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Autore: Mary P_Stark    22/04/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Efesto – 2 –

 

 

 

 

La barba nuovamente regimentata e un taglio di capelli molto più moderno – in stile George Clooney, gli avevano detto – Efesto si presentò in un enorme negozio di abbigliamento maschile assieme alla sua esaltata nipote e a un più pacato pronipotino.

Una commessa in livrea li accolse sull’entrata e, dopo aver chiesto loro lumi circa la loro venuta, li indirizzò subito verso un reparto di abiti causal e dalle tinte tenui.

Senza badare minimamente alla zoppia di Efesto, la donna gli mostrò maglioncini in cotone, camice a righe color cielo e pantaloni classici di lana secca.

Offrì poi il suo sapere anche nella scelta delle scarpe, dai mocassini in pelle ad alcuni modelli di sneakers finché, puntando lo sguardo sul bastone di Efesto, non lo mise in allarme.

Che infine fosse pronta a prenderlo in giro? Che si fosse prestata a essere gentile per tutto il tempo, per poi smascherarsi sul più bello?

Già pronto ad abbaiarle contro, Efesto dovette però fermarsi sul nascere quando la commessa, pensierosa, gli disse: “Quel bastone va sostituito. Ho giusto qualche modello in ebano che andrebbe benissimo. Ha qualche animale preferito, per caso? Per il pomello, sa. Noi ne abbiamo con la testa di levriero, di leone e di orso, ma si possono ordinare in qualsiasi forma, se preferisce.”

Poi, sorridendo divertita, aggiunse: “Mio nonno ne ha acquistato uno con la testa di una papera, e tutto perché è sempre stato un assiduo cacciatore di germani reali. Era eccitato come un bambino, quando gliel’ho fatto vedere.”

Artemide ghignò soddisfatta, lanciando un’occhiata a Efesto che avrebbe potuto essere letta come un ‘che ti dicevo?’, ma a cui il dio preferì non replicare.

Rivolta alla commessa, si limitò a dire: “Con il leone va bene.”

“Ottimo, ottimo. Per l’altezza, io le consiglierei un bastone un po’ più alto, rispetto a quello che utilizza ora. Così camminerà meglio, a mio parere, ma ne proveremo di diverse misure per esserne certi” asserì la donna, svolazzando poi via a passi veloci.

Non appena fu lontana, Artemide diede di gomito allo zio e bisbigliò: “Allooooora… è o non è stata un’idea grandiosa?”

Lui la fissò in cagnesco ma, prima ancora di poterla mandare al diavolo, Alekos lo bloccò con un gesto inaspettato.

Porgendogli un cappello stile Borsalino, disse: “Secondo me ti potrebbe stare bene, zio. Perché non lo provi?”

“Ah… grazie, ragazzo” mormorò lui, afferrandolo per poi schiacciarselo in testa.

Artemide, allora, sbuffò e disse: “Non così, zio. Fai piano. Ecco… mettilo così. Direi che va bene. Hai occhio, Alekos!”

“Lo zio ha gli occhi grigi, perciò ho pensato che potesse andare bene” sorrise Alekos, tutto contento, prima di sobbalzare quando udì il suo cellulare trillare nella tasca dello zainetto che portava sulle spalle.

Afferratolo in fretta, rispose e disse: “Ciao, mamma! Sì, va tutto bene. Sono in compagnia della zia e di zio Efesto. Ci è venuto a trovare!”

Il bambino assentì a delle evidenti domande da parte della madre, prima di aggiungere: “Abbiamo accompagnato lo zio in giro per San Josè, e ci stiamo divertendo un mondo. Dopo, mamma, posso chiedere allo zio di insegnarmi a fare qualcosa col ferro?”

Efesto sgranò gli occhi per la sorpresa, di fronte a quella richiesta, ma subito si preparò a sentire il diniego di Atena. Quale madre si sarebbe fidata ad affidargli il proprio figlio?

