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Autore: Nykyo    17/04/2019    0 recensioni
Dopo essere sopravvissuto all'Apocalisse, Diego ha una nuova missione: impedire a Klaus di farsi del male.
Klaus vorrebbe ripagarlo, ma il solo modo che conosce è troppo doloroso e i sentimenti che inizia a provare per il fratello non lo aiutano.
Ma forse Ben ha ragione: si amano, devono solo decidersi a confessarselo. Possibilmente mettendoci meno tempo rispetto ad Allison e Luther ;)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Questo racconto è tutto per Luisa e Daniela che me l'hanno ispirato <3 Daniela l'ha anche illustrato. Andate a dare amore anche a lei per le sue illustrazioni!
La trovate qui: https://www.patreon.com/queenseptienna/posts Grazie, ragazze <3

« Don't tell me everything is alright because I saw you in there, you were crying like a baby. »

« Because I’ve lost someone. The only person I’ve truly loved more than myself. »

 

 

 

 

 

I.

 

Il primo pugnale svoltò l’angolo del vicolo dal basso, sfiorò una delle caviglie nude di Klaus e poi curvò di nuovo e si piantò nel piede dello spacciatore giusto mentre il secondo, con un sibilo, gli strappava di mano la bustina contenente le pillole e la mandava a piantarsi nel muro di mattoni alle sue spalle.

Lo spacciatore gridò di dolore come una bestia scannata e Klaus sollevò gli occhi al cielo.

«Davvero?» Scosse il capo in modo teatrale e sbuffò, spostandosi per non sporcarsi con il sangue dell’uomo che, nel frattempo, si era accartocciato su se stesso e si teneva il piede ferito, piagnucolando e insultando tutte le madri che sceglievano di dedicarsi al mestiere più antico del mondo.

«Mi hai quasi bucato la manica del cappotto, Diego!»

Da una scala antincendio poco più in là giunse uno sbuffo nasale e una voce nota replicò: «Cazzate.»

Klaus evitò apposta di guardare in quella direzione e, invece, rivolse un’occhiata alla sagoma appoggiata al muro sbeccato, giusto a pochi centimetri dal punto in cui si era piantato il coltello.

Ben gli rispose con una smorfia e un’alzata di spalle, come a dire: “Non guardare me, io non c’entro, e se c’entrassi darei ragione a lui”.

Scuotendo di nuovo il capo, Klaus lo raggiunse e provò a prendere il sacchetto pieno di pasticche. Il pugnale era incastrato nei mattoni in profondità, ma la plastica della bustina avrebbe ceduto facilmente, se un terzo coltello non l’avesse centrata in pieno, mancando Klaus per un soffio e facendo volare fuori il contenuto che si sparpagliò sulla pavimentazione de vicolo, disperdendosi in tutte le direzioni.

Klaus strillò «No!» e si mise subito carponi per cercare di recuperare almeno un paio di pillole. Lo spacciatore lanciò un urlo acuto che fu seguito dallo scalpiccio di passi zoppicanti, in fuga, e dalla scala antincendio vennero uno sferragliare, qualche cigolio e un tonfo, mentre Diego saltava giù per poi marciare nel vicolo a passo di carica.

Klaus si sentì afferrare per la collottola e tirare su di peso, prima di riuscire nel suo intento.

«Ehi!»

Diego lo rimise in piedi, lo fece girare come una trottola, poi lo inchiodò al muro con una mano sola e lo fissò con uno di quei suoi ghigni sarcastici.

Ben, che si era spostato per evitare che Klaus gli passasse attraverso, sembrava godersi la scena. «Te lo avevo detto che tanto sarebbe arrivato.»

«Fratellino…» Diego stava facendo “No, no” con la testa e continuava a tenerlo premuto contro il muro.

«E dai.» Klaus mise il broncio e tentò di divincolarsi.

Le dita di Diego artigliarono la sua canottiera slabbrata con ancora più forza. «Le mani. Fammi vedere i palmi.»

Dopo aver valutato e scartato rapidamente l’idea di rispondere con una testata, Klaus protestò: «Non è giusto, è un attentato bello e buono alla mia libertà personale, e non mi chiamare fratellino, siamo nati lo stesso giorno.»

