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Autore: LanceTheWolf    16/04/2019    0 recensioni
Durante uno scontro due compagni di battaglia si ritrovano bloccati su un sporgenza rocciosa instabile.
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Planet's War'
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Titolo: Il vulcano

Cow-t 9, prima settimana, M1.
Prompt: Tensione
Numero parole: 5189
Rating: Verde/Giallo
Fandom: Originale

Introduzione: Durante uno scontro due compagni di battaglia si ritrovano bloccati su un sporgenza rocciosa instabile.
Genere: Fantascienza; Guerra
Coppia: Nessuna
Avvertimenti: Contenuti forti.
Note: questa storia fa parte della serie
Planet's War
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“Finirà male, te lo dico io, amico?” dichiarò per l’ennesima volta Herk. Il ragazzone dagli occhi e i capelli scuri fissava il vuoto sotto di lui, bloccato sulla sporgenza che aveva stupidamente creduto gli avesse salvato la vita, ma che si era rivelava in realtà solo lo scherno assurdo di qualche divinità burlona, divertita dal metterlo faccia a faccia con quello che in quel momento appariva essere il preludio a una catastrofe certa.
Finiscila, maledizione!” gli intimò Shein, che di diverso dall’altro ragazzo aveva solo la carnagione chiara e la corporatura più minuta. 
“Spiegami perché dovrei finirla”, rimbeccò Herk, “sono un medico, te lo dimentichi? So perfettamente cosa uccide le persone e un volo da questa altezza ti posso assicurare che uccide. Punto. Stiamo solo tardando l’inevitabile, tanto vale fare un passo nel vuoto e finirla all’istante”.
Cielo, quanto sei idiota!” ringhiò Shein a denti stretti. “Non sei di nessun aiuto così, lo sai? E poi se tu l’avessi voluto fare, se avessi voluto ammazzarti, lo avresti già fatto, no?” aggiunse subito dopo, ricercando un tono meno aggressivo. Sapeva che la situazione non era certo delle migliori e che tutte quelle chiacchiere non erano altro che il modo di Herk per affrontare la tensione accumulata durante l’attesa. Avrebbe dovuto essere più diplomatico forse, rispettare il suo ruolo nella squadra, ma anche lui era su quella sporgenza, schiacciato contro la parete di quel cratere e con lo spazio sotto ai piedi appena sufficiente a permettergli di mantenere quella posizione; questo almeno fin tanto la stanchezza, il dolore e il calore non avrebbero avuto la meglio.
Il calore, già il calore, se lo sarebbe dimenticato con piacere non fosse che sentiva la pelle scaldarsi di più a ogni secondo che passava e il respiro farsi minuto dopo minuto più faticoso. L’aria calda gli entrava dentro: sentiva la gola e i polmoni bruciare e non era sicuro che a ucciderlo sarebbe stata prima la perdita di conoscenza o le inalazioni tossiche di quel vulcano.
Il respiratore era danneggiato, ma i filtri del casco sembravano ancora tenere.
“Già!” arrivò la voce di Herk.
“Ci verranno a prendere”, si sbrigò a rassicurarlo Shein e nel farlo una parte di lui sperava davvero che il solo dirlo potesse in un qual modo confortare anche se stesso. Volse le iridi in tempo per vedere le labbra del ragazzone accanto a lui piegarsi in uno strano sorriso: un ghigno rassegnato.
“Non farlo”, gli disse ancora. “Non pensare che sia finita, non funziona così, sai?”
 
Herk si voltò a guardare il compagno di squadra, si era sempre domandato come mai un ragazzo come lui fosse entrato nell’esercito, ma soprattutto come avesse fatto a rimanerci. Aprì la bocca per chiederlo, morti per morti, quella almeno era una curiosità che non si sarebbe portato nella tomba, non fosse che…
“Non te l’ho mai chiesto, Herk”, la voce di Shein riempì l’aria prima della sua, “perché un medico come te ha scelto questa vita. Perché il fronte prima, perché i gruppi speciali dopo, perché buttare via anni di studi per mettersi a pilotare un caccia?”
“Potrei farti la stessa domanda”, rispose lui. “Io almeno ho la scusa che provengo da una famiglia di militari, tu che scusa hai? Eri un cantante prima, non è vero?”
“Già, ma dopo quest’avventura non credo che le mie corde vocali riescano a tenere alta la benché minima nota”.
“Ahhh, deve essere parecchio che sei fuori dal giro, allora. Se avessi sentito con che roba si stordisce la gente adesso, non lo diresti!”
 
