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Autore: _Lightning_    21/04/2019    7 recensioni
L’unica reazione di Tony è un respiro leggermente più sonoro del normale, ma i suoi occhi sembrano solidificarsi in due lastre scure e opache.
Contemporaneamente Thor si avvicina ancora, passando da osservatore esterno a potenziale partecipante, e Rhodey scatta a sua volta in piedi con fare allarmato. Nataša scruta i presenti con sguardo attento, come un felino in agguato, e Bruce non abbandona il suo atteggiamento ostile e incupito.
Steve sente la situazione precipitare.
La percepisce quasi sfuggirgli tra le dita come sabbia mentre cerca freneticamente un modo, una frase, un’azione che possa arrestarne la caduta inesorabile.

Dopo lo schiocco, Steve si trova alle prese con una squadra distrutta dalle perdite, spezzata dall'interno e incapace di far fronte unito. Toccherà a lui radunare i pezzi, suoi e degli altri, per prepararsi allo scontro finale. E molti di quei pezzi sono rimasti in Siberia, in un bunker gelido.
[post-Infinity War // Introspettivo // PoV Steve // Civil War fix-it // scritto prima di Endgame]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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Epilogo: Noi no
 
 
 
But plant your hope
With good seeds
Don’t cover yourself
With thistle and weeds
 
 
 
Per una volta, il silenzio è breve.
Il tempo di riprendere le fila sfrangiate dei propri pensieri, cercando di intrecciarle in una trama abbastanza robusta da non cedere sotto il peso di ciò che deve raccontare.

«Da dove comincio?» chiede infine Steve, allargando un poco i palmi a esortare l’altro.

Tony sa, e non sa, questo gli è chiaro. L’ha visto rinchiudersi nella propria stanza non appena tornato da Titano, a malapena in grado di parlare, di reggersi in piedi, con gli occhi spiritati di chi ha visto la morte e non è ben sicuro di come sia sfuggito alle sue grinfie, e segnati dal dubbio che forse non avrebbe dovuto affatto sfuggirle.

«Da…» Tony si interrompe e si preme due dita sulla tempia, dove si intravede ancora un taglio non del tutto guarito. «Dal Wakanda? Dalla battaglia, io…» libera un sospiro stremato. «Da dove vuoi,» conclude, facendo scivolare la mano a sorreggersi il mento e puntando un gomito sul bancone.

Steve lo osserva per un lungo istante, prendendo nota della stanchezza impressa sul suo volto, poi comincia a parlare, in tono pacato ma costante. Tony ascolta in un insolito silenzio, concentrato. Lo interrompe solo un paio di volte per chiedere dei dettagli – su Visione, sull’Hulkbuster, su Thor, a segnare quei punti di raccordo che si è perso strada facendo. Non sembra intenzionato ad approfondire le circostanze della sua permanenza in Wakanda con Bucky, e a quel punto gli è chiaro che l’ha sempre saputo, o perlomeno sospettato. Steve si è abituato a sentirsi parlar sopra almeno una decina di volte nel corso delle riunioni, proprio da Tony, che pareva sempre farne un punto d’onore di contraddirlo più volte possibile di fronte agli altri. Adesso le sue domande sono puntuali, scevre di qualsiasi giudizio latente o meno, e sono poste nel tono grave di chi non vorrebbe chiedere di più ma è costretto a farlo.

«E… e poi l’ha fatto,» conclude Steve con voce un po’ roca e tremante, fermandosi prima della cenere.

Non ha bisogno di rievocarla: gli è ormai chiaro che Tony ce l’abbia già attaccata all’anima. Lo vede abbassare gli occhi, ancora immobile, con la bocca serrata e rigida.

«L’ha fatto,» ripete in tono assente, con una punta di sofferta incredulità che gli scuote la voce, e suona come una sentenza.

Steve aspetta che cominci lui a parlare, e intuisce dalla fronte aggrottata che stia riorganizzando le informazioni appena ricevute, incastrandole con quelle che non ha ancora voluto condividere. Quando quella pausa si protrae troppo a lungo, si decide a parlare per primo.

«Tony,» lo richiama, riscuotendolo con un sussulto. «Cosa è successo su Titano?» gli chiede, senza mezzi termini.

Può quasi scorgere l’armatura che gli si avvolge addosso, a deflettere quella domanda. In qualche modo, è riuscito a evitare di parlarne finora, camminando in punta di piedi attorno a quel nodo cruciale e sanguinante.

«Ve l'ho già detto,» risponde infatti, a sviare l’argomento, come se il solo menzionarlo lo opprimesse.

«No, non l’hai fatto,» osserva Steve, ancora calmo, ma con una punta di durezza in più. «Abbiamo bisogno di tutte le informazioni possibili su Thanos, e…»

«Lo so. Ma non voglio parlarne,» replica lui, con voce esausta, chiudendo gli occhi per un istante.

Li riapre per un attimo e il suo sguardo si fa smarrito e vaga per la stanza, erratico come il suo respiro. Si stringe con forza la spalla, affondando le dita nella stoffa della maglietta.

«C’è di mezzo la vita di mezzo universo, Tony,» lo rimbrotta Steve. «Non sei davvero così egoista.»

Lui incassa il colpo aumentando ancor di più la stretta, probabilmente imprimendosi le impronte delle dita sulla pelle. Prende un grosso respiro, come a farsi forza, spronato da quelle parole.

«La verità è che ho fallito. Nulla di nuovo,» dice con un sorrisetto spento. «Dovrei essere morto,» commenta poi, di nuovo in quel tono distante.

«Stark...» comincia Steve, volendo interrompere sul nascere quell’assunzione di colpa, ma lui non gliene dà modo.

«Non lo dico per dire,» afferma, stringendo i pugni in un moto d'impotenza, quasi potessero mantenere salda la sua voce. «Stavo davvero per morire. Qualcuno ha deciso diversamente,» s’interrompe, incespicando nel discorso e facendo un brusco scatto con la testa a segnalare la sua frustrazione.

