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Autore: hirondelle_    14/04/2019    1 recensioni
[hiromido][masahika][past!gazemido]
What if in cui Midorikawa è il padre biologico di Kariya, che torna a vivere con lui dopo moltissimi anni a causa della morte prematura di sua madre. L'inizio della sua nuova vita non è dei più facili. Per comprendere suo padre e soprattutto se stesso, Kariya dovrà venire a patti con il suo passato.
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Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
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[50k words]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Jordan/Ryuuji, Kariya Masaki, Xavier/Hiroto
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ombrelli sotto la pioggia
Hiroto tolse il bollitore dai fornelli e lo appoggiò sul vassoio che lui e Suzuno avevano trovato sulla mensola in salotto, un semplice oggetto di legno raramente utilizzato ma che in quel momento poteva fare solo al caso loro. Appoggiò tre tazze sui rispettivi piattini e aggiunse la zuccheriera, alzando appena il coperchio per assicurarsi che vi avesse zucchero. Non avrebbe saputo dove trovarlo in realtà, ma per sua fortuna ce n’era abbastanza per tutti.
Si guardò attorno, osservando quell’ambiente poco famigliare. Era una cucina comune, con un’apertura su un terrazzino minuscolo. Non si sarebbe azzardato mai ad uscire per osservare la vista sulle case nei dintorni, dato il nubifragio che stava imperversando fuori, ma immaginò che vista l’altezza doveva essere un buon punto panoramico. Si voltò verso il salotto, composto da un semplice divano, un tavolino e una televisione. Vi erano altre tre stanze. Decisamente non era un appartamento adatto a un uomo solo, ma un luogo dove crescere una piccola famiglia. “Si sarebbe potuto trasferire in un posto più economico,” pensò tra sé e sé, “stare lontano dalla sua vita precedente e costruire qualcosa di nuovo.”
Gli ci volle poco per realizzare che se così avesse fatto, lui e Ryuuji non si sarebbero mai potuti incontrare. Lo avrebbero fatto, forse, in un’altra realtà, in un altro tempo. Ricordava di aver letto qualcosa al riguardo. Una teoria per la quale ci sarebbero stati numerosi universi paralleli al suo, e tutti potenzialmente in contatto. Universi alternativi dove il dolore di Ryuuji sarebbe potuto essere lenito, la sua anima salvata da un percorso diverso, un destino differente nel quale lui non sarebbe potuto essere presente.
Nel quale non ci sarebbe stata tutta quella pioggia.
Lentamente, si avvicinò alla stanza di Ryuuji e si mise all’ascolto. Suzuno gli stava parlando con voce calma e misurata, ma le risposte del suo interlocutore erano appena udibili. Spinse piano la porta ed entrò con il vassoio tra le mani. “Non lo so,” stava dicendo Ryuuji, “davvero non lo so.”
Quando lo vide alzò gli occhi dal groviglio di mani che aveva abbandonato tra le lenzuola bianche, ma non era sorpreso. Doveva averlo visto quando si era svegliato, appena prima che uscisse per prendere il tè appena preparato. Hiroto gli rivolse uno sguardo rassicurante e un sorriso debole, ma non disse una parola e si limitò ad appoggiare il vassoio sul comodino al suo fianco. Esitò a sedersi, aspettando un cenno di Ryuuji che non tardò ad arrivare. Si sedette al suo fianco e gli prese una mano fra le sue.
Ryuuji gli rivolse un sorriso timido, poi tornò a rivolgersi a Suzuno. Aveva la voce roca di chi aveva più volte gridato senza essere sentito. “Ieri sono tornato a casa e l’ho trovato ad aspettarmi in cucina. Sembrava volesse dirmi qualcosa ma si è limitato a sbattere sul tavolo il biglietto dello spettacolo. Non so come se lo fosse procurato,” sospirò e un velo d’ansia gli attraversò gli occhi lucidi e contornati di trucco ormai sbavato, “ poi è andato in camera sua e si è chiuso dentro. Io… io ero arrabbiato. Volevo capire. Gli gridavo di uscire, di parlare. Non me l’aspettavo, ero turbato e confuso.”
Suzuno fece segno di assenso. “Non devi giustificarti. Vai avanti.”
Ryuuji si strinse nelle spalle. “Dopo un po’ ho rinunciato e sono andato a dormire. Non avrei dovuto reagire in quella maniera, pensavo di averlo agitato. Perciò pensavo che sarebbe stato meglio parlarne alla luce del giorno. Ma…”
“Ma lui è uscito ed è scappato,” concluse Suzuno per lui. Sembrava un poliziotto con un caso importante tra le mani. “L’hai rincorso?”
