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Autore: MonicaX1974    19/04/2019    0 recensioni
Harry e Chloe.
Lui deluso dalla vita, lei con un immenso dolore nel cuore.
Lui pensa solo a divertirsi, lei cerca di ritrovare la speranza.
In un susseguirsi continuo di ammissioni e negazioni, rivelazioni e trascorsi burrascosi, Harry e Chloe riusciranno a trovare un modo per trovare il loro nuovo inizio?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Non avrei mai immaginato di passare il giorno del Ringraziamento in questo modo.

Credo sia buio fuori, mi sembra di intravedere la luce dei lampioni filtrare dalle tende chiuse.

Non sono in questo letto, non sono qui, sono in qualche luogo/non luogo, non so spiegarlo, ma sono con lui, è l'unica cosa che riesco a percepire con chiarezza, e sono dove vorrei restare per il resto della mia vita.

Mi lascio cullare dal ritmo lento e regolare del suo respiro, dall'alzarsi e abbassarsi del suo petto nudo, sul quale sono appoggiata, e sul quale la mia mano è ferma, a palmo aperto, proprio al centro, quasi a coprire l'enorme tatuaggio che ha all'altezza dello stomaco.

Mi sento parte di qualcosa, parte di lui, che si è allontanato da me giusto il tempo di andare in bagno, mi sento bene, mi sento serena, a mio agio, ma soprattutto sento un infinito senso di pace stretta tra le sue braccia, a contatto con il calore del suo corpo, con le sue dita tra i miei capelli e le mie a tracciare ghirigori sul suo torace. La mia gamba destra incastrata tra le sue, e la sua mano sinistra sulla mia mia spalla, che scende a ritmo intermittente lungo il braccio, per poi tornare su, e ancora l'unico rumore a tenerci compagnia è solo il fruscio delle lenzuola quando lui si muove appena, io non ne ho la forza.

Non voglio muovermi da qui, non voglio fare assolutamente niente, voglio solo continuare ad inebriarmi del profumo della sua pelle. Chiudo gli occhi per potermi concentrare solo su quello, per imprimere ogni traccia del suo odore nella mia mente, per poterlo tenere con me in sua assenza.

Harry non parla, resta in silenzio, forse sta pensando anche a lui come me, o forse si sta solo godendo il momento, mentre io mi perdo a seguire il ritmo del suo respiro, quello del suo cuore, o anche quello della sua mano, che continua a fare su e giù lungo il mio braccio. Ho bisogno di concentrarmi su qualcosa per restare aggrappata alla realtà, per restare qui, in questa stanza, con lui, per non perdermi nemmeno un secondo di questo meraviglioso istante di felicità.

«Chloe?» Pronuncia il mio nome sottovoce, quasi come se non volesse disturbarmi.

«Dillo di nuovo... il mio nome, dillo di nuovo», gli chiedo, solo per il piacere di poter sentire vibrare di nuovo il suo petto sotto la mia mano, e per l'immenso piacere di sentire ancora la sua voce bassa, più roca del solito, che chiama il mio nome con un tono di voce che gli ho sentito usare solo tra queste quattro mura.

Ridacchia per la mia richiesta, ma poi mi accontenta. «Chloe...», si ferma, forse in attesa di un'altra richiesta da parte mia, ma non ne ho e mi stringo di più al suo corpo, «voglio vederli», mi dice poi, facendomi sentire una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale.

«Cosa?», gli domando, pur sapendo bene a cosa si stia riferendo.

«Lo sai cosa, Chloe...» Non so se abbia pronunciato di nuovo il mio nome di proposito.

«Adesso?» Conosco la risposta anche a questa domanda, è solo che sto tentando di prendere tempo, anche se sono certa che non servirà a nulla.

«Adesso», conferma lui, muovendosi per mettersi su un fianco per potermi guardare negli occhi.

«Non li hai visti prima?», gli domando, riferendomi al fatto che mi abbia visto nuda fino a pochi minuti fa.

