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Autore: lightvmischief    13/04/2019    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 14

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PICCOLO SPAZIO AUTRICE:

Ciao a tutti!
E' la prima volta che mi prendo un po' di spazio all'inizio del capitolo, questo perchè gli aggiornamenti sono stati fermi per un po' di mesi e mi sembrava giusto farmi "sentire" in questo piccolo spazio che ho deciso di utilizzare.
Mi dispiace, per chiunque segua questa storia, che abbiate dovuto aspettare 8 mesi per leggere questo capitolo, ma ci ho messo veramente degli anni per scrivere i prossimi capitoli, era tanto se riuscivo a scrivere anche una sola frase e poi ho avuto alcuni problemi nella vita, tra cui anche il trovare il tempo di scrivere.
Non volevo poi pubblicare questo capitolo e lasciar passare altri mesi per aggiornare gli altri capitoli, quindi ho preferito finire di scrivere altri due capitoli, così da portarmi un po' avanti.

E niente, spero che questo capitolo vi piaccia e se vi va fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi lascio anche il link della mia pagina di Wattpad, nel caso preferiate leggere lì, così vi arrivano anche le notifiche quando aggiorno i capitoli: 
https://www.wattpad.com/user/lightvmischief

Grazie a tutti e buona lettura!
- Marina


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CALUM

Dopo la cerimonia ero ancora sconvolto. Non ero molto legato a quel ragazzo, ma era giovane. Diamine se lo era.

Nessuno di noi era pronto per un'altra perdita e mai lo saremo.

Vorrei poter dire di essermi abituato ormai, ma sarebbe una bugia.

Quando io e Mali tornammo al punto di incontro oggi, mai ci saremmo aspettati una notizia del genere. Non c'è stato bisogno di parlare, l'ho capito dalla sua mancanza, dal sangue sugli abiti di Lynton e Kayla, dalle loro espressioni. È come se mi avessero tirato un pugno nello stomaco e il senso di nausea era forte dentro di me.

Un'altra vittima di questo dannato destino.

«Penso che ti serva una bevuta adesso, Cal.» Blaine si avvicina a me alla fine delle scale e scuote le bottiglia di whisky, trovata chissà dove, tra le sue mani.

«Sì, decisamente.»

«Raggiungici quando vuoi» mi dice indicando con un dito Wayne, Lynton e mia sorella seduti sulla prima scalinata.

Annuisco e mi passo una mano sul viso.

Vado a mettere nella stanza delle armi la mia pistola, come gesto di routine di tutte le sere, e poi raggiungo i miei amici.

«... Questo genere di cose ti fanno pensare, cavolo» sento dire Wayne mentre beve un sorso dalla bottiglia e poi la passa a mia sorella.

Mi siedo tra di loro e prendo il liquido dalle mani di mia sorella prima che possa poggiarci le labbra.

Mi lancia un'occhiataccia e di tutta risposta la spintono leggermente con la mia spalla.

«Come va, signorine?» dico, cercando di migliorare un po' il morale.

«Non fare l'idiota, Calum» mi rimprovera Lynton come se fossi un bambino.

«Scusate, ci ho provato» rispondo subito dopo, pentendomi.

Ha le sue ragioni del resto. È lui che lo ha visto morire, non io.

«E Kayla?» chiede Mali, lanciando un'occhiata alla fine delle scalinate.

La copio e vedo la figura di Kayla giocare con i lacci delle sue scarpe, pensierosa.

«Vado a parlarle» prendo iniziativa e la raggiungo, ignorando le lamentele di Blaine perché mi sono portato via l'alcol.

«Ti dispiace se mi siedo?» le chiedo, imitando Blaine e agitando la bottiglia nella mia mano.

«No, siediti pure» sussurra, senza alzare lo sguardo e continuando a giocare con i lacci dei suoi scarponi.

Alzo le spalle e mi siedo di fianco a lei e poi bevo un sorso.

«Ti va?» Questa volta mi guarda negli occhi e annuisce.

Le porgo la bottiglia e subito la porta alla bocca, senza esitare.

Faccio una risatina e scuoto la testa.

