, scartandoli lateralmente e addossandomi alla porta, giusto in caso avessimo bisogno di un’uscita di emergenza, ma non ci diedero il tempo di reagire. Davanti ai nostri occhi esterrefatti, il pavimento si spaccò, le mattonelle si frantumarono, le schegge volarono dappertutto… Uno dei ragazzi di Garshield emerse dalla spaccatura che aveva causato, incurante della pioggia di detriti, agile, alto e slanciato; portava una sciarpa rossa legata attorno alla testa e due spade piatte e corte come sciabole, una in ciascuna mano. Era apparso già voltato verso Desarm, come se fin dal principio lo avesse puntato come proprio obiettivo. Desarm dovette arrivare alla stessa conclusione: si asciugò il sangue di un taglio fresco sulla guancia col dorso della mano e serrò la mascella, preparandosi a combattere.
Tuttavia, per il ragazzo non era sufficiente.
Con uno scatto repentino, si girò verso di noi e conficcò le due sciabole nel pavimento. Prima che potessimo muoverci, il colpo inferto spalancò due enormi crepe da un lato all’altro del corridoio, come segandolo a metà in orizzontale. Il soffitto venne giù senza darci un attimo di tregua e ci trovammo separati da Desarm e dal ragazzo in una manciata di secondi.
Ancora sotto shock, fui costretto a riprendermi in fretta sentendo arrivare altre persone.
-Guardate, abbiamo tre pesciolini nella rete… Jackal ha fatto un buon lavoro. Occuparcene sarà un gioco da ragazzi.- Avrei riconosciuto quella voce, gelida e tagliente, anche senza guardare chi avesse parlato. L’avevo già incontrato troppe volte, per i miei gusti. Rivolsi un’occhiata disgustata e sprezzante a Coyote, che invece sembrava quasi divertito nel trovarmi lì… Sapevo che questo sarebbe stato il mio ultimo incontro con lui, comunque fosse andata.
Coyote ghignò. -Siamo tre contro tre, non è perfetto?- commentò, come se fosse un gioco.
-Non direi, no- borbottò Kazemaru. Scivolò verso di me con grazia, quasi del tutto impercettibilmente, e mi lanciò uno sguardo eloquente. Sperando che le mie intenzioni non fossero facilmente leggibili, cercai a tentoni la maniglia della porta dietro di me. È un rischio, aveva detto Desarm. Se fossimo rimasti dov’eravamo, tuttavia, non avremmo avuto comunque scampo: alle spalle c’erano macerie, davanti a noi i tre nemici, di cui uno era grande e grosso come un bufalo.
Dovevo tentare.
Aprii la porta velocemente.
-Endou!- urlai. Il ragazzo capì al volo, evocò la Mano di Luce e sbaragliò i nemici per il tempo sufficiente perché potessimo scappare. Le scale che portavano al piano di sotto erano state distrutte, o da loro o per effetto delle scosse. Non ci restava che salire, perciò ci lanciammo in una corsa disperata verso il piano di sopra. Una volta arrivati su, ci sfilammo gli occhiali e osservammo i dintorni: ci trovavamo in una larga stanza, apparentemente una specie di deposito, pieno di casse di legno sigillate. Mi chiesi se non contenessero armi. Dall’altro lato della camera, c’era un arco, sprovvisto di porta, che dava su uno spazio contiguo.