Siamo sdraiati uno di fronte all'altra, i suoi occhi lucidi e brillanti sono carichi di emozioni e, quando porta la sua mano sul mio viso per giocherellare con i miei capelli, il mio cuore perde più di un battito, tanto che mi sforzo con tutta me stessa per trattenere una lacrima. Lui davvero non si rende conto di quello che mi sta provocando e io fatico a gestire la potenza di ciò che provo in questo istante.

«Ero impegnato a guardare te, prima...» Il mio cuore si ferma, riprende a battere e si ferma di nuovo, esattamente come il mio respiro. «Adesso posso guardare anche il resto...», posa le dita sul bordo del lenzuolo che mi copre, soffermandosi per qualche secondo, come se mi stesse chiedendo il permesso, che sa benissimo che otterrà, «ne ho intravisto uno qui...», abbassa lentamente la stoffa, fino a fermarsi appena sotto la mia clavicola sinistra.

Sfiora con il pollice la piuma che si trasforma in piccole rondini. «Questo l'ho fatto l'anno scorso», gli dico, mentre i suoi occhi restano fissi sulla figura che macchia la mia pelle, «doveva essere un portafortuna». Alza per un attimo lo sguardo, poi riprende a far scendere il lenzuolo e non mi sento in imbarazzo, anche se ancora non sto indossando niente. Il mio disagio nasce nel momento in cui lui sistema il mio ciondolo esattamente al centro del mio petto, ma riesce a far sparire subito quella sensazione quando la sua mano scorre lenta sulla mia pelle fino a portare il lenzuolo all'altezza dell'ombelico. Mi volto di lato – portando una mano a coprirmi sul davanti – su un fianco, per mostrargli quello che ho all'altezza del seno sinistro.

Ci sono tre lettere, una K, una H e, leggermente spostata, una D. Harry accarezza anche quelle, senza dire niente, provocandomi un milione di brividi ogni volta che le sue dita sono su di me, come adesso che continua a far scendere il lenzuolo fin sotto l'anca. «Questo è il primo che ho fatto...», lo copre con la mano e porta i suoi occhi nei miei, «l'ho fatto di nascosto, tanto per fare la ribelle», Toglie la mano e ci lascia un bacio.

Non posso descrivere come mi sento. È come se mi distruggessi in un milione di pezzi ad ogni suo sguardo e lui mi ricomponesse ad ogni suo tocco. Sento caldo e freddo contemporaneamente, felicità e dolore nello stesso momento, paura e coraggio che si scontrano nella mia testa, dolore e conforto che tentano di prevalere l'uno sull'altro, vorrei non aver mai conosciuto Harry e, nello stesso tempo, vorrei non avere un passato così ingombrante.

«Smettila...», mi dice improvvisamente, interrompendo le mie paranoie, «non farlo». So bene cosa intende, so che si è accorto del mio conflitto interiore, e voglio dargli retta, lo merita, merita la mia totale presenza qui con lui.

Gli sorrido sincera, poi mi volto ancora un po', per mostrargli il giglio dietro la spalla, ma la sua attenzione viene subito attirata dal tatuaggio che ho tra le scapole. Mi fa voltare del tutto e ora ha la completa visuale della mia schiena, con il lenzuolo a coprirmi dal sedere in giù. Resto in silenzio e aspetto che mi chieda qualcosa, mentre sento la pelle d'oca formarsi in ogni parte del mio corpo, quando le sue dita percorrono leggere i contorni del disegno raffigurato sulla mia pelle.

«Mi piace», afferma, e sono certa che non lo stia dicendo solo per farmi contenta.

«Rappresenta la mia vita», gli spiego.

È un puzzle, non ancora completo: alcuni pezzi sono colorati, altri in bianco e nero, e racconta i momenti che hanno segnato dei cambiamenti, non sempre positivi. Ci sono i miei migliori amici, ci sono i miei genitori, mia sorella, c'è la nonna, e c'è luilui  che sono costretta a tenere lontano in questo momento, perché non posso, e non voglio, farmi trasportare dai ricordi.