«Perché non mi spieghi dall’inizio?» lo invita Steve, conciliante, e vede la riluttanza dipingersi sul suo volto. «Non so neanche come ci sei finito, su Titano,» aggiunge, accigliandosi nel realizzare solo adesso quel fatto.

Tony sospira, ma annuisce, anche se in modo nervoso.

«L’inizio, dici,» ripete schiarendosi la gola. «L’inizio è… a New York, con gli alieni, come sempre. Quando ho visto quell’astronave non potevo crederci,» scuote la testa, come a scacciarne l’immagine ancora vivida. «Sapevo che sarebbe successo, che sarebbero tornati. Lo so da anni, da… da quel cazzo di portale.»

Risucchia un respiro e Steve non lo interrompe. Forse è partito da un inizio un po’ troppo distante, ma gli concede i suoi tempi per arrivare a raccontare ciò che continua a tormentarlo, perché è la prima volta che gli sente menzionare New York in modo serio, senza cercare di mascherare l’evento con la sua solita ironia. Lo ascolta ripercorrere la comparsa di Bruce, l’arrivo dell’astronave, il panico generale, il rapimento di Strange. Fa per chiedere di più quando lo sente menzionare dal nulla Spider-Man, credendo di essersi perso un passaggio negli eventi, ma l’occhiata fissa che gli rifila Tony lo fa desistere.

«Non potevo farli rimanere sulla Terra, o farci arrivare Thanos. Per questo li ho portati su Titano, con la Gemma del Tempo. Sembrava… sembrava la cosa giusta da fare. Ho sbagliato,» conclude, e Steve vede distintamente il velo che gli offusca lo sguardo.

«Non credo ci fosse una strategia giusta,» commenta, senza rancore.

Non si sente in grado di far abbattere la colpa di tutto su una sola persona, soprattutto quando lui stesso si è rivelato così inutile in un momento decisivo. Tony lo scruta come se stesse cercando di decifrare un’accusa intrinseca a quella frase, e contrae ritmicamente la mascella, per poi emettere un respiro secco.

«Stavo per chiamarti, quando Bruce ci ha detto di Thanos,» confessa poi, rapidamente, e Steve non può evitare un lieve moto di sorpresa. «Non ho fatto in tempo. Ho esitato,» conclude, e non è chiaro se stia attribuendo la colpa a se stesso o a lui.

«Forse se mi avessi chiamato avremmo potuto coordinarci meglio, con le Gemme. Ma non saremmo comunque riusciti ad arrivare in tempo,» osserva pragmatico Steve, giocherellando con la copertina scolorita del suo quaderno. «Siamo partiti per Edimburgo non appena abbiamo saputo che eri disperso, ma anche sapendo che eri diretto su Titano, non avremmo saputo come andare recuperarti,» conclude, scuotendo la testa.

Tony storce le labbra, in muto accordo con quei fatti prima di riprendere a parlare con una vena di irrequietezza più marcata:

«Non avevo un vero e proprio piano, ma sai che sono bravo a improvvisare; il punto è…» esita, scoccandogli un’occhiata incerta e incrociando il suo sguardo perplesso. «Non ero totalmente lucido,» conclude con reticenza. «Thanos ha scatenato… New York, e tutto il resto e… e poi il ragazzino non doveva essere lì, mi ha seguito e…»

«Ho capito,» lo interrompe Steve, intuendo dove stia andando a parare, e in verità non vuole che approfondisca adesso degli argomenti su cui ha sempre mantenuto il massimo riserbo.

Tony gli rivolge uno sguardo intenso, forse grato per avergli evitato di spiegarsi.

«Ci siamo arrangiati; intendo io, Strange e Pe– Spider-Man,» dice in fretta, quasi brusco. «Abbiamo avuto un… breve contenzioso con quei Guardiani Galattici, o come diavolo si fanno chiamare, ma abbiamo… concluso che un sei contro uno poteva risolversi a nostro favore,» dice ancora, deglutendo e continuando a serrare la mascella in un tic nervoso.

Steve ascolta attento, e percepisce un qualcosa di torbido in quelle parole, un altro di quei non detti che detesta, ma gli dà modo di concludere.

«All’inizio sembravamo in vantaggio… siamo quasi riusciti a togliergli quel dannato Guanto, ed è intervenuta anche la cyborg. Eravamo a tanto così,» sbotta, con un cenno frustrato della mano. «Poi Quill ha dato di matto e ha fatto di testa sua e… e non siamo stati in grado di reagire,» mormora, e si indica quasi distrattamente il fianco ferito a mo’ di spiegazione. «Thanos ha preso la Gemma ed è sparito. Poi… poi è successo.»

Tony a quel punto tace, con le mani strette tra loro in una morsa rigida. Steve lo osserva a lungo e, come sempre in tutti quegli anni, non gli riesce di leggerlo in modo univoco. Il suo è nervosismo dovuto allo stress di rievocare quei ricordi, o gli sta nascondendo qualcosa? La sua vaghezza è stata involontaria, dettata dal dolore, o studiata, mossa da altre motivazioni?

«Stark,» lo richiama infine, con una punta d’asprezza, consapevole di stare per riaprire le porte dell'inferno. «Cosa non mi stai dicendo?»

Lui trasalisce , ma non dà cenno di volersi difendere da quell’insinuazione, e nel suo sguardo legge ora solo una profonda incertezza.

«Non so se dovrei dirtelo,» confessa infine, improvvisamente agitato. «E no, non è per motivi personali, non è per… per la Siberia, è solo che non… non so se posso dirtelo senza mandare tutto a puttane. E con tutto intendo tutto,» dice, a raffica, con lo sguardo che guizza qua e là in cerca di un appiglio.