«Spiegalo a Cinque, la prossima volta che lo incontri. Le mani! Su, non ho tutta la notte da perdere.»

Klaus gliele mostrò con una smorfia, agitandole in un’imitazione imbronciata del gesto tipico del ballo. «Yay! Mammina. Me le sono lavate prima di venire a tavola.»

Lo sguardo di Diego si assottigliò alla parola “mammina”. Lo lasciò andare con una piccola spinta verso il muro, afferrò il manico del pugnale ancora incastrato vicino al suo viso e tirò per riprenderselo. Lo ripose nel fodero e, solo a quel punto, si fece da pare e lasciò che Klaus si incamminasse lungo il vicolo.

Badò comunque a precederlo, anche se dovette chinarsi per recuperare l’altro coltello di cui pulì la lama sulla stoffa della tuta nera che gli fasciava il corpo.

Un gesto difficile da ignorare per Klaus, dato che Diego aveva scelto di sfregare l’acciaio sull’esterno di una coscia e, beh, non aveva esattamente un paio di cosce trascurabili.

Già, ma cosa andava a pensare. Erano fratelli. Fratelli. E Diego era anche uno stronzo che si metteva sempre in mezzo tra lui e il meraviglioso mondo degli unicorni colorati e dello sballo assoluto. Uno stronzo con delle belle cosce e una tuta troppo aderente e la mania dei coltelli e una camminata sexy come l’inferno, ma pur sempre uno stronzo.

E anche suo fratello, sì. Se non altro adottivo.

«Allora perché gli stai fissando il culo?» ridacchiò Ben, come se gli avesse letto nel pensiero.

«Oh, sta zitto!»

«Deliri anche senza esserti calato nulla?» Diego si voltò, ma continuò a camminare.

«Ben,» Klaus gli mostrò l’aria accanto a sé. O quella che per Diego era solo aria. Ed era uno dei motivi per cui si scordava della presenza costante del Numero Sei anche se sapeva che il fratello morto gli rimaneva sempre accanto.

Ovviamente lui si guardò bene dallo spiegargli cosa aveva detto, ma aggiunse in tono seccato: «E che non mi sono calato nulla lo sai perché continui a pedinarmi ovunque vada. Devi per forza comparirmi tra i piedi tutte le notti?»

Diego fece spallucce. Sempre che si potessero definire tali quelle due distese di muscoli ben allenati.

«Tu devi per forza drogarti e passare ogni santa notte alla ricerca di uno spacciatore?»

Sbuffando, Klaus si strinse addosso il cappotto bordato di finta pelliccia. «Se non la smetti di usarli come puntaspilli, non ne rimarrà nemmeno uno che abbia voglia di vendermi la roba. Li scoraggi.» Che pensiero deprimente.

Diego rise. «In effetti questo sarebbe il programma.»

Klaus non rispose. Continuò a camminare in silenzio fino alla fine del vicolo, cercando di non mettere i piedi sulle tracce di sangue lasciate dal pusher in fuga.

Era infastidito, ma una piccola parte di lui avvertiva uno strano calore al pensiero che Diego si impegnasse tanto per mantenerlo sobrio e pulito.

Peccato che di certo non lo stesse facendo per lui, ma solo per via della detective, Eudora.

A quella constatazione il calore nel suo petto si spense all’istante.

Klaus diede un calcio a un ciottolo. Lo mancò e Ben scoppiò a ridere. Lui gli mostrò il dito medio e per tutta risposta Diego gli rifilò uno scappellotto.

«Ahi, cazzo! Era per Ben.»

Ben rise di nuovo. «Non lo sai che non si ingiuriano i morti?»

Klaus gli dedicò una smorfia e disse: «Ecco, ora ho freddo, ho fame e sono depresso. Bel lavoro Diego, complimenti. Poteva essere una nottata piacevole, almeno per me. Per i musoni privi di senso del divertimento come te non esiste soluzione.»

Diego si fermò e gli si parò di nuovo davanti. Così vicino che con il petto sfiorava il suo, i foderi dei pugnali e la bandoliera quasi a contatto con la stoffa leggera della sua canotta, gli occhi fissi nei suoi.

«Chi ha detto che non possa più essere una nottata interessante?»