Shein sorrise. Herk aveva sempre avuto il dono di riuscire a strappare una risata, che fosse a lui o al resto della squadra, non importava in che situazione di merda si trovassero, la verità era che sapeva sempre come tirare su il morale e ci stava riuscendo anche in quell’istante. “E dire che doveva trattarsi una semplice missione diplomatica”, lagnò neanche fosse un bambino.
 
“Beh, in quella parte ce la siamo cavata discretamente, è stato sulla storia dell’attentato che…” Herk non finì la frase che il fragore di un’esplosione sulle loro teste fece franare parte della parete. Fu rapido a schiacciare il compagno di squadra addosso alla roccia. L’istinto in lui, come sempre, agiva prima della mente, soprattutto in situazioni di tensione come quella che stavano affrontando. “Tutto bene, amico”.
 
“Tutto bene”, rispose Shein con un filo di voce, tossendo polvere e calore, saldo nella stretta del compagno. Sollevò il volto verso l’imboccatura del cratere. Gli occhi bruciavano per la terra smossa dai detriti e solo il tentativo di aprirli era stata una vera e propria agonia.
“Verranno davvero”, giunse la voce di Herk, questa volta era lui a cercare di rincuorarlo. Quel ragazzone dalla pelle scura, che solo pochi minuti prima aveva dato entrambi per spacciati, adesso non sembrava minimamente preoccupato dalla situazione. “Finché il combattimento nel cielo imperversa, l’unica cosa realmente certa è che il resto della squadra sta resistendo e noi abbiamo l’obbligo di sopravvivere. Glielo dobbiamo, ok?”
“Ok”, rispose Shein, mentre piano tentava di vedere, nella poca luce che giungeva, oltre i fumi dell’esplosione e della frana. “Ma… come faranno a trovarci? Non sono nemmeno sicuro che sappiano che siamo ancora in vita.”
“Lo sanno.”
“Come? Il nostro velivolo è precipitato, i nostri comunicatori sono fuori uso e…”
“Ci hanno visti mentre ci lanciavamo.”
Herk sembrava avere una risposta pronta per tutto, ma erano bloccati in bilico su una sporgenza nella stramaledetta bocca di un vulcano. “Ma…”
“Il Capitano non si arrende mai, lo sai. Fidati di lui, io mi fido.”
“Anche se fosse, anche se…” questa volta troncò da solo il suo parlare, la ferita al fianco si faceva sentire, ma l’amico aveva ritrovato fiducia e non voleva certo smorzare il suo entusiasmo proprio in quel momento, non poteva.
“Fa male non è vero?” Arrivò bassa la voce di Herk. “Vedrai che non è nulla di tanto terribile, ma la prossima volta evita di rischiare tanto solo per non farmi finire arrosto, ok?”
Shein si voltò a guardare l’amico stupito: se ne era accorto? Ma come poteva essere stato possibile?
Herk ciondolava a diversi metri sotto di lui, quando il suo peso l’aveva letteralmente fatto sbattere contro le rocce sporgenti e il ricordino che si portava addosso ne era stato il risultato: un paio di costole inclinate forse o chissà cos’altro, fatto stava che faceva terribilmente male ogni volta che si ricordava di dover respirare.
Durante la caduta il suo paracadute si era impigliato a uno sperone di pietra, arrestandone la discesa, ma lo stesso non era avvenuto per Herk. Non aveva propriamente pensato quando, sentendosi frenato, aveva afferrato le stringhe dell’altro soldato.
Shein si portò la mano destra a pulirsi gli occhi dalla polvere attraverso la visiera rotta e il sudore arrivò a pizzicare la ferita sul palmo: quella presa istintiva gli aveva segato i guanti e la pelle. Era stata una pazzia la sua, aveva rischiato la vita di entrambi con quel gesto, ma non era riuscito a evitarselo: quello in pericolo era stato il suo amico Herk e, a dirla tutta, non gli aveva ancora restituito i cento Bitcoin che gli aveva prestato.
Il ragazzo ritrovò il sorriso a quel pensiero, guardando la lacerazione della pelle sulla sua mano. Non era molto profonda, ma se distendeva le dita il sangue prendeva a colare come se fosse stata appena inflitta.
“Cazzo! Ancora non si chiude?” notò Herk preoccupato, afferrando la mano dell’amico e osservandola meglio da vicino.
“Deve essere tutto ‘sto caldo”, disse Shein, cercando una qualche spiegazione alla cosa proprio nel luogo in cui si trovavano.
“Uhm”, mugugnò il compagno di squadra, “certo, il caldo, come no”, mentre afferrava parte del tessuto del paracadute ancora impigliato accanto a loro ed, estraendo il coltello dalla cintura, ne strappava una bella striscia.
Qualche minuto dopo Shein si trovò la mano stretta in un involto di stoffa semimpermeabile. “Tieni il pugno chiuso, ok? Avrei dovuto fasciarti tutta la mano in modo che non l’aprissi, ma non stiamo esattamente nella posizione migliore per sperare di potercela cavare con una mano in meno, giusto?”
“Già”, si limitò a commentare il sistemista della squadra.
 