-Tre contro tre… poteva andarci peggio, ma cerchiamo comunque di coprirci le spalle- disse Endou, voltandosi verso le scale, le mani tese in avanti in propria difesa. Coyote e  un altro apparvero poco dopo, ma questa volta scansarono agilmente la Mano di Luce, correndo in direzioni opposte. Coyote usò una parete come appoggio e ci balzò addosso. Prima di tutto, cercò di uccidere con la spada Kazemaru, che riuscì a stento a scansarlo, procurandosi però un taglio lungo la guancia; senza fermarsi, Coyote girò su se stesso e, con un calcio rotante, colpì Endou alle ginocchia da dietro, facendolo cadere. L’altro ragazzo, quello che si chiamava Fox, si gettò contro di me con un fendente che avrebbe potuto tagliarmi un braccio, se non l’avessi evitato prontamente. Continuò a tempestarmi di attacchi, così che mi trovai sempre più distante dai miei amici, ma non potevo preoccuparmene. Non avevo il tempo di pensare a niente se non parare i suoi colpi, schivare i fendenti e difendermi in tutti i modi possibili. Riuscii a graffiargli il dorso di una mano con un proiettile, tuttavia lui non batté ciglio e non perse la presa sull’arma. Non sentivano dolore? O non importava, in confronto alla loro grande “missione”? Quella gente mi terrorizzava. Erano soltanto ragazzi, esattamente come noi, ma non c’era luce nei loro occhi. Sembravano aver perso la loro umanità…
Accadde tutto troppo rapidamente. Fox mi tirò un calcio e, nonostante fossi riuscito a pararlo con le braccia, mi costrinse a indietreggiare, fino ad oltrepassare l’arco. Ebbi appena il tempo di sollevare lo sguardo, che una lama mi trapassò il fianco destro. Un verso strozzato, simile a quello di un animale morente, lasciò la mia bocca; il respiro mi si mozzò di colpo e per poco non mi morsi la lingua. Guardai Fox in faccia e per la prima volta visi le sue labbra contrarsi in una specie di sorriso di trionfo. Ero caduto in una trappola? Buffalo comparve in quell’esatto istante dal pavimento, spaccandolo in due con la forza bruta. L’impatto creò non solo una sorta di voragine, ma causò anche il crollo dell’arco e del muro che lo circondava. La pistola mi cadde di mano e scomparve tra i resti della parete distrutta. Sentii Buffalo ruggire, Kazemaru gridare il mio nome, mentre il rombo del crollo inghiottiva ogni cosa... Ogni suono diventò ovattato.
Quando Fox estrasse la lama dal mio corpo, mi resi conto che quella era l’unica cosa a tenermi in piedi. Mi accartocciai su me stesso come una marionetta senza fili.
Caddi all’indietro e battei la testa contro il pavimento, dove rimasi, steso con braccia e gambe scomposte, come quelle di una marionetta senza fili. Pensai a Toda, a com’era morto. Ai miei compagni che stavano ancora combattendo e, soprattutto, a Kazemaru. Pensai che non avrei potuto più proteggerlo. Non potevo più fare niente, né per lui, né per me stesso. Ero solo, completamente solo. Mi chiesi se gli altri che erano stati trafitti da quella spada avessero pensato la stessa cosa, prima di morire. Probabilmente erano morti troppo rapidamente per avere un ultimo pensiero, mentre io stavo ancora boccheggiando tra vita e morte. Pensai a Reina, al suo avvertimento, e provai pena per lei. Sarei stato solo una predizione come le altre. Solo un altro fallimento.
 
Non voglio morire.
 
Ogni pensiero riguardo altre persone si spense di colpo. Ero completamente solo e preso da ciò che stavo provando. Un sapore di sale e ruggine, di lacrime e sangue, pervadeva la mia bocca e ogni respiro mi procurava fitte al petto. Non ce l’avrei fatta. Stavo già perdendo conoscenza e sapevo che, una volta arrivato il buio, sarebbe arrivato anche il gelo. Quella era un’oscurità che nessuna luce avrebbe potuto raggiungere. Avrei voluto urlare.
 
Non voglio morire. Non ancora, non sono pronto!
 
Ma quando lo sarei stato? Non volevo dire addio. C’erano ancora così tante cose che avrei voluto fare o dire. Volevo un futuro felice, quello che Hiroto desiderava per noi. Volevo diventare più forte, per proteggere gli altri, perché nessuno morisse ancora davanti ai miei occhi.
 
Diventerò più forte. Devo proteggerti.