Era talmente vicino che Klaus dovette sbattere le palpebre e deglutire, perché sembrava quasi che Diego fosse sul punto di baciarlo e quell’illusione, unita a quanto aveva appena detto, rendeva difficile riuscire a non arrossire o distogliere lo sguardo.

«Ah, già, sì, una vera goduria, me lo immagino.» Si rifugiò nell’ironia per non sentirsi… strano? Perso? Non sapeva dirlo, ma era da un pezzo che Diego non gli faceva più lo stesso effetto. Cioè, in realtà glielo faceva, almeno in parte: continuava a farlo sentire come un bambino idiota che meritava gli scappellotti. Quello non era mai cambiato. Ma dopo tutto quello che avevano passato con la faccenda dell’Apocalisse e dopo aver perso entrambi la persona che amavano e aver visto Luther e Allison smettere di fingersi solo fratelli e iniziare a comportarsi come piccioncini… beh, un sacco di cose non erano più le stesse.

E poi Diego aveva preso quel vizio di seguirlo e farlo rimanere pulito a ogni costo.

A Klaus quel tipo di attenzione faceva un effetto su cui preferiva non interrogarsi. Era più facile focalizzarsi sulla superficie delle cose, sul fastidio che, in effetti, il suo comportamento gli causava davvero, anche se non era che la punta di un iceberg.

«Una vera pacchia, Evviva! Non riesco a pensare a niente di più divertente che tornare all’Accademia con te che mi segui come un’ombra per controllare che resti in camera mia. L’ebrezza degli arresti domiciliari.»

Diego sorrise da un orecchio all’altro. «Non dovrei controllarti a vista se tu la smettessi di cercare di farti. Se collaborassi potresti andartene in giro senza scorta.»

«Ah…» Klaus sbuffò. Non sapeva nemmeno perché si era lasciato convincere che fosse una buona idea tornare a vivere tutti sotto lo stesso tetto, proprio nel luogo in cui erano stati sempre infelici. E non capiva un accidenti di tutto il pastrocchio che avevano combinato con la faccenda delle linee temporali e che li aveva aiutati a salvare il mondo e alla fine li aveva riportati a un presente che non era esattamente quello da cui erano partiti. Uno in cui Vanya non cercava di ucciderli e Pogo era ancora vivo, ma certi morti invece restavano morti. E lui li vedeva tutti tranne quelli che avrebbe avuto un bisogno disperato di evocare. Ragion per cui, stava ancora cercando un buon modo per scordarsi di esistere.

La droga gli serviva per quello e Diego non lo voleva capire. Allison insisteva che Vanya aveva bisogno di tutti loro, e Luther si comportava come se l’amore l’avesse rimbecillito. Klaus in effetti lo preferiva così, però non sapeva mai come trattarlo. Sembrava di avere a che fare con un adolescente in piena tempesta ormonale.

Cinque, in compenso, era sparito di nuovo chissà dove, circa due minuti dopo averli riportati tutti a casa sani e salvi.

Se almeno tutto quell’andirivieni nel tempo, comprensivo di recupero momentaneo del suo corpo di bambino, avesse cancellato il dolore che provava per aver perso Dave…

Klaus non voleva sul serio dimenticarlo, una parte del suo cuore sarebbe sempre stata felice di averlo avuto per sé, ma faceva ancora male da morire e, se non poteva rivederlo, tanto valeva annegare in un mare di pasticche e spegnere il cervello il più a lungo possibile.

Restare cosciente faceva troppo male. Come diavolo faceva Diego a non impazzire pensando alla detective?

«Senti, lo sai che se continui a farti non funzionerà mai.» Diego gli passò un braccio intorno alle spalle in un modo che forse voleva essere incoraggiante.

«Non funziona nemmeno così.» Era orribile constatarlo. «Sono pulito da quasi due mesi e non ci riesco. Anzi, se ci provo arrivano a frotte tutti tranne loro. E comunque a te interessa una cosa sola.»

Si divincolò dall’abbraccio e riprese a camminare più svelto. Ora era sul serio incazzato. Per lui vedere i morti era sempre orribile, era un miracolo che anche da sobrio stesse riuscendo a tenerli a bada – Ben diceva che era perché il suo potere si era sbloccato del tutto – e Diego se ne fregava. Aveva a cuore unicamente la possibilità di rivedere la sua ragazza.

