Fanfic su attori > Chris Evans
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Autore: LunaMoony92    21/04/2019    0 recensioni
Chiara è una famosa scrittrice di libri fanstasy che non pubblica un libro da quattro anni. In seguito ad una storia d'amore, rivelatasi tutt'altro, Chiara si chiude in se stessa e non riesce più a scrivere. Convinta dalla sua terapeuta, si convince che sia arrivato il momento di andare avanti. Ma proprio nel giorno in cui deve incontrare il suo editore, il suo cammino si incrocia con quello di Chris.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Avete presente quando la sveglia suona al mattino e non avete idea né di che giorno sia, nè del perché avete programmato la sveglia e, soprattutto, con quale forza riuscirete ad alzarmi dal letto?
Beh, a me ultimamente capita spesso. Non è un bel periodo questo per me. E per periodo intendo, beh, circa gli ultimo due anni della mia vita.
Mi crogiolo nell’autocommiserazione per altri 30 secondi ma poi, ecco che arriva l’illuminazione!
Oddio! Oggi ho il colloquio con la mia casa editrice per presentare la bozza del mio nuovo libro.
Nuovo…  La bozza giace nel cassetto da ben  quattro anni. Anni in cui ha preso polvere e ha vissuto nel buio, un po’ come me, d’altronde.
Nonostante sia già in ritardo sulla tabella di marcia, rimango ancora un po’ a letto. Ho spostato la data dell’appuntamento ormai molte volte, non posso tirare la corda ancora a lungo. Ho già pubblicato tre libri con questa casa editrice, mio malgrado. Mi conoscono, certo e io conosco loro Il nostro contratto è scaduto ma essendo io sparita dai radar da quattro anni, non ho molte case editrici che hanno interesse nei miei confronti e non vorrei rischiare che anche loro decidessero di  darmi il ben servito.
Il pensiero dell’ennesimo sabotaggio continua a stuzzicarmi, quando il telefono si illumina. E’ Carla.
La mia amica, la mia psicoterapeuta, la mia salvatrice.
E’ grazie a lei se riesco ad alzarmi dal letto al mattino e se quel giorno sono riuscita a dire basta. Allontano il dolore del ricordo che si sta facendo strada dentro me e leggo il messaggio.
“Non pensare minimamente a sabotare l’incontro di oggi!” Mi scrive, come se mi avesse letto il pensiero.
Sorrido, per il perfetto tempismo delle sue parole e le rispondo con una faccina che sbuffa e un bacio.
E’ tempo di alzarsi. E’ tempo di fare qualcosa per me.
Mi preparo di fretta, ho voglia di fare colazione al bar oggi. Un cappuccino e un cornetto al cioccolato dovrebbero darmi la giusta energia per non sembrare uno zombie. Quello e il kg di correttore che metterò sotto le occhiaie tendenti ormai al blu notte.
Ho messo il mio tailleur verde scuro, il mio preferito, e le decolleté beige. Prendo al volo la mia borsa e, per un secondo, quasi mi sento bene, come se niente fosse successo. Poi alzo gli occhi e vedo la bozza del libro e subito il mio umore cambia. Non è che odio il mio libro, anzi. Lo amo davvero, sono felice di ciò che sono riuscita a scrivere. E’ il pensiero del perché sia ancora una bozza e non un volume con copertina nella mia libreria che mi mette tristezza e anche paura.
Prendo la bozza e la metto via in borsa ed esco di casa, prima di riuscire a cambiare idea.
Il bar si trova a pochi isolati da casa mia, ma la fatica che sento nel percorrere la strada che mi separa da questo è mentale. Mi sono spinta ogni giorno un pochino fuori dalla mia confort zone, che al momento è semplicemente costituita da casa mia, il parco sotto casa e, a volte, questo bar, ma adesso sembra si stia restringendo nuovamente.
Finalmente arrivo e la barista mi saluta con il suo sorriso gentile di sempre.
“Il solito?” mi chiede.
“Si, grazie.” Si, il solito. Come a sottolineare che io sia sempre la stessa e niente sia cambiato. Ma tutto è cambiato.
Mentre sorseggio il mio cappuccino, continuo a guardare l’orologio nervosa. Sono le 9:30, l’appuntamento è fissato tra un’ora.
Che cosa farò se mi si farà notare che i miei lettori, sempre se io li possa considerare ancora tali, aspettano questo libro da quattro anni?