Steve continua a fissarlo, preso in contropiede. Non ricorda l’ultima volta che l’ha visto così agitato. Tony è il tipo di uomo che sa sempre cosa fare, e, anche quando non è così, si sforza di dare a tutti i costi quell’impressione. Adesso lo vede passarsi una mano sul volto distrutto, come a riordinare i pensieri, e riprende a parlare prima che Steve possa interpellarlo ancora:

«Io non dovrei essere qui,» sbotta, con un brusco cenno della mano.

«L’hai già detto, ma non capisco cosa c'entri con…» comincia Steve, solo per essere interrotto:

«Dovrei essere morto,» ribadisce Tony, con una luce sconvolta negli occhi.

«Senti, anch’io mi sento in colpa, ma essere morti tentando di fermarlo non avrebbe…»

«Sì, invece!» lo tronca Tony, alterandosi. «Thanos stava per uccidermi e lo avrebbe fatto, ma Strange gliel’ha impedito e…»

«Non conosco Strange, ma siete alleati, quindi…»

«… gli ha dato la Gemma del Tempo per la mia vita!» conclude in un sol fiato Tony, abbassando di colpo la voce troppo alta e riducendola a un grido muto.

Steve non può evitare ai suoi occhi di sbarrarsi, e rimane stolidamente a bocca semiaperta, con un misto di incredulità e indignazione che inizia a ribollirgli nel cuore.

«Cosa?»

Tony sembra farsi più piccolo sotto il peso di quella domanda stupefatta, e i suoi gesti sono ancora frenetici, scossi da un panico che riesce a malapena a tenere sotto controllo.

«Esatto: cosa?» ripete, di nuovo a un volume normale anche se con voce sottile, agitandosi sul suo sgabello come se volesse alzarsi in piedi di scatto per scaricare quell’irrequietezza nervosa. «Non ha senso, non ha alcun cazzo di senso, eppure è ciò che è successo.»

«Non… non hai detto che Strange era il custode… che avrebbe sacrificato la sua vita e la vostra per proteggere la…»

«Appunto. Ci ho pensato per tutto questo tempo; mi sono fatto una lunga seduta di meditazione interstellare per capirci qualcosa, quando non ero troppo impegnato a disperarmi o morire di fame o conservare ossigeno,» lo interrompe Tony, parlando a ruota libera nel chiaro tentativo di calmarsi e di fare il punto della situazione.

«E cosa hai concluso?» lo incalza Steve, impedendogli di divagare e piantando un palmo sul bancone, in cerca a sua volta di un appoggio solido e reale.

Sente un miscuglio di speranza e disperazione più nera che gli attraversa come un tornado la testa, impedendogli di scegliere con chiarezza come reagire a ciò che sta sentendo.

«Strange ha… ha visto il futuro, o meglio i futuri, prima che affrontassimo quel bastardo,» dichiara Tony, scandendo quell’affermazione con gesti decisi delle mani. «Per vedere in quanti modi avremmo potuto vincere.»

Steve sente un groppo gelido che gli si incastra in gola, quando ricollega in un lampo incredulo quelle parole con quelle che gli ha sentito rivolgere a Rhodey poco fa e che credeva essere sarcastiche. Tony sembra leggerglielo in faccia, perché annuisce gravemente.

«È quello che pensi,» gli conferma, stringendo le labbra.

«Una?» chiede Steve, facendo a malapena caso a quanto suoni strozzata quell’unica parola, che sembra comunque rimbombare come i tuoni di poco fa. «Una su… quanti milioni erano?» scuote la testa, rifiutandosi di crederci, ma Tony annuisce di nuovo.

«Una su 14.000.605. E in quell’unica possibilità…» alza le mani in aria, in un’espressione d’impotenza, «… io ero vivo, evidentemente,» esala, e non c’è alcun sollievo in quell’affermazione, solo il peso di una condanna crudele che incombe su di lui. «Dopo avermi salvato e prima… prima che tutti sparissero…» si ferma, ingoiando un respiro tremante. «… ha detto che “era l’unico modo”,» conclude scuotendo la testa, a voler negare quello stesso fatto.

Steve vorrebbe credere che quei giorni passati nello spazio lo abbiano portato alla follia, che tutto questo non sia che il parto allucinato di una mente spezzata, ma gli occhi di Tony sono limpidi, sotto la confusione che vi si rimescola. E lui non ha mai creduto alla magia: è uno scettico, uno che ha sempre cercato di creare miracoli con la scienza, e adesso ripete quelle parole con la stessa convinzione con cui ripeterebbe un teorema matematico. Steve si sente togliere la terra sotto i piedi e avverte un senso di vuoto alla bocca dello stomaco, che identifica come paura.

Una possibilità. Una sola chance di riportare in dietro tutti: mezzo universo, mezza Terra, i loro compagni, i propri cari, Bucky… sente il cervello sul punto di collassare, schiacciato da pareti roventi e invisibili. La ferita inesistente gli invia una fitta alla tempia.

«Dobbiamo dirlo agli altri,» stabilisce quasi in trance, muovendosi di riflesso sul proprio sgabello.

Tony la interpreta come una volontà immediata e gli afferra di scatto il polso, a trattenerlo lì, per poi lasciarlo come se si fosse scottato. Steve lo fissa stupefatto da quel gesto repentino, e conclude che con tutta probabilità Tony è sull’orlo di un attacco di panico.

«No,» scandisce infatti l'altro, e nell’assoluta fermezza di quella parola vi è una nota quasi implorante. «No, no, no, quella è l’unica cosa che non dobbiamo fare…»

«O magari dobbiamo farla, perché è quello che deve accadere.»

«E come fai a dirlo con certezza? Noi non possiamo vedere il futuro.»