«E dai.» Ben cercò di guardarlo in viso. «Lo sai che non è vero. È anche il suo modo per impedire che prima o poi ti ammazzi con quella merda. È Diego, non sa dirle certe cose, però non vuol dire che non le pensi.»

Klaus lo ignorò. Si voltò verso Diego che era rimasto indietro e lo guardava accigliato, le labbra tirate in una linea dritta e amara.

«Lascia perdere, andiamo a casa. Tanto quel tizio vendeva roba scadente.»

Il fratello lo raggiunse e anziché mostrarsi aggressivo, come aveva temuto, e magari intimargli di non nominare la detective, gli diede una piccola spallata cameratesca.

«Naaa, ho ricevuto il messaggio: sono stato uno stronzo egoista. Niente casa, hai bisogno di sfogarti prima. Ti porto in un posto, dopo ti sentirai meglio.»

 

***

 

«Meglio?» Klaus indicò il ring e la palestra deserta. «Questo? Mi vuoi prendere a pugni per farmi sentire meglio? È questa la tua idea di sballo? Scusa se te lo dico, sai, la mia è più divertente.»

Si avviò verso l’uscita e Diego lo afferrò per la maglia, di nuovo a centro del petto, e lo tirò indietro. Questa volta con gentilezza, come con un gattino in fuga. Senza un briciolo di fatica.

«Sarai tu che prenderai a pugni me, visto che me lo merito. E vedrai che ho ragione: dopo starai meglio.»

«Non penso proprio,» Klaus scoccò un’occhiataccia a lui e una a Ben che continuava a fare lo gnorri.

«Sì, invece.» Tenendolo per un polso, Diego iniziò a trascinarlo verso il ring. «Intanto perché è catartico, poi perché hai una gran voglia di spaccarmi la faccia, non negarlo. Allora forza, vedrai che è divertente eccome. Fa bene sputare fuori il veleno. Ho tenuto una copia delle chiavi apposta per poter venire qui quando ho voglia di sfogarmi.»

Klaus non lo capiva. Erano troppo diversi. Avevano un approccio opposto al dolore. Lui tentava di farlo sparire scordandosene e Diego si ostinava a riviverlo, lo alimentava, non lo mollava mai.

«Andiamo, mi vedi? Ti sembro un pugile? Mi spaccherò un pugno su quei tuoi pettorali di ferro, dovrai soccorrermi e sarà una scena pietosa.»

Diego rise di gusto e scavalcò le corde per entrare nel quadrato.

«Ma finiscila, sei sopravvissuto a papà, ai sicari del tempo, al Vietnam e perfino alla fine del mondo, smettila di considerarti un povero tossico indifeso. Puoi restarne lontano da quelle schifezze, farne a meno e badare a te stesso.»

«Ha ragione!» gli fece eco Ben, seduto sul bordo di una panca. «Puoi eccome, specie ora che sai gestire meglio i tuoi poteri. È solo che non vuoi.»

Klaus gli fece un’altra smorfia, ma quando Diego gli tese la mano la prese e si issò sul ring. Si tolse il cappotto, indeciso su dove appoggiarlo e alla fine lo sistemò su uno dei due sgabelli in un angolo.

«Non dovrei avere un paradenti, quelle cose lì?»

Diego scosse il capo e iniziò a sganciare le cinghie che trattenevano il fodero dei suoi preziosi pugnali da lancio. Si tolse anche la cintura e rimase a fronteggiarlo con indosso solo la tuta.

«Te l’ho detto: non sono qui per combattere, ma per farti da punching-ball. Puoi avere dei guantoni, se ci tieni. Se no, pazienza, non morirò per qualche livido. Sempre che tu riesca a colpirmi.»

«Stronzo!» Klaus non era davvero in collera, non più, ma gli venne istintivo provarci. Fece partire un pugno e Diego lo schivò senza fatica, limitandosi a spostare il peso da una gamba all’altra.

«Riprova.»

Klaus lo fece, in un modo goffo e sgraziato che lo portò a sbilanciarsi in avanti. Diego lo buttò giù con una manata e un istante dopo lo risollevò prendendolo sotto le ascelle, e lo rimise in piedi.