«E io che pensavo che stessi bene» scherzo e sorprendendomi quando la vedo sorridere.

Mi sarei aspettato un insulto da parte sua. Forse sta anche peggio di quello che pensavo.

«Ti va di parlare?»

«Riguardo?»

«Quello che ti va» rispondo, facendo spallucce e riprendendomi il liquido.

«Che te ne pare del fatto che io non riesca a capirti? Un giorno mi insulti e quello dopo mi offri da bere» dice, sistemandosi di fronte a me con le gambe incrociate.

«Pensavo volessi parlare di qualcosa di più interessante dei miei sbalzi d'umore» rispondo, prendendomi in giro da solo.

Lei ride e io la seguo.

«Dammela» mi ordina. Le passo la bottiglia.

«Sai, volevo fare la poliziotta» inizia, poi scoppia in una risata amara.

«Non so perché te lo stia dicendo, forse è l'alcol che mi fa parlare. Okay, lo è decisamente.»

«Come mai? Volevi fare la poliziotta, intendo.»

«Non lo so, non c'era nessun motivo preciso. Volevo fare qualcosa che potesse aiutare le persone, proteggerle. Mi piaceva l'idea e basta.»

«E quindi? Non dirmi che sei arrivata alla fine dell'accademia e non hai passato il test.»

«Magari. In realtà non ci sono mai entrata. Dovevo ancora iscrivermi.»

«Perché? I tuoi non volevano che mettessi la tua vita in pericolo così?» chiedo curioso.

Dal primo momento in cui l'avevo vista, è sempre stata circondata da quest'aura di mistero ed ero felice che si stesse aprendo con me.

Forse era l'alcol. Forse ne aveva bisogno.

Forse entrambi.

«No, no, assolutamente. Avevo appena finito il liceo; dovevo solo fare l'iscrizione all'accademia e poi avrei iniziato i corsi. Però, come puoi immaginare, non è mai accaduto. Quella mattina presi la macchina e andai in strada; a metà circa, era bloccata: c'erano auto della polizia e camion dei pompieri dappertutto.»

    «Gli agenti in strada avevano le pistole in mano, erano in agguato. Era come se avessi appena avuto un visione sul mio futuro» dice sarcastica.

Prende un sorso e poi mi passa la bottiglia.

«Allora fermai la macchina come tutti gli altri. Volevo capire cosa stesse succedendo così scesi, anche se fu inutile perché gli agenti e tutta la massa di gente attorno a loro mi bloccavano la visuale. Cercai di avvicinarmi il più possibile alla linea netta della polizia e quella fu la prima volta in cui li vidi, sai, gli zombie» continua, enfatizzando la parola zombie con l'espressione e con le mani.

«All'inizio pensai ci fosse un qualche regista famoso in città e che stessero girando un film, poi capì che quella era la dannata realtà e non una finzione. Quindi tornai a casa, svelta: dovevo dirlo alla mia famiglia, dovevo metterli in guardia di ciò che stava succedendo a pochi chilometri da noi»

    «Trovai i miei genitori già sotto al portico. Appena scesi dalla macchina mi abbracciarono, mi dissero che eravamo in pericolo e che dovevamo andare via, che mia sorella e mio fratello non sapevano ancora niente per non spaventarli.»

Era forse la prima volta che stavamo insieme per così tanto tempo senza che uno dei due si mettesse a insultare l'altro.

Era la prima volta che si apriva sulla sua vita e la consapevolezza che anche lei aveva delle persone a cui teneva, una famiglia, mi colpì allo stomaco.

Ogni volta che qualcuno di nuovo veniva a far parte del nostro gruppo non pensavo mai al suo sfondo affettivo, pensavo solo alla persona che era.

«Andammo di sopra a preparare le valigie. A loro dicemmo che saremmo andati in vacanza per un po' di tempo.» Dalle sue labbra esce una risata amara e scuote la testa.

Poi alza il viso verso il soffitto e vedo una lacrima attraversarle la guancia.

È così vulnerabile in questo momento, così pura.