Quando, però, il ragazzino sorrise gaio e salutò sua madre, il dio si chiese cosa avesse detto Atena riguardo alla sua richiesta.

“Se non ti scoccia, zio, mi faresti vedere come si forgiano i metalli? Mamma dice che le tue armi sono grandiose, ma che forse non sono ancora abbastanza grande per tenere in mano i tuoi martelli. Però, ha detto che posso guardarti e imparare e, quando lo riterrai giusto, mi farai provare qualcosa.”

La divinità avvertì qualcosa di molto simile alle lacrime, nei suoi occhi e Artemide, dandogli una pacca sulla spalla, chiosò: “Solo perché tua madre è una vacca isterica, non è detto che tutte le donne lo siano. Ti pare?”

Alekos si esibì in un ghigno divertito e si tappò la bocca per trattenersi dal ridere sguaiato, mentre Efesto fissava senza parole la dea e Artemide borbottava subito dopo: “Guai a te se dici a tuo zio che ho detto delle brutte parole davanti a te. E’ chiaro, ragazzino?”

“Zio Felipe riderà troppo, quando glielo dirò” la irrise per contro Alekos, vedendola poi arrossire per diretta conseguenza.

Efesto si ritrovò a sua volta a sorridere divertito – cosa davvero inconsueta, per lui – e, indirizzando un’occhiata al pronipote, domandò: “E’ il fratello del tuo papà umano?”

“Sì, zio Felipe fa la guardia ai boschi e va molto d’accordo con zia Artemide. Ma non vuole che lei parli male, quando ci sono io nei paraggi” gli spiegò Alekos, sempre ridacchiando.

“Fa bene a dirlo” annuì Efesto.

Artemide fece per mandarli al diavolo, ma l’arrivo della commessa le impedì di prendersi la sua rivincita.

Tutta soddisfatta – e ignara delle ire della dea – la donna mostrò il bastone a Efesto e disse: “Lo provi. Sono sicura che le andrà bene. Ho occhio per le misure.”

Il dio dovette essere concorde con lei perché, non appena ebbe cambiato il proprio bastone con quello nuovo, avvertì un deciso cambiamento.

Inoltre, il pomello in argento si conformava bene con il suo palmo. Lo faceva sentire più sicuro.

La commessa assentì orgogliosa e chiosò: “Ora, direi che è perfetto.”

***

Perfetto. Nessuno aveva mai usato quella parola, rivolta a lui ma, quando infine uscì dal negozio con addosso alcuni dei suoi nuovi abiti – mentre il resto degli acquisti era ben impacchettato dentro ad altre tre borse – Efesto si sentì bene per la prima volta da millenni.

Che la donna lo avesse fatto perché pagata, o perché ci credesse veramente, alla divinità non importava.

Ora si sentiva giusto nella sua pelle, e non aveva più paura dei commenti della gente.

Aveva i capelli in ordine, la barba irsuta era sparita e sostituita da una più leggera e ordinata, mentre i suoi abiti cenciosi erano stati sostituiti da una camicia azzurra a righe bianche e pantaloni grigio ghiaccio su mocassini neri.

Il bastone lo accompagnava a ogni passo senza costringere la sua schiena a piegarsi in maniera innaturale e, invece di puzzare di ferro e fuoco, odorava di spezie e di pulito.

Un vero cambiamento, per lui.

Se solo non si fosse intestardito con l’infischiarsene di se stesso per tutto questo tempo, forse avrebbe vissuto meglio, e per più tempo, con i propri difetti senza trovarli inaccettabili.

Non sarebbe mai stato un Adone, lo sapeva, ma essere ordinato e pulito era un bel passo avanti. Ora, nessuno avrebbe più potuto sbeffeggiarlo.

Nel salire quindi in auto con i nipoti, dichiarò: “Una volta a casa, controllerò se a Catania esiste qualcosa del genere.”

“Ben detto, zio. Si fottano quelli che vogliono prenderti per i fondelli. Sei un uomo piacente, se ti ci metti” sbottò Artemide, dandogli man forte.

