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Autore: Roquel    20/04/2019    3 recensioni
I fiori sbocciano dalla sera al mattino, come dei nei, anche se somigliano più a dei tatuaggi sbiaditi. Ogni fiore, così come ogni colore, dice qualcosa riguardo la personalità del suo proprietario. L'ubicazione identifica il tipo di persona. Petto, scapole e spalle per gli Apha (forza, protezione e ferocia); mani, gambe e viso per i Beta (duro lavoro, sicurezza e fiducia); infine addome, stomaco e fondoschiena per gli Omega (maternità, dolcezza e sensualità). Di anno in anno, i tatuaggi crescono, fioriscono e si diffondo sul corpo del portatore.
A sedici anni, Izuku non ha alcun fiore, ma nei suoi ricordi brilla il rosso del gladiolo sulla pelle di Katsuki. È quel ricordo a far rivivere il suo desiderio di tornare a casa; ma le cose non sono mai semplici.
(AU. Tre regni e una guerra sul punto di esplodere.)
[Katsudeku - Kirikami]
Traduzione di "Flower Bouquet" di Maia Mizuhara, che è a sua volta una traduzione inglese dell'originale "Bouquet de Flores" originale spagnola di Roquel.
Link nella pagina dell'autore e nelle note al fondo del primo capitolo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Kaminari Denki, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Un po' tutti
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 15 - Nelle terre di Hosu





 

Da lontano il convoglio sembrava un gruppo di semplici soldati: sei vagoni guidati da conducenti vestiti di nero, una truppa di soldati in prima fila, sui fianchi e nelle retrovie, tutti con l'inconfondibile uniforme dell'esercito e coperti da strati spessi, fatti apposta per viaggiare sotto la pioggia.

Ma da più vicino e sotto un controllo più accurato le differenze si sarebbero notate facilmente. Prima di tutto i soldati avanzavano senza la coordinazione che caratterizzava la milizia, senza formazioni o posizioni, non c’erano superiori a guidare e supervisionare la carovana. In secondo luogo, i soldati avevano problemi nel maneggiare le bestie da carico che sembravano scegliere sempre il percorso più liscio, dove le ruote dei vagoni finivano per affondare, il che faceva capire che la truppa non conosceva la zona.

Nonostante le difficoltà, il gruppo non si muoveva alla cieca. Sui lati alcuni soldati studiavano l’ambiente circostante in cerca di minacce, di tanto in tanto mandavano piccoli avamposti in tre direzioni con l’intento di scegliere il percorso più accessibile, di notte facevano i turni di guardia per evitare sorprese o imboscate e soprattutto c’erano esploratori che pulivano l’area che attraversavano.

Quindi no, non erano un gruppo comandati da un capitano dell’esercito, ma di certo avevano un leader che li guidava.

Togaru li aveva seguiti per due giorni da quando aveva incrociato il gruppo durante il suo giorno di caccia. Inizialmente aveva avuto intenzione di nascondersi fino a perderli di vista, sapeva che se l’avessero trovato ci sarebbero state troppe domande, che lui voleva evitare. Tutto ciò prima di capire che il convoglio era composto da persone non originarie della zona.

Ora Togaru stava cercando di indovinare se la truppa fosse stata inviata dal Generale stesso.

Avendo il vantaggio di conoscere la regione, le migliori zone dove accamparsi e cacciare, e tutte le possibili scorciatoie, Togaru non aveva problemi nel trovare nascondigli da dove poter osservare il gruppo mentre avanzava. Si muoveva sempre nella zona alta, dove gli alberi erano più fitti, lontano dai loro ricognitori e dai loro terreni di caccia.

Per quasi tre giorni Togaru assistette alla stessa routine: i vagoni si muovevano lentamente lungo le strade fangose, a volte le ruote si incastravano e il gruppo si radunava per dare una mano; riposavano tre volte al giorno, le prime due erano soste brevi per mangiare e rilassare le gambe, l’ultima era al tramonto dove veniva allestito l’intero campo. Accendevano un fuoco sotto la pioggia e quelli di guardia si sparpagliavano intorno mentre il resto andava a dormire. Il giorno dopo ricominciava la routine.

Togaru si annoiava, stava seriamente pensando di voltarsi e andarsene, finché non vide il volto del leader.

Era difficile seguire la traccia del capo in mezzo a tutte quelle persone incappucciate, il tipo era in costante movimento e si distingueva dagli altri solo quando iniziava a indicare e tutti si muovevano per obbedire. Togaru aveva perso la speranza di identificarlo, ma fortunatamente per lui la pioggia smise al terzo giorno e l’intera carovana si godette il sole.

Appollaiato sull’albero, Togaru si sporse sul ramo con lo sguardo sul leader, che iniziò a mobilitare gli altri. Attorno a lui molti avevano iniziato a scoprirsi, ma lui continuava a dare ordini senza dar segno di volerli imitare.

‘Dai,’ Pensò con ansia Togaru. ‘Togliti il cappuccio, chi sei? Dabi? Shigaraki?

Quando il leader si scoprì finalmente la testa, Togaru batté le palpebre, confuso. Il tipo era troppo giovane e non aveva la costituzione forte e robusta che caratterizzava tutti i capitani dell’esercito; aveva il volto pallido come il latte, niente corna tra i capelli biondi o altri segni particolari.

Poi questo imitò gli altri e si spogliò per lavarsi. Non appena tolse la parte superiore dell’uniforme, Togaru lo vide.

Il fiore rosso proprio sopra il cuore.

Merda.

Il suo corpo tremò di paura e le mani volarono verso le sue armi, in un paio di secondi armò la sua postura con l’arco teso e pronto a scoccare. Si fermò quando capì che il leader non era l’unico. Tutti gli uomini attorno a lui esibivano un fiore sul petto, sulle spalle o sulla schiena.

Una truppa d’assalto.

L’enormità della situazione fece tremare Togaru. Aveva visto le navi all’orizzonte e sapeva che i selvaggi erano giunti per la guerra, ma era sorpreso di vedere un loro gruppo così lontano dalla costa.

‘Come sono arrivati fin qui? Dove hanno preso quelle uniformi? Dove si dirigono?’

L’ultima domanda lo fece reagire. Senza dubbio la truppa d’assalto intendeva liberare l’area, forse volevano attaccare i villaggi fingendosi guardie armate.