Un nuovo boato fece tremare nuovamente la roccia, ma questa volta l’esplosione doveva essere stata più distante della precedente.
Herk trattene il respiro, mentre ancora il braccio aveva spinto prontamente il compagno contro la pietra al primo segnale di tremore. “Non va bene”, disse, appena tutto si quietò.
“Non ricominciare, ti prego”, supplicò Shein con un fare scocciato.
“Non voglio gettarmi nella lava, tranquillo, solo… forse dovremmo scalare la parete, non credi?”
Un ghigno da parte di Shein annunciò l’arrivo di un tono amaramente ironico. “E non credi che se fosse stato possibile lo avrei già proposto?”
Il ragazzo dalla pelle scura strinse le labbra in un’espressione di stizza. “Deve esserci un modo per risalire, dannazione!
Shein sospirò, sollevando lo sguardo verso la bocca del vulcano. “Ci sono diversi appigli più in alto, ma…” Indicò qualche metro sopra le loro teste. “…se anche avessimo un’idea su come arrivarci, dovremmo scalare a mani nude più di cinquanta metri di parete instabile, senza contare che fuori c’è la battaglia.”
“Se ti sollevassi sulle spalle forse…”
“Herk”, l’interruppe il compagno, “ragiona. Le esplosioni hanno contribuito a rendere la parete ancora più friabile e le poche rocce che affiorano sono, per la natura intrinseca di questo maledetto vulcano, taglienti come lame”.
 
Passo qualche minuto in completo silenzio tanto che Shein credette di essere riuscito a far demordere l’altro soldato, prima che quest’ultimo, “Credo di potercela fare”, disse.
Si voltò verso il ragazzo che aveva appena parlato e lo trovò ancora a testa all’insù, attento a misurare con lo sguardo la parete a picco su di loro.
“Ero un asso in accademia in questo genere di cose. Ce la posso fare.”
“Sono Cinquanta metri minimo, Herk”, tentò di farlo ragionare, “e non stai meglio di me. Stiamo inalando chissà quali porcherie da quasi un’ora ormai.”
“Quaranta minuti”, lo corresse il medico, “ed è sempre un’idea migliore di quella di rimanercene fermi qui ad aspettare di schiattare.”
Shein scosse la testa, ma non fece in tempo ad aprire bocca che vide l’altro ragazzo voltarsi completamente verso la parete.
“Credo ci sia un altro spiazzo come questo una decina di metri più in là, lo vedi anche tu?”
Shein tornò a guardare in alto. Aveva già notato quella sporgenza nera di ossidiana, ma… era ossidiana appunto, spaccata verso l’esterno e tagliente come un bisturi. Non vedeva modo di arrivarci senza che si ferissero nel tentativo di farlo.
“Herk”, lo chiamò ancora con rassegnazione nella voce. La sua voce… da acuta come il miagolio di un gatto sembrava essere diventata stridente e fastidiosa come il cigolare di un cancello arrugginito.
“Ce la faccio”, dichiarò deciso, ancora una volta, il medico del gruppo, proprio mentre una nuova esplosione lo coglieva del tutto sbilanciato.
Questa volta fu il turno di Shein di intervenire per ridare equilibrio all’enorme soldato al suo fianco.
“Cavolo, per un pelo, amico. Grazie.”
“Vuoi ringraziarmi?” ribatté Shein preoccupato e con il corpo che gli doleva più di quanto potesse anche solo sospettare prima che il dolore venisse risvegliato da quel suo ultimo gesto. “Piantala di dire fesserie una volta per tutte e siediti in modo da non rischiare ancora di precipitare nel vuoto. Non ti ho salvato un ora fa per vederti morire adesso, intesi?”
“Quarant…”
Quaranta, cinquanta minuti, cosa diamine cambia, Herk?” sbottò Shein, gridandogli contro esasperato.
A quel dire l’altro ragazzo sembrò subire in pieno il colpo, tornò a voltarsi, riprendendo una posizione più stabile e lentamente si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete fino ad arrivare seduto su quel piccolo davanzale di roccia. Shein, dopo poco, fece lo stesso e, con aria abbattuta, disse: “Mi dispiace, è tutta questa tensione, io… non volevo...”
“Lascia stare. Hai ragione”, intervenne Herk seccamente.
“Beh, almeno adesso stiamo seduti.”
“Già”, ghignò il ragazzone, “quanto pensi reggerà ancora questa lastra di pietra?”
“Il tempo necessario affinché vengano a riprenderci, spero.”
“Lo spero anche io.”
 