Era una cosa che metteva i brividi la facilità con cui riusciva a maneggiarlo e non erano brividi dovuti al fastidio. Non andava bene, era sbagliato e lo faceva arrabbiare non riuscire a evitare quel fremito di eccitazione.

«Stronzo!» ripeté Klaus, anche se non lo pensava, e scattò di nuovo. Questa volta il pugno centrò Diego in un fianco e lo fece ringhiare. Klaus sollevò la mano e si fissò le nocche. «Ehi!» esultò molleggiandosi sulla punta dei piedi. «Ci sono riuscito.»

«Una volta sola, fratellino, una volta sola.» Il sorriso di Diego era storto ma sembrava sinceramente divertito. I suoi occhi brillavano. «Su, fammi vedere. Dammene uno per papà, qui, dritto nello stomaco.»

Si toccò il plesso solare con due dita. «Uno per quel vecchio stronzo che ti ha rinchiuso in una tomba al buio mentre lo supplicavi di lasciarti uscire, forza.»

Klaus digrignò i denti, il suo stesso pianto infantile che gli risuonava nelle orecchie, e colpì alla cieca. Diego si scostò inarcando la schiena ma fu comunque raggiunto dal pugno. Inghiottì un verso dolorante e annuì, fissandolo negli occhi. «Bravo, così. Papà se lo sarebbe meritato. Ora dammene uno per tutte le volte che anche da sballato faceva tutto troppo male, avanti… dai. Pensaci… scommetto che sei finito a piangere in un vicolo come quello di poco fa un sacco di volte. Com’era? Ti sentivi solo? Inutile? C’era Ben, ma non poteva nemmeno toccarti. Scommetto che era orribile.»

Klaus non voleva ascoltarlo, non voleva dargli ragione sul fatto che avrebbe dovuto smetterla con quel tipo di vita.

Lo colpì di nuovo, tempestandolo di pugni che probabilmente a Diego facevano solo il solletico, ma che a lui strappavano un grido lamentoso dalla gola.

Continuò fino ad avere il fiatone e a quel punto fu costretto a fermarsi ansante.

Non era in grado di dire se stesse funzionando. Era sudato, affaticato e vagamente nauseato, ma una parte di lui era anche esilarata e su di giri, come dopo aver sniffato.

«Già stanco?» Diego lo sfidò muovendosi in cerchio intorno a lui, con il passo nervoso e elastico di un pugile. «Non hai altro da darmi?»

Con un grugnito Klaus cercò di colpirlo di nuovo, mirando a una spalla, ma lui si spostava troppo in fretta. Danzava, leggero, agile malgrado il fisico massiccio.

«Su, fratellino. A quel tizio al circolo dei veterani l’hai fatta vedere, con me hai già finito?»

In effetti un pochino era divertente provarci, se non fosse stato per la sensazione che il fratello lo stesse facendo anche per punirsi e non solo per arrecargli sollievo.

«Beh, forse dovremo smetterla. Te ne ho date abbastanza.»

La risata di Diego risuonò come una scarica di mitra nel silenzio della palestra.

«Se questo è il meglio che sai fare… credevo che volessi tirarmi un gancio sul muso per aver sparpagliato le tue preziose pillole. Pensare a papà e a tutto il resto non è bastato? Vuoi sballare? Vuoi sentire la rabbia che monta e si porta via tutta la merda che cerchi sempre di dimenticare? Allora, forza, sono qui.»

Si era fermato e lo fissava, una mano a indicare come prima il plesso solare.

Dunque era quello che faceva: usava la rabbia per non impazzire, per non crollare e non pensare. La incanalava contro quelli che affrontava come vigilantes e contro chiunque altro. Per quello era sempre tanto acido e sembrava odiare il mondo intero. Ma non era vero. Era soltanto una maniera per proteggersi e sopravvivere.

«Pensa al Vietnam, pensa a Dave a come ti è morto tra le braccia…»

Il suo sguardo era eloquente. Lui di sicuro stava pensando alla detective. Klaus non aveva bisogno di leggergli nella mente per esserne certo. E quella consapevolezza, unita al resto, lo faceva andare su tutte le furie.

Era iniziato come un gioco, un modo per aiutarlo a distrarsi, quando diavolo era diventato un tentativo di autolesionismo tanto smaccato da parte di Diego.