Mi alzo leggermente, porto il lenzuolo fino alle spalle, e mi volto verso di lui, che ha ancora una strana espressione sul volto, forse a causa di ciò che gli ho detto, perché so che riesce sempre ad andare oltre le mie parole, e non mi piace quando succede, perché ho paura di ferirlo senza nemmeno rendermene conto.

Poso una mano sul suo viso, fino a portare il suo sguardo nel mio. Sta chiaramente pensando a qualcosa, qualcosa che lo impensierisce. «Harry che succede?», gli pongo la stessa domanda che gli ho fatto qualche ora fa, sperando di avere una risposta.

Lui mi guarda ma non dice nulla, anche se sono certa che vorrebbe dire qualcosa, glielo leggo nello sguardo preoccupato, e non posso permettere che resti così, io ho bisogno delle sue certezze, della sua sicurezza, e di tutto il coraggio che riesce sempre ad infondermi, e decido, quindi, di provocarlo un po'. «Questo è il periodo più lungo che abbiamo passato insieme senza le tue stupide battute, Stevens».

La provocazione arriva subito a segno. Le sue labbra si allargano in un gran sorriso, tanto da mostrare le fossette. «Le mie stupide battute ti piacciono da morire, Stewart, e ti piace anche questo». Si avventa ancora sulle mie labbra, le morde, le bacia, e io mi arrendo a lui, e a quello che provo.

**************

Harry sta dormendo da più o meno un'ora, io non riesco a farlo. Sto ancora tremando, ma non credo sia a causa del freddo. Mi sono seduta accanto a lui, rannicchiata come una pallina con le ginocchia strette al petto. Ho indossato la sua felpa, ho legato i capelli con il suo elastico – è un'abitudine ormai –, e ho infilato un paio di calzettoni scuri, ma quel tremore non passa, continua a scuotermi il corpo in maniera discontinua e io non so più cosa fare. Alla fine decido di distendermi contro la sua schiena, abbracciandolo per trovare il conforto di cui ho bisogno.

Lui è stato meraviglioso in tutto, nei suoi gesti, nelle sue parole, mi sono sentita al sicuro, ho sentito che tutto stava andando per il verso giusto, ma tutto è cambiato quando lui ha preso sonno. Improvvisamente è scattato qualcosa nella mia mente, non saprei dire bene cosa, ma non è niente di positivo. Mi stringo di più alla sua schiena, lui si muove appena, poi chiudo gli occhi tentando di concentrarmi solo su quanto è successo poco fa tra noi due, chiudendo fuori dalla mia mente il resto del mondo.

Lentamente, sento i miei muscoli rilassarsi, il tremore è cessato, le palpebre sono sempre più pesanti, mi sto addormentando, ma d'un tratto mi ritrovo nella mia camera da letto, quella a casa dei miei, e sento l'ansia opprimermi la gola.

Il filo elettrico delle lucine è abbandonato sul pavimento, ed è spento. Mi volto e il mio letto è vuoto e disfatto, le mie scarpe non ci sono. Scendo di corsa le scale, i miei genitori sono in cucina con addosso il pigiama, è notte fonda e loro hanno un'espressione evidentemente preoccupata.

«Mamma?», la chiamo, ma è come se non mi vedesse. «Mamma!?», alzo la voce, ma lei continua a parlare con mio padre. Non riesco a capire quello che dice, ma è ovvio che sia qualcosa di brutto.

«Papà?», provo con lui, ma non funziona e sento l'ansia trasformarsi in paura che stringe lo stomaco.