 
Un urlo di disperazione mi risuonò in testa. Era la mia voce, eppure al tempo stesso sembrava estranea e distante. Si dice che in punto di morte tutta la nostra vita ci scorra davanti agli occhi. Così, mentre lottavo per tenere aperti gli occhi, nella mia mente si era insinuato un ricordo spezzato: avevo detto quelle parole a qualcuno. A chi? A qualcuno, molto tempo prima… Qualcuno che avevo desiderato di proteggere a tutti i costi… Nel buio, comparve un’immagine, ma era troppo distante, il ricordo si stava nuovamente assopendo... E poi, dal nulla, emerse una canzone.
 
Dai, andiamo insieme, tu ed io,
Canteremo e raccoglieremo fiori
Faremo ghirlande di stelle del mattino…
 
Tutto diventò buio, poi di un bianco accecante.
Ogni singola fibra del mio corpo fu pervasa da calore, una sorta di energia che mi corrodeva dall’interno e, al contempo, mi dava forza. Scosso da un’improvvisa, rapida convulsione, sussultai e battei di nuovo la nuca a terra; la botta mi strappò al bianco e mi restituì al presente.
Aprii gli occhi di colpo, inspirando con la disperazione di chi è rimasto in apnea troppo a lungo. Tutto intorno a me era una macchia di colore sfocato.
Allertato da un sesto senso che non avrei saputo spiegare, mi spostai di scatto, muovendomi d’istinto e alla cieca: rotolai sulla pancia, superando il dolore, e con la coda dell’occhio vidi qualcuno chinarsi su di me. Una lama calò e si ficcò nel pavimento, esattamente dove prima c’ero io.
Sollevai il capo ed incrociai lo sguardo scioccato di Fox: certamente non si aspettava che fossi ancora vivo e che avessi le energie per muovermi. In effetti, era una sorpresa anche per me. Mi tirai a fatica sulle ginocchia e tentai di alzarmi in piedi, ma il corpo mi tremava troppo violentemente perché le gambe mi reggessero e, quando misi una mano a terra come sostegno, le mie dita scivolarono su qualcosa di vischioso e ricaddi col sedere a terra. Abbassai lo sguardo e mi mancò il respiro: ero praticamente seduto in una pozza del mio stesso sangue.
La cosa che più mi sconvolgeva era non percepire alcun dolore fisico, come se quella misteriosa canzone mi avesse anestetizzato. Respirare era diventato più facile, ma i miei sensi, accecati, erano come impazziti. Non avvertivo alcuna sensazione, se non l’istinto di combattere.
Combattere per sopravvivere. Combattere per annientare l’altro.
Ero talmente preso dal mio delirio interiore che percepii la presenza di Fox solo quando fu a pochi metri da me: dopo aver estratto la spada dal pavimento, si preparava a colpirmi con l’intenzione di farla finita. In un istante, scattai in piedi e bloccai la lama a mani nude, senza pensare. Il ferro reagì al mio tocco in maniera inaspettata: si annerì completamente, poi si disintegrò, come sotto l’effetto di un acido. Mi ritrassi di scatto ed entrambi restammo a fissare ciò che restava della spada, ossia l’elsa che Fox stringeva ancora in mano.
Il ragazzo si riprese per primo dalla confusione. Gettò da parte l’arma ormai inutile, accumulò energia nella mano destra e me la scagliò addosso sotto forma di sfere pesanti come piombo.
Mi lasciai andare ai miei istinti, il mio corpo si muoveva quasi da solo. Tendendo le mani in avanti, assorbii nelle dita tutta quell’energia. La sentivo fluire dentro di me. Rimasi ad assaporare quel potere finché non riuscii più a contenerlo, poi lo buttai fuori, rispedendo il colpo dritto al mittente. Riuscii a colpire Fox in pieno petto, con una forza tale da farlo volare attraverso il corridoio e schiantare contro una parete. Abbassai lo sguardo sulle mie dita tremanti, stupito di ciò che avevo fatto. Sfortunatamente, non c’era tempo per ragionarci. Fox si stava già rialzando, seppur a fatica, perciò gli mandai contro un’altra sferzata di energia.
