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Autore: Enchalott    16/04/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Senza apparente soluzione
 
Stava nuovamente piangendo. Eppure se l’era ripetuto alla nausea per tutta la giornata: basta, sii forte, pensa alla sofferenza di chi ti sta aspettando con la speranza sigillata tra le dita. Non pensare a te. Non pensare a… lui!
Invece, due nuove e dispettose lacrime le erano scivolate lungo le guance, inesorabili, e si erano disfatte sulle mani, che stringevano le redini di cuoio. Dolore soverchiante, che non accettava di restare rinchiuso, che non obbediva ai richiami. Oppure fragilità estrema di una persona che non aveva esperienza alcuna, che non aveva mai combattuto in prima linea e aveva erroneamente, arrogantemente, pensato di esserne in grado.
Il terreno accidentato consentiva al terzetto un passo sostenuto, ma era impossibile proseguire al trotto, a meno di non voler incoscientemente far azzoppare uno dei cavalli.
Il tratto di strada si inoltrava tra le colline brulle e battute dal vento, ma la lunga discesa verso il mare non era ancora iniziata. Erano lontani da tutto, sotto un cielo azzurro, ma freddo e sconosciuto.
“Preferisci che ci fermiamo?”
La voce profonda e gentile di Narsas la distolse dalle elucubrazioni. Si asciugò gli occhi con il dorso della mano e scosse la testa.
“No, possiamo proseguire”.
L’arciere le si affiancò, accompagnato dal lieve tramestio delle frecce chiuse nel lungo astuccio lavorato, che portava di taglio sulla spalla. La guardò, con quel suo sorriso appena accennato, che gli addolciva i lineamenti marcati e virili.
“Hai idea di chi sia il tuo nemico?” domandò a bruciapelo.
Adara trasalì e si voltò verso di lui, priva di risposte.
“Non ho mai pensato di averne alcuno” sussurrò mestamente.
“E lui ha contato sul fattore sorpresa” commentò il giovane tra i denti “Ma dovresti rifletterci. Prima l’orchya e poi il ponte. Non ho dubbi sul fatto che sia qualcuno dotato di notevoli poteri magici; quanto alla sua identità…” allargò le braccia.
La principessa rabbrividì, stringendosi nel mantello.
“Siamo davvero così terribilmente in balìa di costui, Narsas?”
“Sì, purtroppo lo siamo. Le mie frecce non possono nulla contro un simile avversario, così come la lama di Dare Yoon. Coraggio non è difesa. Sei tu che ci hai salvati, ma sei anche l’obiettivo, Adara. Per questo ti chiedo se possiedi anche un solo minuscolo sospetto su chi possa aver attentato alla tua vita”.
“Io? No. Io… non ho salvato proprio nessuno…”
L’Aethalas rise lievemente.
“È stato il tuo cuore, invece. O l’Imis’eli che porti su di te sarebbe rimasto inerte”.
Imis’eli. Crescente, nel dialetto delle tribù.
La ragazza si portò meccanicamente una mano all’ombelico, dove il tatuaggio della mezzaluna non dava più alcun segnale di sé. Sospirò, afflitta.
“In verità, è stata la prima volta che…”
Lui la guardò, sorpreso.
“Se io fossi stata in grado di controllare il Crescente, sarebbero tutti ancora vivi. Aska Rei sarebbe vivo! E io non…”
Le lacrime ripresero la strada verso l’esterno, vincendo anche l’imbarazzo del mostrarsi così debole e stanca davanti al guerriero. Lui allungò una mano e fece arrestare i corsieri.
“Come farò, Narsas? Come farò a dirlo a mia sorella?”
Si coprì il volto con una mano, curvandosi sulla sella, nel vano tentativo di nascondere quel pianto silenzioso e disperato.
