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Autore: _Frame_    21/04/2019    4 recensioni
[Human!AU]
[Frying Pangle!Centric; Bad Touch Trio; Accenni ad altre coppie]
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Per festeggiare l’ultima caldissima settimana di vacanze estive non c’è niente di meglio di una colossale gita di gruppo al mare, fra partite a beach volley, falò sulla spiaggia e sbevazzate in compagnia, prima che le scuole e le università riaprano, e prima che la vita riprenda il solito ritmo quotidiano.
Spronato (ricattato) dai suoi due migliori amici, Gilbert Beilschmidt decide che questa è la sua ultima opportunità per rimediare a una certa mancanza, prima che la partenza per l’accademia militare lo separi da coloro che ama di più.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Bad Friends Trio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brevi disavventure di adolescenti allupati'
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. Quattro di picche

 

 

Roderich ed Elizaveta posarono il peso di Gilbert di nuovo con i piedi sulla sabbia, sganciarono le braccia dai suoi gomiti, e si misero in ginocchio sulla spiaggia asciutta ma fredda, distanti dal calore ardente dei falò che brillavano dietro le sagome degli ombrelloni chiusi.

Roderich si diede un’aggiustata agli occhiali e tenne premuto su Gilbert lo stesso sguardo duro e intransigente che gli aveva rivolto prima di trascinarlo via dal gruppetto di ragazzi. «Siediti, Gilbert.»

Gilbert sbuffò tenendo il mento alto, si massaggiò il braccio che Elizaveta aveva stretto con più forza per non lasciarselo sfuggire, e guardò a malincuore la festa che intanto proseguiva senza di loro attorno alle luci dei falò e alle fumate della grigliata.

La musica continuava a pompare degli impianti stereo, ma suonava più ovattata da quella distanza. Le casse di Mathias stavano sparando Metal Legacy, degli Stormwarrior, mentre quelle del loro falò erano state conquistate dal monopolio di Alfred che aveva attaccato Shots, di LMFAO. La musica così forte stava richiamando anche gli altri ragazzi, allungando le loro ombre attorno ai falò sempre più alti e sempre più incandescenti.

Yong Soo passò da un fuoco all’altro, distribuendo vassoi su cui traballavano bicchierini ripieni di vodka colorata che il loro gruppo aveva tirato fuori assieme alle vaschette di gelato, e la sua vociaccia sgraziata si elevò al di sopra dello schiamazzare confuso di risa. «If you ain’t getting drunk get the fuck out the club, if you ain’t takin’ shots get the fuck out the club, if you ain’t come to party get the fuck out the club!»

«E chiudi quella merda di bocca!»

«Now where my alcoholics let me see ya hands up!»

Gilbert alzò gli occhi al cielo, desiderando solo farla finita una volta per tutte con quella storia, e cedette. Si lasciò cadere seduto sulla sabbia morbida e fredda, si mise a gambe incrociate e annodò le braccia al petto, innalzando attorno a sé un gelido scudo di difensiva.

Roderich accostò un pugno alle labbra e si schiarì la voce. «Elizaveta mi ha detto che hai saputo» annunciò. «Che hai saputo di noi due.»

Gilbert corrugò la fronte. «Già.» Tamburellò le dita sulle braccia incrociate. «Pensa un po’.»

Un grido più tonante si elevò dalla musica dei falò. «... shots, shots, shots! Everybooodyyy

«Abbassate quel cazzo di volume!»

«Altri shots quaggiù! Facciamo ubriacare Tino!»

«Fatemi ubriacare, sììì! Voglio vedere quanto resisto!»

«Qualcuno gli tolga dalle mani quello Jägermeister!»

«Ma chi è l’idiota che si è portato lo Jägermeister?»

Roderich scosse il capo, contenne un mezzo broncio d’irritazione, e ignorò gli schiamazzi ovattati dalla distanza e dallo scroscio delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga alle loro spalle. Scivolò più vicino a Elizaveta. «Gilbert, alla luce di tutto quel disastro che è capitato ieri, io ed Elizaveta riteniamo sia giusto...» Inspirò a lungo e abbassò le palpebre. Forzò quell’espressione scura, tremante e sofferente che gli stropicciava il viso ogni volta in cui era costretto ad ammettere le sue colpe, ogni volta in cui l’aspro sapore del rimorso toccava quella sua santa boccuccia dorata. «Riteniamo che sia giusto porti le nostre scuse.»

Gilbert sgranò le palpebre, e le sue labbra caddero schiuse in un singhiozzo di stupore. «Eh?» La tensione sul suo viso si ammorbidì, le dita si rilassarono ed estrassero le unghie dalla pelle, lasciandoci sopra rossi segni a forma di mezzaluna. «Cosa?» balbettò. «Scuse?»

Elizaveta annuì. Gli occhi bassi e la stessa scura espressione di frustrazione che mascherava anche il viso di Roderich. «E non fraintendere. Non ti chiederemo scusa per esserci messi assieme. Quello che è successo fra me e Roderich non cambierà e noi non torneremo indietro. Però...» Allontanò lo sguardo, quella faccia colpevole, e prese a giochicchiare con la collanina a forma di lecca-lecca che ricadeva sulla maglia annodata in vita. «Riconosciamo entrambi che è stato scorretto da parte nostra escluderti in quella maniera, dopo...» I suoi occhi si velarono di una certa nostalgia che li rese più lucidi e distanti, affacciati ai ricordi passati. Sospirò, arrendevole. «Dopo tutto quello che c’è sempre stato fra noi tre.»

«Ovviamente» la assecondò Roderich. «Avremmo avuto l’intenzione di dirtelo fin dall’inizio di questa estate, ma non si è mai presentata l’occasione...» Si strinse nelle spalle ed esitò, in cerca delle parole. «L’occasione adatta. Così abbiamo pensato che sarebbe stato meglio per tutti confessartelo quando tu saresti partito.»

Gilbert tornò ad aggrottare la fronte. Il peso di quelle parole fu di nuovo improvviso e doloroso come l’impronta dello schiaffo e del pugno che ancora gli pulsava sulla guancia. «Così non avrei potuto far niente per impedirvelo, eh? Non avrei più avuto voce in capitolo, dato che ormai mi sarei trovato fuori dalle scatole. Solo...» Strinse di nuovo le mani sugli avambracci incrociati, e un violento tremore gli risalì la schiena. «Solo perché me ne andrò in accademia allora pensate che le cose fra noi tre dovranno per forza cambiare in questa maniera?»

«Ma le cose cambieranno, Gilbert» rispose Elizaveta. «È inevitabile. Questa...» Ingarbugliò le dita attorno alla sottile catenina che reggeva il ciondolo a forma di lecca-lecca e vi grattò l’unghia sopra, dove si erano aggrovigliati i primi nodi. Nodi stretti e complicati come quella situazione nella quale tutti e tre si erano ritrovati incastrati. «Questa relazione fra noi tre non poteva durare in eterno, e lo abbiamo sempre saputo.»