Alekos rise del suo dire ed Efesto, ridendo con lui, asserì: “L’hai rifatto, Artemide. Parla bene.”

Per tutta risposta, Artemide li mandò al diavolo e accese la radio per non ascoltarli dopodiché, ingranata la marcia, si avviò lungo la strada per tornare a Pescadero Point.

Quando, però, le programmazioni vennero interrotte per avvisare la popolazione di un brutto incendio sulle colline vicino a San Francisco, si ammutolì e divenne pallida in viso.

A causa del vento forte e di un probabile incendio doloso, le zone di Alamo e di Mount Diablo erano invase dalle fiamme, perciò le persone erano invitate ad allontanarsi dalla zona per mettersi in salvo.

Sia Artemide che Alekos si azzittirono, a quella notizia ed Efesto, chiedendosene in motivi, domandò: “Perché la cosa vi preoccupa? Non è vicino alle vostre case.”

“No, ma…” tentennò Artemide, non sapendo quanto dire.

“Lo zio lavora nella zona di Alamo, perciò è sicuramente lì a gestire i soccorsi” disse per lei Alekos, pallido in viso non meno della zia.

Efesto si rabbuiò immediatamente e, rivolto uno sguardo al pronipote, asserì: “Vedrai che non gli succederà nulla.”

Volgendosi poi verso la nipote, disse: “Portami là. Voglio capire come si muove il fuoco.”

Artemide lanciò un’occhiata preoccupata allo specchietto retrovisore ma assentì e, nello svoltare l’auto, dichiarò: “Alekos, però, deve stare lontano dal fuoco. Se gli succede qualcosa, Atena mi taglia la gola.”

“Al ragazzo non succederà nulla, ma non voglio che diventi triste se dovesse succedere qualcosa a suo zio, e non credo che neppure Atena sarebbe tanto felice. O tu” sottolineò il dio, adombrandosi.

Artemide rimase in silenzio per diversi secondi, prima di dire: “Grazie.”

***

Il fronte delle fiamme era spaventoso, anche se erano ancora molto lontani da Alamo. La strada era stata chiusa, perciò era impossibile avventurarsi ulteriormente vicino, ma non era affatto un problema, per due divinità e per un mezzo dio.

Tenendo Artemide per mano, Alekos si teleportò assieme a loro e, quando raggiunsero un punto riparato dal vento, ma più vicino al fronte dell’incendio, domandò: “Come facciamo a trovare lo zio?!”

Artemide non gli rispose, gli occhi puntati sul monte in fiamme e la mente concentrata su ciò che stava vedendo e ascoltando.

Gli animali stavano fuggendo ogni dove, folli di paura e annebbiati dal fumo non meno degli umani. Era raggelante udire le loro voci disperate e non poter fare nulla per aiutarli.

Efesto, impegnato a sua volta a studiare quelle lingue scarlatte – che si sviluppavano verso il cielo come braccia di dannati in fuga dall’inferno – non era meno in ansia della nipote.

Da quel poco che poteva comprendere, non v’erano abbastanza uomini sul campo e, di quel passo, il fronte di fiamme avrebbe scollinato, invadendo l’intera vallata di Alamo, distruggendola.

Occorreva porvi rimedio, predisponendo dei corridoi frangi fiamma abbastanza larghi da bloccarne l’avanzata, ma non era certo che gli uomini potessero farli in tempo.

“Portami qui l’umano, ragazza. Devo parlare con lui” dichiarò Efesto, lapidario.

Artemide assentì e si teleportò dove percepiva più forte la presenza di Felipe, mentre Alekos rimaneva al fianco di Efesto, il viso preoccupato e teso.

“Sai come fermarlo, zio?” domandò il bambino.

“Farò quel che posso. Zeus ci ha vietato di interferire con le vite degli umani, e per ovvie ragioni, ma posso dare dei consigli, no?” asserì il dio, dandogli una goffa pacca sulle spalle.