Questa volta l’impatto contro la parete fu tale da fargli perdere i sensi. Il corpo di Fox rotolò a terra tra pezzi d’intonaco e polvere di gesso. Restai immobile a fissarlo ancora per un momento, per accertarmi che fosse davvero fuori combattimento, poi mi girai verso le macerie che mi separavano dai miei compagni. Senza pensarci due volte, tesi le mani verso quell’ostacolo, concentrando l’energia nella punta delle dita. Alcuni pezzi di calce si distrussero, ma non era abbastanza, avevo esaurito la pazienza. Chiusi i pugni di scatto e ogni singolo pezzo esplose in frammenti così piccoli da rovesciarsi a terra come un mare di sabbia. Il boato m’investì in pieno, stordendomi per qualche minuto, ma riuscii comunque a intravedere il corpo di Fox parzialmente sommerso dai resti dell’esplosione che io avevo causato. In quel momento, provavo per lui soltanto una fredda indifferenza. Non mi importava nemmeno sapere com’ero sopravvissuto, o perché non sentissi dolore: contava solo che fossi in grado di muovermi e di combattere. Dominato soltanto dalla furia, e dal desiderio di rivincita, mi incamminai attraverso la nuvola di gesso, muovendomi alla cieca, lasciandomi guidare soltanto dai suoni della battaglia e dalle voci dei miei compagni, mescolate a quelle dei miei nemici…
Davanti ai miei occhi, infuriavano due battaglie: Endou stava combattendo contro Buffalo, Kazemaru contro Coyote. Nessuno di loro si accorse del mio arrivo. Sapendo di poter contare sull’effetto sorpresa, cominciai a raccogliere energia dentro di me e a farla fluire nel mio corpo, per poi concentrarla nella punta delle dita. Il pensiero di cosa avrei potuto fare con tutta quell’energia mi dava brividi di eccitazione, il suono del mio cuore mi rimbombava nelle orecchie. Non era semplicemente adrenalina. Più usavo il mio potere, più mi sentivo in forma; non avevo nemmeno bisogno di verificare per sapere che la mia ferita era guarita. Ubriaco di potere, registravo a malapena il fatto che il pavimento si stesse spaccando sotto i miei passi…
Poi le grida dei miei compagni mi riportarono alla realtà.
Kazemaru aveva attaccato Coyote, ma non era servito; il ragazzo lo aveva scansato facilmente e ora lo stava tormentando con una raffica di colpi, senza un attimo di respiro. Endou se ne accorse: afferrò Buffalo con il Pugno di Giustizia e lo scagliò via, poi cercò di fare altrettanto con Coyote. Nonostante i loro attacchi combinati, però, Coyote non parve per nulla spaventato. Con un solo gesto, trasformò il pugno di energia in ghiaccio, poi lo frantumò in mille pezzi, come se volesse ricordarci che, nelle sue mani, il potere di Atsuya Fubuki era mille volte più pericoloso.
Coyote si girò verso Endou, con la spada levata in aria. Era il momento che stavo aspettando. Rilasciai l’energia che avevo raccolto e la scagliai contro Coyote, il quale, colto alla sprovvista, venne sollevato in aria dall’impatto e scaraventato a terra, a qualche metro di distanza.
Endou e Kazemaru si voltarono a guardarmi, sconvolti. Kazemaru si asciugò rapidamente il viso col dorso del braccio e mi corse incontro, gettandomi le braccia al collo.
-Sei vivo! Credevo, temevo che…- Si staccò da me e la sua voce si spezzò. –Ti ho visto… Il muro è crollato, poco prima ho visto quello lì colpirti, non sapevo che pensare…  
-Non c’è tempo per questo- lo interruppi secco, perché con la coda dell’occhio avevo notato che Coyote si stava già rialzando. Con una mano brandiva la spada, con l’altra accumulava potere. In un istante, grazie alla sua mostruosa velocità, si avvicinò di nuovo a noi.