«Balle» sbottò Gilbert. «Fra noi tre è sempre andata in questa maniera e ha sempre funzionato alla grande. Fin da quando eravamo all’asilo, noi...»

«Infatti» ribatté Roderich, con tono più fermo e più freddo rispetto a quello di Elizaveta. «Non siamo più all’asilo, Gilbert. Io ed Elizaveta abbiamo deciso di crescere e da ora in avanti ci comporteremo da adulti, ci assumeremo le nostre responsabilità e prenderemo seriamente le relazioni nelle quali saremo coinvolti. Qualsiasi tipo di relazione. Ed è proprio perché vogliamo prenderci fin da subito le nostre responsabilità che...» Irrigidì le braccia conserte e allontanò anche lui lo sguardo. La luce dei falò si specchiò sulle sue lenti, nascondendogli lo sguardo vacillante. Il rossore delle fiamme gli invase le guance, le fece diventare paonazze. «Che abbiamo deciso di porre rimedio al nostro errore. E per scontare questo...» Fece tamburellare le dita e strinse i denti sul sottile labbro inferiore. «Questo debito nei tuoi confronti, abbiamo deciso di...» Abbassò le palpebre, sollevò il mento e inspirò a fondo. Lo disse d’un fiato, prima di pentirsene. «Di concederti un bacio a testa. Uno solo, sia chiaro.»

Gilbert sbarrò gli occhi e le sue pupille si dilatarono come davanti a un’allucinazione. I suoni della spiaggia – le pulsazioni dei bassi provenienti dall’impianto stereo, le risate dei ragazzi, lo scroscio delle onde, lo scoppiettare dei falò – si congelarono, facendo cadere attorno a loro un silenzio disarmante. Una scossa di calore gli sfrecciò attraverso il petto e sciolse la barriera di ghiaccio che lui aveva innalzato per non ricevere altre pugnalate morali. «Eh?» Scosse il capo, si strofinò l’orecchio per timore di averci sentito male. «C-cosa? Voi volete...» Guardò le loro facce, entrambe rosse, entrambe distanti. Gli occhi di Roderich vacillavano dietro le lenti, le sue dita tamburellavano sugli avambracci incrociati. Le mani di Elizaveta continuavano a giocherellare con la catenina della collana, e anche lei aveva preso a rosicchiarsi il labbro inferiore senza riuscire ad alzare gli occhi da terra. Gilbert inspirò, colto da un tuffo allo stomaco. Si rese conto che non stavano scherzando. «Dite sul serio?»

Roderich ed Elizaveta si guardarono. Nessuno di loro infranse il muto silenzio di consenso.

Elizaveta lasciò in pace la collanina e annodò anche lei le braccia al petto. Aggrottò le sopracciglia per nascondere il rossore divampato attraverso le guance già lievemente abbronzate. «Solo per farci perdonare, sia chiaro. E solo per questa volta, quindi non farti venire in mente strane idee perché non ricapiterà più una cosa del genere, e se credi di...» Le sue parole sfumarono, perdendosi in uno sfocato rumore bianco simile al suono scrosciante delle onde sulla spiaggia. La mente di Gilbert partì per l’iperspazio e non riuscì più ad afferrarne il senso.

Un bacio a testa. Un bacio da entrambi. Un bacio vero. Due baci veri!

Il cielo notturno si tinse di un rosa acceso, si gremì di nuvolette di zucchero filato che lo sollevarono, dissolvendo la sensazione della sabbia sotto le sue gambe, fino a fargli toccare la luna con un dito. Un coro angelico intonò un inno che risuonò attraverso la sua testa ormai schizzata altrove, in un logo paradisiaco dove paffuti cherubini soffiavano note dorate attraverso trombe e flauti incantati, dove fatine battevano le ali in mezzo ai prati e spargevano petali di rosa su quell’aria che profumava di polline, di dolci appena sfornati, e delle mele candite che crescevano fra i rami degli alberi. Marsh-mallows bianchi, confettini colorati e bastoncini di zucchero a spirali sbocciarono in mezzo al prato fiorito dove coppie di orsetti gommosi passeggiavano tenendosi zampa nella zampa, saltando attraverso i fiumiciattoli di cioccolata calda dove pony arcobaleno si fermavano ad abbeverarsi assieme a unicorni color panna e a coniglietti batuffolosi che...

«Gilbert?» La voce di Roderich fece precipitare Gilbert dal Paradiso e lo tornò a catapultare col sedere sulla spiaggia. Roderich diede un colpetto alla montatura degli occhiali e lo guardò di sbieco. Le guance ancora sfumate di rosso. «Sei d’accordo o no?»

Gilbert mosse le labbra secche e solo allora si rese conto di essere rimasto con la bocca aperta come un beota. Ritrovò la lingua e compì un piccolo balzo, rianimato da una scossa di entusiasmo. «Sì! C-cioè...» Voltò una guancia, si diede una spolverata alla spalla, allentò il colletto della maglietta, e sollevò un ghigno da coglione per nascondere l’eccitazione che gli fremeva fra le labbra e in fondo allo stomaco. «Ovvio che vi concederò il privilegio di baciare uno come me, se ci tenete tanto.» Mostrò i palmi. «Ma non mettetevi a pregarmi in ginocchio, eh, sarebbe umiliante. E lo dico per voi.»

Roderich ed Elizaveta si guardarono di sbieco e sollevarono le sopracciglia. Elizaveta scosse il capo, Roderich sospirò e si massaggiò le tempie. Riuscivano ancora a stupirsi di lui nonostante tutti quegli anni trascorsi a crescere assieme.

Roderich tossicchiò e si passò una mano fra i capelli. «Dunque...» Buttò un’occhiata furtiva verso le luci dei falò. Gli altri erano impegnati a ridere, a litigare per il monopolio degli impianti stereo, a lottare per le ultime forchettate dei piatti preparati da Yao e Katyusha, a schizzarsi addosso le bibite gassate, ad accendere i bastoncini di stelle filanti, e a badare a Tino ubriaco che si era messo a ballare attorno alle luci dei fuochi sventolando il suo bicchiere di Jägermeister che Mathias continuava a riempire nonostante le occhiatacce fulminanti di Berwald. Alcuni di loro si erano tuffati in mare e sguazzavano dove si toccava, lasciandosi bagnare dai riflessi d’argento della luna che rischiariva le creste d’onda alte fino alle ginocchia. Nessuno badava a loro tre e Roderich provò un soffio di sollievo. Si rivolse a Elizaveta. «Preferisci fare per prima o...» Strizzò le dita nella sabbia e anche dentro di lui crebbe un formicolio di timore e impazienza che gli infiammò il petto.

Elizaveta estrasse una monetina dalla tasca degli shorts e gliela mostrò. «Io testa.»

Roderich annuì. «Croce.»

