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Autore: DeaPotteriana    16/04/2019    0 recensioni
Nessun mostro mi aveva mai prestato attenzione. Fu per questo che per tutta la mia vita ignorai di essere una semidea. Pensavo di essere una ragazza un po' sfortunata, forse, ma nel complesso abbastanza normale.
Fu una gioia scoprire di essermi sbagliata per quindici anni, sì.
Una vera gioia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chirone, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

 

 

Una voce alle mie spalle tossì per attirare la nostra attenzione e io mi voltai, pensando che avrei visto Vinny.

A dirla tutta Vinny c'era, ma era dietro a... A... Un uomo-cavallo?! 

"Io sono Chirone." 

"Sì, io... Lei..."

"La prima volta può fare un po' effetto, lo so. Però fidati di me, queste cose diventeranno sempre più normali, con il passare del tempo. Anche i centauri."

"Non so se mi rassicura molto, come previsione."

Chirone rise e mi porse la mano. 

"Katrina," mi presentai. 

"Incantato."

Beh, per lo meno era un mezzocavallo - pardon, centauro - molto gentile. "E questa dev'essere la giovane Violet."

Questa sorrise con il suo solito buon umore. 

"Camminiamo un po'?" propose Vinny, così facemmo un breve giro del Campo. 

"Devo farti i miei complimenti, Vincent. Dovevi occuparti di una semidea e sei tornato con due."

Vinny chinò la testa, ringraziando le parole di quello che avevo capito essere una specie di capo. Forse non fu molto gentile, ma smisi quasi immediatamente di prestargli attenzione, preferendo guardarmi attorno. Il Campo era magnifico. Sembrava quasi irreale, considerata la moltitudine di stranezze che camminavano come se niente fosse, - era un cavallo alato, quello?! - mischiate a decine di ragazzi e ragazze. Udii Chirone nominare un certo signor D., ma ero troppo distratta per capire cosa stesse dicendo. Superammo una distesa di fragole dall'aria squisita e rimasi delusa quando non ci fermammo ad assaggiarle, ma subito tornai allegra, perché quel posto era davvero incredibile. Passammo a lato di una grande armeria e un poligono di tiro con l'arco, dove alcuni giovani scagliavano frecce; superammo un muro per l'arrampicata - era lava, quella?! - e un altro campo di fragole. Diversi semidei si voltarono a guardarci, curiosi.

"Dopo la guerra," disse Chirone costringendomi a prestargli attenzione, "gli dei hanno promesso di riconoscere i loro figli prima che essi compiano tredici anni."

Indicò Violet. "Lei ne ha appena compiuti dodici, ma tu..." e mi guardò intensamente. "Tu hai superato l'età limite. Perché non sei stata riconosciuta?"

Sembrava parlasse più con se stesso che con me, perciò tacqui. Ci addentrammo nella zona che mi spiegarono essere riservata alle case e mi raccontarono di com'era prima, con la struttura a ferro di cavallo e il motivo per cui ne erano state costruite altre. "Una guerra," sussurrai. Mi pareva irreale.

Superammo alcune case e ci fermammo di fronte ad una in particolare. Probabilmente avrei tirato dritta senza rendermi conto della sua presenza, ma Violet puntò i piedi, più felice di quanto l'avessi mai vista. Vinny sorrise e Chirone lo imitò, mentre la giovane si avvicinava alla porta d'ingresso, da cui si udivano diverse voci cantare in armonia. "La settima casa," disse Chirone. "Dimora dei figli di Apollo."

E sopra a Violet, luminoso quanto il suo sorriso, comparve l'immagine di un sole.

Un ragazzo si avvicinò correndo; si fermò di fronte a noi e sorrise a sua volta, scompigliando i capelli della nuova arrivata. "Mi chiamo Will Solace, capogruppo della casa di Apollo... E tuo fratello maggiore."

Afferrò Violet da sotto le ascelle e la fece volteggiare in aria; la sua risata cristallina migliorò l'umore di tutti. Quella bambina era capace di portare gioia ed era forse la qualità più bella che avessi mai riscontrato in una persona. Ero felice di averla incontrata e l'espressione di Vinny mi fece capire che stava pensando la stessa cosa. 