Spinsi da parte Kazemaru e mi avventai sul mio avversario come una belva affamata. Con un gesto repentino li afferrai i polsi e strinsi, così da fargli lasciare la spada. L’arma cadde a terra e iniziò rapidamente ad imbrunirsi; questa volta il mio potere divorò la lama sino all’elsa. A quella vista nello sguardo di Coyote balenarono stupore e rabbia. Si sforzava di mantenere il controllo di sé, ma era chiaro che stava perdendo la calma. Digrignando i denti come un cane rabbioso, si dimenò con tale ferocia da liberarsi dalla mia presa e avere la possibilità di allontanarsi per un momento. Mi rivolse uno sguardo di puro odio, mentre raccoglieva una grande massa di ghiaccio e neve attorno a sé, come un enorme scudo che circondava il suo corpo.
Quando si tuffò nuovamente contro di me, non cercai di scappare. Volevo lo scontro esattamente quanto lui. C’erano dei conti da regolare, con Coyote più di altri. Riuscii a scansare il primo calcio, ma i suoi pugni mi presero in pieno nello stomaco e mi fecero ruzzolare all’indietro. Sbattei con la schiena a terra e tossii violentemente, sputando sangue, ma mi rialzai immediatamente sui quattro arti, pronto a riprendere. Non avevo paura di Coyote, né di nessun altro. Mi sentivo forte. Invincibile.
Con la coda dell’occhio, vidi Kazemaru venire ad aiutarmi.
-No! Lui è mio!- gridai, senza perdere d’occhio il mio avversario.
-Ma sei ferito! Io…
-Dammi soltanto la tua pistola! La pistola!
Kazemaru esitò soltanto per un secondo, poi si tolse la 38 dalla cintura e la fece scivolare verso di me. Mi chinai velocemente per afferrarla da terra e sollevai lo sguardo su Coyote, che si stava avvicinando, inevitabile e distruttivo come una tempesta di neve.
-Stai lontano- gli intimai, stringendo convulsamente le dita sul grilletto della 38.
-Avresti dovuto essere morto- sibilò lui con odio. -Non so come tu sia sopravvissuto a Fox… ma non riuscirai a sconfiggere me!- Fulmineo, sollevò un braccio e poi l’abbassò, facendo sì che una miriade di schegge di ghiaccio si separassero dal suo scudo e si dirigessero verso di me.
Prima che potessi reagire, Kazemaru si frappose tra me e lui con una barriera di vento, deviando l’attacco. Lanciai al mio partner un’occhiata di disappunto per aver fatto l’esatto opposto di ciò che gli avevo appena chiesto. Sembrava che Kazemaru avesse, a sua volta, molto da dirmi, ma Coyote non glielo permise.
-Patetico- commentò, gelido, -Non intrometterti nella mia lotta!- Lanciò un altro attacco, che tagliò la barriera di Kazemaru e lo colpì violentemente. Kazemaru fu spinto lontano da me e cadde a terra. Endou provò a andare in suo soccorso, ma Buffalo si scaraventò contro di lui come un lottatore di sumo. Rotolarono a terra insieme; anche se Endou tentava di dimenarsi, Buffalo lo teneva giù col proprio peso e non c'era verso di liberarsene.
Coyote si avvicinò a Kazemaru, affondò le dita nei suoi capelli e spinse la sua testa verso il basso, come se volesse schiacciargli il viso contro il pavimento. Le sue labbra s’incurvarono in un sorriso crudele.
-Giocare agli eroi è divertente, vero? Siete così patetici- mormorò.