Sto per riprovare ad attirare nuovamente l'attenzione dei miei genitori, ma mi ritrovo in un corridoio bianco, troppo illuminato a confronto della penombra della mia cucina di poco fa. Strizzo gli occhi, sbattendo le palpebre più volte per abituarmi alla luce e, quando ci riesco, sento delle voci concitate farsi sempre più vicine. Mi volto e mi rendo conto di essere in ospedale, il personale medico sta spingendo una barella velocemente lungo il corridoio in cui mi trovo io, mi passano accanto in un attimo. Non riesco a vedere chi sia la persona esanime che stanno trasportando, ma, dopo aver notato in quale stanza sono entrati, mi avvicino lentamente e cerco di aprire le porte, che però sembrano bloccate. Non riesco in alcun modo ad aprirle e la paura si trasforma in terrore che mi toglie letteralmente il fiato.

Chiudo gli occhi, li riapro e mi ritrovo in quella che sembra una sala d'attesa. Sento qualcuno che piange dietro di me, mi volto e mi sento quasi mancare quando vedo i genitori di Dylan che si stringono in un abbraccio disperato.

Sta succedendo di nuovo, ho ancora quell'incubo che non avevo da giorni, ma stavolta è diverso, c'è qualcosa di più inquietante della realtà che ho vissuto quella notte, qualcosa che mi sta rendendo praticamente impossibile respirare, poi sento dei passi, dei passi molto veloci. Qualcuno entra in sala d'attesa e si ferma per un attimo a guardare i genitori di Dylan, il mio sguardo va lentamente su quella persona, come al rallentatore, ed è in quel momento che capisco cosa ci sia di diverso in questo incubo.

La persona che vedo stringersi alla donna disperata sono io, sto vedendo me stessa, sto vedendo la disperazione sul mio volto, e rivivo tutto un'altra volta, l'ennesima, ed è sempre più distruttivo.

La scena davanti ai miei occhi cambia ancora. Vedo di nuovo me stessa, sto per entrare in una stanza e so benissimo cosa troverò dall'altra parte. La me stessa del sogno apre la porta, entra silenziosa, sento il suo groppo alla gola, sento le sue mani tremare, poi la porta si richiude e non riesco a restare qui, quindi mi avvicino e la seguo.

Sento i bip dei macchinari, sento me stessa pregare Dylan di restare, sento l'angoscia in ogni particella d'aria che riempie questa stanza, e il mio respiro che si ferma di nuovo, incastrandosi in gola. Compio gli ultimi passi che mi restano per avvicinarmi al letto. So quello che sto per vedere, l'ho visto, rivisto, e rivissuto per così tante notti, eppure fa sempre male come quella sera. Stringo i pugni, serro i denti e, lentamente, arrivo alle spalle di me stessa. Vedo le loro mani intrecciate, i tubi dei macchinari, le flebo, ma poi qualcosa attira la mia attenzione: il braccio di Dylan, quello in cui è infilato l'ago della flebo, ha delle macchie, delle macchie nere. Il mio sguardo corre veloce fino al suo viso, o almeno ci provo, ma tutto sembra rallentato, è come se più in fretta volessi arrivare a scorgere il suo volto, più lentamente si muovessero i miei occhi, ma alla fine ci arrivo e quello che vedo fa fermare il mio cuore, il mio respiro, il mondo intero.

Il ragazzo sdraiato sul letto, quello attaccato ai macchinari, quello che ha appena avuto un incidente in moto, quello che sta rischiando la vita, non è Dylan. 

È Harry.

Mi alzo di colpo mettendomi seduta sul letto. Sono sudata, mi manca l'aria, fatico a respirare e tremo come una foglia. Il mio primo istinto è quello di voltarmi e il mio cuore riprende a battere non appena mi accorgo che Harry è qui, accanto a me che dorme tranquillo, ignaro di quanto è appena avvenuto nel mio dannato incubo.