Elizaveta le fece compiere un salto – la monetina roteò più volte su se stessa –, la acchiappò al volo e schiuse il pugno sotto il riverbero di raggi di luna. Uscì testa.

Elizaveta sospirò a fondo. «D’accordo.» Scivolò con le ginocchia davanti a Gilbert e lo guardò dritto negli occhi. Un’espressione di monito ma anche più morbida rispetto a quelle con cui lo rimproverava di solito. «Solo uno, però, chiaro?»

Gilbert strizzò i pugni fino a sentire i palmi andare a fuoco sotto la pressione delle unghie. Deglutì per ricacciare in fondo allo stomaco il groppo di fiato che gli soffocava la gola, e la pancia gli si riempì di un nervoso e irrequieto sciame di farfalle. Gli occhi verdi di Elizaveta lo catturarono come magneti. Gilbert vi si sentì annegare. «Come vuoi.»

Elizaveta annuì e gli posò le mani sulle spalle. Strinse la presa e increspò le punte delle sopracciglia come faceva sempre quando si concentrava prima di una partita a Battlefield o a Doom. Gilbert le avvolse i fianchi sfiorando la pelle nuda, scoperta dalla maglietta troppo larga che lei aveva annodato in vita, e strinse le labbra formicolanti per sopprimere il desiderio di scoppiare a ridere davanti a quella situazione tanto ridicola quanto eccitante. Il busto di Elizaveta fremette sotto il suo tocco. Il suo respiro lo raggiunse assieme all’aroma del lucidalabbra alla cola che le brillava sulla bocca, al profumo della crema solare e a quello della salsedine di cui erano impregnati i capelli che le cadevano dietro le spalle.

Gilbert le scostò una ciocca ribelle dalla fronte, gliela pettinò dietro l’orecchio, sotto il fermaglio a forma di fiore, e tenne la mano accostata al suo viso scottante. Le labbra di Elizaveta fremettero e scintillarono sotto le luci dei falò che battevano sul suo profilo, invitanti proprio come un lecca-lecca tutto da succhiare.

Nella penombra, voltato di profilo e ancora a braccia conserte, Roderich fece scivolare lo sguardo su di loro e sollevò un sopracciglio.

Gilbert si accorse della sbirciata e si sporse affianco alla spalla di Elizaveta. «Ti dispiace evitare di fissarci? Stiamo cercando di essere intimi, qui.» Ammiccò e lo abbagliò con il suo sorrisone da scemo. «Tanto dopo tocca anche a te.»

Roderich tornò ad arrossire fino alle punte delle orecchie e gli diede la schiena, farfugliando qualcosa che si mescolò allo scroscio delle onde sovrapposte sul bagnasciuga.

Elizaveta rivolse a Gilbert un broncio scocciato e strizzò le mani sulle sue spalle. «Ti muovi?» gli fece. «Non abbiamo tutta la serata, e io vorrei anche tornare a mangiare prima che finiscano i gelati che hanno portato Yao e Ivan, e...»

«Non mi deconcentrare!» Gilbert inspirò, espirò, impastò la bocca per inumidirsi le labbra diventate asciutte per l’agitazione, e il formicolio al petto scese fino allo stomaco, aumentando lo sfarfallare fra le pareti della pancia. Le mani avvolte ai fianchi di Elizaveta tremarono e presero a sudare come la sua fronte. «Okay.» Annuì a se stesso. «Okay, ci sono.»

Elizaveta gli scoccò un’ultima occhiata spazientita, distese i tratti del volto, e abbassò le palpebre. Accostò il viso al suo, sfiorandogli la punta del naso, e attese.

Gilbert fece scivolare le mani lungo le sue braccia nude, chiuse a sua volta gli occhi, e si chinò prima di ripensarci, prima che il formicolio che gli bruciava nel sangue gli inviasse l’impulso di scappar via.

Posò le labbra su quelle umide e morbide di Elizaveta, spalmate di quel lucidalabbra così dolce e sciropposo da dar l’impressione di affondare davvero la bocca in un lecca-lecca alla cola. Elizaveta schiuse la bocca, fece scivolare la lingua sulla sua, e assaporò quel bacio che li trasportò altrove, racchiudendoli in una spirale che li isolò dal tambureggiare della musica, dalla sensazione fredda della sabbia sotto le ginocchia, e dal profumo di grigliata e di legna bruciata.

Gilbert rilassò la tensione dei muscoli, si lasciò trascinare via da quella sensazione di dolcezza fra le labbra, e soffiò un lieve respiro dal naso. Volò via assieme a lei.

Quel bacio serbò il sapore fresco, vivo e selvaggio di una cavalcata attraverso terre appena conquistate da ferro e fuoco.

Il vento di quella fantasia turbinò attorno a loro in una spirale che li risucchiò altrove, in mezzo a una landa verde e sconfinata come gli occhi di Elizaveta, sormontata da un tramonto rosso sangue e da nuvole grigie come i fumi sorti dal campo di battaglia sul quale avevano appena combattuto guidati da una forte scossa di adrenalina, dal bruciore del sangue e dai forti battiti dei loro cuori galoppanti. Gilbert lo vide. Spirali di vento attraversarono i capelli di Elizaveta che gli cavalcava affianco, scossero le ciocche castane, e lasciarono che i raggi di sole rosso battessero sulle sue guance rosee, che le illuminassero il viso animato da un sorriso combattivo. La sottile armatura che le fasciava il petto scintillò come una guaina di diamanti, la spada foderata le batté sul fianco, e i finimenti trillarono a ogni falcata di galoppo.

Quel bacio profumava di terra ribaltata, di erba umida, di ferro carbonizzato, e di vento infuocato. Lo stesso vento infuocato che lo aveva travolto quando le sue labbra si erano posate su quelle di Elizaveta.

L’ebbrezza risalì, spalancò una seconda visione. Gilbert ed Elizaveta fermi in cima alla collina verdeggiante e tinta dai raggi del tramonto che si spalancava su altre pianure da conquistare, su altri boschi da esplorare, e su altri fiumi da attraversare. Le loro mani giunte, le dita intrecciate e incrostate di terra, e i visi sporchi di nerofumo rivolti alle lame di luce rossa che tagliavano quel paesaggio biblico che non aspettava altro di essere solcato dai loro passi e dalla loro galoppata.

Gilbert prese Elizaveta fra le braccia, le strinse i fianchi fasciati dalla cotta di maglia, e le passò le dita fra i capelli che le cadevano sul viso arrossato dal tramonto. La sua voce suonò intensa e profonda. «Conquisterò mille altre lande per te. Giustizierò ogni nemico che si metterà sulla nostra strada, taglierò mille teste, attraverserò mari e monti se si tratterà di cavalcarti affianco.» Percorse il profilo del suo viso, le fece sollevare il mento, e fece correre il pollice sul suo labbro inferiore, accostando la fronte alla sua. «Ti bacerò con labbra sempre sporche del sangue dei miei nemici.»