Erano passati diversi minuti, di questo Herk era certo, come era certo di non aver fatto altro che fissare per tutto il tempo lo scorrere di ogni singolo secondo sulle lancette del suo orologio. Shein accanto a lui non parlava, era da un po’ che osservava in silenzio il precipizio scuro sotto di loro con uno sguardo vacuo.
I piedi di entrambi ciondolavano senza alcun appiglio e questo Herk non avrebbe mai creduto potesse essere tanto destabilizzante prima di provarlo sulla sua stessa pelle e così tanto a lungo. Le ossa gli facevano male costretto quasi del tutto immobile in quella posizione da troppo tempo.
Tornò a volgersi verso il sistemista: il ragazzo sembrava più pallido di quanto non l’avesse mai visto prima, malgrado la terra che gli sporcava la faccia. Le labbra erano socchiuse e gli occhi… cielo! Se prima erano semplicemente vacui adesso erano socchiusi e fissi sul nulla. Sembrava così debole. Lo sguardo gli scivolò sulla mano che gli aveva fasciato. Si era raccomandato che la tenesse chiusa, ma era lì, aperta, poggiata a palmo in alto sulla roccia tra di loro; rivoli scuri si dipanavano dalla fasciatura fino a rigare la pietra sottostante e gocciolare nell’oscurità.
“Shein”, lo chiamò. La sua voce uscì rauca e forzata come se avesse ingoiato una serie infinita di lamette, ma il ragazzo al suo fianco non reagì come se non l’avesse udito affatto. “Accidenti, mai che ascolti quando…”, non c’era fatica o lametta abbastanza tagliente nella gola che l’avrebbe fermato dall’inveire contro un suo paziente sconsiderato, soprattutto se questi altro non era che uno dei suoi amici, ma fece a malapena in tempo ad afferrargli la mano che lo vide dondolare pericolosamente in avanti. Rapidamente gli piazzò una mano sul petto, spingendolo indietro, prima che precipitasse nel vuoto.
“Shein, ma cos…”, ancora la voce gli morì sulle labbra, il corpo del ragazzo era del tutto abbandonato contro la parete e contro la sua spalla, gli occhi ridotti a una linea sottile e vuota. “Non mettermi paura, maledizione!” L’aggredì senza avere alcun riscontro da parte dell’altro. Spaventato mosse le mani verso il collo del ragazzo: il battito e il respiro c’erano, fievoli, ma c’erano.
Le lacrime cominciarono a rigargli il viso: troppa era la tensione e troppo era stato il timore di averlo perso, di aver perso il suo compagno senza neanche accorgersene. Si morse l’interno delle guancia, rendendosene conto solo non nel momento in cui il sapore ramato del suo stesso sangue gli scese in gola. Portò il dorso della mano libera, quella con cui non teneva il compagno, ad asciugarsi gli occhi.
“Shein, ehi!” lo scosse, cercando di destarlo, cercando di fare nemmeno lui avrebbe saputo bene dire cosa.
L’amico venne percorso da un fremito violento a quel suo fare, mentre un colpo di tosse lo costringeva a piegarsi nuovamente in avanti, verso il braccio con cui Herk lo tratteneva saldo su quella roccia, e a sputare sangue.
“Herk?” domandò Shein spaesato, rinvenendo, cercando di alzarsi come se non si rendesse realmente conto sul dove si trovasse in quel momento.
 “Cos… no fermo, fermo, cazzo!” A stento riuscì a tenerlo il più immobile possibile per evitare che gli sfuggisse e precipitasse nel vuoto. “No, no, non va bene, non va bene per niente, amico”, riprese a dire non appena riuscì a calmarlo, “Devi avere un polmone perforato.”
Shein sembrava sveglio in quell’istante, ma Herk non era sicuro che lo capisse: lo guardava come se non lo riconoscesse davvero e inalare i gas di quel vulcano non stavano migliorandone la situazione.
 