Mi prendo la testa tra le mani, stringo con forza i capelli fino a farmi male. 'Harry è qui. Harry sta bene. Harry non ha avuto nessun incidente.'  Continuo a ripeterlo nella mia mente, senza smettere, come se avessi bisogno di convincermene davvero, ma non riesco a calmarmi. So che se lo svegliassi e mi abbracciasse, tutto sparirebbe nel giro di un paio di minuti, ma non voglio farlo, non voglio che mi veda sempre debole.

Scendo cauta dal letto, facendo attenzione a non svegliarlo. Ho bisogno di aria, non posso più restare chiusa in questa stanza. Infilo i jeans, indosso il cappotto, poi prendo la chiave elettronica ed esco nel corridoio, chiudendo piano la porta alle mie spalle. Non so bene dove andare, ma sento di aver bisogno di spazio. Mi dirigo istintivamente verso le scale e salgo, salgo fino ad arrivare davanti ad una porta di metallo che credo dia sul tetto. Abbasso la maniglia ed emetto un sospiro di sollievo quando mi accorgo che si apre.

Non c'è nulla qui sopra, a parte qualche sdraio accatastato in un angolo, forse lo usano come una sorta di magazzino. Mi siedo su una di queste, stringendomi di nuovo le ginocchia al petto e piango, piango tutte le lacrime che il mio corpo ha trattenuto, piango come non ho mai pianto prima, senza freni, senza condizioni. Sento il dolore in ogni parte di me, nella mia mente, in ogni cellula del mio corpo, nel mio cuore, nella mia anima. Lo sento sulle dita che non smettono di tremare, lo sento nel mio petto scosso dai singhiozzi, lo sento nella mia pancia stretta in una morsa, lo sento sulla mia schiena che resta incurvata sotto al suo peso, e continuo a sentirlo, devastante, distruttivo, mentre mi annienta.

Vedere me stessa in quella situazione e rendermi conto che ho sostituito Dylan in tutto, e che Harry potrebbe correre lo stesso identico rischio a causa della sua moto, è stato travolgente come uno tsunami. Ho perso Dylan, poi ho permesso che qualcun altro prendesse il suo posto, qualcuno che potrei perdere ancora nello stesso modo.

Le lacrime continuano a scendere, inarrestabili, non mi preoccupo di asciugarle, voglio liberarmene perché non riesco più a sopportarne il peso. Voglio smettere di soffrire, di pensare, di esistere...

Quest'ultimo pensiero si fa spazio nella mia mente, mentre lo realizzo lentamente.

Un pensiero che si avvicina adagio alla sua preda come una leonessa, senza farsi notare, per poterla aggredire all'improvviso senza lasciarle alcuna via di scampo.

Nello stesso modo, quell'ultimo pensiero, che la mia testa ha formulato, sta avanzando fino a farsi sempre più nitido. Adesso è lì, chiaro ai miei occhi, e non avrei nessuna difficoltà ad alzarmi da questa catasta di sdraio, avvicinarmi al muretto e compiere quell'ultimo passo che non ho potuto fare quella sera sul tetto dell'ospedale.

Ma è proprio quell'ultimo passo che mi riporta alla mente Kurty, Hazel, e tutto il resto. Dio! Non potrei fare loro una cosa del genere, come potrei farli soffrire ancora come ho fatto finora? Loro, che non hanno fatto altro che lottare per me. Loro, che hanno annullato la loro vita per pensare alla mia.

Piego la testa in avanti, per nascondere il viso tra le ginocchia. Penso a Harry, a quanto abbia fatto lui per me da quando ci siamo conosciuti, fino a quello che ci ha unito stasera. Ha fatto l'amore con me. So distinguere il sesso da qualcos'altro, e quello non era sesso fine a sé stesso. Era qualcosa, quel qualcosa che entrambi abbiamo continuato a sentire già prima di quel bacio rubato fuori dal negozio.

E la realizzazione di quel qualcosa mi colpisce in pieno, come un fulmine che si schianta nella mia testa mandando a fuoco ogni cosa. Resto ferma, rigida, le lacrime si fermano, gli occhi si spalancano, perché adesso so cos'è quel qualcosa, lo so senza ombra di dubbio, senza esitazioni, ed è spaventosamente reale.