Il giovane aggrottò la fronte, impensierito, e poi fissò Dare Yoon,
Il soldato gli restituì uno sguardo affilato, ma si rese conto di essere probabilmente quello meno indicato a risolvere la situazione. Neppure lui desiderava vedere la sua principessa distrutta dal dolore, con la coscienza ulteriore di non essere in grado di fare nulla per lei. Si lisciò il filo di barba che gli incorniciava il volto, ponderando le alternative. Poi smontò con rapidità e si allontanò di qualche passo, concedendo ai compagni di viaggio un po’ di privacy, ma senza perderli di vista. L’Aethalas continuava a non piacergli e non aveva affatto conquistato la sua fiducia.
Anche Narsas balzò giù, portandosi la faretra sul petto e avvicinandosi alla ragazza.
Lei cercò di tenerlo distante, ma lui infilò il piede nella staffa e si issò davanti a lei. Spronò e il cavallo riprese a camminare, ma fuori dal sentiero, avanzando nella terra soffice, verso la cima della più vicina collinetta erbosa. Il giovane sapeva di dover restare in vista per non mettere in allarme Dare Yoon e, soprattutto, per non ritrovarsi la sua spada micidiale piantata nelle costole alla prima occasione.
Adara appoggiò la fronte alla sua schiena robusta, reggendosi a lui, permettendo che la conducesse sulla sommità del poggio venato di arbusti gialli. Chiuse gli occhi in quel breve tragitto, lasciandosi cullare dal dondolio ritmico dell’animale, consentendo alla sua afflizione di trovare lo sfogo necessario, senza più cercare di frenarsi solo perché era la principessa di Elestorya e non desiderava che nessuno la scorgesse tanto spezzata e dolente.
Avvertiva il calore del guerriero del deserto, come se in sé portasse il sole eterno della sua terra; percepiva il suo respiro e su di esso si concentrò per ritrovare la regolarità del proprio, per tornare a pensare alla vita e lasciare alle spalle la morte.
Lui era un punto fermo, era qualcosa di solido e centrato, di indispensabile. Quell’idea che aveva maturato dell’arciere si era evoluta senza che lei se ne accorgesse, ma in quel momento era un faro e una certezza, sebbene si fossero conosciuti da una manciata di giorni e non sapesse quasi nulla sul suo conto. Un’infusione di coraggio, di valore estremo dell’esistenza. Questo era lui.
Narsas si concesse a quella stretta delicata, certo che essa avrebbe arrecato conforto a lei e infiniti danni a lui. Proseguì lentamente sulla salita morbida, fino a raggiungere la sommità tondeggiante del colle color zafferano, che contrastava nettamente con la sfumatura turchina del cielo. Un refolo d’aria gli scompigliò i capelli bruni e fece torcere la fascia di seta che gli scendeva sulla spalla, sollevandola come un vessillo dai toni topazio intenso. Spinse lo sguardo all’orizzonte e scorse un luccichio color cobalto, distante nell’atmosfera cristallina.
“Guarda…” mormorò.
La principessa socchiuse le palpebre e si sporse al suo fianco, facendo scorrere l’attenzione sulle gibbosità rocciose che si estendevano verso est. Poi lo individuò.
“Il Pelopi!” esclamò, puntando l’indice verso il lontano blu.
“Avevi mai visto il mare?” domandò l’arciere, girandosi verso di lei.
“Mai. E tu?”
“No”.
“Non pensavo che fosse così vicino…” ammise lei, con una nuova potente emozione nel cuore.
Il guerriero sollevò una mano e le sfiorò il viso, cancellando le scie delle lacrime.
“Mi… mi dispiace…” esalò lei, posando le dita sulle sue.
Lui scosse la testa, sorridendo.
