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Autore: NyxTNeko    21/04/2019    2 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 13 - Perdita -

23 marzo 1785

La primavera era ormai giunta delicata al pari di una dolce brezza, la vegetazione e i campi erano pronti per risvegliare i loro fiori migliori. La vita stava rinascendo in tutto il suo splendore e meraviglia. Nella piccola mansarda in cui alloggiava prima e dopo le lezioni, in un momento di riposo dopo un'intera notte passata a scrivere, con la penna d'oca ancora nella mano sinistra, il viso appoggiato sopra l'altra, e la candela interamente consumata, che da ore aveva esalato l'ultima fiamma, il giovane corso osservava il cielo limpido e terso di nuvole che si stagliava e avvolgeva attorno alla sua presa il mondo, dopo intere settimane di pioggia e freddo pungente, che  sembravano averlo stretto nella sua morsa.

- Finalmente una bella giornata di sole! - esclamò alzandosi bruscamente, con un fievole sorriso, sperava che l'influsso della giornata, da poco incominciata, avrebbe risollevato un po' il suo umore grigio. "Chissà come starà la mia famiglia?" si domandava mentre si avvicinava alla finestra ad osservare il paesaggio urbano. Erano anni ormai che non si vedevano. Come erano cambiati e cresciuti i fratellini nati dopo la sua partenza? Che immagine si erano fatti di lui? La stessa che aveva elaborato e immaginato in quegli anni con le lettere e informazioni che riceveva e ricavava? Sperava con tutto il cuore di finire in fretta di completare gli studi.

Era impaziente di rivedere la sua famiglia, la sua casa, la sua cara isola. Si chiedeva, anzi si tormentava, con queste domande, cercando di scacciare la nostalgia, la paura, la solitudine ormai sempre più presenti e opprimenti. Anche se era bambino quando era partito dalla Corsica ogni ricordo visivo, uditivo e sonoro era ben nitido e scolpito nella sua mente, nel suo cuore. "È da un po' che non ricevo notizie da parte loro, ed è strano perché mi aggiornano sulle eventuali novità, mi auguro solo che non sia accaduto nulla di grave" si diceva sospirando. La sua sottile figura si rifletteva sul vetro che mostrava l'ambiente parigino. Seppur di nascosto, Napoleone non aveva mai smesso di scrivere la storia della Corsica.

Il suo cuore non apparteneva ancora ai francesi, proteggeva la sua identità con orgoglio e, molto spesso, con ferocia. Non poteva permettere che vincessero, che lo sottomettessero, non era nella sua natura arrendersi senza aver lottato fino allo stremo. Era cresciuto con gli ideali dei grandi uomini del passato, i loro esempi gli avevano dato la forza di resistere sia attivamente che passivamente alle minacce e ai soprusi. E gli avevano dato carica per poter continuare a resistere nella tana del nemico.  

Si allontanò dalla piccola finestra e prese a camminare per sgranchirsi le ossa, ma la stanza era eccessivamente piccola, perciò decise di approfittare del tempo libero per passeggiare un po' all'aria aperta, prima di ritornare all'Ecole, giusto in tempo per le lezioni quotidiane. Era da quasi un anno che viveva nella capitale francese, ma non aveva mai avuto modo per visitarla da cima a fondo, la conosceva tramite i libri che aveva letto e le notizie sentite in giro.

Pensò che non fosse un grave peccato concedersi una pausa straordinaria, si sistemò gli abiti leggermente sgualciti e si pettinò i capelli arruffati e ribelli. Si avvicinò alla scrivania, afferrò i fogli e li mise da parte. Il silenzio regnava in quel luogo, nessuno era ancora sveglio e con calma scese evitando di fare rumore. Per Napoleone il riposo notturno era mal visto non solo a causa della sua precoce insonnia, che influenzò non poco la sua vita e il suo pensiero, soprattutto perché dormire più di tre o quattro ore lo considerava una forma di pigrizia mentale capace di rammolire il corpo e il fisico.