Rimanere lì ad aspettare non era più fattibile, stimò Herk, se anche i loro amici sarebbero arrivati a salvarli, a Shein non rimaneva più molto tempo.
Ancora la mente tornò a vagliare l’unica altra ipotesi possibile: scalare quella maledetta parete.
Si sollevò strisciando sulla roccia alle sue spalle senza mollare il corpo dell’amico.
Shein non poteva certo andare con lui in quelle condizioni, ma lasciarlo così non era minimamente pensabile, con il rischio che potesse cadere da un momento all’altro nello strapiombo sotto di loro, non c’era però molto altro che potesse fare se voleva cercare di risolvere quella situazione prima che per l’amico fosse troppo tardi.
Senza pensarci più del dovuto, tagliò i tiranti del paracadute di Shein, con un occhio sempre attento al fare del ragazzo: il giovane sistemista sembrava guardarlo mentre annodava quelle corde le une alle altre.
Herk tornò a sedergli accanto non appena ritenne che almeno quella parte del suo lavoro fosse terminata e, approfittando delle cinghie ancora indossate dall’amico, lo fissò saldamente con la corda a delle rocce sporgenti accanto a loro.
“Cosa…?” provò a domandare Shein.
“Cerco di salvarti la pelle, sei messo male, amico mio”, rispose Herk senza dargli il tempo di finire la frase, mentre, subito dopo essersi assicurato che quell’imbracatura improvvisata potesse reggere per il tempo necessario a risalire la scarpata, afferrò i legacci del suo paracadute, rimasto penzolante sotto di loro da quando se l’era tolto di dosso. Lo issò lentamente sulla sporgenza, tagliandone le funi una per una e annodandole alle altre che aveva già unito assieme.
Terminata anche quest’altra parte della sua folle idea, tornò a Shein e gli avvolse la vita con un paio di stetti giri di corda. “Ascolta”, gli disse a quel punto, “questo farà terribilmente male, te lo dico, ma cerca di stringere i denti, ok? Quando starò in cima ti tirerò su. Non sei certo un colosso come me, non dovrebbe essere così difficile farlo, ma cerca di aiutarti nella risalita così da non ferirti contro la parete. So che puoi farcela, amico. Sei uno tosto, ne hai superate di peggiori di questa.” Fece una pausa in quel dire, mentre ricercava negli occhi del compagno la sicurezza che avesse quanto meno afferrato quella parte del discorso. Vide Shein annuire e riprese: “Ho fatto in modo che tirandoti verso l’alto le corde con le quali ti ho fissato alla roccia si sfilino. Ma se non dovesse avvenire, prendi”, disse, mettendogli nella mano buona il coltello che aveva con sé. “Usalo per tagliale come puoi.”
“Ho il mio”, intervenne Shein per un istante, almeno apparentemente, più lucido.
Herk si trovò a dissentire con il capo. “No. Te l’ho cercato addosso, ma non l’ho trovato. Deve esserti caduto nell’impatto con la pietra.”
Vide l’amico amareggiarsi ed ebbe la certezza che fosse finalmente di nuovo con lui, debole, ma cosciente e, malgrado la situazione del cavolo, questo riuscì a sciogliere un poco la tensione che sentiva addosso.
 