Lei gli sorrise, arricciò la punta del naso sulla sua, e lo assecondò con una delle sue scaltre occhiate da volpe. «E con mani lerce della terra strappata ai pagani e spremuta sotto i tuoi nobili passi.»

«Dio, quanto sei sexy.» Gilbert la baciò di nuovo, inspirò a fondo l’odore di fumo, di terra bruciata, e della battaglia appena consumata. Le labbra di Elizaveta erano bollenti, sapevano di sangue, e quel sapore caldo e ferroso gli salì alla testa, gli piacque da impazzire.

Gli occhi di Elizaveta tornarono a risucchiarlo nel loro incantesimo. Lei batté le ciglia, affilò quel sorriso attraversato da un rovente brivido d’eccitazione. «Sir Gilbert il Magnifico.»

Il suono del suo nome evocato con quel tono di adorazione gli infiammò l’animo. Gilbert tornò ad avvolgerle le spalle, le aprì una mano sul viso per attirarla a sé e la baciò di nuovo, facendo cozzare le armature una sull’altra. La baciò così a fondo da strapparle il fiato dal petto.

Elizaveta schiuse le labbra e separò il bacio. Trasse un respiro profondo, batté le ciglia sulle palpebre di Gilbert ancora chiuse, e annaspò. «O-okay.» Chinò la fronte, lasciando che i capelli le ricadessero sulle guance, e si passò la punta della lingua fra le labbra. Tenne gli occhi bassi e si diede una strofinata al viso rosso come se il fuoco dei falò le fosse bruciato sulla pelle, come se avesse avuto le guance ancora sporche e viscide del sangue dei nemici sgozzati. «Contento, ora?»

Gilbert sbatacchiò gli occhi, dissolse le scintille incantate che gli erano turbinate attorno durante l’incanto di quel bacio, e si ritrovò di nuovo con le ginocchia sulla sabbia, con lo sguardo rivolto alla luna specchiata sul mare – un disco bianco e perfetto –, sommerso dal profumo umido e salato della schiuma delle onde. Sopra di lui, il cielo notturno era un enorme e sconfinato manto nero trapuntato da sciami di stelle. «Uhm.» Scosse il capo, ancora stordito, e si passò una mano fra i capelli. Si stupì di trovarli puliti anziché impolverati di terra e umidi di sudore. «Sì? Credo.»

Elizaveta raccolse i capelli con un’ampia manata e se li scostò dal viso, intrecciò qualche ciocca fra le dita e ne rigirò le punte fra le falangi, lanciando a Gilbert un ultimo sguardo con gli stessi brillanti occhi verdi che lo avevano stregato nella sua fantasia. Si voltò e fece spazio a Roderich. «Tocca a Roderich.»

Roderich le scivolò vicino, si mise sulle ginocchia davanti a Gilbert, si diede un’aggiustata alla maglietta – tanto per prendere tempo – tornò a stringere i pugni sulle cosce, e lo guardò dritto negli occhi. Anche il suo sguardo vacillò, la linea delle labbra fremette, e un tremore più caldo e penetrante risalì la spina dorsale, pizzicandogli il collo.

Gilbert mosse la bocca, già pregustandosi la sensazione del bacio che si sarebbero scambiati, e il sapore del lucidalabbra di Elizaveta gli tornò a scivolare sulla lingua, facendolo sobbalzare. «Ah, aspetta, aspetta.» Mise le mani avanti per bloccarlo. «Ho ancora addosso il sapore di Liz!»

Roderich avvampò d’imbarazzo e trattenne le mani brucianti per resistere all’impulso di mollargli un altro schiaffo. «Gilbert, sei un indecente!»

«Che c’è?» ribatté lui. «È vero! E poi non sarebbe corretto, no? Baciarmi quando ho ancora addosso la sua saliva.»

Elizaveta si tappò le orecchie e cacciò uno strillo. «Che schifo, Gilbert!»

Roderich sospirò e scosse il capo. Tornò a mascherarsi il volto con la sua dura e inflessibile espressione d’intolleranza. «Tu sì che sai come uccidere l’atmosfera, non è vero?»

«Uhm» rimuginò ancora Gilbert. «Forse dovrei davvero sciacquarmi la bocca.»

«No, Gilbert. Sarebbe un gesto scortese nei confronti di Elizaveta.»

«E allora come...»

«Ascolta» esclamò Roderich, a sopracciglia aggrottate. «Baciami e basta.»

Quelle parole affondarono nel petto di Gilbert, fecero compiere una capriola al suo cuore, e strinsero un caldo e piacevole nodo di emozione alla bocca dello stomaco. Sentirglielo dire così apertamente – Baciami e basta – valse più di qualsiasi stupida scommessa siglata per salvare la faccia.

Roderich sbatté le palpebre e la realizzazione di quello che aveva appena detto piombò anche su di lui, facendolo strozzare col suo stesso respiro. «I-intendevo...» Scosse il capo più volte e si coprì con una mano per nascondere la vampata di rossore. «N-no, non è quello che volevo dire, e...» Prese fiato. «Insomma, sbrigati e concludiamo prima che io cambi idea.»

«Okay, okay» cantilenò Gilbert. «Come Sua Signoria desidera.» Gli fece scivolare le mani sulle spalle, come aveva fatto con Elizaveta, si avvicinò di un saltello con le ginocchia e gli passò una soffice carezza fra le ciocche scure, scostandogli un ciuffo dalla fronte.

Roderich corrugò le fini punte delle sopracciglia e gli cacciò via la mano con uno schiaffetto. «Mi faresti la cortesia di non spettinarmi? Te ne sarei infinitamente grato.»

Gilbert fece roteare lo sguardo –Stupida principessina – ma spostò comunque la mano attorno al suo fianco. Gli avvolse il busto e lo attirò a sé, arrivando con il viso a una piuma dal suo naso, vedendosi riflesso nelle lenti dietro le quali gli occhi di Roderich avevano preso a luccicare. Il suo profumo estatico e floreale risalì dalla curva del collo diafano, quasi trasparente, e Gilbert si trovò di nuovo travolto dal desiderio di affondarvi la faccia e di sciogliere quel sapore sotto i suoi baci.

Roderich chiuse gli occhi per primo. Gilbert abbassò le palpebre e gli andò incontro, spingendo la bocca sulla sua. Le labbra di Roderich erano più sottili di quelle di Elizaveta, ma erano anche più calde e serbavano un sapore più puro senza la barriera di lucidalabbra.

Gilbert inspirò, schiuse la bocca per primo e affondò il bacio. Un bacio dolcissimo e fresco, come un morso dato a una pesca non troppo matura. Strinse il braccio attorno a Roderich, raccolse un suo sussulto soffiato fra le labbra tremanti e completamente sciolte nelle sue, e si lasciò di nuovo travolgere dal vortice della sua fantasia.