Sono stata invitata a convention, interviste tv, anche alla radio per parlare del seguito de “Il mio posto sicuro”, saga fantasy scritta da Chiara Morotti, che poi sarei io, o almeno, ero io. Successo internazionale, tradotta in 10 lingue, fan impazziti sotto casa per anni e bla bla bla.
Anche per questo mi sono trasferita a Monaco, all’inizio. Per cambiare aria, per avere un po’ di libertà, per poter scrivere senza la pressione del mondo esterno. Poi, però, ho conosciuto lui e sono tornata qui, a Firenze; città che amo tantissimo, ma che sembra sempre di più essere diventata la mia prigione.
L’orologio continua a girare ed è tempo che io decida cosa fare. Tornare a casa o, finalmente, ansare avanti? Rimango così, sull’uscio del bar, senza sapere bene cosa fare. Poi qualcuno mi fa cenno di spostarmi dalla porta per entrare e mi risveglio dai miei pensieri. Devo andare.
L’ufficio della casa editrice si trova a mezz’ora di strada. Potrei fare il percorso che mille altre volte ho fatto a piedi, ma ho paura che finirei per tornare indietro. Chiamo un taxi, è deciso.
Il taxi arriva quasi subito, un altro passeggero è già seduto sul sedile posteriore. La portiera si apre, ma io esito per un momento. Non ho bisogno di compagnia in questo momento, voglio stare da sola con i miei pensieri, cercando di raccogliere il coraggio che mi servirà più tardi. Ma poi penso che se permetterò a me stessa di aspettare un altro taxi rischierei di sabotarmi e allora entro e mi siedo accanto allo sconosciuto, che non sembra nemmeno notare la mia presenza.
“Meglio” penso, rilassandomi. E do l’indirizzo al tassista.
“Che  fortuna, signò!” Mi  dice il tassista, con evidente accento napoletano. “Anche chisto straniero va là dove va lei!”
Rimango un po’ sorpresa ma non dico niente. E’ un ufficio molto frequentato dopotutto, non c’è niente di strano.
Con la coda dell’occhio cerco di capire con chi condividerò il taxi per i prossimi 15 minuti. Lo straniero, come lo ha definito il tassista, è evidentemente tale e questo posso affermarlo anche se non ha proferito parola. I suoi vestiti, le sue scarpe, persino il suo cappello si fanno notare, gridano America a gran voce. Chissà cosa avrà da fare un americano alla casa editrice. Mi  perdo in questi pensieri che riescono a distrarmi per un po’, fino a quando l’auto non si ferma e il tassista parla.
“So 10 euro a testa!” dice ridendo, facendomi ritornare sulla Terra.
Mentre inizio a cercare il portafogli nella borsa,  piano piano si fa avanti una consapevolezza in me: l’ho dimenticato. Continuo  a cercare freneticamente in ogni tasca, uscendo tutto ciò che la borsa contiene: le chiavi, il beauty, la bottiglietta d’acqua e la bozza. Ma  niente, nessuna traccia del portafogli. Lo straniero non è ancora sceso dall’auto, è rimasto a guardarmi. Sento piano piano la famigliare sensazione di panico crescere dentro di me e cerco con tutte le forze di farla tacere.
La mia terapista, Carla, mi ha dato degli esercizi da fare per gestire momenti come questo. Quando l’ansia mi prende e mi paralizza il cervello, quando il respiro si fa corto e il mondo si restringe in un punto nero e mi attira a sé. Cerco di chiudere gli occhi e resistere per un altro po’, il tempo di spiegare al tassista l’inconveniente e trovare una soluzione. Sto per aprire bocca, ma lo straniero mi precede. “Ecco a lei, pago io per entrambi” dice in inglese al tassista e poi mi guarda negli occhi, come a volermi dire tranquilla, è tutto ok.
Gli rivolgo un timido sorriso e sto anche per dirgli grazie, ma il panico prende il sopravvento e l’unica cosa che riesco a fare è uscire di corsa dal taxi per cercare un angolo di pace. Ho il cuore in gola, non riesco a respirare, anche solo stare in piedi mi costa una fatica immane. Cerco di ricordare gli insegnamenti di Carla, ma la sua voce sembra offuscata nella mia mente, con il risultato che il panico continua a crescere e io a tremare.
Ad un tratto, mi sento stringere un braccio e questo, per me, è  la goccia che fa traboccare il vaso.
Il mio primo istinto è quello di scappare via. Purtroppo è questo che la relazione tossica da cui sono uscita mi ha lasciato: la sensazione continua di essere in pericolo e gli attacchi di panico.
Strattono la persona che mi sta tenendo e, nel farlo riesco ad aprire gli occhi. E’ lo straniero del taxi, che mi guarda con aria molto preoccupata.