“Siamo quassù affinché tu possa urlare e piangere e prendere a calci il mondo, se necessario. Adesso, per quanto a lungo occorrerà. Ci siamo, perché l’oceano che divide i due Regni è prossimo e allora non sarà più tempo per il dolore del singolo. Non sarà più il momento di accentrarci su noi stessi, verrà quello in cui la missione di cui tu sei guida avrà la precedenza. Anche sulle nostre effimere vite. Se così non fosse, ebbene, la morte avrebbe davvero vinto, strappandoci via gli affetti più cari, quelli che hanno offerto loro stessi in nome di un futuro che riguarda tutti. Non dobbiamo permetterlo”.
La ragazza lo fissò nelle iridi nere, con l’animo in tumulto. 
“Narsas…”
L’Aethalas scese a terra, sottraendosi al contatto tra loro, che lo stava distogliendo dai pensieri che voleva esprimere.
“Tu trasporti la Profezia, Adara…” continuò, piantandole addosso uno sguardo ardente “… tu rechi sulla pelle l’Imis’eli, il Crescente. E non importa se pensi di non essere stata scelta dagli dei, perché nessuno di noi è in grado di comprendere i loro complicati disegni. Ma la sacra Luna ti ha parlato, ha voluto che tu sopravvivessi e tu dovrai riuscirci un passo alla volta, non ti sarà chiesto nulla di più. La donna che scorgo davanti a me, la donna che tu sei, è in grado di compiere l’impresa, ne ha tutte le facoltà. Credi in te stessa, come faccio io. Devi però comprendere che il sentiero non è quello che tu ti sei figurata. Non ho alcun dubbio sulla tua risolutezza, Adara… e, per quanto vale, io sarò al tuo fianco fino alla fine”.
La principessa spalancò gli occhi, colpita a fondo dalle parole accorate dell’arciere, dalla sua profonda fiducia in lei, dalla fedeltà che aveva appena promesso. Aveva pochi anni più di lei, ma era un uomo nel profondo. Sapeva come parlare e cosa dire, in ognuna delle rare volte in cui apriva bocca. Era difficile che fosse in errore. Era ammirevole.
Balzò giù e si trovò faccia a faccia con lui.
“Narsas…La tua parola è preziosa per me” disse con dolcezza “Ma devi spiegarmi perché tu sei qui”.
Lui si irrigidì leggermente, ma non distolse lo sguardo da lei.
“Per uccidere una persona” replicò duro.
“Se fossi io quella persona, lo faresti comunque?”
Lui sussultò e una luce inquieta gli balenò negli occhi. Fu solo un istante.
“Perché me lo chiedi?”
Adara abbassò la testa e si portò le mani sul ventre, artigliando spasmodicamente la stoffa che celava il tatuaggio.
“Prima che il Crescente si manifestasse…” disse debolmente “Prima che ciò accadesse, io ero arroccata solidamente sulle mie convinzioni. Ho sempre pensato alla Profezia come a una splendida quanto inutile leggenda, non ho mai creduto che potesse essere veritiera… e ancora adesso fatico ad ammettere che, invece, potrebbe trattarsi dell’unica salvezza per noi. Mai, prima d’ora, questo segno d’inchiostro era intervenuto nella mia vita. Ho ritenuto che mia madre avesse ceduto a una superstizione, che la luna di sangue del mio primo giorno non fosse altro che un tramonto più spettacolare del solito”.
Il guerriero aggrottò la fronte, mentre lei giocherellava con il cilindro di metallo istoriato, che portava il sigillo del Sud e conteneva gli scritti sacri.
“Io ho voluto affrontare le prove dell’Anello del Sole e partire per un altro motivo” continuò quasi con timore “L’ho fatto perché il reggente del Nord possiede poteri straordinari e io aspiravo alla guarigione di mia sorella. Quando ho lasciato Erinna, non mi importava nulla di ciò che è custodito qui dentro, volevo solo che Dionissa continuasse a vivere, che sposasse l’uomo di cui è innamorata, che riavesse il suo Kalah! Nient’altro! Perciò dimmi, Narsas… dimmi se il mio è tradimento! Se sono io la persona che cerchi! E se è così, ti prego, uccidimi subito! Perché a causa mia Aska Rei è morto e altri sono periti con lui! Nessuno mi perdonerà mai per il mio egoismo, per la mia miscredenza, per la mia stupidità! Io stessa non mi perdonerò mai!”