La musica sparata dagli impianti stereo tornò a dissolversi, ma rimase l’impronta di una melodia di sottofondo che si trasformò in una soave serenata di Chopin, leggera e tiepida come il tocco di una piuma scivolata sulla pelle, rilassante come un tuffo sprofondato in un letto di cuscini.

Gilbert si ritrovò ad avanzare a passi pesanti lungo un corridoio di pareti di marmo e di vetrate colorate che spargevano una tenue tinta rosata, dando l’impressione di trovarsi all’interno di una nuvola di zucchero filato. Indossava ancora l’armatura con cui aveva cavalcato assieme a Elizaveta. I suoi passi squillarono e rimbombarono attraverso il corridoio, e l’ambiente si spalancò su un grande salone che lo accolse inondandolo con un profumo di fiori appena recisi, di lavanda, di velluto, e di tappeti d’oriente.

Gilbert s’immerse nelle sfumature rosa del marmo di cui erano composte le pareti, nell’oro delle rifiniture e delle cornici delle vetrate, e nella cascata di brillanti gettata dal lampadario di cristallo che vegliava dal soffitto del salone. Attese.

Roderich, al suono di quei passi pesanti e metallici, si girò facendo roteare attorno alle caviglie l’ampio e vaporoso abito color lavanda che ricadeva attorno ai suoi fianchi, lasciandogli le spalle nude e il busto fasciato dall’intreccio del corsetto, tutto pizzi e nastri. I suoi occhi luccicarono di stupore e il suo sguardo s’illuminò. «Siete tornato.» Le sue dita fremettero attorno al giglio che reggeva fra le mani, con i petali a fior di labbra.

Gilbert strinse un pugno sul petto e s’inchinò davanti al suo cospetto, facendo di nuovo trillare l’armatura. «La battaglia è vinta, i nemici sono sconfitti, il Regno non è più in pericolo. Vostra Maestà può tornare a dormire sonni tranquilli.»

Roderich lasciò cadere il fiore e raggiunse Gilbert facendo sventolare l’abito dalle sfumature bianche e viola. «Siete sano e salvo» rispose con voce soave tanto quanto il Notturno che suonava in sottofondo. «È solo questo che mi basta per poter dormire sogni tranquilli.»

Gilbert ghignò. «Vi avevo promesso che non sarei morto.» Gli raccolse le mani fra le sue. Mani bianche e sottili che accostò alle labbra, guardando Roderich con trasporto e adorazione. «Ed è stato proprio il pensiero di poter tornare da Voi che mi ha tenuto in vita. Nemmeno la guerra mi avrebbe impedito di infrangere la mia promessa, anche se si fosse trattato di sfidare la Morte stessa.»

Roderich si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e gli gettò le braccia al collo, lasciandosi sorreggere per i fianchi. Si scambiarono un bacio disperato ma consolante, carico di sollievo, ed entrambi i loro cuori si sciolsero, lasciando che i battiti diventassero un tutt’uno. Le labbra di Roderich erano sottili ma dolci, sapevano di fragole, di cioccolato e di panna. Fu come dare un morso a un pasticcino e leccarsi la bocca inzuccherata.

Si separarono e gli occhi di Gilbert si lasciarono risucchiare da quelli di Roderich, violacei e carichi di desiderio. Ma mancava ancora qualcosa... «Di’ il mio nome.»

Roderich batté le palpebre e sollevò un sopracciglio. «Heisenberg?»

«Niente citazioni!»

«Siamo in una tua fantasia mentale» protestò Roderich, tornando ad aggrottare un leggero broncio. «È chiaro che la visione che hai di me rispecchia le idiozie che diresti tu.»

Gilbert gli strinse i fianchi, quella vita così snella e sottile, e ammiccò. «Allora dovresti sapere come voglio essere chiamato in situazioni simili.»

Roderich arrossì e chinò lo sguardo di colpo. «S...» Fece un respiro profondo. «Sir Gilbert il Magnifico.»

«Ci puoi giurare, baby.» Lo baciò di nuovo. Le mani corsero lungo i fianchi di Roderich, raggiunsero la sensazione più soffice e vaporosa dell’abito, e spremettero una carezza più profonda attorno alle natiche.

Roderich trasalì e sgranò le palpebre, facendo scoppiare la bolla del loro incantesimo. Staccò le labbra da quelle di Gilbert, guadagnò una boccata di fiato, di aria marina, e gli schiaffò via la mano dal suo sedere. «E-ecco» borbottò. «Hai avuto abbastanza.» Soffiò un altro piccolo broncio e si strofinò le guance scarlatte. «Ti senti sufficientemente soddisfatto?»

Anche Gilbert rinvenne con un profondo respiro, e l’aria di mare gli riempì il petto, cancellando da sotto il suo naso il profumo di fiori, di seta, e di tappezzeria pulita. Si guardò attorno, gli occhi ancora velati dalla patina del sogno, e si ritrovò davanti alla stessa scena in cui era stato catapultato anche dopo la rottura della fantasia con Elizaveta. I soliti falò, il solito odore di grigliata, la solita sabbia sotto le ginocchia, la solita musica – ora erano passati ad Hangover, la cover degli Alestorm –, e tutto il resto si era dissolto. Niente più selvagge lande sconfinate, niente più saloni di marmo e cristallo. Quella realizzazione fu uno schiaffo di sconforto. Ma Roderich ed Elizaveta erano ancora davanti a lui.

«Allora?» gli domandò Elizaveta.

Gilbert dovette stropicciarsi gli occhi per mettere a fuoco la sua immagine. «Uh?» Flesse il capo di lato, diede una piccola leccata al labbro inferiore che serbava ancora il retrogusto dei due baci. «Allora cosa?»

Elizaveta si strinse le mani attorno ai fianchi e accennò un sorrisetto, una delle sue fini espressioni volpine. «Con chi ti è piaciuto di più?» Affianco a lei, Roderich si stava ancora strofinando le guance che avevano assunto una sfumatura spaventosamente rossa.

Gilbert levò lo sguardo al cielo, al disco della luna che si specchiava fra le onde dove la sua luce si frammentava in una serie di scaglie argentate, e quello splendore tornò a catapultarlo altrove, nel luogo dove i due baci lo avevano rapito e trascinato. Gli tornarono in mente le parole che aveva confessato a Francis e ad Antonio solo il pomeriggio prima. “È strano, non so nemmeno io come buttarla, ma entrambi mi danno qualcosa che l’altro non mi dà e di cui allo stesso tempo non riesco a fare a meno.” Il bacio con Elizaveta era stato puro fuoco sulle labbra, una scossa di adrenalina che gli aveva infiammato ogni fibra del corpo, accelerando il galoppare del cuore e facendogli desiderare che non finisse più. Il bacio con Roderich era stato più fine e delicato, come sdraiarsi in un campo fiorito sotto un profumato e tiepido sole di primavera. Una sensazione ristoratrice, simile a una doccia fresca dopo una lunga sudata, o a una nuotata fra le acque limpide di un laghetto turchese, che lo aveva riempito di una dolcezza di cui nemmeno lui avrebbe mai creduto di aver bisogno. Lo aveva avvolto in una soffice e tiepida sensazione di sicurezza, gonfiandogli il cuore di una pace simile al calore di un abbraccio. Sensazioni diverse e contrastanti, ma le più belle che avesse mai provato in vita sua.