La paura prende il sopravvento, il timore che tutto possa ripetersi, che possa perdere anche lui nello stesso modo, o in qualunque altro modo, mi porta a considerare la possibilità di troncare tutto ora, subito, prima che quel qualcosa porti altro dolore nella mia vita. Potrei dirgli che è stato uno sbaglio, potrei dirgli che il nostro tentativo di far funzionare le cose non va come pensavamo, che non è la cosa giusta da fare, che dovrebbe continuare a divertirsi, che...

Che non voglio fare a meno di lui, che è la mia àncora di salvezza, che è il mio porto sicuro, che è la mia rinascita, la mia voglia di vivere... sì, Harry è la mia voglia di vivere, ed è con questo pensiero positivo che allontano definitivamente quello negativo di poco fa. Ripenso ancora a lui, alle sue mani, ai suoi baci, e alla promessa che gli ho fatto. Mi ha chiesto di non abbandonarlo e io non posso, e non voglio, farlo.

Mi asciugo bene il viso, mi alzo in piedi, scorgendo da lontano le prime luci dell'alba. Un aereo sorvola quasi la mia testa, probabilmente non è nemmeno il primo, ma ero talmente presa da quello che mi stava succedendo che ho completamente ignorato i rumori intorno. Mi stringo nel cappotto a causa di una folata di vento freddo, poi rientro velocemente. Non voglio che si svegli da solo, gliel'ho promesso.

Faccio una breve tappa nel salone dove servono la colazione alla ricerca di qualcosa al cioccolato e trovo una piccola scatola con dei cioccolatini, ne prendo alcuni, poi li avvolgo in un tovagliolo e mi dirigo velocemente verso la nostra stanza. Appoggio la chiave elettronica alla serratura e apro la porta, ma quello che vedo mi fa fermare sulla soglia: la lampada che era sulla scrivania è per terra, come se fosse stata scaraventata da qualcuno, le lenzuola del letto sono completamente rimosse dal materasso e buttate all'aria, i suoi vestiti coprono la maggior parte del pavimento. È come se qui dentro ci fosse appena stata una guerra.

Faccio cautamente un passo verso l'interno, richiudo la porta alle mie spalle e, nello stesso momento, si apre la porta del bagno situata alla mia destra.

Lo sguardo di Harry è impenetrabile, di ghiaccio, freddo e distaccato. Mi guarda per un paio di secondi, poi mi supera come se fossi invisibile, come se non fossi niente, e si dirige verso i suoi vestiti sparsi per la stanza.

«Harry?», dico con un filo di voce, mentre la paura inizia a farsi spazio in me, ma lui non risponde e sono costretta a chiamarlo di nuovo. «Harry?»

«Prepara la tua roba, l'aereo sarà pronto al decollo tra un paio d'ore». La sua voce dura mi trapassa da parte a parte come una lama affilata, per poi affondare con forza nel cuore.

Faccio un passo verso di lui, poi lo richiamo di nuovo con la voce che trema. «Harry...»

Resta inginocchiato e si volta a guardarmi, ma se il suo sguardo potesse fulminarmi, adesso sarei cenere. «Proprio non senti quando parlo... ti ho detto di preparare la tua roba», dice secco, tornando a fare ciò che stava facendo e una piccola lampadina si accende nella mia testa.

"Proprio non senti quando parlo..."  Non può credere che io me ne volessi andare...

«Harry sono andata a prendere questi...», gli mostro i cioccolatini che ho in mano, sperando che capisca, sperando che mi dia ascolto.

Si volta di nuovo, poi si mette in piedi. È a torso nudo, indossa solo i jeans, i capelli sciolti e gli occhi più rabbiosi che gli abbia mai visto. Guarda con disprezzo il contenuto della mia mano, poi sento una risata sarcastica lasciare la sua bocca.