L’arciere strinse i pugni lungo i fianchi e continuò a guardarla, ma in lui non c’era traccia di furore e l’arma letale gli era rimasta agganciata alla spalla.
Restarono in silenzio, l’uno davanti all’altra.
Poi, sulle labbra dell’Aethalas si disegnò un’ombra di sorriso. Le sollevò il mento con l’indice e la guardò dritta negli occhi.
“Se questo fosse tradimento” affermò “Io potrei anche tornarmene a casa”.
“Come?”
“Dovresti assolverti, invece. Avere dei dubbi è umano, così com’è legittimo crearsi una propria opinione o è ragionevole l’essere disposti a mutarla davanti all’evidenza dei fatti. È avvenuto nel modo peggiore ed è una lezione difficile da accettare, ma tu hai continuato ad andare avanti. La meta è difronte a te, non alle tue spalle”.
“Ma…”
“Ho anch’io una sorella. Se fosse in pericolo, farei la stessa cosa per lei, metterei il mio affetto davanti a tutto il resto. Perché sono intessuto di carne e sangue, non di pietra e sabbia… consideralo pure un egoismo. Non certo un tradimento”.
Adara respirava affannosamente, nel tentativo di arginare la commozione e le infinite sensazioni che lui le stava trasmettendo.
“Promettimi…” sussurrò con prepotente emozione “Promettimi che non mi lascerai, Narsas… e perdona questo mio nuovo, infantile egocentrismo…”
“Hai il mio giuramento” rispose lui con le dita tese sul cuore, senza remore “Ma questo non ti impedirà di odiarmi, quando toglierò la vita a uno del tuo sangue…Allora, sarai tu a non tollerarmi più accanto...”
La ragazza fu attraversata da un lungo sussulto e gli strinse gli avambracci, percependo i suoi muscoli solidi sotto il tessuto ocra della casacca.
“Pregherò Amathira ogni giorno, affinché ciò non accada! Ma se dovesse essere tale la sua divina volontà e un membro della mia famiglia si macchiasse davvero della colpa infame che tu dici, non potrei mai detestarti. No! Soffrirei, è vero… ma comprenderei le tue motivazioni. Narsas… se divenissi io infida e sleale, per qualche imperscrutabile ragione o per sopraggiunta follia, non sarei neppure degna di essere uccisa da un uomo del tuo valore! Perciò, tu non dovrai esitare!”.
L’arciere continuò a fissarla, con quello sguardo profondo e imperscrutabile, nel quale si leggeva tuttavia una sorta di liberazione.
“Io sono pronto, Adara” mormorò.
Ma la sua voce, questa volta, ebbe un tremito.
La principessa annuì, confortata, appoggiandosi a lui.
Narsas non si oppose e la accolse tra le braccia. Furono i suoi occhi a velarsi, ma si voltò dalla parte opposta e Adara non se ne avvide.
“Mi hai chiesto se penso di avere qualche nemico” mormorò lei dopo un lungo attimo “L’unico che mi viene in mente, seppur senza ragione palese, è il reggente del Nord”.
“Anthos? L’hai già incontrato?”
“No. Ma se Tasautia è caduto per magia e se qualcuno non desidera che io giunga a Jarlath, è la conclusione più logica. Anche se ingiusta, dato che non mi ha mai fatto nulla e non mi conosce neppure”.
“Sul fatto che non sappia di te, ho dei seri dubbi…” rimandò il guerriero “Il principe ha i suoi informatori e sono convinto che sia al corrente del tuo viaggio. Probabilmente, sa anche che ti stai portando dietro la Profezia”.
“Può essere che miri ad essa?”