Gilbert sbuffò e volse gli occhi altrove per non rendere ovvio il luccichio che ancora gli brillava nelle iridi. «Pft, dovrei fare io a voi questa domanda.» Sventolò le mani. «Baciare voi mi ha fatto capire quanto io sia dannatamente dotato. È meglio baciarsi con me piuttosto che baciarvi fra di voi, no?»

Elizaveta e Roderich incrociarono gli occhi, compirono un piccolo sobbalzo, tornando entrambi ad arrossire, e distaccarono gli sguardi. Elizaveta riprese a rigirare una ciocca di capelli fra le dita e si rosicchiò il labbro inferiore umido di lucidalabbra e del bacio di Gilbert. Roderich accostò una nocca alla montatura degli occhiali e celò la sua espressione ancora stordita dietro l’abbaglio di luce sfrecciato attraverso le lenti. Nessuno dei due rispose.

Un fischio stridente risalì il cielo notturno, ne toccò la cima, esplose in un botto, e spalancò una fontana di luci dorate che si unì agli sciami di stelle, illuminando la spiaggia e il mare. I primi «Ooh!» accompagnarono lo scoppiettio delle scintille che si dissolvevano, lasciando solo un fiore di fumo e un forte odore di zolfo. Altri fuochi artificiali schizzarono in cielo assieme ai fischi sempre più acuti e sempre più numerosi. Spalancarono luci rosse, verdi e blu, illuminando i profili dei ragazzi che si erano radunati tutti tenendo i nasi per aria e gli occhi spalancati verso lo spettacolo. Alcuni di loro avevano ancora i bastoncini di stelle filanti stretti fra le mani assieme agli spiedini di marsh-mallows arrostiti e ai bicchieri di carta colmi di soda.

Feliciano compì un rimbalzo sotto le luci colorate e corse da Ludwig e Kiku. «Oh, cominciano, cominciano!» Si appese a entrambi e li condusse lontano dai falò, dove il chiarore delle fiamme non interferiva con i colori dei fuochi artificiali. Diede un altro morso al suo S’More e si ripulì le labbra sporche della panna che si era fatto spruzzare sul gelato che aveva già divorato. I suoi occhi luccicarono d’incanto. «Guardate quanti colori! Uhm, ma dov’è finito il fratellone? È da mezz’ora che non lo vedo in giro, e anche Antonio è sparito.»

Poco distante da loro, Tino era troppo ubriaco per prestare particolarmente attenzione allo scoppiettare dei fuochi. Strinse le braccia e le gambe allacciate al torso di Berwald, standosene avvinghiato come un piccolo orsetto lavatore, e fece dondolare i piedi canticchiando il ritornello di Viinamäen Mies fra le labbra ancora umide dell’ultimo Jägermeister che gli aveva sparato il cervello sulla luna. Mathias ricadde sulla schiena e si sbracò dalle risate, reggendosi la pancia per sopprimere gli spasmi. I fischi e gli scoppi dei fuochi camuffarono i suoi farfugliamenti.

Elizaveta spalancò gli occhi, trasse un sospiro che sciolse il rossore del viso, e le stelle spruzzate dai fuochi artificiali si riflessero fra le sue palpebre. «Che meraviglia.» Scivolò sulle ginocchia, senza alzarsi dalla sabbia, e si accostò al fianco di Gilbert, sfiorandogli la spalla con la sua. «Yao è davvero un mago quando si tratta di queste cose. Guardate quanti colori!»

Gilbert sussultò sotto quel tocco, provando la stessa piccola scossa che gli era saettata fra le labbra durante il loro bacio. La guardò di striscio, senza muovere un muscolo, e un’altra presenza occupò l’altro suo fianco, spingendolo a voltarsi anche dall’altro capo. Anche Roderich gli sedeva vicino. Il capo reclinato per affacciarsi allo spettacolo dei fuochi colorati, la mano sulla sabbia, e quel lieve stupore fisso a brillare sul suo viso ancora sfumato di rosso, fra le labbra schiuse e ancora leggermente umide del loro bacio.

Gilbert lasciò scivolare la mano su quella di Roderich. Roderich rispose al tocco, voltò il palmo e intrecciò le dita alle sue, lasciandosi avvolgere senza protestare. Gilbert distese l’altro braccio, raccolse il fianco di Elizaveta e lasciò che lei si stendesse su di lui, poggiandogli il capo sulla spalla e inebriandolo col profumo dei suoi capelli.

Dentro di lui permase quella briciola di gelosia, quel fastidioso sassolino nella scarpa che tornava a pungerlo ogni volta in cui pensava a quei due stretti mano nella mano, a scambiarsi quegli stessi baci che lui stesso aveva assaporato. Ma il pensiero di vederli felici riuscì a rasserenargli il cuore e ad alleggerirgli l’animo, nonostante quell’agrodolce sapore di nostalgia che sarebbe risalito fra le guance ogni volta in cui avrebbe chiuso gli occhi e ripensato a quella sera, a quei momenti che non si sarebbero più ripetuti. Sospirò, strinse la mano di Roderich e il fianco di Elizaveta, tenendoseli vicini finché gli era concesso. Siglò quel ricordo dentro di sé, dove nessuno avrebbe potuto rubarglielo. «Da adesso cambierà tutto, no?»

Lo sguardo di Elizaveta sfumò nella sua stessa espressione nostalgica, accentuata dal colore blu schizzato dalle fontane degli ultimi fuochi d’artificio. «Già» confermò con lo stesso sospiro. «Cambieranno molte cose.»

Roderich annuì. «Suppongo sia inevitabile.» Altre luci scoppiettarono nel cielo e colorarono il biancore delle sue guance. «Stiamo crescendo, dopotutto. E dovremo passare attraverso molti altri difficili cambiamenti.»

Elizaveta sorrise e si posò la mano sul cuore. «Ma finché saremo assieme potremo passare attraverso qualsiasi difficoltà.»

Gilbert rise, e una fitta di malinconia tornò a schiacciargli il petto. Finché saremo assieme... Spinse su entrambi una soffice gomitata d’intesa. «Chiamatemi quando vi verrà la crisi del settimo anno, eh. Ma ricordatevi che ricevo solo su appuntamento.»

Elizaveta scosse il capo e si abbandonò a un sospiro sconsolato. Roderich chinò la fronte, si massaggiò le tempie, passò le dita fra i capelli, ma nemmeno lui riuscì a contenere un sorriso intenerito e un po’ commosso. Inutile nasconderlo: sarebbe mancato a entrambi.

Sopra di loro, lo spettacolo di colori, di scintille e di scoppiettii proseguì.