Kazemaru gemette di dolore, ma digrignò i denti e oppose una ferma resistenza, rifiutandosi di distogliere lo sguardo dal suo nemico, con sfida. Aveva i pugni stretti lungo i fianchi, rigidi, e le unghie conficcate nei palmi; il suo volto, tumefatto e gonfio, era rosso per lo sforzo e per le ferite. Vederlo in quelle condizioni mi fece ribollire il sangue nelle vene e la rabbia servì da miccia per riaccendere il desiderio di combattere. Una miriade di pensieri si affastellarono nella mia testa mentre mi rimettevo in piedi, la pistola ben stretta nella mia mano. L’idea di infondere il mio potere nelle pallottole era allettante… Raccolsi quanta più energia possibile e mi schiarii la gola roca.
-Lascialo stare. Stavi combattendo con me, no?!- urlai, con tutta la voce che avevo in corpo. Coyote si voltò verso di me, con la fronte aggrottata, e mi rivolse un sorriso di scherno.
-Cosa credi di fare? Stai tremando di paura- osservò, piatto. I brividi arrivavano fino al braccio, ma ignorai il suo commento e mantenni ferma la pistola. Non era la paura, a farmi tremare.
-Lascialo, ora- sibilai, furioso.
Coyote non si mosse: continuava a guardarmi, quasi con curiosità. Alla fine, sembrò arrivare ad una conclusione e si rivolse a Buffalo in tono arrogante:- Abbattilo.
Il gigante lasciò immediatamente la presa su Endou. Serrata la mascella, ringhiò e mi caricò come un toro. Io lo degnai appena di uno sguardo. Volevo eliminare Coyote e avrei fatto lo stesso con qualunque ostacolo avessi incontrato sulla mia strada; anche se Buffalo si era messo sulla traiettoria del proiettile, non esitai a premere il grilletto.
La pallottola, carica di energia, esplose dalla canna e trapassò la spalla destra di Buffalo. Il ragazzo crollò a terra e le sue strilla si levarono altissime, così stridule da diventare dei suoni disumani. Nell’aria si sollevò l’odore acre di carne bruciata: la spalla e una parte del braccio erano come arsi. Probabilmente, l’impatto gli aveva anche sbriciolato le ossa. Il dolore doveva essere accecante. Il boato dello sparo stava ancora rimbombando tra le pareti quando scavalcai il corpo di Buffalo ed iniziai ad avanzare verso Coyote, senza rompere il contatto visivo con lui.
Tirai indietro il carrello della pistola e lo rilasciai lentamente, in modo che Coyote vedesse che avevo caricato il colpo successivo.
-Il prossimo sei tu- sibilai, minaccioso. -Lascialo andare.
Coyote non reagì subito. Non aveva degnato neanche di uno sguardo il compagno caduto, come se non gliene importasse nulla, e lasciò la presa solo dopo qualche secondo di riflessione. Kazemaru  ebbe appena la prontezza di mettere le mani avanti per non sbattere a terra di nuovo, poi si rannicchiò su se stesso, a quattro zampe, tossendo. Coyote lo ignorò, totalmente concentrato su di me, e serrò i pugni davanti a sé, in modo da ricreare il proprio scudo proprio davanti a sé.
Non potevo più aspettare. Sparai il mio colpo e il proiettile si conficcò nello scudo di ghiaccio: pian piano, cominciò a perforarlo. La barriera di Coyote non avrebbe resistito per molto. Il mio potere stava assorbendo il suo. Schiacciato da quell’inaspettata pressione, Coyote indietreggiò involontariamente e la sua maschera di indifferenza si infranse del tutto quando si rese conto che non riusciva a contrastarmi. I suoi occhi si spalancarono, increduli e, per la prima volta, spaventati. Per un istante, Coyote assaporò davvero cosa significasse la paura. Le sue difese crollarono come castelli di carte. Lo scudo andò in pezzi e la potenza dell’esplosione lo scagliò all’indietro; l’impatto distrusse anche il muro contro cui era finito, scatenando una lunga scossa di terremoto. Dubitavo che l’edificio potesse reggere ancora per molto. Guardai il muro crollare addosso a Coyote, senza fare nulla se non caricare un terzo proiettile. Attesi per qualche minuto che la polvere si diradasse un po’, poi approcciai con cautela il corpo di Coyote, di cui intravedevo la sagoma.