‘Devo avvertire il Colonnello. Dobbiamo preparare una linea offensiva. Cacciarli dalle nostre terre.’

Togaru studiò ancora una volta il leader dei selvaggi, abbandonò l'albero e corse dritto verso casa.










 

Da quando aveva perso la sua casa Denki era stato accompagnato dagli incubi. A volte sognava di sua madre in una pozza di sangue, altre ricordava suo padre avvizzito nel suo letto, ma la maggior parte delle volte sognava delle celle scure, della prima volta in cui lo portarono lì, la paura e il terrore di perdere le sue bende. Sognava delle mani di Nubia e del suo materasso vuoto. Sognava di cadere in un pozzo e si svegliava con la sensazione della vertigine della caduta.

Era solito svegliarsi tre o quattro volte durante la notte, scuoteva la testa, inspirava l’aroma familiare di reclusione e vuoto per tornare a dormire e ripetere la sequenza.

Aveva ancora degli incubi, sognava delle celle scure, di tanto in tanto sognava del se stesso più giovane in una gabbia dentro una nave oscillante, ma ora sognava anche di dita d’acciaio che si stringevano attorno alla sua gola. Sognava di occhi spietati che lo guardavano mentre cercavano di ucciderlo.

Si svegliò col respiro irregolare e la sensazione spettrale dei pollici premuti contro la sua trachea, ma invece di inspirare l’odore della cella, sentì la pioggia. Girandosi, avrebbe sentito la terra contro la guancia e la sensazione era abbastanza per scacciare i suoi incubi.

Era ancora presto quando Denki si tirò su con cura, cercando di non svegliare nessuno. Si alzò e avanzò in punta di piedi tra i suoi compagni addormentati. Avvolto nella coperta si avvicinò all’estremità della tenda improvvisata; un lato della tenda era attaccato a uno dei vagoni e dall’altro lato era fissata al terreno con dei paletti, lasciando il fronte e il retro scoperti.

Denki si sedette sul bordo e allungò una mano fuori. La pioggerellina leggera era fredda, ma non c’era confronto con il gelo della prigione.

Erano liberi da cinque giorni e Denki ancora non riusciva a crederci. A volte aveva paura di svegliarsi di nuovo nella prigione, sul suo materasso, senza le forze per affrontare un altro giorno; ma ogni volta che la paura cercava di instillarsi, gli bastava togliersi il cappuccio dell’uniforme e inspirare profondamente. Sentiva la pioggia, la terra umida, le piante… Profumo di libertà.

Ogni volta che respirava a Denki veniva da ridere, ma sapeva che se l'avesse fatto, sarebbero tornati i singhiozzi e i lamenti e non c'era tempo per quello. Per quanto desiderasse levarsi gli stivali e saltare nelle pozzanghere urlando di gioia, non poteva permetterselo.

Denki allungò entrambe le mani verso la pioggia, le formò a coppa e quando raccolse abbastanza acqua si lavò la faccia. Ripeté il processo fino a sentire la pelle fresca e pulita, poi si sciacquò la bocca e si passò le mani bagnate tra i capelli. In realtà avrebbe voluto fare un bagno, ma non si sentiva ancora pronto a togliersi l'uniforme.

Aveva paura che una volta tolta non avrebbe più potuto indossarla e la sola idea di tornare al fundoshi lo riempiva di terrore. Ipotizzò che condividevano tutti la stessa paura irrazionale perché, anche se gli altri si lavavano ogni giorno, nessuno si era preso la briga di farne richiesta.

Quindi Denki si sistemò alla bell'e meglio senza spogliarsi, poi piegò la sua coperta e si allontanò dal gruppo verso il vagone accanto al loro. Lì dentro dormivano gli Omega in heat. Denki aprì la porta e subito l'Omega che stava di guardia all'entrata si svegliò. Non appena lo riconobbe, Chieko sorrise.

“Buongiorno, è sorto il sole?”

“Non ancora, puoi dormire ancora un po’, sono solo passato a lasciare la mia coperta. Come stai?”

“Beh, Andu si è svegliata verso mezzanotte piangendo, ma siamo riusciti a calmarla. Sono tutti esausti e affamati, pensi che potremmo aumentare le razioni mattutine?”

“Vedrò cosa posso fare, avete bisogno di altro panax?”

“Per ora no, lo conserviamo per quando sarà necessario. Gli altri gruppi come stanno?”

“Stavo giusto per andare lì da loro. Riposati, non appena sorgerà il sole manderò qualcuno a darti una mano per la colazione.”

Denki chiuse la porta, tirò su il cappuccio e corse i quattro metri che lo separavano dall'altro vagone. Trovò Ochako sveglia, gli occhi fissi sulla porta e un coltello stretto fortemente in una mano. Il suo sguardo si rilassò quando lo vide ma non diede segno di voler lasciare la sua arma.

“Sei sveglia,” mormorò calmo Denki, avvicinandosi per accarezzarle i capelli.

“Non riuscivo a dormire,” rispose Ochako senza sorridere. “Ho sentito dei rumori fuori stanotte e ho pensato…”

Non finì la frase ma non fu necessario perché Denki ricordava il primo giorno, quando uno degli Alpha sentí il profumo di un Omega e perse la testa. Da quel giorno stabilirono le pattuglie e presero l'abitudine di lasciare di guardia un Omega vicino alla porta.

“È tutto okay,” disse Denki, cercando di calmarla. “Ora dormi, ci sono io sveglio.”

Le accarezzò i capelli finché non rilassò la presa e riuscì ad addormentarsi. Denki chiuse la porta e fece un cenno all'Alpha che controllava entrambi i vagoni. Era ancora presto ma invece di tornare a dormire, Denki si allontanò.

L'ultimo gruppo di Omega dormiva vicino al terzo vagone, i feriti e gli ammalati riposavano nel veicolo. Senza contare tutte le perdite dovute alla battaglia nella prigione - per le ferite e i morti nelle celle - il loro numero era diminuito e la maggior parte erano Omega.

Dentro il quarto e il quinto vagone veniva conservato tutto il cibo, vicino al quale dormiva metà del gruppo degli Alpha, e il resto era intorno all’area, facendo la guardia o esplorando. Dietro quel gruppo c'era il primo carro, vicino al quale non voleva dormire nessuno.