Gilbert strinse la mano di Roderich, passò quella libera fra i capelli sciolti di Elizaveta, e immortalò nei suoi ricordi quel momento che non sarebbe mai più tornato. La notte volse al termine, racchiuse nel suo grembo i ricordi dei baci che si erano scambiati e che sarebbero per sempre rimasti impressi su quella spiaggia.

 

 

Feliciano stappò il tubetto di crema doposole all’aloe, ne spremette una generosa quantità sul palmo spalancato, si sporse dal suo sedile, schiacciandosi contro quello centrale occupato da Ludwig, e gli spalmò la pomata sul viso bruciato. Ludwig strinse i denti, arricciando una lieve smorfia di dolore, e Feliciano sospirò, sconsolato. «Eppure non capisco proprio come tu abbia fatto a scottarti così tanto.» Spremette dell’altra crema all’aloe e gliela distribuì sugli zigomi e attorno alla radice del naso, raffreddando quel suo mezzo broncio di frustrazione. Feliciano gli posò l’indice sulla punta del naso e gli rivolse un’occhiata di rimprovero, senza però riuscire a contenere un sorriso intenerito. «Ti ho messo la crema ogni giorno e te l’ho spalmata proprio su ogni centimetro di pelle. La prossima volta ti metterò la Protezione Sessanta al posto della Quaranta, lo giuro. Oppure inventerò quella Cento solo per te.»

L’odore di crema doposole si diffuse rapidamente nello scomparto del treno irradiato dalle luci rosse e basse del tramonto che stava calando fuori dal finestrino. Il profumo di aloe si mescolò a quello più aspro e pungente della schiuma di mare, della sabbia rimasta incrostata sotto le loro scarpe, e a quello della salsedine che aveva intriso le loro pelli abbronzate che la grigia vita di città avrebbe provveduto a impallidire, sciacquando via il profumo del sole che li aveva annaffiati durante la settimana appena trascorsa.

Gilbert si sporse verso Antonio, premendo il fianco sul bracciolo che separava i loro sedili, e nascose il ghigno dietro la mano per mormorargli all’orecchio. «Sentito?» gli fece. «Gliel’ha spalmata su ogni centimetro di pelle.» Ammiccò con le sopracciglia.

Antonio – abbronzato come un beduino – si coprì a sua volta la bocca e ridacchiò. Gli occhi verdi splendettero come gemme scardinate dalla sciabola di un guerriero del deserto, in contrasto con la pelle così scura e con le ciocche color cioccolato che ricadevano in disordine sulla fronte e sulle guance.

Ludwig si spalmò un ultimo sbuffo di crema sulla pelle bruciata, distribuì quella che era avanzata anche sugli avambracci diventati rossi come bucce di peperoni, e sospirò. «La colpa è tua, Feliciano» lo rimproverò. «Ho dovuto rincorrerti ogni giorno in mare per evitare che tu finissi troppo lontano dalla riva, o in mezzo agli scogli, per di più subito dopo pranzo quando non avevi mai la pazienza di aspettare almeno tre ore dopo aver mangiato. E così non ho mai avuto tempo di lasciarla asciugare.»

Gilbert – bruciato anche lui come un pomodoro bollito – si stravaccò sul suo sedile, stiracchiò le gambe, e poggiò la tempia al finestrino affacciato all’ultimo scorcio di costa. Rise. Le sfumature scarlatte del tramonto che correva assecondando il treno sfrecciante si raccolsero nei suoi occhi. «E lascia che Feli ti spalmi la crema, per Dio. Io non mi lamenterei.»

Feliciano spremette dell’altra pomata fuori dal tubetto, si sporse in avanti, verso il sedile di Gilbert, e gli sorrise tendendo anche verso di lui la mano ricolma di crema doposole. «Infatti ora tocca anche a te.»

La crema rinfrescante sfrigolò a contatto con la pelle rovente di Gilbert, sciogliendosi come burro gettato sulla padella. «Argh!» Gilbert strizzò le mani sui braccioli del sedile, come se gli avessero sparato una scossa lungo la spina dorsale, e ingoiò il gridolino di dolore. Continuò a frignare anche mentre Feliciano finì di distribuire la crema sul resto del viso e sulle spalle scarlatte coperte solo dalle sottili maniche della canotta nera.

Lovino, sdraiato con la schiena contro il braccio di Antonio come durante il viaggio di andata, abbassò il cellulare aperto sul profilo di Facebook dove stava finendo di postare le ultime foto della vacanza. Alzò gli occhi al soffitto e scosse la testa. «Crucchi che si bruciano al mare.» Anche lui era abbronzato come se avesse trascorso un mese nel deserto del Sahara. «Mai sentito nulla di più banale.»

Kiku finì di sistemare il suo borsone negli scomparti superiori, schiacciandolo fra quello di Ludwig e quello di Feliciano. Si rimise seduto e ripiegò la felpa di cotone sule ginocchia. «Speriamo che non si tratti di ustioni troppo gravi.»

Gilbert riguadagnò un mezzo sorriso ancora tremolante di dolore e si strofinò il naso unto di crema all’aloe. «Mi sono scottato solo perché il sole mi ama troppo e non riusciva a scollarmi i raggi di dosso.»

Antonio si posò la mano sulla guancia bronzea e sospirò, sollevando un sorriso sconsolato. «Aah, quanto vorrei essermi bruciato anch’io solo per farmi mettere la crema da te, Feli.»

Lovino lo fulminò di traverso e gli batté una gomitata sul fianco. Infilò il cellulare in tasca, si girò facendogli scivolare le braccia attorno al torso, rannicchiò le ginocchia contro il suo fianco, e gli premette la fronte sulla spalla. «Idiota» brontolò.

Antonio sorrise e gli diede una strofinata ai capelli. «Che c’è, Lovi?» Gli posò le labbra sulla fronte, solleticato dal profumo di mare spanto dalle sue ciocche. «Sei triste?»

Lovino gli sfregò il viso sulla spalla e si tenne nascosto nell’ombra del grugno. «Sta’ zitto, dannazione.»

Antonio soffiò una risata. Lo strinse forte, inghiottendolo in un abbraccio da orsacchiotto, e gli posò un bacio fra i capelli. «A casa ci spalmiamo tutta la crema del mondo, te lo prometto. E ci facciamo anche il bagno assieme.»

«Mhf.»

Fuori dal finestrino, le luci del tramonto bruciavano fra le nubi rosate e spaccate da venature simili a saette di fuoco. I raggi scarlatti oscillavano e splendevano lungo la distesa del mare che diventava sempre più sottile all’orizzonte. La forma del sole era un mezzo disco affondato sul pelo dell’acqua, rosso e sanguineo come un’arancia appena affettata, e circondato dalle nubi più basse e scure che si confondevano con le creste delle onde. Stormi di gabbiani volavano in cerchio attorno alle briccole sempre più piccole e distanti, nere e piatte contro quel tramonto che si stava spegnendo come gli ultimi giorni d’estate, come la loro vacanza.