Farfuglia qualcosa come “stai calma, andrà tutto bene”, ma io voglio solo scappare e chiudere di nuovo gli occhi.
Riesco a divincolarmi  e a fare qualche passo, per poi crollare in ginocchio, in un pianto disperato. Rimango così per qualche minuto, fino a quando il pianto non riesce a portar via un po’ del mio malessere e tutto il mio mascara.
“Sapevo che non sarei mai dovuta uscire di casa oggi”, continuo a ripetere nella mia testa, come se questo possa cambiare qualcosa. Il panico è andato via, lasciando lo spazio all’autocommiserazione e la tristezza che sempre gli seguono. Ormai siamo amici da anni.
Lo straniero mi si avvicina e mi porge la mano.; noto ce tiene la mia borsa che avevo lasciato sul taxi, riempita di corsa, con la bozza del libro che ne fuoriesce per metà.
Alzo per un attimo gli occhi per vedere chi sia quest’uomo che, non solo ha pagato il taxi per me, ma ha anche assistito ad uno dei miei più scenografici attacchi di panico e rimango di sasso mentre il mio cervello riesce ad elaborare chi si trovi davanti. E’ Chris Evans. Capitan America. Proprio lui.
Adesso ha tolto gli occhiali e i suoi occhi azzurri mi scrutano con aria preoccupata, i miei occhi,  probabilmente, saranno fuori dalle orbite.
Grazie per tutto” riesco a dire, un po’ sconvolta per chi ho davanti e ancora scossa per ciò che è successo.
Spero tu stia meglio adesso.” Mi dice sorridente e io, che quel sorriso lo avevo ammirato solo nei film e sui giornali, rimango sorpresa come se fosse un sorriso tutto nuovo e il più bello mai visto.
Scuoto la testa per darmi un tono e, finalmente, mi alzo. Le gambe non mi reggono in piedi, ma faccio appello a tutta la mia forza per non crollare di nuovo. Annuisco e inizio a farmi strada verso l’ufficio, con lui che mi viene dietro per qualche ragione. Poi ricordo: anche la sua destinazione era questa.
Chris mi restituisce la borsa e indica il mio libro con il dito. Cerco di evitare il suo sguardo, non so bene che dire. Sono molto imbarazzata per ciò che è appena successo e non riesco a pensare ad altro.
Attraversiamo la lobby dell’ufficio e arriviamo insieme alla reception. Mi fa cenno di andare per prima.
“Ho un appuntamento con il signor Coralli” dico, con la voce che ancora trema.
La segretaria mi fa cenno di aspettare e prende la cornetta del telefono per avvertire l’ufficio.
Anche io!” risponde entusiasta Chris guardando sia me che la segretaria, che come me, rimane di stucco.
Cerco, signore, avverto il redattore” dice con la voce che non maschera l’emozione.
Chris tamburella con le dita sulla scrivania, nell’attesa che ci dicano a che piano dobbiamo andare.
Il mio cervello, che inizia a svegliarsi un po’, inizia a pensare a cosa ci possa fare Chris Evans in un ufficio di una casa editrice a Firenze, ma non trova nessuna risposta che sia plausibile. La segretaria ci indica un ufficio al quarto piano, così ci ritroviamo a dover prendere l’ascensore insieme. Chris sembra preoccupato quando mi vede entrare nell’ascensore mentre mi torturo le mani.
Probabilmente, dopo la scena a cui ha assistito, pensa che io possa avere un altro attacco di panico in uno spazio così stretto. “Tranquillo, non ho problemi con gli ascensori” gli dico, cercando di sdrammatizzare.
Beh, io sì.” risponde lui, sorridendo nervoso. La distanza che mi separa dall’incontro con il signor Coralli sembra infinta, mentre i piani scorrono sul display, ma non riesco a concentrarmi sulla mia preoccupazione perché Chris, mi fa strano chiamarlo così anche se solo nella mia testa, sembra più preoccupato di me.
Tutto ok?” gli dico con un filo di voce.
“Si, solo… Non amo gli spazi stretti.” Mi dice a denti stretti.
L’ascensore si ferma al quarto piano ed entrambi facciamo un sospiro di sollievo. L’assistente del signor Coralli ci sta già aspettando e ha un sorriso enorme stampato in faccia, che, così, ad intuito, non starà conservando per me.
Benvenuto, signor Evans”, dice infatti, con un accento esagerato. E’ come se a me nemmeno mi avesse vista, ma preferisco così.