Proprio come aveva detto Shein, per Herk trovare un appiglio nelle vicinanze non era stato affatto facile, anche se per sua fortuna era alto almeno due teste in più dell’amico e quelle prese che il ragazzo non vedeva come fattibili, per lui, non senza sforzo, potevano al contrario risultare accessibili.
Il primo appiglio apparentemente sicuro era alla destra della piccola piattaforma sulla quale stanziavano. Afferrare quella sporgenza di roccia equivaleva a protendersi pericolosamente sul precipizio sotto di loro e perdere la presa sarebbe valso a dire morta certa, ma… aveva altre opzioni per come si stavano mettendo le cose?
Ovvio che no.
La battaglia sulle loro teste ancora infuriava, Shein non poteva attendere e lui non avrebbe lasciato morire l’amico senza fare nulla. Non avrebbe accettato di sopravvivere se per farlo avesse dovuto lasciare il compagno a se stesso.
Legò il lato opposto della corda con cui aveva avvolto Shein attorno ai fianchi. Era abbastanza lunga ne era certo, infondo erano solo una cinquantina di metri, forse meno; una trentina, almeno sperava.
Prese un profondo respiro e protese il braccio a stimare la distanza esatta dall’appiglio a cui mirava.
“Non devi”, disse Shein, “è pericoloso, dovresti aspettare…”
Un ghigno rispose per lui al ragazzo, prima che la sua voce ribattesse a tono: “Non discuto questo punto con te. Eri un cantante prima di essere un soldato. Cielo! Mi prenderò la briga di ascoltarti quando parteciperemo a un concorso a premi sulla musica, non certo prima” e prendendo un profondo respiro balzò contro la parete. Si afferrò, proprio come aveva stimato, con entrambe le mani alla sporgenza, ma l’appiglio per i piedi franò, mandandogli stilettate di adrenalina al cervello che, per non precipitare, gli fecero serrare le dita contro la roccia tanto da sentire le unghie strapparsi nell’impresa. Riuscì, senza capire come, a trovare l’appoggio per un piede, mentre lo sguardo scovava la seconda presa che aveva pianificato di utilizzare, prima di prendere quella decisione che, in quel esatto istante, sospeso praticamente sul nulla, gli sembrò ancora piò assurda. Ormai non era certo nella condizione di tornare indietro e la strada che lo attendeva era esclusivamente in salita.
Un nuovo sospiro gli affiorò alle labbra, mentre allungandosi verso quel nuovo appiglio, lo trovò saldo come sperava fosse e riuscì a tirarsi su quanto bastava da sentirsi più sicuro. Si volse verso Shein, solo in quel momento, e lo vide fissarlo con gli occhi sgranati per la preoccupazione: pallido e dolorante, sembrava trattenere il fiato anche per lui.
“Naaa, tranquillo, amico. Era tutto calcolato”, disse con tono volutamente giocoso. “Ti ho detto o no, che ero un asso in questa disciplina?” ed era vero, ma doveva anche ammettere che non si era mai trovato sospeso a centinaia di metri dal suolo e senza alcuna protezione.
Vide Shein annuire debolmente, prima di decidere di prendere fiato e sporgersi verso un nuovo appiglio.
“Senti, ti va di raccontarmi un po’ di te?” disse, quando si sentì nuovamente saldo, visionando da quella nuova posizione la parete sopra di lui per trovare nuove sporgenze utili, dal momento che quelle che aveva valutato in precedenza si potevano dire esaurite.
“Cosa vuoi sapere?” domandò a sua volta il ragazzo interpellato con una voce talmente rasposa che non sembrava appartenergli. Parlare doveva costargli fatica, come del resto anche a lui, ma Shein era decisamente messo male ed Herk temeva che se avesse perso i sensi un’altra volta sarebbe stata davvero dura tirarlo su a peso morto, sempre se ce l’avrebbe fatta davvero ad arrivare in superficie. Ma questo era meglio non farlo notare all’altro soldato, anche perché avrebbe dovuto spiegargli che pareti di cinquanta metri, o giù di lì, non le aveva mai scalate e che i vapori bollenti di quel vulcano facevano di ogni movimento un’agonia, malgrado il suo fisico allenato.