"Lasciamo che si ambienti nella sua nuova casa," disse Chirone con un sorriso, ponendomi una mano sulla spalla e incitandomi a camminare. Passammo altre abitazioni, di cui Vinny mi spiegò velocemente l'origine. Scoprii che la numero otto apparteneva ad Artemide e che era vuota, in quanto la dea aveva fatto voto di castità. Seguì la casa di Efesto, da cui provenne il rumore di uno scoppio, e quella di Afrodite, troppo rosa per i miei gusti. Ci fermammo di fronte all'undicesima casa, quella di Ermes, il cui ingresso era un po' decadente. "Abiterai qui finché non verrai riconosciuta da tua madre," mi spiegò Chirone. "A questo proposito," continuò, "vorrei discutere con te di un paio di cose."

Lo guardai con aria interrogativa. "Le circostanze che vi hanno portati qui sono piuttosto... Interessanti."

Lanciai un'occhiata a Vinny, cercando di capire. "Vorrei che mi parlassi un po' di te," disse Chirone e il satiro annuì, incitandomi ad esaudire la richiesta. "Okay, bene, ehm... Okay."

Riordinai un secondo le idee. "Mi chiamo Katrina, come l'uragano. Sono nata il 28 agosto a New Orleans, Louisiana, quindici anni fa."

Era ironico che il 28 agosto di alcuni anni dopo fosse stato il picco di forza dell'uragano - il compleanno peggiore della mia vita. Le imposte che sbattevano, l'inutilità degli argini... Chiusi gli occhi, sopraffatta dal ricordo del panico che avevo provato quel giorno.

"Ehm..." cercai di riprendere il filo e scoprii che Vinny e Chirone mi stavano guardando, così mi schiarii la voce. "Sono dislessica, iperattiva, sfortunata e... E non lo so, okay? Non ho niente di particolare."

"Questo non è vero," sbottò Vinny. "Pensa bene."

"Io... Non ne sono sicura, okay? Però mi sembra di essere in grado di... Di cambiare le probabilità fino a renderle a mio favore. So che è da pazzi, ma credo sia vero; mi sono spesso ritrovata a desiderare tanto qualcosa - che un'insegnante fosse malata e ci facessero uscire prima, che la sfortuna si dimenticasse di me durante gli esami importanti... - e le mie "richieste" si sono avverate. Magari non tutte, ma in linea di massima sì."

Tacqui per un secondo, respirando profondamente.

"La verità è che sono sfortunata, ma molto meno di chi mi circonda."

Ricominciammo a camminare, superando le varie case, fino ad arrivare alla diciassettesima. "È l'ultima," spiegò Chirone, sebbene in realtà ci fosse un diciottesimo edificio. "Ma..."

Vinny seguì il mio sguardo. "Quella non conta. Sarebbe dovuta essere la diciassettesima, ma sua costruzione è stata interrotta prima che venisse finita. Un colpo di sfortuna, un congegno dei figli di Efesto si è rotto e con lui il tetto. È stata abbandonata e prima o poi sarà demolita."

Eppure aveva un fascino non indifferente. Mi avvicinai all'ingresso, salendo gli scalini che lo precedevano; la porta era caduta da tempo e per entrare dovetti passarci sopra. "È pericolante!" mi avvertì Vinny, ma poi fu messo a tacere - forse Chirone aveva capito di dovermi lasciar fare. Non c'erano mobili e tutto era coperto da uno spesso strato di polvere, che nell'ampia stanza principale lasciava spazio al fango, formatosi a causa di un grande buco nel tetto. Non sembrava necessitare di troppa mano d'opera, giusto un aggiustatina al soffitto, una rinfrescata alle pareti e una bella pulita.

Mi voltai per guardare fuori dalla casa e vidi Chirone parlare con una ragazza bionda con un computer tra le braccia. Dietro ai due c'era Vinny, impegnato a discutere con la figlia di Afrodite rossa-bocca-di-cuore, mentre dei bambini in pigiama si dirigevano verso una delle case. C'era anche lo sconosciuto dal giubbotto di pelle; stava parlando con due giovani quasi identici, magri e abbastanza alti, che sembravano intenti a rubarsi a vicenda un pacchetto di gomme, il quale passava da uno all'altro a una velocità impressionante.

Guardai un'ultima volta la casa, poi uscii con un groppo in gola.

"Non la si può rimettere a nuovo?" domandai indicando con una mano dietro di me. Un paio di ragazzi, che l'istinto mi disse fossero figli di Efesto, si grattarono il mento. "Si può provare, immagino," disse uno dei due. 

