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Autore: prettystoned    19/04/2019    1 recensioni
Ma, al di sotto di quelle fondamenta composte da nobili propositi, si trovava la terra sporca, quella in cui era sepolto il loro passato, le vecchie abitudini. E a Beverly cos’era rimasto?
Ben poco. Un amico, bei ricordi e tanti brutti vizi.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un tornado nella testa, e ci sei soltanto tu.
Tedua

Artem era una delle persone più tranquille che Bev avesse mai conosciuto. Era pacato, gentile ma a volte distaccato, non era un tipo timido ma gli piaceva stare sulle sue, una cosa che lei apprezzava anche se in passato si era circondata di amicizie frivole a causa del suo amore per la compagnia. Artem non avrebbe mai fatto nulla del genere.
Bev stava sul balcone del suo appartamento, fissando il sole che tramontava lentamente, lasciando spazio ad un cielo scuro e ricoperto di stelle; aveva una sigaretta tra le dita e lo sguardo perso. Pensò che sarebbe stato molto poetico fissare il tramonto con aria assente mentre l’immagine di Artem sfiorava dolcemente i suoi pensieri, ma quello era un atteggiamento da persona innamorata e Bev non si riteneva innamorata di Artem, un piccolo sorriso le increspò le labbra, non era certamente innamorata ma non era neanche detto che non pensasse mai a lui. Erano diventati buoni amici, ormai, e non ne aveva ancora parlato con Hayden… era un bel po’ che non sentiva il suo migliore amico, quell’affare che l’aveva costretta a comprare dal suo nuovo amico era andato alla grande e da quel giorno Hayden aveva iniziato lentamente a sparire, stava lontano dal centro e non passava mai da Bev, neanche per salutare.
Ehi… non so che stai facendo o come stai, potresti anche farti sentire, ogni tanto. Vorrei parlare con il mio migliore amico, credo di averne bisogno. Se puoi passa domani sera, ci vediamo.
Beverly ebbe l’impressione che quel messaggio sarebbe rimasto nella segreteria di Hayden senza essere ascoltato molto a lungo, lo sentiva allontanarsi ma non capiva bene se il vuoto all’altezza dello stomaco fosse dolore o semplicemente la sensazione di solitudine mista ad un’apatia che aveva iniziato ad appartenerle sempre di più, da qualche anno a quella parte.
Hayden non rispose, quella sera. Non lo fece neanche il giorno dopo né quello dopo ancora, era completamente sparito e lei non sapeva più cosa fare. Avrebbe dovuto cercarlo di più? Pressarlo affinché le rispondesse? Ma poi a cosa sarebbe servito? Avrebbe ottenuto un Hayden infastidito e ancora meno motivato a risponderle, in effetti tutto ciò che poteva fare era aspettare, non pensarci e sperare che lui stesse bene e che non fosse nei guai, perché cos’altro le importava? Non voleva che le desse attenzione solo per l’egoista motivazione di volere qualcuno con cui parlare, voleva anche che lui la rassicurasse perché nel campo in cui lavorava non c’era nessun tipo di sicurezza, se non quella di finire dietro le sbarre al minimo sentore di colpevolezza. Bev questo lo sapeva molto bene.
Spense la sigaretta e la lanciò giù dal balcone, osservandola mentre precipitava per poi colpire il marciapiede. Girò sui talloni e si diresse all’interno dell’appartamento, cadendo sul divano, il cellulare era ancora nella veranda del balcone – l’aveva lasciato lì in modalità silenziosa, per far sì che il suo migliore amico capisse cosa intendeva lei per preoccupazione – e non aveva intenzione di alzarsi per andare a prenderlo. Accese la tv e diede uno sguardo superfluo al telegiornale, non le importava più di tanto di ciò che accadeva intorno a lei, consapevole che nell’inutilità della sua esistenza non avrebbe potuto fare niente per cambiare le cose. Preferiva non sapere. Lasciò perdere la tv, non c’era nulla di interessante e comunque non le piaceva stare a fissare uno schermo.