“Tutto”, rispose, mentre nella testa, si cominciava a formare la mappa mentale delle sporgenze migliori da utilizzare per risalire i prossimi metri. “Oltre al fatto che siamo coetanei e che abbiamo fatto lo stesso corso per piloti all’accademia, non so nulla di te. Hai parenti, una ragazza? Sei più tipo da gatti o da cani? Ti piace il gelato?” Le mani si mossero in piena autonomia, ricordando gli esercizi ripetuti per anni, non appena la mente focalizzò il suo obbiettivo, sollevandolo di un altro metro.
“Esiste qualcuno a cui non piace il gelato?” ironizzò l’altro con quella voce che gli metteva i brividi nel dargli una chiara immagine di quanto stesse messo male l’amico. Un nuovo colpo di tosse da parte del ragazzo sotto di lui lo bloccò prima che si sporgesse verso un nuovo appiglio. Lo sguardò scivolò su Shein seduto sull’orlo di quell’abisso scuro: si guardava mano ricoperta di sangue.
Herk sapeva che quel ragazzo non era un’idiota e aveva sicuramente capito che non gli restava molto se non si fossero dati una mossa ad uscire da lì. La tensione crescente portò Herk a percorrere i metri successivi con una rapidità che nell’aria asfittica di quel vulcano non avrebbe mai pensato potesse essere possibile.
“Allora? Cani o gatti?” chiese, dandosi così il tempo di prendere una breve pausa e valutare gli appigli per i prossimi metri.
“Non ne vale la pena, Herk, non per me”, disse Shein, ma aveva fatto i conti senza l’oste: e quello non era quanto il ragazzone voleva sentirsi dire.
“Cani o gatti?” rincarò la domanda tanto che al sistemista non restò che cedere e rispondere.
“Gatti, decisamente gatti o… Pappagalli.”
“Pappa-chè?” ironizzò l’altro, mentre di nuovo, spinto anche dalla paura che l’amico cedesse a se stesso prima del tempo, si affrettò a percorrere altri metri di quella scalata libera.
“Pappagalli. Sai, ho sempre pensato che se non sarebbe andata bene nell’esercito, mi sarei unito a una flotta di pirati spaziali, avrei sfidato il loro capitano e preso possesso della loro nave ammiraglia.”
“Sei serio?” domandò divertito Herk.
“Perché non dovrei?” La voce di Shein cominciava ad arrivargli più fievole, più lontana.
“Beh, allora il pappagallo ci sta. Ogni pirata che si rispetti deve avere un…” Non terminò la frase che fu costretto ad afferrarsi alla parete con quanta più forza avesse per resistere allo scossone di una nuova esplosione.
Herk, maledizione, ci sei?” arrivò, tra la polvere di quella nuova frana, la voce disperata di Shein.
Un colpo di tosse a testimoniare che sì c’era ancora ed era tutto intero, o quasi. Quegli appigli avevano retto bene la nuova bordata di esplosioni. “Tranquillo, amico, ci vuole altro per farmi fuori”, disse canzonatorio, ma aveva sentito la roccia mancargli sotto le dita ed era stato sul punto di pensare che fosse finita, invece qualcuno la su doveva amarlo davvero tanto, se era ancora lì, attaccato a quella parete come uno stramaledettissimo ragno e esattamente a un terzo del percorso.
“Dicevamo? Ah sì, ragazza?” domandò ancora non appena la terra alzatasi tornò a posarsi in parte, mentre il resto continuava a cadere verso il basso.
“Più di una a dire il vero, ma ho smesso… da qualche anno a questa parte”, Shein ci mise qualche secondo prima di aprire bocca e questo non era affatto un bene.
“Smess… cavolo amico, ti ho chiesto se avevi una ragazza, non quante sigarette fumavi al giorno?”
“E… ti ho… risposto”, ancora, per quanto il tono potesse risultare divertito, la risposta arrivò lenta e frastagliata, stanca.
Le mani di Herk si mossero in automatico lungo la parete di roccia, ma la tensione crescente per l’amico gli fece mal stimare la nuova sporgenza.
La pietra franò sotto la sua presa e precipitò verso il basso, nel vuoto.  
 