Uscì dalla casa e s'incamminò silenzioso e solitario, come le strade in quel momento, fu un vero sollievo per lui, si rilassò e distese i tratti del viso che divennero improvvisamente più giovanili e rotondi. Solo un leggero venticello rompeva il silenzio che regnava all'alba e gli scompigliava i capelli lunghi in aria. Quella passeggiata gli stava proprio facendo bene all'anima: il vigore pulsava nel corpo, e recuperò tutte le energie perse negli ultimi giorni in cui non si era mosso dalla mansarda se non per andare a lezione. Inspirò tutta quell'aria pura nei polmoni, non sembrava proprio essere in Francia, a Parigi, quell'ambiente urbano e quella calma gli ricordava la sua Ajaccio, selvaggia, aspra ma dolce e amorevole come una madre.

"Altro che dormire!" pensò tra sè, a lui non serviva cadere nelle braccia di Morfeo, era immune al sonno, si sentiva capace di rimanere sveglio e attivo per tutto il giorno poiché la sua mente era rapida, acuta e curiosa. Solo chi aveva una mente lenta e immutabile ne aveva bisogno, li colpiva come una malattia alla quale non esiste cura - Se solo l'alba durasse di più, Parigi sarebbe un vero paradiso! - disse a bassa voce, si ricordò della frase del padre quando gli aveva riferito che la Francia non era l'inferno che credeva, e comprese che se scoperta nel silenzio e nei momenti più tranquilli, poteva essere graziosa e persino amabile. Suo padre, almeno in parte, aveva ragione.

Ma questo pensiero non cambiò, per il momento, l'opinione che aveva dei francesi, ancora considerati dei nemici e invasori. Né perdonava il gesto, decisamente voltagabbana del padre che si era schierato con i francesi e li aveva aiutati ad occupare l'isola e continuava a servirli. Il giorno si stava facendo strada e Napoleone, controllando l'ora, decretò che fosse prudente tornare indietro, alla mansarda. Vi arrivò e trovò ai piedi della porta una lettera, quasi istintivamente la prese tra le mani, la ceralacca era ben chiusa, dietro vi era una doppia scritta in francese e in italiano.

Il giovane corso capì che proveniva dalla sua famiglia e quando entrò in casa vide che nessuno si era svegliato, salì rapidamente le scale che lo conducevano alla mansarda e si chiuse dentro. A quel punto si sedette sul letto, quasi mai usato e con delicatezza staccò il sigillo, aprì la busta e la lettera. Cominciò a leggerla era scritta dallo zio, e dopo le consuete scuse per il ritardo, circa le loro condizioni, passò al dunque, la calligrafia divenne più incerta, appena lesse il seguito, scoprì il perché: suo padre era morto a Montpellier, a soli 38 anni, il 24 febbraio di quello stesso anno, a causa di un tumore allo stomaco che glielo aveva lacerato.

Il suo viso si fece più pallido del solito e cominciò a sudare, sapeva del peggioramento della salute di suo padre, ma mai avrebbe immaginato quella fine, così velocemente. Voleva sapere di più, perciò proseguì nella lettura. Pareva un bollettino medico, descriveva prima il deperimento fisico e mentale di Carlo, per poi passare al vero e proprio delirio: convulsioni e febbri lo tormentavano, aveva perso lucidità e la capacità di dare un senso logico ai suoi pensieri, irrimediabilmente distorti. Nemmeno la presenza di Giuseppe potè fare molto per riportarlo alla ragione.

La cura a base di pere che i vari medici gli avevano prescritto non aveva portato a nessun miglioramento, anzi, pareva completamente inutile, quando il ragazzino lesse quest'ultima parte, prima delle raccomandazioni, si sentì preso in giro dalla scienza e dalla medicina. Da quel momento giurò a sé stesso che non avrebbe fatto alcun affidamento su dottori e medicine. Non era solo colpa della famiglia se suo padre era morto, erano stati anche i francesi a peggiorare le sue condizioni, i continui viaggi dalla Francia alla Corsica e viceversa.