Nessuno eccetto il leader, che piazzava il suo falò sempre vicino al vagone che trasportava i pacchi di incenso.

Il convoglio era stato preparato dai soldati della prigione; avevano disposto tutto il cibo e organizzato i trasporti, quindi dovevano solo procurare le uniformi e gli stivali per il viaggio. Una volta pronti per lasciare la fortezza molti insistettero nel lasciare indietro il veicolo, ma l'Alpha non cedette e la sua volontà prevalse, Denki non gli chiese mai perché.

Sapeva che non c'era garanzia che avrebbe ricevuto una risposta.

Durante il viaggio, Denki aveva imparato alcune cose riguardo l'Alpha: aveva poca pazienza, non gli piaceva legarsi agli altri, prendeva sempre i turni di guardia più pesanti, non rispondeva mai a domande personali — era riuscito a tirargli fuori il suo cognome insistendo e infastidendolo — e a quanto pareva non dormiva perché Denki lo trovava sempre a fare la guardia.

Come in quel momento.

“Che c'è?” Chiese Bakugou non appena Denki si fermò vicino al posto di guida. Gli fece la domanda senza voltarsi, guardando il branco di animali che dormivano pacificamente sotto un telone improvvisato.

Dal punto in cui si trovava — la testa di Denki era all'altezza del sedile — vedeva facilmente la fialetta di vetro che l'Alpha si rigirava tra le dita.

“Tieni,” gli porse il pezzo di stoffa che aveva cucito il pomeriggio prima. Quando l'Alpha non diede segno di voler accettare il dono, Denki aggiunse: “Ho cucito una fodera interna con del riso per evitare che si muova troppo; farà da cuscinetto in caso cada per terra. Il laccio è abbastanza spesso, se vuoi appenderlo al collo. Sempre meglio che nella tua tasca, dove finirà per rompersi.”

Quando l'Alpha voltò la sua faccia incappucciata verso di lui, Denki affrontò il suo sguardo truce con tutta la forza che aveva. Tenne la mano tesa finché l'Alpha non prese il sacchetto. Senza aspettare un ringraziamento, Denki camminò davanti al vagone poggiato sul terreno umido e salì sul posto da passeggero.

Si strofinò le mani, sbadigliò e fece finta di non notare con quanta cura l'Alpha ripose la boccetta nel sacchetto. Ne ricordava ancora il profumo, l'essenza leggera di basilico e menta, ma ciò che non avrebbe mai dimenticato era la fortissima reazione che aveva causato. Ogni volta che ricordava l'odore di legno bruciato il suo stomaco si contraeva.

Si schiaffeggiò mentalmente per scacciare il ricordo mentre l'Alpha finiva di appendere il sacchetto attorno al collo, nascondendolo sotto l'uniforme.

“Pensi che smetterà mai di piovere?”

“Le nuvole sembrano meno dense. Probabilmente oggi schiarirà.”

L'idea lo emozionò. Denki alzò gli occhi, ma vedeva solo nuvoloni scuri.

“Se sorge il sole possiamo prenderci il giorno libero?”

“No. Abbiamo già un passo abbastanza lento, non ritarderemo ancora di più.”

Prima Denki sarebbe rimasto in silenzio — in prigione non avrebbe nemmeno posto quella domanda — ma ora che poteva respirare aria fresca e pulita e che poteva stiracchiarsi sotto la pioggia, non aveva motivo di restare zitto. Il suo vecchio se stesso, sepolto sotto strati di angoscia e paura, fece capolino con la testa e si allungò, il profumo di arance che emanava leggermente parlava di dolcezza e sottomissione.

“Ma viaggiare nei carri è difficile,” la sua voce era piena di sfumature morbide, quelle che appellavano alla natura protettiva di qualsiasi Alpha. “Siamo continuamente rinchiusi e gli animali sono troppo testardi per obbedire. I malati risentono del viaggio e gli Omega—”

“Basta. Non ci fermeremo nemmeno un giorno.”

Denki storse il naso, insensibile all'improvviso cambiamento nell’odore dell'Alpha. L'aroma di arance si inspessì per cercare di ammorbidire l'Alpha. Solo con lui si azzardava ad usare quella tecnica, che usava a casa quando voleva che Allana gli prestasse attenzione.

La risposta di Bakugou fu di voltarsi e guardarlo accigliato.

“Ho detto no.”

“Solo un giorno.”

Più che una richiesta, le sue parole avevano il timbro giocoso di chi stava flirtando. Denki non poté farne a meno, l'aroma attorno a lui si addolcì, la sua postura si rilassò e osò addirittura avvicinarsi e spingerlo leggermente.

“Solo per oggi,” ripeté senza smettere di sorridere.

Bakugou storse il naso, e il suo cipiglio si corrucciò ancora di più. Con un movimento rapido lo spinse con un gomito e ringhiò:

“Se non la finisci con queste stupidaggini, finirai con la faccia per terra.”

Invece di essere imbarazzato, Denki rise, sia al gesto che all'improvviso senso di sicurezza che lo invase. Sapere che l'Alpha non lo vedeva come una possibilità lo riempiva di una libertà e fiducia impossibili da spiegare.

“Che succede?”

La sua risata morì quando si voltò verso la voce. L'Alpha dai capelli rossi — Eijirou Kirishima — era lì in piedi, che li fissava. Lo riconobbe dalla voce, dalla forma del suo corpo che si stagliava nella pioggia con tutta la sua altezza. Lo riconobbe dai suoi occhi, da come lo guardava.

“Buongiorno,” rispose Denki trattenendosi dall'usare il nome che l'Alpha non aveva mai smesso di ripetere ogni volta che parlavano. Si raddrizzò sul posto, cercando di non sembrare a disagio.

“Ciao, Denki.”

Ogni volta che sentiva il suo nome pronunciato col tono vellutato dell'Alpha il suo stomaco collassava, si scioglieva dentro di lui in caldi pezzi. Denki boccheggiò ripensando a quegli abbracci che sapevano di zafferano. A volte sognava di quel momento nella pioggia e non riusciva a scrollarsi di quella sensazione elettrizzante.

“Di cosa stavate parlando?”

Denki alzò le spalle.