«Strange però avrà messo in conto il fatto che tu l’avresti detto a qualcuno, quindi…»

«Non lo sappiamo!» sbotta Tony, e adesso suona davvero disperato. «Forse ho già rovinato tutto. Forse abbiamo già perso perché ho sbagliato qualcosa! Perché ho dormito un'ora in più o perché ho bevuto un caffè o perché ho detto una parola di troppo o una di meno o...»

«Tony, adesso calmati!
» sbotta Steve, parzialmente consapevole che urlargli addosso non è un buon modo per ottenere quel risultato.

Lui si interrompe di colpo, scosso da un lieve brivido, e serra le labbra fino a sbiancarle, col corpo rigido come ferro sul punto di spezzarsi. Steve approfitta di quella pausa per riprendere il controllo della discussione, sperando che l'altro faccia lo stesso:


«Nascondere tutto questo agli altri come ci aiuterebbe?» chiede, cercando di suonare ragionevole.

Tony a quel punto sembra sgonfiarsi e quasi si affloscia sullo sgabello, scuotendo appena la testa e con una mano sul petto all’altezza del cuore come a placarne i battiti. Inspira profondamente, a occhi semichiusi, e Steve ritiene opportuno non incalzarlo adesso per non mandarlo di nuovo in fibrillazione.

«Pensavo solo…» riprende poi l’ingegnere, quasi in un sospiro. «Se è un futuro possibile, ho pensato che forse dovremmo agire tutti in modo inconsapevole… spontaneo,» ragiona, con più calma, una calma illusoria. «Anche su Titano… Strange non ha fermato Quill quando ha reagito d’istinto. E sapeva quello che sarebbe successo.»

C’è una nota rassicurante in quell’affermazione, e Steve non sa se vuole davvero crederci.

«Forse le cose dovevano andare così, e basta,» dice Tony, in un mormorio assorto.

«E potrebbe essere vero il contrario,» gli fa notare Steve, ora corrucciato. «Forse dobbiamo esserne consapevoli per agire nel modo giusto.»

«È un circolo vizioso,» sbotta Tony, con impeto rassegnato.

Probabilmente lo sapeva fin dal principio, senza per questo aver esternato subito quel pensiero fatidico, che pone ogni loro azione sull’orlo del baratro. Steve non sa se dirlo agli altri sia effettivamente la scelta giusta, o se non sarebbe semplicemente crudele porre tutti loro nella condizione di dubitare di ogni passo, respiro e parola pronunciata da quel momento in poi, appesi a un filo fragile e volubile che regge anche l’universo intero.

«Potresti aver ragione tu,» inizia Steve, facendo inarcare un sopracciglio a Tony. «Ma davvero non riesci a immaginare cosa succederebbe se gli altri dovessero scoprirlo da soli? O se fossimo costretti a rivelarlo più tardi?» chiede, rivolgendogli uno sguardo significativo.

Vede Tony irrigidirsi e ritrarsi in modo impercettibile, inclinando il busto verso il bancone, e sa che ha capito.

«Aspettiamo un momento meno… teso,» si pronuncia infine, portandosi una mano a tirarsi pizzetto. «Poi glielo diremo,» conclude fermo, ma vi è una richiesta di conferma implicita che fino a qualche ora fa non avrebbe mai lasciato trapelare.

«Sì, direi che non siamo in un assetto favorevole ad altre rivelazioni,» concorda Steve, cupamente.

Sprofonda nel silenzio, con un nuovo peso a premergli al centro sulle spalle, un peso che però è lieto che Tony abbia deciso di condividere.

«Tu, invece? Hai qualche altro segreto che ti porti appresso?» indaga Tony, scrutandolo a fondo, e sotto il velo di pungente sarcasmo si intuisce una domanda molto più semplice e interessata.

Steve si porta d’istinto una mano alla tempia, lì dove dovrebbe esserci un segno a testimoniare il colpo del Titano è dove c'è invece solo pelle intatta. Gli sembra di poter toccare quel dolore sottile che preme dall'interno come se dovesse eruttare da un momento all'altro, ma ogni volta che la pressione si fa insopportabile, svanisce poi di colpo, tornando ad essere un titillo appena percettibile, comunque abbastanza intenso da non poter essere del tutto ignorato.

«Thanos ha ridotto male anche me,» accenna alla propria tempia, consapevole che Tony non vedrà alcuna ferita a scalfirla. «Forse anch’io dovrei essere morto,» aggiunge, lasciandoselo sfuggire.

Tony aggrotta appena le sopracciglia, comprensibilmente perplesso.

«Stai bene?» chiede, stavolta esplicitamente.

«No, per niente,» sospira lui. «Tu?»

«Secondo te?» scrolla le spalle lui, come a liberarle da un fardello inamovibile. «E non vedo margine di miglioramento.»

Steve sbuffa abbattuto, ma si costringe a non lasciarsi sopraffare da quel sentimento.

«Io credo che adesso abbiamo almeno una base su cui lavorare,» afferma, con più determinazione di quanto senta realmente, e percepisce lo sguardo attento di Tony su di sé.

È come quando in guerra presentava un piano d’azione che rasentava quello di una missione sucida, esponendolo come se fosse la cosa più semplice del mondo, quella più logica e sensata. Riusciva a risollevare lo spirito di un intero squadrone di uomini esausti e prostrati dalla guerra, stanchi delle armi: ci riuscirà anche con un singolo uomo che, lo sa, dentro di sé ha ancora la volontà di non arrendersi e di non rimanere a guardare mentre il mondo crolla.

«Sappiamo che tutto questo doveva accadere, per vincere,» comincia, in tono fermo. «Che Strange sapeva cosa stesse facendo, e ha fiducia in quello che faremo noi; che tu dovevi essere vivo, e lo sei; e che se le cose stanno davvero così e c'è quell'unica possibilità, allora chi è scomparso potrebbe…»

«Non dirlo,» mormora Tony, di getto, quasi sofferente. «Non voglio false speranze. Lavoriamo su ciò che abbiamo. Cioè troppo poco, per i miei gusti,» commenta amaro, accantonando subito quel pensiero inespresso di Steve.