«No? Non ti basta pensare a Dave per essere furioso? Tu almeno hai fatto in tempo a dirgli addio? Era cosciente? Hai potuto ripetergli che lo amavi?»

Anziché rispondere Klaus lo caricò a testa bassa, con un grido stridulo, patetico. Non provò a prenderlo a pugni, lo spintonò con tutte le sue forze, con l’idea di mandarlo a sbattere contro le corde del ring.

Si era aspettato resistenza e invece doveva aver colto Diego alla sprovvista, perché finì col travolgerlo di peso. Rovinarono al suolo, l’uno sopra l’altro.

Solo a quel punto Klaus inizio a tempestarlo di colpi. Pugni sul petto, dati più come una ragazzina isterica che come un uomo adulto e disperato.

«Intanto non ci riesco.» Aveva la voce stridula e le guance bagnate di lacrime, se ne rendeva conto. «Hai capito? Non ci riesco, non ci riesco, non ci riesco. È inutile che insisti, non li vedo, nessuno dei due. La devi smettere di cercare di farmelo fare, sei un grandissimo bastardo!»

Doveva essere arrivato il turno di Diego di sorprendere lui, perché si era aspettato di essere scrollato via. Era pronto a ricevere uno sguardo tagliente e una risposta affilata come la lama di un coltello. Aveva previsto di litigare, non di ritrovarsi stretto nella presa di due braccia decise ma gentili e nemmeno il tono caldo con cui Diego si stava scusando dopo averlo spinto a nascondere il viso nell’incavo del suo collo.

«Ok, va bene, mi dispiace, basta. Adesso calmati.» Le sue dita gli si infilarono esitanti tra i capelli e solo dopo un istante iniziarono ad accarezzargli la nuca, per confortarlo.

«Volevo solo… farti stare meglio. Ho esagerato. Lo so che ho esagerato. Ma è difficile anche per me… certi giorni è proprio impossibile andare avanti, lo so, ma tu cerchi sempre di usare la droga per non andare in pezzi e ho pensato che forse sarebbe più salutare se invece ti lasciassi andare. Se ti sfogassi, visto che provare a dimenticare non funziona e alla lunga, se non la smetti di farti, quella roba ti ammazzerà.»

Klaus si tirò su e lo osservò con la vista un po’ annebbiata per l’emozione.

Wow. Diego che faceva un monologo e si scusava? Forse la fine del mondo era di nuovo vicina. Ed erano troppo vicini anche loro. Tanto che era difficile smettere di fissargli le labbra. Il che era stupido, specie in un momento come quello in cui il dolore era così forte.

«Lascia perdere,» sussurrò chinando il capo. «Lo so che lo fai per rivederla, perché ti ho detto che se non sono sobrio non posso evocare i morti. Non c’è bisogno di fingere che ti importi anche di tutto il resto.»

Diego si sollevò puntellandosi sui gomiti. «Ma l’ho appena detto che mi importa.»

Stava cercando di guardarlo in viso ma Klaus non aveva voglia di assecondarlo e mantenne gli occhi puntati sul suo petto anche quando Diego provò a fargli sollevare il mento.

«Ti importa un po’ di tutti noi, questo sì, ne abbiamo passate troppe e siamo cresciuti nella stessa casa.»

Non era riuscito a dire “insieme”, perché se l’intento era stato di farli sentire come veri fratelli non si poteva dire che avesse funzionato granché per nessuno di loro. Forse si volevano bene, in un modo molto contorto, ma restavano il gruppo di poveri disgraziati meno omogeneo che potesse venirgli in mente.

Era già un miracolo che Diego non lo considerasse responsabile della morte della sua donna. In fondo la detective era stata freddata mentre era intenta a salvare lui.

Con uno sbuffo Klaus cercò di alzarsi ma fu trattenuto per le braccia.

«Eh dai, prima ho esagerato, sono stato davvero un bastardo insensibile, ma pensi che sia solo per il tuo potere? Fosse per quello non farei prima a legarti a una sedia e aspettare? E poi potrei rispedirti a calci sulla strada, a calarti tutto quello che ti pare. Quanto ci vorrebbe? Un paio di giorni al massimo. Sono due mesi che ti tengo in riga. Due mesi. E ti ho mai chiesto di provare a chiamarla, in tutto questo tempo?»