“Mmmh… se così fosse, sarebbe più semplice accoglierti a palazzo con tutti gli onori per poi prenderti di sorpresa sul suo territorio. No, l’ipotesi non regge”.
“Allora forse lo accuso senza legittimo motivo. Non ha risposto a una mia missiva, ma è una cosa ridicola dargli dell’assassino per quello!”.
Il giovane scosse la testa.
“Ti assicuro, Adara… Per quanto ne so, Anthos è un assassino, questione della lettera o meno. Non te ne dimenticare, quando sarai al suo cospetto”.
Lei trattenne il fiato, intimorita. Un’altra conferma alla leggendaria crudeltà del signore di Iomhar. Inghiottì la paura e sollevò lo sguardo.
“Sono pronta anch’io, Narsas…”.
L’Aethalas annuì, posandole le mani sulle spalle.
“Prima di riprendere il cammino, dimmi una cosa, ti prego…” aggiunse lei con timidezza “Hai mai sentito di avere il cuore spezzato?”
Lui trasalì e le sue iridi scure vibrarono di una luce triste. Inspirò, come se volesse parlare e rivelarle qualcosa di importante. Ma poi negò.
“No” rispose semplicemente.
“Sono felice per te” ammise lei “Però, in tal caso, non posso chiederti consiglio su cosa fare per allontanare dal mio il masso che vi ha preso dimora…”
“Sì che puoi” rimandò il ragazzo con gentilezza “Vieni…”.
 
 
 
A causa del tempo incerto, che alternava un vento teso da ovest alla tempesta vera e propria, il porto di Vaneta era affollato come non mai e alcuni mercantili erano stati costretti ad attraccare in emergenza in seconda fila.
Ovviamente, il fatto aveva causato parecchi malumori, poiché gli equipaggi, per sbarcare, erano costretti a chiedere licenza di passaggio sul ponte all’imbarcazione che stava davanti e qualche benpensante aveva ritenuto geniale approfittarne, esigendo un balzello aggiuntivo.
Dalian osservò con ironia l’ennesima rissa, scatenatasi in pochi minuti sotto all’albero di trinchetto di un maestoso galeone ancorato lì accanto.
“Scommetto dieci aergid d’argento sul ciccione a destra” sghignazzò, appoggiando il gomito al parapetto di prua e sporgendosi per godere meglio della zuffa.
“Non hai di meglio da fare?” saettò Bicks, arcigna.
“Sinceramente no, ho già provveduto ai miei compiti odierni, mia cara” sbadigliò lui, notando che qualcuno dei contendenti era già passato ai coltelli.
La donna lo fulminò con lo sguardo e si scostò la lunga treccia corvina dalla spalla, appuntandosela con vezzo sotto il cappello nero a tre punte. Da una di esse faceva capolino una soffice piuma rossa. Piantò i pugni sui fianchi e quel gesto caparbio mise in evidenza il suo fisico asciutto, fasciato in un prezioso corsetto di velluto color corallo, impreziosito sul davanti da quattro alamari dorati.
“Piantala con lo spirito! Che ti ha detto il tizio che ci ha chiesto un passaggio verso il Nord, piuttosto? Avete pattuito la cifra?”.
Uno dei litigiosi marinai della nave mercantile fu preso di peso e scaraventato in acqua. Dalian non riuscì a capire se vivo o morto.
“Sì, ha garantito che salirà a bordo a breve e mi ha già consegnato un anticipo. Ci sono altri quattro individui ad accompagnarlo” rispose.
“E tu hai alzato la tassa d’imbarco, suppongo…”
“Per chi mi hai preso!?” fece lui risentito “Certo che l’ho alzata! Non siamo mica il banco di beneficienza, per tutti i diavoli!”
Lei sorrise furbescamente.
“Che impressione ti ha fatto? Non sono riuscita a vederlo bene da quassù”.