«Abbiamo una squadra,» tenta lui, inclinando un poco la testa.

Tony, prevedibilmente, fa un sospiro scettico.

«Già… quel che ne rimane,» commenta, passandosi una mano stanca sulla nuca.

Steve trattiene a sua volta un sospiro a quel disfattismo, ma non può evitare di ripensare a quei lunghi pomeriggi di riunioni in cui ogni affermazione dell’uno trovava una pronta replica da parte dell’altro, in un rimpallo infinito che però, alla fine, dava i suoi frutti.

«A quanto pare adesso sono io quello troppo ottimista, e tu quello troppo pessimista. Potrebbe comunque essere un’inversione di ruoli vincente...» butta lì, con studiata leggerezza.

«Si chiamano compromessi, Rogers, e sono quelli che tu detesti,» osserva pungente Tony, ma con un tocco d’ironia più smussato. «E, a proposito, giusto qualche ora fa è arrivata la tua padella,» aggiunge rapido, toccandosi nervosamente il naso.

Steve sente il solito cozzare contrastante d’emozioni dentro di sé al pensiero del suo scudo, abbandonato nel gelo due anni prima. Sa come la pensa Tony al riguardo1, e che dal suo punto di vista restituirglielo è una mossa obbligata dalla situazione in cui si trovano, ma non può fare a meno di pensare che, se non avesse tutta quell’importanza simbolica per entrambi – se non significasse pace – non l’avrebbe menzionato adesso. Né l’avrebbe mai riparato2.

«Bene,» si limita a dire. «Non so quanto ci aiuterà adesso, ma è…» esita, scrollando le spalle.

«Rassicurante?» completa Tony, in un modo indecifrabile, ma cogliendo nel segno.

«Più o meno,» annuisce Steve.

«Anch’io sarò più tranquillo quando avrò di nuovo un’armatura funzionante,» aggiunge lui, supportando la sua affermazione. «Ho fatto portare qui anche la tua tuta, i pezzi di ricambio per la Hulkbuster e qualche giocattolino per Barton, nel caso tornasse…» continua poi, e Steve è lieto di vedere come non si sia lasciato del tutto schiacciare dal disfattismo. «… oltre a qualche altra mia diavoleria e a un aggeggio che si è lasciato dietro Fury e che a detta dello SHIELD devo analizzare,» conclude, corrugando le sopracciglia3.

«Fury? E quando…» comincia d’istinto Steve, cercando di non pensare troppo alla scomparsa del loro Direttore.

«Due ore fa, Rogers, sotterra l’ascia di guerra,» lo placa Tony, alzando gli occhi al cielo. «Quando l’ho saputo c’era Nat con me4. Chiedi a lei, se vuoi,» conclude secco, liquidando la questione con un sottotono di sfida.

«Ci credo,» sospira Steve, chiedendosi se quella diatriba finirà mai o se dovranno lanciarsi frecciatine a vicenda per sempre. «E cosa sarebbe questo “aggeggio”?»

«Sembrerebbe un cercapersone,» alza le spalle Tony. «Nat sembra credere che dentro ci sia il manuale d’istruzioni in caso di fine del mondo, il che sarebbe molto utile e molto utopico… comunque è tutto nell’hangar, passo a recuperarlo domattina quando avrò più di due neuroni funzionanti,» conclude, con un cenno generico a indicare sotto di loro.

Steve annuisce in risposta, cogliendo subito l’andamento un po’ più vivace e saldo della sua voce, come se stesse lentamente rientrando nei ranghi, regolando il suo cervello sulla situazione attuale e non sul passato, o peggio, sul futuro.

«Quindi? Hai un piano di riserva?» gli chiede, cercando di mostrarsi altrettanto spigliato, come se il mondo non fosse davvero finito.

Come se fosse solo un’altra missione, una delle tante che hanno portato a termine vittoriosi.

«Partiamo prima dalle basi… ovvero la tua amata squadra,» sospira Tony, notoriamente restio ad affrontare qualsiasi problema coinvolga più di tre persone. «Ci sono dei palesi problemi di comunicazione,» osserva poi, storcendo la bocca con fare ironico.

«Non l’avevo notato,» ribatte Steve con impassibile ironia, e ciò suscita un’espressione insolita sul volto di Tony, un misto tra un sorriso e uno sbuffo esasperato.

«Sì, in effetti di solito si nota di più quando Bruce è incazzato,» sta al gioco, pur con una vena di serietà. «Lui e Thor si sono quasi uccisi a vicenda, a quanto pare… me l’ha detto stamattina in laboratorio,» aggiunge, scrutando la sua reazione.

«Lo sospettavo; l’abbiamo recuperato noi nel bel mezzo della giungla,» scuote la testa Steve, chiedendosi se finalmente otterrà lumi sulla faccenda. «Sei riuscito a capire perché?»

«A grandi linee…» comincia Tony, inclinando la testa dubbioso. «Thanos ha sterminato gli asgardiani e ucciso Loki davanti a Thor. Bruce, cioè Hulk, non è riuscito a fermarlo, e per qualche motivo solo lui è stato trasportato sulla Terra da Hemdell, Hamdull…»

«Heimdall?» suggerisce Steve, assottigliando gli occhi.

«Il tizio del ponte arcobaleno. Morto anche lui,» Tony scuote stancamente la testa, come se non avesse neanche più la forza di mostrarsi dispiaciuto per l’ennesima perdita. «Thor ha pensato fosse ingiusto… uno scambio iniquo, così l’ha definito Bruce, cioè Thor, mentre litigava con Bruce,» alza le spalle Tony. «E a detta di Nat…»

Steve sospira in modo brusco, interrompendolo.