Feliciano intrecciò il braccio a quello di Kiku, raggiunse la mano di Ludwig che sedeva contro il suo altro fianco, e gli appoggiò il capo sulla spalla, accostandosi al profumo di crema all’aloe che gli aveva appena spalmato. Il tramonto si specchiò nelle profondità dei suoi occhi, fra le ciglia color ambra, e fece splendere le pagliuzze dorate che sfumavano le iridi color nocciola. Sospirò, sognante, e sollevò un sorriso nostalgico. «È sempre tristissimo quando finisce una vacanza, vero?» Si stiracchiò contro il braccio di Ludwig e lasciò che lui gli carezzasse la guancia passando le nocche lungo il profilo tondo del viso. «Però non vedo l’ora di raccontare tutto al nonno e di dargli quel bel quadro di conchiglie che gli abbiamo comprato alla bancarella. In fondo sono anche felice di tornare a casa.»

Lovino tornò a circondarsi di quella nera aura di malumore che abbrustolì il profumo di mare e spiaggia e che rabbuiò i colori del tramonto filtrati attraverso il finestrino. «Sì» sbuffò, senza sollevare la fronte dalla spalla di Antonio. «E poi tornare a scuola.»

Antonio lo consolò sfregandogli una mano fra le scapole. «Tanto per te è l’ultimo anno, Lovi, e devi godertelo.»

Lovino mugugnò un brontolio incomprensibile, strinse la presa attorno ai fianchi di Antonio, e tenne schiacciato il viso contro la sua spalla, lasciando che i capelli ricaduti in avanti nascondessero la sua espressione sciolta in una smorfia di improvvisa tristezza.

Antonio se ne accorse, flesse il capo di lato per incrociare lo sguardo avvilito e imbronciato che non si faceva trovare. «È per questo che sei triste?» gli domandò con una punta di stupore. «Perché non mi vedrai più a scuola?»

Lovino strinse l’abbraccio attorno ai suoi fianchi, strizzò le mani tremanti sulla sua maglietta, quasi avesse paura di lasciarlo andare, e tenne la faccia schiacciata su di lui.

«Ooh, Lovi.» Antonio lo raccolse fra le braccia, lo fece accoccolare sulle sue gambe come quando erano piccoli, se lo strinse al petto e gli massaggiò la schiena tenendo le labbra posate sulla sua fronte che profumava ancora di mare. «Su, su, non devi essere triste.» Tenne alto il sorriso e continuò a sfregargli soffici carezze di consolazione lungo la schiena e sulla nuca. «Prometto che ti verrò a trovare ogni volta in cui sarò libero. E poi avremo anche i pomeriggi da trascorrere assieme, e tutti i week-end. E potrai venirmi a trovare in università ogni volta che vorrai, magari quando ci sarà un’assemblea o avrai delle ore buche. Sono solo due fermate di autobus, dopotutto. Vedrai che il tempo passerà in un attimo, non te ne accorgerai nemmeno.» Gli passò una mano fra i capelli, gli scostò la frangia dalla fronte aggrottata e gli sfiorò la punta del naso con la sua. «Mi prometti che ce la metterai tutta?»

Lovino tenne gli occhi bassi, si rosicchiò il labbro per nascondere quella smorfia tremolante che non riusciva a rimanere seria davanti all’irresistibile sorriso di Antonio, e annuì.

«Bravo il mio ragazzo.» Antonio gli schioccò una sbaciucchiata sulla guancia e gli strofinò una carezza d’incoraggiamento fra i capelli, cullandolo avanti e indietro. «E non farti bocciare» rise. «Sennò ti tocca aspettare il doppio del tempo.»

Lovino affondò il viso nel suo incavo del collo e trattenne a stento una risatina, facendogli solletico all’orecchio.

Gilbert scosse il capo, poggiò il gomito contro il ripiano davanti al finestrino, e allontanò gli occhi da quella scena diabetica che gli diede il voltastomaco, come gli era successo dopo la cena attorno dei falò, dopo aver passato la serata a trangugiare dolci, mescolando le caramelle gommose alla cioccolata e ai marsh-mallows. Si lasciò catturare dallo splendore del tramonto che si stava sciogliendo fra le onde, e anche lui venne assalito da una fitta di malinconia che lo fece sospirare davanti all’immagine del cielo rosato sempre più scuro e da quella del mare sempre più distante e sottile.

Abbassò le palpebre.

I grani di sabbia rimasti incastrati all’interno delle scarpe lo riportarono con le ginocchia sulla spiaggia, distante dalle luci dei falò e dalla musica sparata dagli impianti stereo, ma vicino a Roderich ed Elizaveta, allo scrosciare morbido delle onde che s’infrangevano alle loro spalle, sotto il riverbero argenteo della luna che vegliava su di loro come un faro. Il profumo della crema doposole che Feliciano gli aveva spalmato sul viso e sulle spalle rievocò quello che aveva respirato attraverso la pelle di entrambi mentre li baciava. Gilbert strinse le punte dei denti sul labbro inferiore e riassaporò la dolcezza delle loro bocche, quella più morbida e fresca di lucidalabbra di Elizaveta e quella più sottile ma altrettanto deliziosa di Roderich. Si perse di nuovo nell’estasi di quei baci. Baci che sapeva non avrebbe mai più riassaporato. Ma andava bene così.

Gilbert riaprì gli occhi sullo scenario di pace che regnava nello scompartimento del treno. Feliciano steso lungo il fianco di Ludwig, gli occhi chiusi, un sorriso sereno e beato a tenergli sollevati gli angoli delle labbra, la mano intrecciata alla sua, e Kiku intento a posargli la felpa sulle spalle per proteggerlo dal soffio freddo dell’aria condizionata. Lovino abbracciato ad Antonio, accoccolato fra le sue gambe, cullato dallo scorrere delle sue carezze fra i capelli e dal tocco delle sue labbra sulla guancia abbronzata.

È vero, pensò Gilbert, con un sospiro. Le cose cambieranno da ora in poi. La nostra vita andrà avanti, seguirà il suo ciclo, ma rimarranno comunque tutti i ricordi che nemmeno il tempo ci porterà via. Tornò a poggiarsi con la tempia sul finestrino e salutò il mare con un ultimo sguardo di gratitudine per quell’ultima vacanza della sua giovinezza, per i suoi primi baci scambiati con coloro che amava di più al mondo, per tutte le risate condivise con i suoi migliori amici, per le serate trascorse con i piedi affondati nella sabbia e con lo sguardo rivolto al cielo chiazzato dalle luci colorate dei fuochi d’artificio. Lo ringraziò per tutti quei ricordi che avrebbe conservato nel cuore lungo tutto il corso della sua vita. E a me non gli resta altro da fare che godermi quello che il destino ha in mente per i prossimi anni.

 

 

 

 

Fine

   
 
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