Provai uno strano misto di sollievo e disappunto nel vedere il ragazzo a terra, sconfitto e privo di sensi. Il ciondolo che gli dava potere si era disintegrato nello scontro e ora dal suo collo pendeva solo un laccetto scarno. Le grida di Buffalo erano diventate fiacche, ridotte ad un pianto strozzato, e Fox era ancora intrappolato tra le macerie. Come avevano potuto incuterci tanta paura? Ora mi sembravano delle esistenze insignificanti, mi sarebbe bastato un cenno e li avrei spazzati via per sempre… Avevo accumulato così tanto odio, così tanta rabbia dentro di me… Non potevo credere che fosse realmente finita. Non appena abbassai la 38 verso Coyote, sentii la voce di Kazemaru alle mie spalle.
-Midorikawa, no! Non devi farlo, non ucciderlo!- urlò, tossì per lo sforzo. Mi voltai per guardarlo, ma la vista del suo volto devastato era troppo per me. Non ero stato abbastanza forte da evitarlo. Distolsi subito lo sguardo, amareggiato.
-Se non lo faccio, si rialzerà. E distruggerà tutto, tutto ciò che conta- risposi, strozzato.
-E non c’è già abbastanza distruzione, secondo te? Midorikawa, guardalo. Non si rialzerà. È finita- replicò Kazemaru.
Capii che voleva incoraggiarmi a mettere giù la pistola. Gettai uno sguardo verso Coyote, poi chiusi gli occhi e inspirai a fondo. Sapevo che aveva ragione. Facendomi forza, mi voltai verso Kazemaru. Ancora una volta, vedere il suo viso così ridotto mi fece venire voglia di piangere, ma trattenni le lacrime e lo raggiunsi.
-Questa è tua- mormorai, imbarazzato, restituendogli la 38. Kazemaru abbozzò un sorriso mentre inseriva la sicura e rinfoderava l’arma. Mi schiarii la voce e stavo per ringraziarlo, quando il dolore al petto tornò a scalciare, togliendomi il fiato.
Nel giro di pochi secondi, il mio mondo finì nuovamente sottosopra.
Caddi in ginocchio, stringendomi le braccia al petto, abbracciando le vesti strappate e insanguinate. La sensazione di essere invincibile aveva lasciato nuovamente posto al gelo. Mi sentivo svuotato. Non c’era più un nemico da sconfiggere, tuttavia il mio potere non si fermava, come se in me si fosse risvegliata una fame insaziabile, come se fosse necessario riempire quel vuoto con qualsiasi cosa intorno a me.
-Midorikawa?!- urlò Kazemaru. -Ryuuji, che succede?! Ryuuji!- Mosse un passo verso di me, ma con le forze che mi restavano cercai di spingerlo via.
-No! Non avvicinarti!- strillai. -Dovete… andarvene… di qui!
-Non… non posso lasciarti così! Cosa… cosa ti sta succedendo…?!
Scossi il capo, incapace di articolare le parole. I miei pensieri si spensero di colpo, a sovrastarli soltanto quella canzone, che rimbombava come un inno di guerra… Era tutto sbagliato, tutto sbagliato, quella canzone non avrebbe dovuto essere distruttiva, era… Avrebbe dovuto essere… Non riuscivo a ricordare.
-Basta, basta, fatela smettere!- implorai, a nessuno in particolare, e mi rannicchiai su me stesso, premendo le mani sulle orecchie con forza. -Basta, ti prego, basta- singhiozzai.
Il pavimento cominciò a tremare. Pezzi d’intonaco cadevano dal soffitto, spaccandosi in mille pezzi, e i detriti sobbalzavano per via delle scosse. Per lunghi, lunghissimi istanti, rimasi immobile, accucciato a terra, da solo. Nessuno osava toccarmi, nessuno poteva raggiungermi… Poi qualcuno mi afferrò con fermezza: due mani si strinsero sulle mie spalle e mi scossero bruscamente.