"A che ti serve, indeterminata?" urlò invece lo sconosciuto insopportabile. Sperai che si procurasse un altro bernoccolo e avevo appena formulato il pensiero, che il poveretto scivolò - da fermo! - e cadde a terra. Scesi lentamente gli scalini, incitandolo a sfidarmi ancora e osservandomi attorno per vedere se qualcun altro avesse voglia di darmi fastidio. Nessuno mi stava prestando attenzione, però, perché erano tutti impegnati ad osservare l'aria sopra la mia testa. 

Alzai il viso e vidi uno strano simbolo brillare, una specie di "u" rovesciata. Solo dopo qualche secondo mi resi conto che non era una lettera storta, bensì un ferro di cavallo capovolto. La voce di Chirone mi riportò alla realtà.

"Noi ti salutiamo, Katrina! Figlia di Eris, dea della discordia."


 

Eris non era mai stata considerata molto - non che si sforzasse, insomma... Tutto ciò che le associavano era la mela della discordia, grazie alla quale si era fatta una brutta fama. Una dea minore che non sopportava di essere esclusa: poteva esserci qualcosa di più patetico? Ad ogni modo, sembrava che fossi la sua unica figlia semidea e per Vinny era questo il motivo per cui nessun mostro mi aveva mai trovata e il nostro viaggio fino al Campo era stato sommariamente tranquillo. Era intervenuta lei e nemmeno Zeus avrebbe potuto costringerla a starne fuori. La verità è che mia madre - che strano definirla così! - stava al di sopra delle parti ed era meglio non farla arrabbiare; indisciplinata e facile all'ira, sembrava che nessuno desiderasse mettersi contro di lei, forse per paura o per buonsenso. Eris voleva proteggere la sua unica figlia semidea? Che lo facesse, non ci sarebbero state obiezioni. C'era un altro lato della dea, però. Quando si presentava come competizione, ti spingeva a superare i tuoi limiti. C'era la possibilità, dunque, che me le facesse passare di tutti i colori solo per costringermi a dare il massimo - speravo non le venisse mai in mente.

Quando Chirone mi salutò in quel modo e dichiarò a tutti l'identità del mio genitore divino mi prese il panico. Non è bello da dire, forse, ma fu ciò che accadde. Sgranai gli occhi e vidi tutti fissarmi impressionati, mentre qualcuno azzardava un passo indietro. Non sono molto fiera di come agii, perché scattai e corsi il più lontano possibile. Non prestai attenzione a dove stavo andando e forse avrei dovuto farlo, dato che mi ritrovai su una specie di molo in legno, di fronte a me solo acqua.

Il mare.

Sentii il panico montarmi dentro: dove potevo andare? 

"Fine della corsa!" esclamò una voce maschile dietro di me. È davvero necessario dire che mi spaventò, facendo sì che mi muovessi di scatto e che appoggiassi male un piede, finendo per cadere in mare?

No, vero?

Cercai di urlare, ma questo non mi aiutò, anzi, perché quando toccai l'acqua avevo ancora la bocca aperta e bevvi diversi sorsi; la sensazione che ne derivò fece scattare qualcosa nella mia mente e il panico si fece pressante nella testa e nel petto. Non riuscivo a muovermi, così com'era successo nel 2005.

Chiusi gli occhi, incapace di nuotare, e per la seconda volta nella vita mi preparai a morire annegata.

L'uragano Katrina aveva causato più di mille morti solo tra gli abitanti del Louisiana. A New Orleans il problema non era stato tanto l'aria, quanto piuttosto l'acqua. La tempesta, infatti, si era insinuata in più di cinquanta brecce nel sistema di argini che proteggevano la città e questo e le grandi precipitazioni causate da Katrina avevano portato all'inondazione della parte orientale.

Casa mia era là.

Avevo undici anni e non dimenticherò mai quello che fu il peggior compleanno che avessi mai immaginato. Ero in strada quando l'acqua arrivò con prepotenza... E mi portò via. Finii con la testa sotto e il panico mi impedì di muovermi per diversi secondi, mentre l'ondata mi trascinava con sé e diversi oggetti, da mobili a semplici pezzi di metallo, mi arrivavano addosso. La portata dell'acqua non era stata così eccessiva nel mio quartiere, in realtà, ma la paura aveva trasformato l'intera situazione in un incubo.

Avevo provato a lottare, ci avevo provato con tutte le mie forze, fino a consumare ogni briciolo di energia. A quel punto avevo chiuso gli occhi, accettando la morte... E qualcuno mi aveva afferrata per un braccio e portata in salvo - ora come ora mi chiedo se quell'intervento tempestivo non fosse merito di mia madre.