“Se è per quello, neppure io che ce l’avevo a una spanna. Ha continuato a tenere il dannato cappuccio calato in testa e non ho potuto notare nulla. Non aveva alcun accento, perciò non so assolutamente da dove arrivi. Ho più fatto caso alla scarsella in cui custodiva le monete, invero: è ben pasciuta e la cosa mi ha entusiasmato subito! È una bella signora da corteggiare, ti garantisco. Inoltre, i cavalli che si tira dietro sono bestie di un certo pregio e sono tutti stracarichi di merce. Gli altri quattro uomini non hanno detto una parola e sono rimasti in disparte con aria indifferente… mi sono parsi semplici servitori, completamente anonimi. Niente insegne e niente simboli. Zero assoluto”.
“Sono armati?”.
“Al solito”.
“Bene” dichiarò Bicks, pratica.
“Gli ho indicato di cercare alla rada la nave che si chiama Amara e lui ha risposto che l’avrebbe trovata senza problemi”.
“Suppongo che il vento contrario si deciderà a cessare in una manciata di giorni. Magari ci porterà bene e nel frattanto riusciremo a raccogliere altri passeggeri”.
Dalian alzò le spalle, fissando il volo dalla murata di fronte di un altro contendente, che piombò a mare con un grido strozzato.
“La vera fortuna è che tutti se la stiano facendo sotto per paura di Tsambika…Sembrano delle donnette isteriche! Guarda lì…”
Lei sogghignò con disprezzo, appoggiandosi al parapetto del ponte di prua.
In quel momento, sulla passerella di carico risuonò un rumore di zoccoli in lento movimento.
“Lupus in fabula…” commentò allegramente l’uomo di mare.
La donna si sporse e lanciò un’occhiata in tralice ai cinque cavalli che stavano percorrendo il ponticello di legno: quattro portavano pesanti bisacce chiuse con robuste cinghie di pelle, mentre uno, privo di carico, procedeva al passo poco discosto dal suo padrone, in testa alla fila.
I marinai di turno si affrettarono a condurre gli ospiti sotto coperta, affinché trovassero sistemazione al più presto.
Bicks si raddrizzò e scese rapidamente le scale del castello, dirigendosi al ventre della nave, tallonata dal compagno.
Gli animali erano stati collocati in una parte della stiva, adattata allo scopo. Alcuni erano già senza sella e i loro proprietari li stavano strigliando con cura.
Un uomo alto, infagottato in un pesante mantello color fuliggine si voltò, accennando un rapido e silenzioso saluto.
Era come aveva anticipato Dalian: il suo viso era quasi del tutto in ombra, celato nell’oscurità dello spesso cappuccio, da cui uscivano solo un paio di ciocche bionde.
Bicks si fece avanti, sollevandosi la cappa di velluto color seppia su una spalla, certa del proprio charme, per carpire qualcosa in più sul conto del nuovo arrivato. Generalmente, gli uomini tendevano a sbottonarsi di più con lei, che, grazie all’esotica bellezza, era sempre riuscita ad affascinare anche i più ritrosi. Far abbassare la guardia per carpire la portata economica del passeggero era una delle sue specialità.
“Vi porgo il benvenuto sull’Amara” pronunciò con tono deciso e suadente, tendendo il braccio “Io sono Bicks, il comandante in seconda. Lieta di conoscervi”.
Lui rimase impassibile e si limitò a stringerle con educata freddezza la mano.
“I miei omaggi, signora”.
La voce che uscì dalla stoffa, ancora tenacemente tirata sul capo, era profonda e impostata; la sua stretta era salda e priva di incertezze.
La donna inarcò un sopracciglio, con una punta di fastidio: era solitamente abituata ad un galante baciamano oppure ad uno sguardo di più o meno esplicita ammirazione. Inoltre, lui non aveva dichiarato il proprio nome. Non si diede per vinta.
“Contiamo di salpare in un paio di giorni: ci duole per l’incomodo, ma il vento non obbedisce ancora ai nostri ordini. I miei uomini vi indicheranno le vostre cabine, appena ne avrete la necessità”.