«Non eravamo pronti, nessuno lo era. Sentimmo degli spari e i bambini si preoccuparono, come noi, del resto. Uscimmo di casa con le valigie e partimmo subito dopo. Viaggiammo per quattro ore, me lo ricordo benissimo. Arrivammo fino a Richmond, trovammo una casa e ci sistemammo lì, però ci separammo, non mi ricordo neanche il perché.» Si ferma e si asciuga le lacrime con il dorso della mano.

«Da quel momento non li ho più visti. Non credo li rivedrò vivi, se mai dovesse succedere.»

«Mi dispiace.» Sono le uniche parole che mi escono dalla bocca.

«Non esserlo. Sarebbe dovuto succedere prima o poi. È stato meglio così, almeno non ho dovuto vederli morire davanti ai miei occhi e nemmeno loro» sussurra e beve l'ultimo sorso della bottiglia.

Sospira e poi appoggia la sua testa sulla mia spalla e chiude gli occhi.

Mi irrigidisco, non pronto al suo gesto e non più abituato a certe dolcezze.

Faccio un respiro profondo, cercando di assimilare tutta la sua storia. Il mio sguardo vaga poi nel grande spazio della palestra e finiscono su mia sorella, addormentata vicino a mia madre.

Non posso perderle.

Sono tutto ciò che mi è rimasto di bello.

***

Sento un tintinnio lontano ma che si fa sempre più forte ed insistente, fino a diventare un fischio continuo e sgradevole.

Poi vedo un uomo che tiene una pistola in una mano, dritta davanti a sé, e una donna stesa a terra, sanguinante.

L'uomo si volta verso di me e spara.

Apro gli occhi di colpo.

Era solo un incubo.

Mi sento come se stessi affogando: mi manca l'aria. Prendo più respiri, uno dietro l'altro. La testa comincia a girarmi.

Mi sfrego le mani sul viso, rimanendo sugli occhi più del dovuto.

Era solo un incubo.

Riesco a tranquillizzarmi e mi accorgo di essere seduto: sento le gambe intorpidite e guardo in basso per capire che sono incrociate e lo sono state per tutta la notte. Sulla mia coscia destra giace la testa di Kayla, che dorme ancora. Non so come siamo finiti in questa posizione: mi ricordo solo la sua testa sulla mia spalla e poi il vuoto completo.

L'alcool deve aver fatto effetto su entrambi a quanto pare.

Penso sia stata la prima volta che siamo riusciti a parlare per più di cinque minuti senza insultarci a vicenda.

Mi sembra così indifesa, guardandola che dorme sulla mia gamba: mi sembra di vedere la Kayla del passato, quella di cui mi ha parlato la notte scorsa.

«Cal, puoi venire un secondo?» Travis mi chiama dal basso delle tribune.

«Sì, arrivo.»

Sento il peso sulla gamba alleviarsi e scomparire: devo aver svegliato Kayla.

«Buongiorno» sussurro, aspettando che si riprenda totalmente.

Mi guarda confusa, poi sembra ricordarsi gli avvenimenti della notte passata.

«Ehi» risponde, facendo comparire un piccolo sorriso sul suo viso.

«Io, uh, devo andare ora.» Mi alzo cautamente, cercando di non perdere l'equilibrio.

«Oh, okay.»

Le faccio un cenno con la testa e scendo le scale.

Non appena ha aperto gli occhi, mi sono sentito quasi in soggezione.

Saranno i postumi dell'alcool. Sicuramente.

Attraverso la palestra e raggiungo Travis nella stanza delle armi ancora un po' assonnato, ma piuttosto di fretta.

«Grazie di essere venuto subito. Tutto bene?» mi chiede Travis appena entro nella stanza.

Ci sono anche sua moglie e sua sorella, le quali stanno mangiando una barretta di cereali come colazione mentre parlano, probabilmente della prossima meta che non è ancora stata visitata per trovare delle scorte.

«Sì... sì» ripeto, questa volta più convinto di quello che sto dicendo.

Ad essere sincero sono ancora un po' scosso, sia dall'alcool, sia dagli avvenimenti della serata e della mattinata con a Kayla.

«Okay, allora, so che ciò che è successo a Reece è ancora fresco nella mente di tutti quanti, soprattutto in quella di Wayne e Kayla, immagino.» Annuisco e incrocio le braccia la petto, aspettando che arrivi al punto.