-Midorikawa! Midorikawa, guardami! Va tutto bene!
Conoscevo quella voce. Era Hiroto. Era la voce di Hiroto.
Lo fissai a occhi sgranati, troppo sopraffatto per rispondergli. Ero felice di vederlo, così felice, ma avevo anche paura per lui. No, non va tutto bene. Non va bene per niente. Quando le lacrime mi inondarono il viso, Hiroto mi cinse la vita con delicatezza e mi attirò a sé, premendomi nella sua spalla. Mi teneva stretto come se fossi stato una cosa preziosa, in procinto di finire in mille pezzi.
-Ce l’abbiamo fatta- mi sussurrò, le sue labbra erano calde contro il mio orecchio.
-Abbiamo spento la macchina, è tutto finito. Tolue, Roniejo e Valtinas hanno tagliato ogni via di fuga a Garshield, lo abbiamo preso una volta e per tutte… Hitomiko e Gazel sono al sicuro. È tutto finito.
Strinsi i denti e annuii, poi cercai di spingerlo via, di allontanarlo da me, ma Hiroto non si lasciò smuovere. Sospirai e sollevai il viso verso il suo. Dovevo almeno provare ad avvertirlo.
-Hiroto, io…
-Sssh, sssh, sono qui per aiutarti- mi interruppe, dolce. -Devi fidarti di me - sussurrò, sfiorandomi la tempia con un bacio delicato. Poi mi lanciò uno sguardo apprensivo, esitante. All’improvviso, tutto mi fu chiaro. Gli accarezzai la guancia con una mano e annuii, piano.
-Fai quello che devi…- bisbigliai. -Non ho paura… Io mi fido di te.
Hiroto esitava ancora. Il tempo era agli sgoccioli.
-Tu non mi farai del male. Ne sono sicuro. Ho fiducia- dissi, per rassicurarlo. Hiroto mi prese il volto tra le mani e poggiò la fronte contro la mia. Non sentii freddo, anzi un tiepido torpore si diffuse nel mio corpo. Era come una carezza dolce, morbida, che mi incoraggiava ad addormentarmi. Il dono di Hiroto spazzò via qualsiasi voce oltre alla propria, attenuò la stanchezza e ricacciò indietro il desiderio di distruzione. Mi abbandonai a quelle sensazioni familiari. Ah, è proprio come quella volta… Il giorno in cui aveva calmato il mio attacco di panico, dopo la morte di Jordaan… Anche allora aveva usato il suo potere per calmarmi? Hiroto era sempre con me, pronto a strapparmi dai miei incubi e a riportarmi alla realtà…
-Midorikawa...?- Sussurrò il mio nome un’ultima volta, interrogativo, come per accertarsi che fossi ancora sveglio. Aprii a stento gli occhi e il suo volto preoccupato apparve davanti al mio per qualche istante, prima che tutto cominciasse a oscurarsi di nuovo. Mi sforzai di parlare, avrei voluto rassicurarlo.
-Va tutto bene- bofonchiai. -Non fa male…
Mi sciolsi nel suo abbraccio e mi lasciai trascinare nel sonno senza opporre resistenza.



 
[Note dell'autrice]
Ancora due capitoli e l'Hiroto Arc sarà finalmente concluso! Facendo qualche conto e rivedendo la scaletta, mi sono resa conto che mancano davvero troppi pochi capitoli per mollare... Voglio finire questa fic, lo voglio davvero! Giuro! 
Non ho molto da dire riguardo il cap.45, se non che Midorikawa è il solito sfigato (lol) e spero di essere riuscita a mantenere alta la tensione. Ho cercato di dare un'idea del ritmo frenetico dell'azione. Tutte le battaglie di questo arc sono così... rapide orz
Grazie a chi continua a seguire questa fic, nonostante gli alti e bassi ;__; 
Un abbraccio caloroso,
Roby

p.s. La canzone di Midorikawa non è una canzone reale, è totalmente fittizia.
   
 
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