“Ci ho provato,” mormorò Ryuuji. “L’ho seguito per le scale, ma l'ho perso di vista nella tormenta. In qualche modo sapeva dove andare. Credo abbia preso al volo un autobus notturno.”
Hiroto si sorprese della lucidità che in quel momento Ryuuji stava dimostrando, al di là di ciò che si aspettava. Non lo aveva mai visto così distrutto, eppure poteva capire perché le persone attorno a lui subissero il suo ascendente: Ryuuji era una persona sensibile, ma sicuramente forte.
“È tutto quello che ci interessa per il momento,” proclamò Suzuno alzandosi dal letto. “Aspetteremo un po’,  vedremo se si presenterà a scuola e allerteremo la polizia.”
Ryuuji annuì e tornò a osservarsi le mani lasciate sul grembo, chiuso in se stesso come se d’un tratto fosse rimpicciolito. Hiroto d’istinto gli cinse le spalle con un braccio e gli sussurrò: “Stai bene?”
Ryuuji annuì e gli lanciò un’occhiata timida. “Mi dispiace di avervi fatto preoccupare.”
“Non devi scusarti. L’importante è che tu stia bene,” gli sorrise Hiroto, “Vedrai, supereremo tutto questo insieme.”
Lo strinse a sé e gli baciò la fronte, vincendo l’imbarazzo. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore da quando avevano dichiarato l’un l’altro i propri sentimenti, ma in cuor suo sapeva che ora Ryuuji aveva bisogno di lui e di Suzuno. Non lo sentì opporre resistenza, anzi lasciò che si appoggiasse a lui e lo strinse in un abbraccio di conforto.
Suzuno nel frattempo si era avvicinato alle grandi finestre della stanza e stava guardando fuori con sguardo assorto. La pioggia non sembrava placarsi, nemmeno di fronte al loro sbigottimento. “Questa pioggia è assurda,” commentò. “Sembra quasi che voglia comunicarci qualcosa.”
Hiroto lo guardò sorpreso e stranito: non era da lui fare certe speculazioni, soprattutto considerando il suo cinismo volto ad accantonare qualsiasi superstizione. Su una cosa però non c’erano dubbi: quel clima era assolutamente fuori stagione, come se fossero stati loro il bersaglio di quell’innumerevole stormo di proiettili sottili.
“Dovunque sia Masaki, è al sicuro anche da quella, non c’è dubbio. Niente posta per lui.” sospirò. Ryuuji proruppe in una risata leggera, che gli scaldò il cuore. “Ora beviamo questo tè e diamoci da fare.”
 
Masaki sentì i passi di Kageyama salire la scaletta e tentò di premere ancora di più la schiena contro la parete. Abbracciò il cuscino e tenne il viso ben affondato nella stoffa umida di lacrime, troppo orgoglioso per alzare il viso verso l’amico.
“Non hai proprio voglia di parlare, eh?” mormorò Hikaru accucciandosi di fianco a lui. Masaki rimase in silenzio, non accennando a voler cedere. Per tutta risposta il ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro di rassegnazione. “Almeno lo vuoi bere un po’ di tè? L’ho fatto anche per mia nonna. Hai preso un sacco di pioggia, ti farà bene qualcosa di caldo.”
Solo quando l’aria venne pervasa dal profumo del matcha Masaki alzò gli occhi rossi verso Hikaru, senza però muoversi. Il ragazzo gli aveva appoggiato davanti una tazza fumante e la stava spingendo verso di lui come se fosse stato un gatto randagio. “Senpai, non mi aspetto che tu mi dica tutto… però sono preoccupato, sai?” lo sentì dire in tono docile, come se lo stesse accarezzando. “Quando mi hai chiamato non pensavo di trovarti davanti alla porta. Mi hai colto un po’ di sorpresa.”
Masaki rimase in silenzio e si appallottolò nel groviglio di coperte che Hikaru gli aveva preparato. Sapevano ancora di bucato e probabilmente avrebbero dovuto essere lavate di nuovo, sporche com’erano di muco e pioggia. Hikaru sorrise timido a quella reazione. “Sei comodo, almeno?”
Kariya annuì leggermente e si mise seduto lasciando scivolare il bozzolo di lenzuola che si era creato. Afferrò la tazza con entrambe le mani e il contatto con le mani fredde lo prese alla sprovvista. Decise dunque di usare il manico. “Grazie.” bofonchiò infine, e lasciò che il tè scaldasse le sue membra intorpidite.
Questa volta fu Kageyama a non voler rispondere.
   
 
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