Il casco del pilota si infranse in mille pezzi contro la sporgenza d’ossidiana.
 
Il dolore alle mani era insopportabile. Herk aveva grattato tanto la pietra nella ricerca disperata di un appiglio mentre scivolava lungo la parete di roccia da non essere più sicuro di avere tutte e dieci le dita ne tanto meno una faccia, ma era fermo in quel momento. Diversi metri più in basso, ma fermo.
“Ehi, Shein, amico, sei ancora dei nostri?”, domandò, cercando così di scacciare il terrore per la caduta e rimandare il cuore dalla gola al centro del suo petto.
“Sì”, arrivò la risposta che cercava, più vicina, ma non meno fievole.
“Ottimo, perché qui abbiamo avuto un piccolo contrattempo, ma la tabella di marcia è ancora inalterata”, dichiarò, mentre valutava di nuovo la pietra sulla sua testa; mentre sentiva le viscere strette al punto che non era sicuro fossero ancora tutte al posto giusto. Non ricordava di averle mai sentite così, neanche durante l’esame per il dottorato.
La tensione aveva cominciato a riaccumularsi e la sentiva annidata e pressante proprio al centro del suo stomaco, impossibilitato a mandarla via malgrado le chiacchiere, tanto da non trovare la sicurezza necessaria per riprendere al meglio la scalata, ma… doveva, e le mani si mossero e di seguito i piedi, guidati dal suo sguardo e da una determinazione che non ricordava di aver mai avuto prima d’allora.
“Quindi… queste ragazze?” cercò di riguadagnare l’attenzione dell’amico e non appena ebbe superato il punto dal quale era precipitato sentì la morsa attorno allo stomaco allentare un po’ la presa, ma…
“Shein?” chiamò. Il ragazzo non rispose. “Cazzo Shein vuoi rispondermi?” gridò, ma nulla.
“Ehi, amico”, sospirò, ma non poteva arrendersi, non adesso che era quasi arrivato, “ce la faremo, parola mia! Solo un’altra decina di metri. Solo. Una. Decina. Di. Metri”, scandì con un filo di voce per darsi coraggio, mentre le giunture non era sicuro riuscissero ancora a sostenere pienamente tutto il suo peso e le mani non facevano altro che insanguinare la roccia, presa dopo presa.
Il dolore era lancinante, ma continuava a salire, guidato più dalla disperazione che dalla volontà.
Ma eccola, eccola la fine di quella terribile scalata. Era a meno di un metro e, con uno forzo che non avrebbe creduto possibile, la mano si afferrò al bordo della cima di quel vulcano.
 
“È fatta!” esordì, sentendo la terra pianeggiante sotto il palmo, non riuscendo a trattenere le lacrime per la frustrazione, per la tensione accumulata fino a quel momento e per il sollievo di avercela fatta davvero. Non doveva fare altro ormai che tirarsi su e tirare sulla cima il suo amico e finalmente sarebbe andato tutto per il verso giusto, se lo sentiva.
 
Mise tutta la forza che gli era rimasta in corpo in quell’ultimo atto, per trascinarsi al sicuro fuori dalla bocca del vulcano, quando l’ennesima maledetta esplosione fece tremare il terreno.
La mano perse la presa e Herk si ritrovò senza più alcun appiglio a cadere all’indietro, verso il vuoto, verso il nulla e… pensare che ce l’aveva fatta, ce l’aveva quasi fatta.
Un ghigno amaro gli si dipinse in volto, mentre la disperazione gli inondava il petto.
 
Scusa, scusami Shein, ci ho provato amico”, dichiarò pentita la sua mente in quell’istante privo di tempo che contraddistingueva la Fine ed… era questo: era finita, sì, questa volta era finita davvero.
 
Cadeva. Gli occhi si chiusero arresi all’inevitabile, quando una presa forte e salda gli avvolse il polso e poi altre mani lo afferrarono, tirandolo sul bordo di quel crepaccio.
I suoi amici erano arrivati finalmente, non poteva essere altrimenti.
Si ritrovò a testa china a guardare il suolo, a prendere aria; un’aria che gli sembrò più fresca e rigenerante di quanta ne avesse mai respirata in passato.
 
Il tempo di alzare lo sguardo verso i suoi salvatori, gli occhi ancora accecati dalla luce del sole morente di quel pianeta ci misero qualche secondo ad abituarsi a quel nuovo stato di cose, che qualcuno lo aiutò a sollevarsi, ma… non… quelle divise, quelle. Non erano le divise degli alleati. Erano… i nemici. I loro nemici.
 
Manette energetiche gli vennero serrate attorno ai polsi più rapidamente di quanto il cervello riuscisse a dare forma e significato a quella lingua straniera che era stato addestrato a capire, ma che la stanchezza e la paura sembravano ostacolarne la piena comprensione, mentre qualcuno notava la corda in vita e… “No!”, gridò disperato, mentre gliela scioglievano dai fianchi; mentre il colpo deciso del manico di un fucile laser impattava violentemente contro il suo ventre, spezzandogli il fiato, costringendolo in terra, piegato in due dal dolore e dalla disperazione, mentre gli occhi ancora umidi, seguivano il lento dispiegarsi e perdersi della corda nell’oscurità sotto di lui.
 
La presa del piede del soldato nemico che schiacciava il suo volto in terra faceva male, ma era nulla paragonato a quanto sentiva gli avessero appena strappato dal petto e non era la libertà, no, era la consapevolezza che Shein, il suo amico, era ancora là sotto, solo e perso lungo la parete di quello stramaledettissimo vulcano.
   
 
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