“Di prenderci un giorno libero.”

“Non ci fermeremo,” replicò Bakugou senza esitazione.

Di tutta risposta Denki storse il naso e spinse l'Alpha col palmo aperto. Ci mise un po’ di forza, come se fossero uguali, aveva preso confidenza ed era completamente diverso dal gesto delicato e attraente che aveva fatto prima.

“Potremmo fermarci,” intervení Kirishima, attirando la loro attenzione. “Sono stati dei giorni estenuanti e servirebbe a tutti una pausa.”

Denki si emozionò, illuminandosi e raddrizzando la schiena, la sua felicità si sparse nell'aria riempiendo la foresta di un profumo di succo fresco mattutino.

“Sì!” Disse a voce alta, alzando i pugni in aria. “Sarebbe fantastico.”

“Non abbiamo tempo—” Iniziò Bakugou ma Kirishima lo interruppe.

“Potremmo approfittare della giornata per fare altri test con l’incenso; in più, dalla mappa che abbiamo pare ci sia un'altra prigione nelle vicinanze. Potremmo mandare un gruppo a ispezionarla.”

Bakugou borbottò. “Credevo avessi fretta di trovare il tuo principe.”

“Todoroki-ouji ha almeno una settimana di vantaggio; in questo momento dovrebbe essere al sicuro a bordo delle navi della Flotta. Nella sua lettera diceva che avrebbe mandato delle truppe per riprendere la prigione. È probabile che stiano arrivando. Riposare un giorno non cambierà nulla.”

“Potrebbe non cambiare nulla, ma ogni giorno che passiamo in questo maledetto posto aumentano le possibilità di un'imboscata.”

“Quella possibilità esisterà anche se continuiamo ad avanzare senza riposarci, ma almeno in questo modo potremmo minimizzare il pericolo che i vagoni cadano da un terreno scivoloso. Gli animali sono stanchi e sono diventati difficili da gestire.”

Bakugou ringhiò mentre Denki trattenne il fiato.

“Molto bene,” disse dopo aver digrignato i denti. “Per oggi ci fermeremo.”

“SÌ!”

“Ma—!” Aggiunse il biondo guardando Denki irritato. “Non sarà un giorno per bighellonare. Abbiamo del lavoro da fare.”

“Certo!” Annuí Denki, saltando giù dal vagone.

“E tu parteciperai ai test dell’incenso.”

“Non credo sia necessario—”

“Lo farò,” replicò Denki, interrompendo la protesta di Kirishima. “Ma dato che oggi raccoglieremo le forze, possiamo raddoppiare le razioni?”

La faccia dell'Alpha si scurì. “D'accordo,” sputò con fastidio. “L'area è piena di selvaggina. Una doppia razione non influirà sulle provviste.”

Denki sorrise e si allontanò prima che qualcuno potesse cambiare idea. Non si voltò mai indietro.










 

“Dovrei lasciarli tutti qui,” ringhiò Katsuki scendendo dal vagone. “Specialmente tu e la tua stupida faccia compiaciuta.”

L'altro si risvegliò dalla sua contemplazione e iniziò a farfugliare. Era sorprendente che anche sotto il cappuccio riuscisse a riconoscere il suono della sua risatina nervosa.

“Non so a quale faccia compiaciuta tu ti riferisca, ma solo io posso chiedere a Todoroki-ouji dei feromoni. E non possiamo abbandonare il resto del gruppo.”

“Sta’ zitto! Non ho bisogno che me lo ricordi. Questa sosta ritarderà il nostro programma.”

“Quindi capisci che è necessaria.”

“Dannazione! Non devi ripetermi quello che già so. L'unica cosa che mi fa vomitare è vederti chiedere la sua approvazione.”

“Cosa…?! Di che stai—”

“Basta! Piantala con certe stupidaggini!”

Katsuki aprì le portiere del veicolo e si prese un momento per osservare la mappa che avevano preso dall'ufficio del capitano della prigione. Mostrava le strade, i villaggi, la posizione dei fiumi e le fortezze. Katsuki misurò la distanza dalla prigione più vicina e il tempo necessario.

“Almeno è vicina.”

“Quanto vicina?”

“Una piccola pattuglia potrebbe effettuare il tragitto in mezza giornata senza fare soste.”

“Possiamo aspettarli.”

“Sì,” disse Katsuki facendo una pausa per decidere. “Invieremo un piccolo gruppo. Due, no, tre persone. Viaggeranno con le provviste di base. Raccoglieranno informazioni.”

“E cercheranno sopravvissuti.”

“Dopo una settimana? Non credo. I prigionieri possono durare solo pochi giorni senza cibo. È impossibile restare vivi così a lungo.”

“Vedremo.”

Katsuki sospirò.

“Beh, dato che insisti, andrai tu.”

“Io?”

“Sì, tu, la stupida coda di cavallo e io.”

“Intendi Hiryu?”

“Cosa ti fa credere che io sappia il suo nome?” Si allontanò con la mappa arrotolata in mano, indicando le sentinelle più lontane. “Viaggeremo leggeri, provviste minime e piccole armi. Prepara le nostre cose.”

Kirishima obbedì e Katsuki si diresse verso il falò degli Alpha mentre il cielo sopra di lui iniziava a schiarirsi. Molti avevano il capo scoperto, altri tenevano su il cappuccio anche se aveva smesso di piovere.

“Oggi non avanzeremo,” annunciò ad alta voce e subito le voci di tutti si alzarono intorno a lui. “Tu,” indicò il ragazzo con la bandana blu in testa. Pur non conoscendo il suo nome sapeva che veniva dalle isole, Katsuki l’aveva visto lavorare e non gli aveva mai dato problemi. “Sarai il responsabile. Se non torniamo entro domattina, potrete muovervi, noi vi raggiungeremo. Qui c'è la mappa col percorso segnato,” gli porse la mappa arrotolata. “Le razioni di oggi saranno doppie, e durante il giorno farete tutti dei test con l'incenso.”

Si alzarono dei mormorii di protesta nel gruppo, ma Katsuki li zittì con un grugnito sinistro.

“Niente lamentele! Se veniamo attaccati, il nostro punto debole è l'incenso! Dobbiamo trovare un modo per contrattaccarlo. Fa la differenza tra la vita e la morte!”