Non appena finì di leggere un sentimento misto tra rabbia e dolore, difficilmente repressi, lo fece trasalire violentemente. I suoi rapporti con il padre non erano proprio idilliaci, molte volte non aveva accettato le sue posizioni politiche, i suoi atteggiamenti libertini e spesso frivoli. Vero era che aveva assunto un titolo nobiliare, però questo non lo autorizzava di sperperare tutte le loro risorse, a differenza del figlio che era parsimonioso al limite estremo. Tuttavia lo aveva sempre rispettato come padre e come uomo, il quale, nonostante le sue assenze, era presente a livello affettivo, pure quando aveva 'tradito' gli ideali corsi, per permettergli di studiare al meglio.

Suo padre era sempre stato un uomo molto buono e comprensivo, atteggiamento piuttosto insolito per i canoni dell’epoca che prevedevano, tra le classi di alto rango, assoluta freddezza e intransigenza con i figli. Poche volte, si ricordava, di averlo visto arrabbiato o violento.

- Il vostro sacrificio non sarà vanificato, padre - bisbigliò, fu uno sforzo immenso non perdere il controllo - In questo momento sento di avere ancora più responsabilità - aggiunse, sentendo il peso della vita farsi più opprimente, poi richiuse la lettera e la rimise nella busta - Da oggi in poi non avrò un attimo di tregua, impegnerò ogni energia del mio corpo per aiutare la famiglia che il destino mi ha affidato, è una promessa - dopo aver osservato la lettera posata sulla scrivania, la prese con la mano destra e la strinse con forza fino a stropicciarla. La rabbia repressa, fino ad allora controllata, si manifestò anche se debolmente, doveva imparare a soffocarla.

La divisa che portava addosso in quel momento lo innervosiva, avrebbe voluto toglierla anzi strapparla dal corpo e gettarla via, ripudiare gli studi. Non si stava comportando diversamente da suo padre, accettava con remissività i soprusi e gli insulti quando invece avrebbe dovuto picchiarli fino alla morte - Quest'uniforme che indosso ha siglato la mia totale devozione verso il mio nemico, verso colui che dovrei uccidere, maledizione! Era questo che volevate padre? Farmi studiare con loro per poterli apprezzare? Padre avete sempre creduto che io abbia affievolito il mio odio, beh vi siete sbagliato! Se negli ultimi tempi ho placato la mia anima ribelle è solo perchè così avrei potuto studiarli al meglio per poi usare le mie conoscenze contro di loro. Il mio cuore appartiene e apparterrà alla mia isola, padre! - sussurrava tra i denti, rivolgeva il viso al cielo.

Sapeva che del padre non rimaneva che il ricordo, nel suo intimo s'illudeva che da qualche parte lo avrebbe ascoltato. E che anche il suo animo, un giorno, avrebbe trovato la sua pace. Ora che il padre era morto, la sua unica ancora di salvezza, che lo avrebbe salvato dalla disperazione più cupa, era solamente il ritorno di Paoli in Corsica. Per questo si buttò senza posa negli studi, il suo progetto era folle e audace: dare tutti i restanti esami prima della fine del corso di studi; non gli interessava raggiungere i piani più alti dell’artiglieria. Il suo obiettivo era di avere un incarico militare che gli permettesse di aiutare la sua famiglia. Giuseppe lo avrebbe certamente aiutato, poteva contare sulla sua indole disponibile.

Immediatamente afferrò la penna e stese di getto una lettera al prozio Luciano: scrisse le consuete frasi di circostanza, per poi passare ad un tono decisamente più veritiero e carico di dolore e senso di colpa per le scuse non dette e per i litigi non riappacificati. 'Un cittadino illuminato, zelante e disinteressato, eppure il cielo lo ha lasciato morire: e in che posto? A cento leghe dalla sua terra natale, in un paese straniero, indifferente alla sua esistenza, lontano da tutto quello che per lui era prezioso'. Scrisse ciò guidato dal cuore, sapeva che non avrebbe avuto più la possibilità di chiedere scusa, di chiarirsi, questo lo faceva malissimo, non se lo sarebbe mai perdonato. "Dannato orgoglio, per colpa sua, ho perso mio padre" si rimproverò frenando le lacrime di disperazione.