«C’è qualcuno che parla direttamente, qua dentro?»

«A parte noi? Non credo, e tutto questo si sta trasformando in una versione da incubo del telefono senza fili,» concorda Tony, colto dalla medesima esasperazione.

«Abbiamo urgente bisogno di una riunione. Fisica e metaforica,» conclude Steve, incrociando le braccia come a suggellare quell’affermazione.

«Sì, suppongo che dopo la terapia di coppia sia il momento di quella di gruppo…» concorda Tony, in uno sprazzo d’ironia che fa inclinare appena le labbra a Steve. «Ma magari non alle tre e mezza di notte, mh?» suggerisce poi, scoccando un’occhiata obliqua all’orologio che segna quell’orario indecente.

Steve si trova costretto a cedergli il punto, per poi sentirsi calare addosso un velo di stanchezza, pesante come non lo sentiva da tempo.

«Domattina?» propone quindi, attendendo conferma da parte di Tony.

«Non ho impegni,» ribatte lui, scostandosi poi dal bancone e stiracchiandosi con una smorfia un po’ sofferta.

Steve scivola a sua volta giù dallo sgabello, indolenzito e con l’unico desiderio di sfruttare quelle poche ore di sonno in vista di una giornata che si preannuncia campale. Non è certo di come congedarsi da Tony e orbita attorno ai loro posti, senza accennare ad allontanarsi. Si decide infine ad avviarsi verso la porta della stanza, risolvendosi a un neutrale cenno col capo a mo’ di saluto, ma la voce di Tony lo blocca:

«Steve?»

Lui quasi inchioda sul posto nel sentirsi chiamare per nome, e non per cognome o con qualche assurdo nomignolo, e si volta a guardarlo. Lui ricambia con insolita titubanza, spostando il peso da un piede all’altro con i pollici nelle tasche. Esita ancora qualche istante, per poi fare mezzo passo in avanti e offrirgli la destra, in un movimento quasi precipitoso, come a impedirsi di frenarlo. Steve la fissa incredulo, chiedendosi se non sia uno scherzo, o se è semplicemente lui ad essere troppo stanco e vittima di allucinazioni.

«Chiamalo un ramoscello d’ulivo temporaneo e soggetto a variazioni,» precisa Tony, alzando appena le spalle.

Steve esita a sua volta, ma quando gli stringe la mano è con una presa salda, che Tony sostiene con altrettanta fermezza5.

«Me lo farò bastare,» commenta, senza alcun astio e accennando un sorriso che però Tony non sembra ancora intenzionato a ricambiare, limitandosi a tirare appena le labbra di lato prima di ritrarre la mano.

«Uh, ok,» borbotta titubante, spostando il peso sui talloni e tirando appena su col naso con fare imbarazzato. «Basta smancerie: dobbiamo salvare il mondo, l’universo e tutto il teatrino e non posso farlo con tre ore di sonno totali in una settimana,» conclude sbrigativo, incassando la testa nelle spalle e avviandosi verso la porta con il solito fare disincantato.

Steve gli si accoda, adeguandosi al suo passo un po’ rallentato, e ha anche lui tutte le intenzioni di sfruttare quella ritrovata e relativa tranquillità per recuperare un po’ di sonno perso. Forse per una volta sarà anche libero da incubi.

Arrivano al piano degli alloggi, con Tony che non ha neanche preso in considerazione l’idea di usare l’ascensore e si sforza di camuffare il fiatone, e Steve alza tra sé gli occhi al cielo di fronte al suo solito, cocciuto orgoglio, che però in qualche modo è lieto di rivedere. Prende nota di come, a metà corridoio, Tony sfiori fugacemente la tasca anteriore dei jeans, come ad assicurarsi che il foglio col disegno sia ancora lì. Steve spera che serva davvero a qualcosa, che gli sia in qualche modo d’aiuto nel lenire le ferite, alcune delle quali inflitte da lui stesso. Sa che, nonostante tutto, ci sono ancora delle questioni in sospeso tra loro. E forse ci saranno sempre: è inevitabile, ma adesso sa che si impegneranno entrambi a vederle come semplici nuvole all’orizzonte, ora più vicine, ora più lontane, ma troppo minute per essere foriere di maltempo. Ripensa alle parole di Nataša, e si chiede cosa avrebbe da dire sul loro confronto, se direbbe ancora che Tony ha paura di lui e che lui non si fida di Tony.
Ma quella stretta di mano gli sembra una risposta sufficiente, almeno per ora.

Si fermano davanti alla porta di Tony, a un corridoio di distanza dalla sua.

«Mi occupo io di avvisare gli altri per domani,» dice Steve, sapendo quanto l’altro detesti farsi carico di annunci e avvisi alla squadra, e lo vede annuire di rimando, aprendo poi la porta.

«Bene. Però aspettami per l’entrata in scena,» aggiunge, alzando brevemente le sopracciglia con fare significativo. «Potrei offendermi davvero, se mi rubassi il palcoscenico.»

«Allora vai a darti una sistemata: non vorrai sfigurare,» ribatte Steve, ironico ma non troppo.

Tony accetta il commento, probabilmente consapevole del suo aspetto disfatto e provato, e si accinge ad entrare mentre Steve già si avvia oltre con un rapido cenno di saluto. Coglie un movimento da parte di Tony e lo vede lanciargli un’occhiata apparentemente insoddisfatta da sopra la spalla. Poi, con sua sorpresa, un sorrisetto ironico va ad inclinargli appena le labbra.

«E tu tagliati quella barba. Ti invecchia di cent’anni,» gli dice dietro, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Steve alza gli occhi al cielo, ma non trattiene uno sbuffo divertito.