Klaus gli diede un pugno sul petto. Senza troppa foga e con il cuore incastrato in gola.

«Ok, ok, un paio di volte te l’avrò anche domandato, ma ho insistito? Mi sono incazzato? Ti ho mai aggredito perché non volevi farlo? È così difficile credere che ora che ci siamo ritrovati vorrei sapervi al sicuro? Non dirmi che a te non interessa.»

Oh, perfetto! Ora, dopo quella tirata, si sentiva commosso, ma anche in colpa più di prima, ed egoista visto che avrebbe preferito che a Diego tenesse a lui più che a tutti gli altri. E non capiva come mai. Era puerile, frustrante e sbagliato.

«Quindi andrai avanti così anche se ti dicessi che sono sicuro che non ci riuscirò mai?»

Con Dave ci era andato vicino più volte, ma poi succedeva sempre qualcosa che gli impediva di parlargli.

«Sì, se mi ci costringi continuando a cercare di farti.» Lo sguardo di Diego era indagatore. Sembrava seriamente preoccupato.

Klaus si passò una mano nei capelli, scompigliandoli più di prima. Era imbarazzato, aveva lo stomaco stretto in un nodo doloroso e avrebbe potuto rispondere nella maniera sbagliata.

«Va bene, ok. Basta. Andiamo a casa.»

Questa volta Diego lo lasciò alzare.

Recuperarono cappotto e pugnali e Klaus si guardò intorno alla ricerca di Ben. Lo trovò intento a osservare i poster appesi alle pareti, dall’altro lato della palestra.

«Pensavo che aveste bisogno di un po’ di privacy.» Fu la sua spiegazione per essersi allontanato più del solito. «State diventando una cosa seria voi due.»

Klaus alzò gli occhi al cielo. «La smetti di fare battute a doppio senso?» sussurrò perché Diego non sentisse. «Siamo fratelli, quante volte te lo devo ricordare?»

«Oh, beh,» Ben gli rispose con un sorrisino. «Anche Luther e Allison lo erano l’ultima volta che ho controllato, però questo non impedisce loro di andare a pomiciare nella serra come due adolescenti.»

Con un grugnito Klaus si massaggiò la fronte. Gli stava venendo un gran mal di testa ed era ancora desolatamente lucido e presente a se stesso. «Ci rinuncio.»

«A cosa?» Diego l’aveva raggiunto e lo stava scrutando.

«A tutto. Per stanotte ci rinuncio. Tu e Ben siete due vecchie zie serie e noiose. Mi togliete tutto il divertimento.»

Diego parve rassicurato dalla sua ironia e gli mise un braccio intorno alle spalle.

«Ammettilo, prendermi a cazzotti un po’ lo è stato divertente.»

«Ci sono parecchie cose che sarebbe divertente fare con chi ha un fisico come il tuo. Picchiarlo è l’ultima che mi viene in mente.»

Non poteva credere di averlo detto. Però, quello sì, era stato liberatorio, anche se ora Diego lo stava fissando in una maniera troppo intensa.

«In generale, ok?» si giustificò Klaus. «Non parlavo di me e te, lo so che siamo fratelli.»

Lo sguardo che lo stava inchiodando gli rimase puntato addosso ancora per una manciata di secondi, poi Diego sorrise. «Non è colpa tua se sono irresistibile, me ne rendo conto.»

Sembrava aver deciso che si fosse trattato di uno scherzo.

Klaus ne approfittò per cambiare discorso. «Portami a mangiare qualcosa, se non altro. Sono pulito da così tanto tempo che non ho più nemmeno la nausea, con il risultato che se non mi sballo mi viene fame. Ingrasserò, mi si rovinerà la linea per colpa tua.»

La risata sincera di Diego si sovrappose al click dell’interruttore della luce che veniva abbassato lasciando la palestra immersa nel buio.

«Andiamo, fratellino, ti offro una bistecca, sei deboluccio, devi mettere su peso e farti i muscoli in quelle braccia, così la prossima volta potrai darmele come si deve.»

Poi uscì nella notte tirandoselo dietro, con Ben che, come al solito, li seguiva a distanza di qualche passo.

Klaus non obiettò. Era confuso, stanco, in parte ancora addolorato, ma una cosa era certa: in quel momento non si sentiva solo.

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