«Però, c'è bisogno di uscire di nuovo. Le scorte stanno finendo velocemente e se non riusciamo a trovarne abbastanza e in fretta, dovremo applicare un ulteriore razionamento, lasciando la maggior parte del cibo e acqua ai bambini e agli anziani.»

«Quindi mi hai chiamato per formare un gruppo per uscire o c'è dell'altro?» chiedo, aggrottando le sopracciglia confuso. Se c'era bisogno di uscire in gruppo non si faceva problemi a parlarne in pubblico; in questo momento nella stanza c'eravamo solo lui, Meredith, Tracey ed io.

«C'è un altro problema: il piccolo acquedotto qui vicino ha smesso di funzionare. Dobbiamo trovare un'alternativa all'acqua corrente al più presto, senza mettere panico, per questo sei qui.»

«E non può essere riparato?»

«Purtroppo no. Abbiamo provato di tutto» interviene Meredith.

«Scusate, ma quindi da quanto tempo ha smesso di funzionare regolarmente?»

«Una settimana circa, ma non volevamo allarmare nessuno, o almeno, non prima di aver provato a sistemarlo.»

Prendo qualche minuto per elaborare le informazioni.

Travis è un uomo piuttosto fiducioso, ma la situazione dev'essere veramente seria se ha deciso di parlarne solo con le persone a lui più fidate e, in qualche modo, io facevo parte di una di queste.

«Scusate, non volevo origliare, ma vi ho sentiti parlare.»

Ci voltiamo tutti quanti e vediamo Kayla entrare nella stanza e chiudersi la porta alle spalle.

«Non dovresti essere qui» interviene Travis con tono autoritario.

Raddrizzo la schiena ed incrocio le braccia al petto.

«Lo so, ma vorrei darvi una mano. Da quando sono qua avete fatto tanto per me e mi sembra il momento di ripagarvi in qualche modo» ribatte lei con calma, appoggiandosi alla porta con la schiena come se avesse bisogno di supporto.

Io e Travis ci scambiano un'occhiata veloce, poi annuisco, facendogli capire di provare almeno a lasciarla parlare per poi decidere cosa fare.

«Siamo tutt'orecchi» dice, appoggiandosi con i pugni al tavolo e chinandosi verso Kayla con fare interessato.

Quest'ultima si avvicina al tavolo e osserva per qualche secondo la cartina lì appoggiata.

«So che può sembrare una cosa stupida, ma magari potrebbe essere d'aiuto.» Appoggia un dito sulla mappa e indica la nostra posizione.

«Noi siamo qui. Io vivevo qui, a circa mezz'ora di strada, credo» dice, indicando un altro punto sulla mappa.

«Non con la mia famiglia, intendo. Ci vivevo qualche mese fa e setacciando le strade ho trovato uno di quei distributori d'acqua gratis...»

«Apprezzo il fatto che ci voglia aiutare, Kayla, davvero, ma credo che questa risulti solo come una soluzione a breve termine. Prima a poi l'acqua del distributore finirà, se non lo ha già fatto» la interrompe Tracey.

«Potremmo sempre provarci, potrei provarci da sola. Se c'è anche un solo spiraglio di speranza da cui attingere, allora vorrei lo prendeste in considerazione» riprende con più determinazione Kayla, con una scintilla di luce e fiducia negli occhi.

«È la miglior soluzione che abbiamo al momento» affermo, appoggiando la sua idea.

«Potremmo provare, ma dovremo trovare un'alternativa al più presto, come ha detto Tracey. Non sappiamo per quanto questo possa bastare, ma vale la pena provare» sentenzia Travis, alzandosi dal tavolo e grattandosi il mento pensieroso, probabilmente ponderando tutte le possibilità.

«Posso partire subito, ho solo bisogno di uno zaino e dei contenitori» dice Kayla entusiasta.

«Vengo con te» dico autoritario. Voglio aiutare anche io e non voglio che esca da sola, rischiando la sua vita pur di salvare la nostra.

«Okay, appena siete pronti partite. E, mi raccomando, fate attenzione.»
 

   
 
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