Un piccolo autogrill nel bel mezzo del nulla illuminava la strada, i lampioni non servivano a molto e l’enorme insegna a neon decisamente sproporzionata rispetto alla struttura semplice e di modeste dimensioni svolgeva perfettamente il loro lavoro. Beverly scese dall’autobus, facendo il suo solito tratto a piedi con una sigaretta tra le dita e una bustina di plastica contenente un pezzo di fumo infilata nel reggiseno, la cosa migliore di fare la notte era proprio che non c’era quasi nessuno in giro e lei poteva tranquillamente fumare. Entrò dal retro e s’infilò il più velocemente possibile nel bagno per mettere l’uniforme.
“Buonasera.” Salutò il suo capo con un tono piatto, un tono che faceva chiaramente capire quanto non lo sopportasse ma quanto tenesse a quel lavoro – non avrebbe avuto un soldo, altrimenti. “Buonasera, Beverly.” L’uomo pelato e sulla cinquantina la squadrò da capo a piedi con un sorrisetto malizioso, e poi puntò gli occhi sui suoi, era inutile negarlo: si sentiva costantemente in pericolo, da sola nel locale con quell’uomo, le lasciava sempre occhiate lascive prima di andarsene per tornare a casa dalla sua famiglia, sua moglie non sarebbe stata felice di ciò che suo marito pensava della giovane dipendente.
Il suo turno andava in questo modo tutte le sere: aspettava che il capo si allontanasse con la macchina, controllava che non avesse dimenticato nulla – in caso tornasse per prendere qualcosa – e poi andava nel bagno, approntava il joint con le orecchie ben tese per evitare di far aspettare troppo i possibili clienti, dopodiché usciva dalla porta sul retro e accendeva la prima della nottata, sempre con attenzione ai rumori delle macchine che si parcheggiavano di fronte all’autogrill.
Quella sera non era molto diversa dalle altre, stava pulendo il bancone con un vecchio straccio e la musica della piccola radio a farle da sottofondo, come al solito la pace della notte regnava e Bev sperava che non giungesse nessuno come di consueto, ma il rumore di un’auto che si parcheggiava là vicino la fece sospirare rassegnata, avrebbe dovuto servire chiunque fosse appena giunto lì. Dalle vetrate poté vedere una jeep nera, da essa scesero cinque ragazzi – probabilmente della sua età – distolse lo sguardo, anche se le era parso di notare dei capelli biondi che conosceva bene.
I suddetti entrarono facendo un gran fracasso, spalancarono la porta e uno di loro fece cadere uno degli sgabelli posizionati davanti al bancone, nel tentativo di sedersi. Beverly lo guardò ma fece finta di nulla, “Buonasera, cosa posso servirvi?” chiese con il suo finto tono cordiale, quello riservato ai clienti. Finalmente, nell’attesa della risposta, scrutò i ragazzi e quasi non sobbalzò. Gli occhi castani, i capelli biondi, non si era sbagliata, quello era proprio Artem e i ragazzi con lui dovevano essere suoi amici. “Ciao…” lo salutò in un mormorio, sorridendo, lui si avvicinò al bancone e la guardò per qualche istante, “Ehi. Non sapevo lavorassi qui.”
“E io non sapevo che tu avessi degli amici così poco sobri.”
“Hanno solo bevuto un po’ troppo, ci prepari un caffè e qualcosa da mangiare?”
“Sì, certo. Mentre i tuoi amici mangiano possiamo… parlare.” Propose assottigliando le labbra, il ragazzo annuì subito, “Certo.”
Artem la perseguitava in un modo stranamente piacevole. Era in ogni suo pensiero, in ogni sua parola ed ora anche nel suo lavoro. Non avrebbe potuto passare un’altra nottata nell’autogrill senza covare, nel più piccolo angolo del suo cuore, la speranza che lui e i suoi amici ubriachi arrivassero e quegli occhi castani le migliorassero l’intera notte.
Bev si spostò nel retro del locale, aveva acceso un’altra sigaretta dopo aver servito i ragazzi ed era finita lì, attendendo e sperando che il ragazzo avesse capito l’antifona e che la stesse raggiungendo a breve.
“Ehi Artie! Che fai? Ci lasci?” la voce strascicata ma visibilmente divertita di Cory lo bloccò nei suoi passi, Artem si voltò per guardarlo ridendo, “Sta’ zitto, sei ubriaco.” Fu la sua risposta, e l’amico rise subito dopo: “Meglio ubriaco che come te!”
Ma Artem lo ignorò, o almeno fece finta, la sua allusione lo accompagnò in ogni passo verso il retro dell’autogrill, era davvero meglio essere ubriachi piuttosto che innamorati? Beh, quello lo stava pensando Cory, ma lui non era innamorato della ragazza che, di fronte a lui, stava gettando a terra un mozzicone di sigaretta per spegnerla, il ragazzo pensò che in quel gesto c’era un accenno sconsolato, come se sperasse che prima dell’ultimo tiro lui arrivasse lì, ma il suo presunto ritardo non lo preoccupò, fu veloce a raggiungerla da dove stava in piedi, a qualche passo dalla porta. “Eccomi.” La affiancò e lei alzò lo sguardo, sorridendogli, “Eccoti. Come va?”
“Forse sono troppo sobrio, ma ho una marea di pensieri per la testa. Tu?”
“Ah sì? E perché non hai bevuto abbastanza?”
Scrollò le spalle, “Non lo so, non mi andava, forse. Forse non volevo smettere di pensare.”
“Dipende tutto da cosa stavi pensando.”
“A te. Stavo pensando a te.”
I loro sguardi si incontrarono immediatamente, quello di Artem si era alzato perché voleva leggere l’espressione nel volto di Bev dopo la sua affermazione e quello di lei aveva fatto lo stesso per puro stupore, di fatto i suoi occhi verdi erano spalancati. Ma quella non era una dichiarazione d’amore, Artem non avrebbe iniziato a dirle che lei riempiva le sue giornate, che si incastrava perfettamente anche negli spazi più piccoli tra un pensiero ed un altro, che la sua voce era il ricordo più vivo che si ripresentava ogni giorno. Lui non faceva quelle cose, non aveva mai voluto farle e sapeva che comunque lei avrebbe capito.
Beverly lo guardò quasi come se non lo vedesse, per poi tornare alla realtà, doveva trovare qualcosa da dire, una risposta ben pensata che gli facesse intendere che anche lei pensava spesso a lui ma senza doverlo dire esplicitamente. “Ah…” mormorò, “Anche io.”
“Anche tu, cosa?”
“Anche io stavo pensando a te.”

   
 
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