Alekos sbatté le palpebre sugli occhi colmi di lacrime e, abbracciandolo con forza, mormorò: “Sono così contento che tu sia qui.”

Efesto si irrigidì per un istante, a quelle parole, non avendole mai udite da anima viva, se non dalla sua madre adottiva e, nello stringere debolmente a sé il bambino, sussurrò commosso: “Farò tutto il possibile, te lo assicuro.”

***

Riprendendo forma solida nei pressi di una delle jeep dei ranger del luogo, Artemide si guardò febbrilmente intorno, il cuore in gola e l’ansia che le galoppava feroce nelle vene.

Dea o meno, le fiamme l’avevano sempre spaventata e gli incendi boschivi erano, per lei, un autentico inferno a occhi aperti.

Il fatto di sapere che, tra quelle fiamme, poteva trovarsi una persona a cui teneva, poi, peggiorava di molto le cose perciò, quando infine intravide la figura di Felipe, il cuore quasi le scoppiò nel petto.

In quel momento impegnato a sistemare delle transenne perché le auto non risalissero la collina, appariva stanco e tirato, oltre che sporco di fuliggine, ma sano.

Artemide non aspettò un attimo di più e, di corsa, si avventurò verso di lui fino a raggiungerlo.

Lì, lo afferrò per un braccio e Felipe, sobbalzando per la sorpresa, sgranò gli occhi ed esalò: “Arty, ma… che diavolo ci fai qui?!”

“Sono venuta ad aiutare” disse soltanto lei, prima di trascinarlo con sé e aggiungere: “Porto rinforzi, ma ho bisogno che tu ti assenti un minuto con me.”

“Come vedi siamo piuttosto presi” replicò piccato Felipe, indicando il caos che li circondava. “Ti assicuro che abbiamo tutto sotto controllo, e abbiamo già visto molti animali scappare fuori dal bosco. Vedrai che staranno tutti bene.”

Imprecando, Artemide strinse la mano sul suo braccio e ringhiò: “Non devi ammansirmi, umano! Ma ascoltarmi! Non avete affatto la situazione sotto controllo, e devi parlare di questo con mio zio, prima che sia tardi. Lui è l’unico che può salvare la baracca, ma ha bisogno di parlare con te, perché non può intervenire direttamente!”

Felipe fissò attentamente la dea per capire quanto, delle parole di Artemide, fossero frutto del suo carattere naturalmente estroso e vanesio ma, nulla trovando se non paura allo stato puro, annuì in fretta e disse: “Dammi un minuto.”

Ciò detto, si allontanò per parlare con un collega alcuni attimi, attimi in cui Artemide picchiettò il piede a terra, sempre più in ansia. Se avesse atteso anche un solo minuto in più, sarebbe esplosa.

Non appena Felipe tornò, lo trascinò dietro un pick-up e disse lesta: “Non lasciare il mio fianco, mortale, non so che fine potresti fare.”

Felipe non fece neppure in tempo a replicare, che il suo corpo venne vaporizzato dal potere della dea e condotto altrove sotto forma di una nuvola di particelle.

Quando infine riprese forma umana, Felipe cadde a terra in ginocchio e tossì acidi, davvero impreparato per un simile – quanto violento – evento soprannaturale.

Efesto si rabbuiò, a quella vista e, mentre Alekos accorreva a soccorrere lo zio, il dio borbottò: “Per tutti i demoni, ragazza! Hai la stessa delicatezza di un Titano!”

Lei sbuffò, si terse il viso da una lacrima ribelle e sbottò: “Quando sono in ansia, non riesco a essere delicata.”

Sorpreso da quell’ammissione, così come dal motivo per cui la dea era nervosa – perché era palese che la motivazione fosse da ricercare nel giovane seduto a terra – Efesto si chetò e, rivolto allo zio di Alekos, domandò: “Va meglio, umano?”

Felipe si volse a mezzo, si passò una mano sul volto cinereo e gracchiò: “Se non muoio nei prossimi due minuti… sì.”