Ci fu silenzio, qualcuno con un'espressione di ferrea determinazione. Katsuki prese un momento per guardarli uno per uno prima di riprendere il suo discorso.

“Le pattuglie manterranno la loro rotazione. Quelli liberi si uniranno al gruppo di caccia. Non allontanatevi troppo e non attirate l'attenzione. Le prede catturate verranno pulite dagli Omega—”

“Gli Omega?!” Urlò qualcuno, la voce che distillava indignazione e incredulità.

“Voi lo sapete fare?!” Domandò loro Katsuki e quando nessuno rispose, continuò. “Non voglio tornare e sentire lamentele. La nostra priorità è andarcene da qui. Non fate cazzate!”

Un coro di consensi seguì le sue parole e subito tutti si dispersero. Molti di loro approfittarono del resto della giornata per scoprirsi il volto, qualcuno per spogliarsi e lavarsi. Il ragazzo con la bandana si avvicinò subito.

“Cosa…?” Chiese Katsuki togliendosi il cappuccio.

“Mi chiamo Yosetsu,” si presentò l'Alpha senza battere ciglio. “Chi verrà con te?”

“Solo altri due. Il resto rimarrà qui.”

“Quando avete intenzione di tornare?”

“Domani, ma non aspettateci. Seguite i miei ordini.”

“E se aveste bisogno di rinforzi?”

“Il tuo lavoro è qui, niente di più.”

“Come vuoi.”

“Un'ultima cosa, hai presente l'Omega biondo?”

“Il tuo Omega—”

“Non è mio! Ma sai di chi parlo.”

“Sì.”

“Beh, lui è responsabile del suo gruppo. Se avete bisogno di qualcosa, chiedi a lui. E se chiede qualcosa, procuraglielo.”

Yosetsu annuì e si dileguò. Una volta che fu tutto pronto Katsuki si scoprì il capo e usò uno dei secchi di acqua piovana per lavarsi. Per un momento esitò dal lavarsi le mani nel secchio, sapeva che non appena l'avrebbe fatto, il profumo di menta sarebbe scomparso e l'idea lo infastidiva. Alla fine strinse le labbra, si spogliò e si lavò in fretta, pulendo il suo corpo dal sudore e dal fango.

Scosse via l'acqua fredda e si vestì velocemente, senza perdere tempo. Mentre si dirigeva verso la zona della colazione continuò a toccarsi lo sterno, dove sentiva il sacchetto di stoffa che conteneva la fialetta di Izuku.










 

Ochako si alzò pulendosi la bocca con il braccio, usò il pezzo di stoffa vicino a lei per lavarsi le mani e poi coprì la nudità del suo compagno con la coperta vicino. L'Omega fece le fusa sotto la coperta e scrollò le spalle tornando a dormire.

Attorno a lei c'erano sospiri leggeri, movimenti di chi tremava nel sonno e lievi sfregamenti di pelle contro pelle di chi si era appena svegliato.  Ochako si chinò su ogni coppia dormiente, in alcuni casi usava un panno bagnato per rinfrescarli e se necessario li aiutava con le mani o la bocca per alleviare i loro bisogni.

Era un’abitudine che avevano sviluppato in prigione, durante il periodo degli heat tenevano tutti dei turni per calmare i loro compagni prima di andare a dormire e subito dopo essersi svegliati. Durante il giorno masticavano del panax ma ora che viaggiavano nei carri potevano farne a meno e tenerlo per occasioni particolari.

Il vagone aveva il loro odore; aromi mischiati che si intensificavano o affievolivano durante il giorno. Ochako se ne immerse e quando finalmente tutti i suoi compagni si addormentarono lasciò la camera da letto improvvisata per stirarsi i muscoli sotto il cielo chiaro.

Aveva smesso di piovere e il cielo era di un grigio chiaro. Il sole era nascosto dietro le nuvole e ogni tanto vedeva i raggi che le attraversavano. Ochako inspirò il profumo della foresta e il suo stomaco svolazzò alla sensazione. Annusò il campo aperto e il letto di foglie bagnate.

Yui le si avvicinò emozionata, masticando una manciata di cracker.

“Sono venuta a darti il cambio,” disse con impeto, la schiena dritta e la testa in alto.

Era una persona completamente diversa dalla ragazza timida che inciampava nei corridoi della prigione. Anche Ochako si sentiva in quel modo: libera e frizzante. Ma aveva ancora problemi ad abituarsi a quella sensazione.

“Darmi il cambio?” Chiese, accettando il biscotto che le diede Yui. “Ma non manca molto alla partenza.”

“Oggi non viaggeremo. Mangeremo e riposeremo.”

Lo stomaco di Ochako lottò contro la paura in una reazione involontaria. Nonostante la gioia che sentiva dopo essere stata liberata, il sospetto era ancora lì, in agguato dentro di lei, stimolando la sua immaginazione e rafforzando i suoi incubi.

“Dov'è Denki?”

“Con il gruppo che prepara il cibo per gli Alpha. Il nostro falò è laggiù,” indicò il fuoco lontano dall'ultimo vagone. “Chieko sta organizzando i viveri per i malati e mi ha chiesto se puoi occuparti di quelli per chi sta dormendo nei vagoni.”

Ochako si inumidì le labbra e annuì.

“Posso farlo, ma prima devo parlare con una persona.”

Salutò Yui e si allontanò dal suo vagone andando verso il falò dove gli Alpha stavano pranzando. Si fece coraggio mentre si avvicinava perché l’odore che circondava il luogo era pieno di forza ed energia. Molti di loro la fissarono, ma Ochako non osò ricambiare lo sguardo perché non voleva rivedere volti familiari dalle sue visite nelle celle scure. Erano ricordi che non era pronta ad affrontare. Perciò camminò a testa alta, nonostante la sensazione di un pugno di ferro che le stringeva lo stomaco, lo sguardo fisso sul percorso davanti a lei.

Vide Denki in piedi davanti al fuoco, mescolava la zuppa in un’enorme pentola di metallo. C’erano una manciata di ragazzi con lui che servivano il cibo, senza reagire ai commenti che sentivano. La persona che Ochako stava cercando era seduta in prima fila, dietro il fuoco, con gli occhi fissi sul suo amico.

Ochako si diresse verso di lui.