 
***
 

Il cielo wakandiano è terso, il sole ancora basso filtra dalle vetrate scaldandogli le spalle, e Tony è in ritardo come da manuale. Steve incrocia le braccia e si appoggia al muro col capo reclinato in avanti, rimpiangendo i venti minuti in più di sonno che sta perdendo impalato lì.

«Finalmente vedo di nuovo il volto pulito dell’America,» gli arriva infine la voce dell’ingegnere, dalla cima delle scale.

«Buongiorno anche a te, Stark,» ribatte pacato, sollevando il capo e passandosi di riflesso una mano sulle guance rasate di fresco6.

Tony lo raggiunge flemmatico, come se fosse perfettamente in orario, e lo affianca mentre si avviano già in direzione del laboratorio. Lo vede decisamente più riposato di ieri sera: si è sistemato pizzetto e capelli e, nonostante le occhiaie ancora ben visibili, ha un colorito più sano e una luce meno cupa negli occhi. Con sua sorpresa, ha rinunciato ai suoi soliti completi semi-formali, optando per una semplice maglia a maniche lunghe, sul colletto della quale ha appuntato un paio occhiali da sole. Quando nota quel particolare trattiene un sorrisetto, che Tony intercetta all’istante scoccando un’occhiata estremamente critica al suo classico outfit jeans-camicia a quadri, senza però commentare.

«Sono già tutti là?» chiede invece, con un pizzico d’irrequietezza.

«Lo spero, non ho voglia di andare a ripescare nessun altro nella giungla,» sospira Steve, chiamando l’ascensore per il laboratorio, e Tony incrocia impaziente le braccia, chiudendosi in un silenzio improvvisamente teso.

Salgono insieme, e Steve si acciglia nel cogliere quella nuova linea di tensione sul volto del compagno, senza riuscire del tutto a collocarla. Non perché non ne immagini il motivo, ma perché ce ne sono troppi.

«Tutto bene?» si decide a chiedere a metà discesa, sapendo in realtà quanto sia futile quella domanda, ma conscio che è solo un mezzo per dare a Tony l’opportunità di esprimersi, se vuole.

«Sì, sì,» risponde affrettato lui, stringendo di più le braccia al petto. «Pensavo, tutto qui,» aggiunge, aprendo uno spiraglio sottile.

Steve lo fissa interrogativo, invitandolo a proseguire. Tony scuote la testa, stringendo le labbra, ma non sembra un gesto di rifiuto, e infatti riprende a parlare non appena si ferma l’ascensore.

«Se non riusciremo a salvare la Terra, la vendicheremo,» proferisce, quasi recitando quelle parole, e Steve si tende, inclinando in avanti la testa. «È quello che ho detto a Loki, a New York, e mi frulla in testa da giorni,» ammette cupamente, per poi tacere mentre scendono dall’ascensore.

«Io puntavo a salvare l’universo,» ribatte Steve, ostentando tranquillità e suscitando un lieve sbuffo da parte sua.

«Sì, certo, anche a me piace puntare in alto, è solo che…» emette un verso esasperato e scuote la testa. «Non lo so. Sto diventando anch’io vecchio e ripetitivo, Cap. Forse finirò per andare in pensione prima di te,» lo dice senza dar peso a quelle parole, ma sembra più un desiderio rivolto a se stesso.

«Sai meglio di me che passeresti comunque la maggior parte del tempo a ficcare il naso dalle nostre parti sparando le tue perle di saggezza,» gli fa notare Steve, in tono altrettanto leggero.

«Probabile. Non mi dispiacerebbe,» concorda lui, quasi sovrappensiero, per poi serrare le labbra come se non avesse voluto dirlo ad alta voce.

«Te lo auguro,» replica d’istinto Steve, strappandogli un’occhiata guardinga oltre le palpebre socchiuse.

«Mh,» mugugna con fare sospettoso. «Cerca di comportarti bene, nonnetto: questa è la tua ultima occasione per guadagnarti un invito di nozze,» la sua voce traballa sull’ultima parola, ma Steve finge di non notarlo e si limita ad annuire, sostenendo la sua speranza che è anche la propria.


«Farò del mio meglio.»

Arrivano in vista del laboratorio e si fermano entrambi come a comando, trattenuti dalla medesima esitazione.

«È un po’ che non faccio un discorso d’incoraggiamento,» commenta Steve, con le mani nervose serrate sulla cintura.

«Vuoi il costume di scena, Trilli?» lo stuzzica Tony, e Steve trattiene l’impulso di dargli una spallata per soffocare il suo ritrovato sorrisetto sardonico.

«Non credo mi aiuterebbe molto,» sospira, senza esternare quanto poco si senta in grado di mostrarsi sicuro di sé quando ad ogni battito di ciglia intravede la cenere.

Sa che deve comunque raccogliere la propria determinazione, e tutta la forza che ancora sente in fondo al cuore, la stessa che tirava fuori sul campo di battaglia quando era certo che non sarebbe tornato a casa e doveva comunque rimanere in prima linea. Per gli altri, per coloro che doveva guidare e proteggere. Per Bucky, per Peggy, per i suoi compagni. L'ha già fatto e continuerà a farlo, come sempre.
Tony si schiarisce la gola, ma invece di incitarlo si limita a parlare senza guardarlo direttamente.

«A un certo punto, mentre ero nello spazio, ho pensato che si dovesse andare avanti,» esordisce, a sguardo basso. «Sai… lasciarsi tutto alle spalle, farsene una ragione e roba del genere.»

Steve si irrigidisce a quelle parole, e vede che anche la mascella di Tony è contratta.

«E lo pensi ancora?»

«Ho concluso che andare avanti non vuol dire per forza lasciarsi tutto alle spalle,» asserisce lui in tono sibillino, intento, e Steve si chiede se l’argomento non sia cambiato di nuovo a sua insaputa. «In questo caso non posso farmene una ragione, perché ho perso tutto. Abbiamo perso tutto. E adesso andare avanti vuol dire non lasciarsi nessuno indietro,» conclude, con una disinvoltura che non smorza il suo fare determinato, con gli occhi fissi su un obiettivo preciso.