Ad ogni modo era da quel 28 agosto che avevo una vera e propria fobia dell'acqua.

E ora ci sarei morta dentro.

Percepii un movimento accanto a me e vidi l'acqua spostarsi per fare spazio a una figura scura, che mi afferrò per la vita e mi portò in superficie. Appoggiai la schiena al petto del mio salvatore e sputai tutto il liquido inghiottito, mentre ci avvicinavamo rapidamente al molo, su cui il ragazzo si issò con un braccio; con l'altro mi trasse all'asciutto. Appoggiai la fronte sul legno e respirai profondamente un paio di volte, tossendo e singhiozzando insieme.

"Stai bene?"

"L'a-l'acqu-a," riuscii a mormorare. Udii il ragazzo ridere e gli intimai con voce roca di smettere, ma questo non fece che aumentare le sue risate. Impiegai qualche minuto a riprendermi; quando alzai la testa vidi che lo sconosciuto era tornato serio - sebbene nello sguardo rimanesse una traccia di divertimento. Vidi questo e capii ben di più: a salvarmi la vita era stato lo stesso giovane dal giubbotto di pelle che più volte si era preso gioco di me. Era tutto bagnato a parte per il chiodo e gli anfibi, che evidentemente aveva preferito levare prima di tuffarsi.

Mi sedetti, passandomi una mano sui vestiti e constatando di averli rovinati. "Anni fa, io... Ho rischiato di annegare," sussurrai senza alzare la testa.

"E ora vai nel panico appena tocchi l'acqua."

"E ora vado nel panico appena tocco l'acqua," convenni. "È comprensibile," mi rassicurò e io finalmente alzai lo sguardo. "Se qualcuno non mi avesse spaventata, magari..."

"Se qualcuna non fosse scappata come una bambina, magari..."

Lo fulminai con un'occhiataccia. "Ho appena scoperto di essere la figlia della sfiga, non so se lo capisci!"

Il ragazzo rise di nuovo, alzandosi. "A me non sembra male."

"Cosa vuoi saperne tu?!" sbottai afferrandogli le mani e facendomi tirare in piedi. "Grazie. Anche per... Ehm... Prima."

"Dennis."

Lo fissai con aria interrogativa e lui sorrise, mentre cominciavamo a camminare. "È il mio nome. Dennis."

"Dennis," ripetei incrociando le braccia al petto. Lui sorrise. "Tu sei figlia della sfortuna, io della guerra. Mio padre è Ares."

"Il mio bravo soldatino."

Scacciai dalla mente quelle parole e guardai il ragazzo che mi stava a fianco, avviandomi verso l'interno del Campo. Due piccoli semidei mi fissarono spaventati e azzardarono un passo indietro. "Sto per vomitare," sussurrai. Dennis emise qualcosa di molto simile a un ringhio e avanzò verso i bambini, intimando loro di andarsene. I due non se lo fecero ripetere e in un istante corsero via. "Perché?" domandai.

Dennis mi lanciò un'occhiata confusa. "Prima ti sei preso gioco di me e ora stai dalla mia parte: perché?!"

"Sai, i nostri genitori combattono spesso fianco a fianco, in battaglia. E poi sai tenermi testa e chiunque sia in grado di farlo merita la mia attenzione."

Dunque mi afferrò per un braccio e mi costrinse a camminare. "Ti insegno a combattere," si offrì avvicinandosi all'armeria.

Si voltò a guardarmi, sorridendo, e improvvisamente mi sentii pronta a tutto.

 

 

 

Quindi ora sapete chi ero realmente. 

 

Il mio nome era Katrina, come l'uragano. Ero dislessica, iperattiva e... sfigata. Non nel senso "ragazza da parete", praticamente invisibile, no, ero proprio sfortunata. Mai quanto le persone che mi circondavano, comunque. 

Però, seriamente, cosa ci si poteva aspettare dalla figlia di Eris? Che poi... Che culo, eh? Figlia della sfortuna in persona!

Mi ero sempre lamentata della mia cattiva stella, ma era ora di smetterla con i piagnistei e cominciare a rimboccarmi le maniche. Per prima cosa avrei imparato a controllare i miei poteri, capendo come gestire la sorte e volgerla a mio favore.

Dopotutto, che cos'è la fortuna, se non l'assenza di sfortuna?

 

 

  
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