“Grazie. Una per me e un’altra per il mio seguito saranno più che sufficienti. Arrecheremo il minor disturbo possibile”.
Bicks arrossì di rabbia alla replica distaccata e priva di orpelli, ma fece del suo meglio per non darlo a vedere. Tornò alla carica, più per sfida personale che per interesse. Anche se l’uomo misterioso punzecchiava la sua curiosità.
“Nessun disturbo” sorrise melliflua “Anzi, sarebbe un piacere avervi questa sera a cena come ospite, mio e del capitano Dalian s’intende,”.
“Onorato” replicò lui con garbo “Ma non posso accettare. Avverto il peso del lungo viaggio, sarei un commensale di scarsa compagnia. Preferirei ritirarmi al più presto, con il vostro permesso”.
Lei spalancò gli occhi a mandorla, incredula e ormai a corto di mosse.
“Come desiderate” disse, stringendo le labbra.
Dalian sogghignò fra sé e sé, divertito dalle lusinghe andate a vuoto, conscio che l’amica doveva essere decisamente su tutte le furie per aver fallito.
La sua attenzione si spostò sugli altri quattro passeggeri, che non avevano ancora aperto bocca e si muovevano come automi per sistemare alacremente le loro cose.
All’improvviso, un pesante bauletto di legno cadde a terra con un sonoro tonfo, calamitando gli sguardi di tutti i presenti.
Il comandante fece l’atto di aiutare l’uomo che tentava di sollevarlo con un certo sforzo, per mostrarsi gentile e, soprattutto, per stimarne il contenuto, ma questi se lo issò in spalla con un grugnito, senza minimamente considerarlo o ringraziarlo.
Dalian aggrottò la fronte, sentitamente offeso.
“Per la grande onda!” esclamò seccato “I vostri servitori sono dei veri buzzurri o hanno perso la lingua, a quanto pare!”
L’uomo in grigio si voltò nella sua direzione, chinando leggermente la testa.
“La seconda che avete detto, capitano” affermò piatto “Dalle mie parti, a chi si rivela eccessivamente mendace, spetta esattamente ciò che voi avete intuito. Nel mio piccolo, preferisco essere circondato da persone che non possono raccontare in giro gli affari miei. Offro loro un lavoro, però. Un buon compromesso, non credete?”.
Dalian restò a bocca aperta per qualche secondo, prima di bofonchiare che la sua era un’ottima idea. Poi chiamò un mozzo, affinché accompagnasse l’impenetrabile ed agghiacciante individuo nel suo alloggio.
“Un vero allegrone…” commentò, seguendolo con lo sguardo mentre si allontanava.
“Presuntuoso e caldo come le nevi di Iomhar” rincarò Bicks, affiancandoglisi a braccia conserte.
“Avverto una punta d’orgoglio ferito nel tuo resoconto…” sghignazzò lui.
“Non dire stupidaggini!” ringhiò lei, irata “Se non preferisce gli uomini, ho tutto il tempo per farlo capitolare! Il viaggio fino a Neirstrin è lungo!”
“Sì, sì…” concesse lui graffiante “A meno che il tuo sex appeal non stia perdendo colpi! Non sei più una ragazzina, Bicks!”
Per tutta risposta, lei gli rifilò un calcio negli stinchi, accompagnandolo con un improperio poco edificante e si diresse impettita all’uscita.
“Ouch!” incassò Dalian “Lo sai che detesto quando diventi così volgare!”
“E io quando ti permetti un’eccessiva confidenza!” gridò lei senza girarsi.
Lui ridacchiò, soddisfatto, e lasciò la stiva.
 
 
Urien versò nel bicchiere d’oro massiccio una buona dose di vino caldo e speziato. Lo sollevò con calma e ne assaporò l’aroma lievemente piccante e intenso. Si leccò le labbra come un animale da preda e inchiodò i terrificanti occhi color borgogna, assurdamente intonati alla bevanda che si era appena servito, sul tremebondo primo intendente di palazzo.