“Ciao,” disse, sedendosi vicino a Kirishima.

L’Alpha annuì, anche se la sua attenzione non lasciò mai il falò dove l’Omega serviva il cibo.

“Ho sentito che oggi non viaggeremo, come mai?”

“È il primo giorno che non piove quindi faremo dei test con l’incenso. Cacceremo del cibo fresco e manderemo una pattuglia a controllare la prigione vicina.”

“Un’altra prigione? E se ci scoprono? O ci attaccano? Se ci inseguono?”

“La fortezza sarà sicuramente vuota. Gli ordini che abbiamo trovato nell’ufficio del capitano parlavano di svuotare le prigioni e concentrare tutte le forze nella capitale per affrontare le truppe d’invasione. È molto probabile che non ci siano nemmeno soldati nelle vicinanze. Sono stati mobilitati tutti.”

“Non puoi saperlo con certezza.”

Il suo cattivo umore si mostrò oscurando l’aria intorno a lei. L’aroma di nocciole si intensificò, diventando più amaro, concentrandosi in un tentativo di farsi consolare dall’Alpha.

Kirishima si voltò verso di lei. “Qual è il problema?”

“Non voglio stare qui. Voglio andare a casa.”

“Hai paura?”

“Chi non ne ha? Ho paura che ci prendano. Ho paura di tornare nelle celle. Ho paura di svegliarmi e scoprire che sono tornata lì, sottoterra.”

“Non tornerà nessuno lì, te l’assicuro.”

Ochako scosse la testa, incapace di esprimere a parole l’ansia che si agitava dentro di lei. Si coprì il volto con le mani e prese un respiro profondo, concentrandosi sul profumo di zafferano che la persona accanto a lei emanava. Dolce e intenso, pieno di sfumature ricche che riuscivano a calmare il suo cattivo umore.

“Chi andrà?” Chiese con un sospiro stanco.

“Sarà un piccolo gruppo, l’idea è di andare e tornare il prima possibile. Bakugo, Hiryu e io. Partiremo appena fatta colazione.”

“Chi resterà al comando?”

“Yosetsu.”

Quando sentì il nome, la tensione nelle sue spalle si alleviò. Il suo sollievo era così palpabile che Kirishima si voltò verso di lei.

“Ti piace?”

“Si può ragionare con lui,” spiegò bruscamente Ochako. “E non ci ha mai considerati come oggetti inutili.”

“Chi vi tratta in quel modo?”

Ochako aggrottò le sopracciglia quando lui la guardò, indecisa se aprirsi o lasciar morire la discussione. Alla fine alzò le spalle, in un gesto ambiguo. Restarono in silenzio per un po’ mentre il rosso finiva di mangiare, anche se in realtà stava solo giocando col cibo senza che la sua attenzione deviasse mai da Denki.

Ochako sospirò, “Perché non vai a parlarci?”

“Mi detesta,” spiegò Kirishima senza farfugliare. “Non so perché, ma mi odia. Ogni volta che cerco di parlare con lui mi evita e non mi guarda nemmeno negli occhi. Non mi sopporta, mi disprezza.”

“Lo dici tu.”

“Perché mi odia?”

“Non ti odia.”

“Certo che sì. Non mi parla. Non ride con me.”

“Non ha molte ragioni per farlo.”

“Ride con… Stava ridendo con lui.”

“Con chi?”

“Sai con chi. Li hai visti.”

Ochako annuì. Sì, li aveva visti. Tutti nel convoglio avevano assistito alla familiarità con cui Denki trattava il leader. Non esitava nemmeno quando l’altro gli rispondeva in malo modo; nonostante il cattivo umore dell’Alpha, Denki non sembrava mai sulla difensiva e non si comportava mai come se avesse paura di lui. Lei lo capiva, anche gli altri Omega, ma suppose che per un Alpha la situazione fosse incomprensibile.

“Non ti odia,” disse dolcemente, cercando di tenere quelle parole per loro e nessun altro. “È solo che non sa come trattarti.”

Kirishima la guardò di nuovo, e stavolta la sua espressione era di puro sbalordimento. Era un’espressione così adorabile che Ochako sorrise e si addolcì. Glielo spiegò.

“Denki è venuto a letto con te,” disse con il tono di una madre dalla pazienza infinita. “Non sei stato il primo… ma eri uno di molti… Non posso dirti per quanto tempo siamo stati sottoterra, non saprei, ma posso dirti quanti di voi ci hanno costretti ad avere rapporti e non mi basterebbero le dita delle mie mani. Non tutti erano amichevoli, non tutti sapevano controllarsi, né erano in grado di distinguere un ‘continua’ da un ‘aspetta’. Alcuni non capivano che lo facevamo per sopravvivere, per evitare punizioni peggiori o un destino orribile, credevano di avere dei diritti su di noi… L’unico modo per evitare che ci distruggesse era definire una barriera chiara tra noi e loro. Abbiamo tutti costruito dei muri. Denki ne ha uno… ma non ti odia, solo non sa come comportarsi con te. Non sa cosa vuoi da lui.”

“Ma non è così con...”

“Perché con lui si sente al sicuro. Denki sa che con lui non è in pericolo, sa che nonostante la situazione non sarà mai costretto a ripetere quello che ha fatto nelle celle scure.”

Kirishima la guardò a bocca aperta, Ochako riusciva quasi a vedere le idee e le conclusioni che si agitavano nella sua testa.

“Io… Con me non parla… ma tu sì...”

Ochako sorrise e alzò le sopracciglia.

“Oh!” Esclamò Kirishima non appena capì. “Proprio come loro… tu ti senti al sicuro con me?”

“E?”

“E se voglio che smetta di scappare, devo dimostrargli che non gli farò del male.”

“Molto bene, che altro?”

“Devo dargli spazio.”

“A-ha.”

Kirishima annuì distrattamente, guardò il suo piatto e per un momento non disse nulla. Alla fine si voltò verso di lei.

“Significa che non dovrebbe piacermi? ...Perché se è così… non so proprio come evitarlo.”

Ochako sospirò e gli sorrise.










 

Invece di sentirsi libera, Mina notava il nodo di ansia che cresceva dentro di lei. C’era qualcosa di profondo dentro di lei che non la faceva dormire, un avvertimento che risuonava nelle sue orecchie ogni volta che si alzava e iniziava la marcia con il gruppo allontanandosi dal suo villaggio.