Efesto abbozzò un sorrisino, gli poggiò una mano sulla spalla e, rivolto ad Artemide, borbottò contrariato: “Un umano non accetta bene la smaterializzazione. Dovresti saperlo. L’hai quasi spezzato in due!”

Artemide, a sorpresa, sbatté le braccia contro i fianchi al pari di una bambina e, con occhi colmi di lacrime rabbiose, ringhiò: “Credi che non lo sappia?! Ma papà ci ha vietato di intervenire direttamente nella vita degli umani, e non potevo portarlo qui a dorso di…”

Tappandosi la bocca l’attimo seguente – memore di ciò che era accaduto alla festa del Cinco de Maio – Artemide imprecò tra i denti e terminò di dire con più calma: “La smaterializzazione era l’unica soluzione.”

“Che stupidaggine… neppure la possibilità di usare…” cominciò col dire Efesto, subito bloccato da Artemide e Alekos che, in coro, strillarono un potente NO.

Felipe li fissò straniti, finalmente in grado di muoversi senza apparire un ubriaco e, rimesso in piedi, li squadrò tutti e domandò: “Posso sapere, a questo punto, perché mi avete portato qui?”

“Il fronte dell’incendio si muove in un modo irregolare, e gli uomini che avete sul fianco della montagna, a ovest, verranno investiti in pieno. Dovete farli spostare, e predisporre dei canali frangi-fuoco un miglio a sud rispetto a dove si trovano ora” gli disse in fretta Efesto, vedendolo aggrottare la fronte per diretta conseguenza.

“I ragazzi ci sanno fare, e conoscono la montagna – e gli incendi – molto bene” replicò cauto Felipe.

“Non come mio zio, credimi” sottolineò Artemide, scura in volto. “Efesto conosce il fuoco come voi umani non potrete mai comprenderlo, neppure in altri diecimila anni.”

A quel nome, Felipe impallidì leggermente ma assentì e, passandosi una mano tra la chioma spettinata e affumicata dal fuoco, borbottò: “Oookay… il dio del fuoco. Gran cosa. Erano questi i rinforzi di cui parlavi, Arty?”

“Esatto. Ma non possiamo intervenire direttamente, perché mio padre ce l’ha impedito, dopo che Ares ha combinato un mezzo macello, con il Progetto Manhattan e tutto il resto…” gesticolò nervosa la dea, facendogli strabuzzare gli occhi per diretta conseguenza.

“No, guarda, preferisco non sapere fino a che punto siete invischiati nei nostri affari…” scosse le mani Felipe, sospirando esasperato. “… quindi, tu mi dici che il fronte dell’incendio si sposterà. In base a cosa?”

“Il vento, il tipo di piante sul monte, la conformazione del terreno e la pressione barometrica” gli citò lesto Efesto, guardandosi intorno nervosamente. “Non possiamo perdere altro tempo. Dobbiamo farli spostare. Ora!”

“D’accordo, d’accordo…” annuì più volte Felipe, rimuginando sul da farsi. “Non mi daranno mai retta, se glielo dirò per radio. Devo andare là per forza.”

Guardandosi poi intorno, individuò la Mustang di Artemide, guardò lei speranzoso e infine domandò: “So quanto ci tieni, ma…”

“Andiamo. Guido io. Tu mi dirai dove andare” dichiarò lapidaria lei, prima di guardare seria Alekos e aggiungere: “Rimani con lo zio. Lui si prenderà cura di te.”

Ciò detto, Artemide scrutò ombrosa la divinità del fuoco e disse: “Non appena arriveremo lassù, mi dirai come dovremo comportarci. Tieni il cellulare a portata di mano.”

Efesto assentì e, mentre Artemide e Felipe si allontanavano alla svelta per raggiungere il fronte dell’incendio, Alekos prese la mano del prozio e mormorò: “Non succederà nulla allo zio, vero?”

“Se Artemide si ricorda di non smaterializzarlo un’altra volta, sì” sospirò Efesto, tornando a scrutare l’incendio con espressione accigliata.