Il signor Coralli mi accoglie con calore invece, forse troppo. “Chiara! Quanto tempo è passato!” mi dice, stringendomi vigorosamente la mano. Sto per allontanami, ma le trattiene per un attimo e mi si avvicina, facendomi accapponare la pelle, come per salutarmi con i due baci, per sussurrare all’orecchio: “Hai visto chi ti ho portato?”
Un po’ confusa e infastidita, mi allontano e lo guardo con aria interrogativa. Che vuol dire chi ti ho portato? Perché mai avrei bisogno di un attore?
Un’idea mi guizza nella mente. Ma vuoi vedere che questo viscido… Non ho nemmeno il tempo di finire di formulare il pensiero che la segretaria mi fa accomodare nel suo ufficio, mentre lui rimane indietro a parlar con Chris nel suo maccheronico inglese, senza che io riesca a sentire cosa stia blaterando.
La stanza è più grande di come la ricordavo, addirittura mi sembra un ufficio del tutto nuovo. La vista sulla città è mozzafiato, devo ammetterlo, ma è l’unica cosa positiva dell’essere in questa stanza, che piano piano sembra iniziare e restringersi. Il signor Coralli finalmente fa il suo ingresso, accompagnato da Chris.
“Credevo questo fosse un incontro privato” dico contrariata.
“Mi devi scusare, cara.” Risponde con finto dispiacere. “Ma dopo che sei sparita per tutto questo tempo, non ho voluto rischiare la sorte e ho unito i due appuntamenti.” Dice soddisfatto del suo piano perfetto.
“Continuo a non capire cosa abbia a che fare il mio appuntamento con un attore americano” rispondo fingendomi ingenua, ma ho già capito dove vuole andare a parare e la cosa non mi piace per niente.
“Cara, ci arriveremo. Hai portato la bozza, si?” dice con voce melliflua, in inglese.
“Si, l’ho portata.” Dico, stringendo forte la mia bozza, quasi a cercare conforto. “Ma fino a quando non mi dirà che cosa ci faccio davvero qui, la mia bozza resterà nella mia borsa. O magari andrà a rendere felice un altro editore, facendogli avere un bell’ufficio come il suo.” Rispondo acida, in italiano per non coinvolgere nella discussione anche Chris, che ci guarda con aria interrogativa.
L’ombra della paura della concorrenza si insinua negli occhi del signor Coralli, che adesso si rivolge a Chris.
Vuole essere lei a dire alla signora Morotti il perché della sua visita, signor Evans?”
La faccia di Chris è tutta un programma. Sembra quasi di poter vedere muoversi gli ingranaggi della sua mente mentre, anche lui, arriva alla mia stessa conclusione. E’ stato imbrogliato.
Lei mi ha fatto venire qui all’oscuro dell’autrice?” dice, iniziandosi a scaldare. “Lei non aveva uno straccio di certezza e mi ha fatto venire qui con la promessa di un contratto per quattro film?”.
Chris adesso è in piedi e mi guarda, cercando man forte. La delusione nei suoi occhi mi ricorda tanto la mia. Il signor Coralli non l’ho scelto io. E’ stato il mio ex a farmelo conoscere. E’ stato lui a convincermi a firmare il contratto per tre libri ed è stato lui a non avermi permesso di pubblicare il quarto libro della saga. Così, finalmente, prendo il coraggio che mi è mancato prima e decido di intervenire perché nessuno abbia più il diritto di prendere decisioni alle mie spalle.
Signor Coralli, dopo quattro anni in cui ho rifiutato ogni appuntamento, ogni intervista, ogni contratto, lei mi tende un’imboscata, tra l’altro fatta male, in cui spera di convincermi a cedere i diritti dei MIEI libri” e sottolineo la parola miei con tale enfasi da farlo sussultare. “Così, come se niente fosse. Come se io non abbia passato ciò che ho passato e come se lei non lo sapesse! Come se per me, essere qui oggi, non sia stata una sfida immensa con me stessa. A lei non importa dei propri autori, non le è mai importato. Le interessano solo i soldi e, stia tranquillo, non guadagnerà più alle mie spalle.” dico furente.
Chris mi guarda e quello che mi sembra di scorgere è uno sguardo di ammirazione.
Prendo la mia borsa e la mia bozza e lascio l’ufficio come una furia, lasciando il signor Coralli a bocca aperta. L’ascensore tarda ad arrivare e io non vedo l’ora di uscire da questa porzione del mio inferno personale.
Ehi, signora Morotti?” mi sento chiamare. “Che ne dice se prendiamo le scale?”
  
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