La imbucò nei dintorni, con un macigno sul cuore ed espressione cupa e malinconica, si aggirava tra le strade della città. Vedere l’altrui felicità gli provocava sempre più amarezza e tristezza, il mondo era irrispettoso nei confronti di quella tragedia. Ma in fondo cosa poteva pretendere? La sua famiglia era pressoché sconosciuta in Francia. Il titolo nobiliare che possedeva non era che una blanda pretesa per contare di più in quella società in cui la vera aristocrazia contava. Nessuno avrebbe potuto consolarlo, perché non era nessuno, non aveva nessuno.

Una volta dentro si chiuse nella stanza e lasciò sfogare il pianto tenuto a freno - Padre...perdonatemi...se davvero siete da qualche parte e potete ascoltarmi...perdonatemi...

4 aprile

Solo un sacerdote, che frequentava la famiglia che lo ospitava nella mansarda, si interessò della sua difficile situazione psicologica e decise di aiutarlo. Quando lo vide rincasare dall'Accademia ne approfittò per parlargli - Monsieur Buonaparte, lasciate che vi aiuti a superare questo grande dolore che vi attanaglia l’anima - disse mestamente afferrandogli il braccio per fermarlo. Gli avevano riferito del suo carattere diffidente e distaccato, che nascondeva la turbolenza della sua giovane età.

Napoleone lo guardò con freddezza ed odio, staccò brutalmente il braccio dalla sua presa - Chi vi autorizza ad impicciarvi delle mie faccende personali? La vostra consolazione non servirà a riportare indietro mio padre - gli rinfacciò il ragazzo che continuava a fissarlo con il suo sguardo gelido - Ho abbastanza forza d'animo per sopportare questa pena senza che ci prenda la cura di consolarmi - La sofferenza era passata, lasciando il posto all'amarezza, alla solitudine e ad altre responsabilità che sentiva di avere, doveva diventare il capo, poiché Giuseppe non aveva l'autorità necessaria per mandare avanti la famiglia, dopo la scomparsa del padre.

- Vostro padre adesso si trova nel regno delle anime purganti - gli rispose dolcemente il sacerdote che gli porse il rosario - Preghiamo insieme affinché possa assistere alla Sua gloria

- Andate a raccontare queste idiozie al popolino! - urlò e allontanò le mani del prete - Dov'era il vostro Dio quando mio padre si contorceva per via di quel male che lo lacerava? Dove? Non certo al suo fianco! - continuò furioso, pur controllandosi, non voleva complicare ancora di più la sua situazione, già decisamente critica - Sapete benissimo come me che il Dio misericordioso e buono che tanto adorate e glorificate, non ha alcun interesse per la sofferenza e la vita dell’uomo! Oltre questa vita non esiste nulla! - emise infine con tutto il livore e il rancore che aveva in corpo.Poi sospirò profondamente e aggiunse - Ed ora lasciatemi andare, ho altri pensieri per la testa, che ascoltare le fandonie di un prete...Si allontanò e si chiuse nella mansarda.

- Padre, ve lo avevo detto che quel ragazzo non vi avrebbe dato ascolto! È un tipo estremamente orgoglioso e schivo! - gli ricordò amareggiato il padrone di casa, che aveva imparato a convivere con lo strano carattere di quel giovane così sveglio e capace - Si è chiuso in se stesso più di quanto fosse già, il dolore lo ha reso più tempestoso e turbolento del solito... - concluse con un lungo sospiro.

- Ha le sue ragioni per comportarsi così! - disse il sacerdote, il tono era comprensivo e pacifico - Arriva un momento nella vita in cui si dubita di ogni cosa. Soprattutto dopo una perdita del genere! Il mio compito per il momento è finito - affermò con un luminoso sorriso, prima di andarsene però aggiunse - Riferite al ragazzo che se volesse confidarsi con me io sarò sempre disponibile, che la pace regni in questa casa!

- Amen - rispose il padrone facendo il segno della croce.

"Fanatici!" si disse Napoleone tenendo l’orecchio alla porta "Se credete di soggiogarmi con le vostre ridicole favolette vi sbagliate di grosso!"

   
 
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