“Forse è la certezza che non torneremo presto,” le disse Mashirao quando si azzardò ad esprimere il suo sconforto.

Mina annuì, distratta.

“Hai ragione. Ci sto pensando troppo.”

Cercò di ignorare le sue preoccupazioni, concentrandosi sul suo compito di andare avanti; non aiutava che i suoi comandanti continuassero a tenere il suo gruppo lontano dalle attività di routine. Era come se stessero limitando il loro contatto con il resto della truppa. Tutti i ragazzi del suo villaggio si radunavano lontano dal gruppo principale, mangiando e riposando in una zona separata, ridendo e scherzando riguardo il futuro che li attendeva. Mina cercava di partecipare, ma non smetteva di guardarsi indietro. Continuava a sentirsi angosciata.

‘Ho consegnato le fialette, ho fatto tutto,’ si disse ancora una volta, tre notti di fila. ‘Anche se li dovessero trovare, sarebbe impossibile risalire a me.’

Non riusciva a cancellare dalla memoria l’immagine di Shuichi Iguchi che camminava nel suo villaggio, la pelle verde e gli occhi rettiliani. Normalmente la visita di uno degli uomini di Shigaraki non avrebbe causato una tale angoscia, ma il senso di colpa non le permetteva di levarselo dalla testa.

“Smettila di pensarci,” le disse quella notte Mashirao mentre montavano le tende per dormire.

Il suo amico stava cercando di distrarla e lei lo ascoltava incerta. Quel giorno, i loro comandanti li avevano mandati a dormire presto e sollevati dal turno di notte; mentre i suoi compagni se ne rallegravano, l’ansia di Mina si agitò.

“Non è strano?” Chiese, seduta sulla sua coperta ascoltando la pioggia cadere sul tetto della tenda.

“Cosa?”

“Questo viaggio. Siamo partiti prima del solito, non partecipiamo ai gruppi esplorativi. Ci manderanno alle linee difensive e non alla capitale, non credi che ci stiano trattando come criminali e non come nuove reclute?”

“Ti stai lamentando perché dormirai tutta la notte e non dovrai infradiciarti sotto la pioggia per ore?” Intervenì Shihai, appoggiato all’altro lato della coperta di Mina. “Dovresti esserne grata! Di certo io preferisco così.”

“Per quale motivo ci tengono separati dagli altri?” Rispose Mina, affrontando il compagno. “Perché ci mandano al fronte a combattere?”

“Perché i selvaggi sono qui e dobbiamo difendere la nostra casa.”

Mina si morse il labbro e spostò lo sguardo da lui.

“Se ti dà così fastidio,” disse Mashirao con un sorriso benevolo, “possiamo andare con il capitano e chiedere che ci facciano partecipare al turno di notte. Non possono rifiutare una richiesta formale.”

Annuì e uscirono entrambi sotto la pioggia. Circondarono il perimetro del campo e si spostarono velocemente, cercando di bagnarsi il meno possibile. Non erano neanche a metà strada quando sentirono la conversazione tra due sentinelle.

“Tradimento?” Chiese uno con la voce incredula. “Da parte di chi?”

L’interlocutore non era un sentinella. Mina riconobbe immediatamente la voce del Capitano, una voce ferma e serena che, pur sussurrando, riusciva a trasmettere autorità.

“Ken Ishiyama,” non appena sentirono quel nome, Mina e Mashirao si guardarono con la stessa espressione spaventata, “Che resti tra noi. Nessuna delle reclute dovrebbe saperlo. Gli ordini di Shigaraki sono di mandarli alle linee difensive e tenerli sotto sorveglianza.”

“Come ordina lei, Capitano. Cosa succederà a Ishiyama?”

“Hanno inviato un Ufficiale a stabilire i capi d’accusa.”

“Chi?”

“Shuichi Iguchi.”

Il resto della conversazione si perse quando si allontanarono, Mina e Mashirao aspettarono un momento finché non furono sicuri che non ricomparisse nessuno. Subito dopo, tornarono indietro.

“Devi dirglielo,” mormorò Mashirao; prima che potesse allontanarsi Mina lo trattenne per un braccio. Vide la sua espressione di panico e si dimenticò completamente dei suoi compagni.

“È colpa mia?” Mormorò lei, gli occhi spalancati e le labbra tremanti.

“Certo che no,” disse Mashirao, accarezzandole la schiena in un gesto di conforto e supporto.

“Ho lasciato le fialette, portato le lettere

“Se sapessero cos’hai fatto ti avrebbero interrogato, ma così non è stato. Non sanno niente di te.”

“Sanno di Ishi

“Non pronunciare il suo nome ad alta voce. Non si sa mai. Sì, sanno di Cementos. È molto probabile che sappiano anche di Kamui.”

“Abbiamo visto Shuichi al villaggio, prima che partissimo.”

“Lo so. Doveva essere lì solo per aiutare le reclute.”

“È rimasto indietro. È rimasto al nostro villaggio.”

“Tranquilla, Mina, probabilmente non significa nulla.”

“Voglio andare a casa.”

“Non possiamo andarcene ora. Se ci segnaleranno come disertori sarà anche peggio per Cementos. Dobbiamo restare qui.”

“Ho una brutta sensazione, Mashirao. Ti prego, ti prego, torniamo a casa.”

“E quando verranno a cercarci?”

“Decideremo allora… ti prego, voglio vedere mia sorella. Non sopporto il pensiero che Iguchi sia nel suo stesso villaggio.”

Sul suo volto era così chiaro il panico che Mashirao non trovò la forza di rifiutare la sua richiesta.

“D’accordo, torneremo indietro, ma dobbiamo pensare ad una scusa da usare sul perché ce ne siamo andati. Dovrà essere molto convincente...”

“Ci penseremo, sei pronto?”

“Non lo diciamo agli altri?”

“No, sarebbero costretti a mentire. È meglio che non sappiano nulla. Se partiamo adesso gli ci vorrà un po’ di tempo per realizzare che ce ne siamo andati, ci farà guadagnare tempo per cancellare le nostre tracce.”

“Lasciamo qui le nostre cose?”

La risposta di Mina fu di voltarsi e sparire tra la boscaglia.