“Il reggente non è ancora tornato a Jarlath, come puoi constatare. Pertanto dovrai riferire a me, Iristan… è forse un problema?”
L’uomo deglutì un paio di volte, prima di riuscire ad articolare la risposta.
“N-no, mio signore… affatto…”
Il Consigliere fece un gesto con le dita adunche, indicandogli di proseguire e il funzionario snocciolò tutto d’un fiato il suo rapporto.
Urien faticava a conservare il minimo della pazienza e dell’interesse durante le udienze, ma era costretto a svolgere le veci di Anthos, compresa la sopportazione del resoconto settimanale più noioso di tutti.
Quelle stupide chiacchiere lo privavano del tempo che gli era utile a svolgere le proprie ricerche. Anzi, la lontananza del principe era da considerare un notevole elemento a suo favore e, se non fosse stato costantemente assillato dalle questioni burocratiche del regno, certamente avrebbe potuto sfruttare al meglio quell’incredibile colpo di fortuna. La presenza del sovrano, invece, limitava il suo raggio d’azione. Non era semplice operare in segreto, perché Anthos non era affatto uno sprovveduto. Una sola mossa azzardata e avrebbe attirato su di sé i suoi sospetti e, conseguentemente, la sua magia devastante. Braccio destro o meno, sarebbe stata la sua fine, se lui avesse scoperto a cosa mirava realmente. Non era ancora pronto ad affrontarlo. Non ancora.
Aveva messo gli artigli su qualcosa di grosso. È vero, aveva lavorato molto in quella direzione, ma solo di recente aveva iniziato a raccogliere i frutti di tale fatica.
Unica soddisfazione in mezzo ad altri fallimenti. Stentava ancora a credere di non essere riuscito a portare a compimento un paio di idee niente male. Ma era necessaria molta cautela e, soprattutto, calma. La stessa che in quel momento sfumò definitivamente.
“C’è altro, Iristan?” sbottò con malagrazia.
Il poveretto si interruppe, più terrorizzato che mai, stringendo al petto i fogli minuziosamente vergati d’inchiostro bruno. Era riuscito a terminare il suo rendiconto senza morire e quello era già un notevole traguardo. Forse, il reggente sarebbe tornato entro i successivi sette giorni e l’appuntamento prossimo sarebbe stato con lui, non con l’essere spaventoso che si era scelto come vice. Non che Anthos gli provocasse meno angoscia, ma era più abituato a rapportarsi con lui.
“Un solo punto, Consigliere…” azzardò.
“Sentiamolo…” fece lui con disappunto.
“Ecco… il guardiano delle carceri ha chiesto licenza di matrimonio…”
“Che cosa?! Haffgan?! Ma non scherziamo! Dove vorrebbe andarsene con le prigioni piene di reclusi? Che razza di idea…”
“C-chiedo venia, signore, non mi sono spiegato bene… ehm… Il custode ha solo comunicato che intende sposarsi, non che partirà da Jarlath”.
“Allora cosa vuoi che mi importi!!” tuonò Urien, sentendo definitivamente la pazienza che si volatilizzava “Faccia quel che crede, non mi interessa!”.
L’intendente prese nota con fastidiosa puntualità che il permesso era stato accordato e porse il fascicolo all’uomo in nero.
Lui sbatté il calice sul tavolo e appose frettolosamente il suo sigillo.
“E ora levati dai piedi!” sentenziò, alzandosi dallo scranno “Ho già perso fin troppo tempo!”
Il malcapitato trottò verso l’uscita con un sospiro di sollievo.
“Ridicolo…” considerò tra sé Urien con una smorfia, alludendo alla notizia delle nozze del demone delle carceri.
Si versò un'altra coppa di vino e, finalmente si ritirò sui propri oscuri progetti.
   
 
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