***

La risalita verso il monte fu più semplice del previsto, grazie alle strade deserte e ai blocchi già messi in atto dai colleghi di Felipe.

Artemide non incontrò nessuno, sul suo cammino, a parte un’auto di poliziotti che intimò loro l’alt prima di notare la divisa di Felipe.

Non impiegarono più di un minuto prima di spiegare loro la situazione e, complice un piccolo gioco di sguardi di Artemide ai due uomini, il tutto si svolse celermente e senza danni.

“Non ti chiedo neanche cosa hai fatto a quei due agenti… sembravano rintronati” ridacchiò a un certo punto Felipe, tenendosi alla portiera dell’auto quando Artemide imboccò una curva con particolare irruenza.

“Niente di speciale. Ho usato un po’ di fascino divino. Può fare questo effetto, sulle menti degli uomini” chiosò lei, accennando un sorrisino nervoso.

Felipe ne scrutò attentamente il profilo teso, le mani strette al volante fin quasi a sbiancarle, le labbra tese e secche e, turbato, le domandò: “Arty, che ti succede?”

Lei tentò di sorridere ma fu tutto vano e, quando si ritrovarono dinanzi a una pianta crollata a causa del fuoco, l’urlo che le uscì dalle labbra risuonò nell’abitacolo come una salva di cannoni.

Felipe allora le afferrò il braccio tremante, mentre l’auto si bloccava a pochi centimetri dal tronco caduto, e mormorò: “Hai paura del fuoco, Arty?”

La dea allora assentì, spense l’auto – la strada era sbarrata dalla pianta, perciò non avrebbero potuto andare da nessuna parte, a quel punto – e, guardandolo spaurita, sussurrò: “Gli incendi boschivi… mi terrorizzano.”

“Ma allora, perché sei venuta?” replicò lui, prima di sgranare gli occhi quando lei gli sorrise piena di candore e dolcezza.

“E te lo chiedi anche?” ironizzò la dea, allungandosi per dargli un bacio sulle labbra dischiuse.

Felipe la lasciò fare per alcuni istanti, assaporando la dolcezza di miele di quelle labbra divine – in tutti i sensi – prima di riprendere coscienza di sé e di ciò che stava accadendo.

Scostandola a malincuore, Felipe asserì: “Ne parleremo dopo, Arty, e approfonditamente, credimi. Ma ora vai. Torna da Alekos. Andrò io a parlare coi vigili del fuoco.”

“Non se ne parla” ringhiò Artemide, uscendo dall’auto mentre lui la imitava, leggermente irritato. “Non mi fido delle Moire. Con tutto il rispetto per Érebos, ma le sue figlie sono tre stronze, e non voglio lasciare il tuo fianco per nessun motivo al mondo.”

Felipe imprecò sottilmente, lanciò uno sguardo al cielo come se temesse di venire colpito da un meteorite da un momento all’altro e sottolineò cauto: “Tengo a precisare, a chiunque stia ascoltando, che sono opinioni sue, non mie.”

Nonostante tutto, Artemide scoppiò a ridere e, nell’oltrepassare l’auto, indicò a Felipe la pianta abbattuta e disse: “Sbrighiamoci. A piedi sarà una bella scarpinata.”

Lui, però, la afferrò alla vita, se la strinse contro per un attimo e, con foga, le diede un bacio impetuoso quanto rapido.

Soddisfatto, poi, la lasciò andare – vagamente stordita ma sorridente – e chiosò: “Ora volerò. Poco ma sicuro.”

Artemide rise, ma non si lasciò ingannare. Neppure Felipe era tranquillo come voleva far apparire e, anche per questo, la dea non tornò sulle sue decisioni e, assieme all’uomo, risalì l’erta per raggiungere i pompieri.

***

“Perché non chiama?” si domandò per la millesima volta Efesto, passeggiando claudicante avanti e indietro.