«E dove cazzo sei andata a prenderli? Sei andata fino a Madrid?» Lo guardo con aria confusa, ma lui si affretta a continuare. «Sono sveglio da almeno un'ora... quanto cazzo di tempo ci vuole a prendere due fottuti cioccolatini e tornare?» Ha i pugni stretti lungo i fianchi, la mascella tesa, e gli occhi di un verde spento e scuro.

Non l'ho mai visto così arrabbiato, così fuori di sé e non so cosa fare. Sento che sta per gettarmi addosso tutta la sua rabbia, lo sento, e non sono in grado di gestirlo, non sono in grado di fermarlo, perché lo sguardo che mi sta riservando in questo momento fa molto più male di qualsiasi parola possa uscire dalla sua bocca.

«Harry...»

«Harry un cazzo!» La sua voce alta mi interrompe, facendomi chiudere gli occhi e trattenere il respiro.

Fa male, fa dannatamente male, ma non lo biasimo. Cerco di mettermi nei suoi panni e posso solo immaginare cosa abbia provato nello svegliarsi da solo dopo essersi sentito promettere che sarei stata con lui, che non me ne sarei andata.

«Harry, io non... non intendevo...» Mi interrompe. Ancora.

«Tu cosa?» Mi guarda con rabbia e dolore, e io non riesco a rispondere. «Tu non volevi? Tu non intendevi andartene?» Continua a farmi domande e io continuo a tacere, senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso. «Lo fai sempre, lo fai continuamente! Dimmi che non ti è passata per la testa nemmeno per un secondo l'idea di scaricarmi...» Resto in silenzio, ancora, come se non fossi in grado di parlare.

Dovrei dirglielo che ci ho pensato, ma dovrei anche dirgli tutto quello che mi è passato per la testa in queste due ore in cui sono stata da sola. Dovrei raccontargli dell'incubo, dei miei dubbi, dei miei ripensamenti, del fatto che ho capito che è lui ciò che voglio, che non voglio più escluderlo dalla mia vita, e invece resto ferma, in piedi, con quei cioccolatini in mano, e il labbro che continuo a mordere, incapace di proferire parola.

«Cristo!» Impreca ad alta voce, distogliendo lo sguardo dal mio. Il mio silenzio è stato eloquente, ma quando sto per spiegarmi, i suoi occhi tornano su di me, ancora più aggressivi di prima. «Tu lo sapevi... tu sapevi cosa avrebbe voluto dire per me. Mi sono confidato con te, ti ho parlato di cose di cui non ho mai parlato con nessuno, ti ho implorato ieri sera, ma a te è fregato meno di un cazzo di niente! Te ne sei andata... Nel cuore della notte... Ti sei alzata da quel dannatissimo letto e hai scelto deliberatamente di lasciarmi lì, come il coglione dei coglioni, e adesso ti aspetti che quei cioccolatini del cazzo possano sistemare tutto?»

Anche lui è senza fiato, proprio come lo sono io.

Anche lui è distrutto, proprio come lo sono io.

Anche lui sembra perso, proprio come lo sono io...

«Harry...», è l'unica cosa che riesco a dire. Mi attacco con tutte le mie forze al suo nome, perché non ho altro in questo momento.

«Prepara la tua roba, torniamo a Boston». Le emozioni sono di nuovo scomparse dal suo volto e dalla sua voce. È tornato imperscrutabile, poi si volta, si inginocchia e ricomincia a riempire a caso la sua valigia.

Non c'è più traccia di rabbia in lui, non c'è più traccia di alcun sentimento. È come se si fosse distaccato completamente dalla realtà.

E ora, in questa stanza, sento solo i rumori che lui provoca sistemando la sua valigia, e quello dei pezzi del mio cuore che cadono, uno dopo l'altro, perché non c'è più Harry a tenerli insieme. 

   
 
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