Viaggiarono di fretta, in una zona a loro familiare. La pioggia cadeva incessante su di loro, ma non protestarono mentre avanzavano lungo pozzanghere fangose e pendii scivolosi. Invece di continuare sulla strada principale, deviarono verso zone più basse. Evitarono di prendere il percorso principale verso il loro villaggio e scesero a valle con l’intenzione di risalire dall’altro lato.

Mangiarono delle bacche e dei frutti che riuscirono a raccogliere per strada, e masticarono foglie dal cattivo sapore che scoraggiavano la fame. Il secondo giorno, quando la pioggia divenne insopportabile, costruirono un piccolo riparo fatto di rami per riposare.

Il terzo giorno fu il peggiore di tutti perché fu il momento di risalire. Marciarono a un ritmo lento, scivolando sul terreno bagnato. Non arrivarono nemmeno a metà strada quando decisero di prendersi una pausa. Dormirono al riparo di un albero, schiena contro schiena, aspettando l’alba.

Il quarto giorno arrivò senza pioggia, fresco e chiaro come un pomeriggio estivo. Mangiarono le loro misere provvigioni e salirono in fretta, approfittando del giorno. Sopra di loro si stagliava la seconda prigione dall’altro lato della valle. Sapevano entrambi che era deserta, erano determinati a passare la notte tranquilli, magari prendere un cambio d’abiti e speranzosi di riuscire a entrare in possesso di qualche arma abbandonata.

“Qui vicino c’è uno dei rifugi di Kamui,” disse Mashirao quando il sole iniziò a nascondersi.

“Quale?”

“Quello a forma di nido, credo. Ricordo di aver sentito Cementos dire che vedeva spesso Kamui in questa regione… Forse riusciremo a trovarlo.”

“Ne dubito, quando sono andata da lui a prendere le fiale, mi ha detto che uno dei corvi di Kurogiri aveva rintracciato il suo covo. Voleva partire immediatamente, ma le sue spie hanno insistito per restare. Si preoccupava dei tre giorni che avrebbe dovuto aspettare, mi disse che non appena sarebbe tornato per loro li avrebbe portati alla costa. Non voleva perdere altro tempo.”

Mashirao si fermò. “E se andassimo a cercarlo?”

“Non vedremo niente una volta diventato buio.”

“Se non lo troviamo continuiamo il percorso per la prigione, ma dobbiamo almeno provarci. Magari ci sono delle coperte e del cibo.”

Mina annuì e si diressero verso l’area boschiva dal lato della fortezza. Rintracciare il nido nella semi-oscurità sarebbe stato impossibile per qualcuno che non sapeva cosa cercare. Mashirao ne riconosceva la differenza e quando lo trovò aiutò Mina a salire.

Mashirao salì aiutandosi con la sua coda e tra tutti e due passarono un po’ di tempo a rovistare tra gli scaffali e le borse abbandonate. Trovarono dell’acqua vecchia, un barattolo pieno di acqua pulita, biscotti e della frutta secca. C’erano anche coperte e dei coltelli nascosti tra i rami più alti. Divorarono il cibo che trovarono e riposarono le gambe.

“Vuoi restare qui?” Chiese Mashirao masticando lentamente.

“No… siamo già molto vicini, preferirei continuare e arrivare il prima possibile. La luna ci dà abbastanza luce per continuare.”

Si alzò e accettò l’aiuto di Mashirao per scendere. Si mossero lentamente, senza fermarsi. Mina camminava dietro, seguendo il percorso che il suo compagno le apriva. All’improvviso e senza motivo, Mashirao si fermò di colpo.

“Cosa—?

Mashirao alzò la mano chiedendole di fare silenzio. Le fece velocemente segno e Mina assunse la posizione difensiva. Appena in tempo, perché all’improvviso una figura scura le saltò addosso come una bestia selvaggia.

Mina cadde a terra con l’ombra sopra di lei. Senza perdere la calma e piena di adrenalina, Mina tirò un pugno che si collegò direttamente con la testa del suo aggressore. Non appena notò che le mani che la tenevano esitarono, Mina si spinse per ribaltare la posizione in cui si trovava. Una volta sopra, alzò un braccio per evitare il pugno che si lanciò verso il suo volto e poi ne mandò uno verso il naso del nemico, solo che stavolta l’ombra si difese.

La spinse e Mina riuscì a raddrizzarsi giusto in tempo per evitare l’attacco dell’ombra. Danzarono in sincronia, tirando pugni e calci. Mina era veloce e riuscì a colpire in successione, ma alla figura bastò attaccarla solo una volta per infliggerle lo stesso danno.

L’ombra riuscì a prenderla per il collo e Mina si portò in avanti, forzando il torso a girare in aria. Il nemico cadde per terra con un tonfo sordo, Mina alzò la gamba e la fece cadere nello spazio dove pochi momenti prima c’era la testa dell’avversario.

La sagoma si voltò e saltò. Mina gli diede un calcio, ma calcolò male l’angolo e l’altro approfittò della sua distrazione per tenerla e buttarla giù. Cadde al suolo e subito l’ombra fu sopra di lei. Il suo braccio destro tenuto giù dal ginocchio dell’avversario e il sinistro finì immobilizzato sopra la sua testa.

Con il peso del nemico sul petto, Mina restò immobile.

Solo allora trovò il tempo di contemplare il volto dell’ombra.

“Tu?” Mormorò sorpresa, osservando i capelli biondi e i ferrei occhi scarlatti.



 



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Questo capitolo è stato un vero e proprio parto.
Mi dispiace farvi aspettare così tanto, sul serio, ma avendo mille impegni - tra cui un lavoro fulltime - non mi ci posso dedicare tutti i giorni. In ogni caso ci tenevo a farlo uscire entro il compleanno di Katsuki <3
Una cosa posso assicurarvela: non ho intenzione di abbandonare la traduzione di questa fic. Dovessi metterci anni, la finisco. Vi chiedo solo un po' di pazienza Grazie <3
Inoltre vi lascio qui il link alla meravigliosa art che io e la mia amica artist abbiamo ideato per il compleanno di Katsuki, riconoscete i fiori della corona? <3 https://twitter.com/NekoriTanuka/status/1119543760004767744
Prossimo capitolo:

“Preparativi”




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