Steve respira a fondo, gonfiandosi il petto di quella sicurezza.

«In realtà è quello che dicono anche molti veterani di guerra,» continua poi, in un discorso parallelo. «Che dopo l'ultima battaglia bisogna uscire dai ranghi, riporre le armi e lasciare i caduti nelle loro tombe, anche quando si torna a una casa vuota. Anche quando non si ha più una casa,» commenta, a voce bassa. «Alcuni ci riescono,» aggiunge senza alcuna inflessione, quasi distrattamente.

Cerca lo sguardo di Tony, rimanendo in attesa. Lo vede incupirsi, pieno delle stesse ombre che offuscano anche il proprio, e trova la risposta che cercava, la stessa che si è dato tempo fa e la prova che neanche lui si è mai arreso per davvero.

«Ma noi no,» gli conferma Tony, senza vacillare.

«Noi no,» ribadisce Steve, riportando lo sguardo di fronte a sé.

Entrano insieme nella sala comune, già occupata da tutti i loro compagni che smettono all’istante di parlare, rivolgendo gli sguardi perplessi verso di loro, ora fianco a fianco nell’ingresso.
Vedono i loro volti illuminarsi un poco, rischiarati dalle ombre cupe che li opprimevano. Thor alza la testa scrutandoli con occhi attenti, più sereni, Bruce si alza in piedi con sorpresa, Rhodey sembra fare un cenno d’assenso verso Tony e Nat intercetta gli occhi di Steve, con l’ombra di un sorriso vagamente soddisfatto.

Steve respira a fondo, abbracciando con lo sguardo la loro squadra.
Cerca brevemente gli occhi di Tony in un gesto d’intesa, e vi legge un guizzo di speranza, forse lo stesso che sente lui nel cuore e che si intravede fioco all’orizzonte.

«Vendicatori…»

«Uniti.»
 

 
 
I will hold on
I will hold on hope
But I will hold on
I will hold on hope
 
 
Fine
 

Note:

Riferimento a Speaking Terms e al loro primo confronto già citato varie volte nel corso della long.
Nella long Siberia, Tony ripara lo scudo di Steve dai graffi di T'Challa, spinto da motivi leggermente diversi da quelli che immagina Steve.
Ovviamente, dopo aver visto Capitan Marvel non potevo non fare un riferimento alla scena post-crediti, anche se probabilmente incoerente con quelli che saranno i fatti (considerando che Tony non è ancora tornato a quel punto).
Questo accenno si ricollega alla famosa one-shot compelmentare che spero di pubblicare a breve.
[Potenziale spoiler per chi non ha visto l'ultimo trailer] Ci tengo a sottolineare che la scena della stretta di mano è in cantiere da molto prima dell'ultimo trailer rilasciato.
6 Idem come sopra per la scena della barba.

NB. Come sempre, sono sparse qua e là citazioni dai vari film e trailer, come è evidente dal titolo stesso <3



Note Dell'Autrice:

Carissimi Lettori,
eccoci giunti alla fine di questa storia, giusto in tempo per Endgame (cosa non del tutto scontata, considerando i miei tempi di aggiornamento :')
Sono totalmente incapace di scrivere delle note coerenti quando finisco di scrivere una storia, ma sono realmente soddisfatta di questa nel suo complesso (anche se quest'ultimo capitolo lo definirei un po' meh in confronto agli altri). Forse li ho resi un po' troppo "amiconi" verso la fine... ma ribadisco che questo è il PoV Steve. E Tony avrà voce in capitolo in futuro, tanto per mettere in dubbio tutto ciò che è stato scritto. Il punto è che, a mio parere, certi conflitti non si risolvono mai del tutto. Ci si può mettere una pietra sopra di fronte a delle necessità più grandi, come in questo caso, ma finirà sempre per trapelare qualcosa dal passato, in particolare se si parla di personalità complesse come quelle di Steve e soprattutto di Tony.
Non dico che non arriveranno mai a una tregua o a una riappacificazione, ma non credo neanche che vi sarà mai un perdono totale; piuttosto, un'accettazione dei reciproci errori.

Comunque, gettarsi nella testa di Steve è stata una sfida che, da ostica, si è rivelata molto interessante e mi ha portato a scoprire nuovi lati del personaggio che prima snobbavo o non avevo affatto compreso, quindi direi che, almeno per me, è stata un'esperienza utile. 
Il mio cuore rimane con Tony sulle questioni degli Accordi e della Siberia, sia ben chiaro, ma ho perso il vizio di "blastare" il povero Steve ogni volta che mi capita sotto gli occhi :')
Chiudo lo sproloquio, che ho già esagerato.

Ringrazio infinitamente tutti, e dico proprio tutti coloro che hanno recensito, letto e/o aggiunto la storia alle seguite/ricordate preferite: sappiate che è anche grazie a voi se ho l'ho portata a termine <3 Un grazie particolare a _Atlas_, fedelissima che sopporta fin troppo i miei scleri (qui, altrove e ovunque) e mi aiuta coi Rhodey bizzosi; a T612, che si è sorbita (e si sorbisce) i miei piani diabolici in anteprima fornendomi informazioni utilissime; a shilyss, compagna di muffin e complotti; e a serica che ha letto e recensito tutti i capitoli sin dall'inizio <3 sarei felicissima se chi ha letto fin qui decidesse di lasciare adesso un commento, anche minuscolo, per farmi sapere se la storia è piaciuta o meno nel complesso :)

Detto questo, passo e chiudo (forse). Come forse avrete notato, la serie non è conclusa ;)
Tornerò probabilmente alla carica dopo Endgame, se i miei neuroni sopravvivranno allo shock :')
Buona Pasqua a tutti e se beccamo :P

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