Alekos fissava spaventato il monte sempre più avvolto da fiamme e fumo finché, finalmente, il cellulare di Efesto squillò nella sua mano, spezzando il silenzio inquieto che li circondava.

Accettando subito la chiamata, Efesto urlò: “Ma dove diavolo sei finita?!”

“Ce la siamo fatta a piedi, nell’ultimo tratto! Ecco cosa!” strillò esausta la dea, mandandolo poi debitamente a quel paese.

Sbuffando, Efesto brontolò un insulto all’indirizzo della nipote prima di chiedere delucidazioni della situazione su quel lato della montagna e, quando seppe ogni cosa, ringhiò.

Come temeva, il fuoco si era dato da fare per sparigliare le carte ma, non potendo mettervi mano direttamente, avrebbe dovuto fare affidamento sulle forze degli umani, per fermare un potenziale disastro apocalittico.

“Usa il tuo fascino, ragazza, e spingi quei ragazzi a lasciar perdere quella parte di bosco. E’ ormai persa. Si devono concentrare a sud, perché il fuoco sterzerà da quella parte e arriverà a bruciare tutto il monte, se non intervengono prima. Di’ loro di usare quei grandi uccelli di metallo per bagnare il bosco a sud, così che le fiamme non attecchiscano, e permettano loro di creare i canali frangi-fuoco.”

“Okay. Papà si incazzerà di brutto, ma lo manderò direttamente da Atena. Con lei abbasserà la cresta” dichiarò rapida Artemide, chiudendo la comunicazione.

Efesto, a quel punto, scrutò Alekos e, dubbioso, gli domandò: “Credi che la mamma si arrabbierebbe, se la disturbassimo? Temo che Artemide, da sola, possa fare poco, e io devo prendermi cura di te, al momento.”

Alekos storse il naso, ma disse: “Visto che lo zio è in pericolo, non credo che dirà nulla. Lei gli vuole molto bene. Però, se vuoi andare anche tu, lassù, io prometto di andarmene a casa e aspettarvi lì.”

“E farti rimanere da solo, senza nessuno a cui chiedere lumi o aggiornamenti?” ritorse lui con gentilezza davvero rara. “No, Alekos. Non ti costringerei mai a farlo. Mi sorbirò la rabbia di Atena, se necessario, ma è meglio accettare quello, che lasciare che a tuo zio succeda qualcosa, ti pare?”

“Le dirò che te l’ho detto io” lo tranquillizzò Alekos, abbracciandolo.

Efesto accettò con gratitudine quell’abbraccio, trovandolo più confortante di mille parole e di tutti i doni del mondo e, nel chiudere gli occhi, ringraziò Teti per avergli consigliato di raggiungere Atena e Artemide in California.

Diversamente, non avrebbe mai conosciuto Alekos e il suo calore umano.

“Spiacente di disturbarti, Atena, ma c’è bisogno che tu ed Érebos rientriate. C’è un incendio nei pressi di Alamo, e il tuo parente è coinvolto.”

“Efesto… cosa sta succedendo? Felipe è in pericolo?” domandò ansiosa la voce di Atena nella sua mente.

“Artemide è con lui, e stanno tentando di convogliare i pompieri nel punto giusto, ma non so se riusciranno, visto che ci è negato intervenire direttamente.”

“Maledetto Ares e la volta che si è impicciato!” sbottò Atena, imprecando a gran voce. “Torneremo subito, ovviamente. Alekos è con te?”

“Sì, è qui con me. Ho preferito tenerlo qui perché fosse costantemente informato, piuttosto che solo a casa, e senza informazioni di prima mano su suo zio.”

“Hai fatto benissimo, grazie. Ti chiedo di prenderti cura ancora un po’ di lui, mentre io ed Érebos andiamo a dar loro man forte. Ti farò sapere.”

Ciò detto, interruppe il contatto ed Efesto, sorridendo a un ansioso Alekos, disse: “Non si è arrabbiata, tranquillo. Ora andranno a dare una mano.”

“Bene” mormorò sollevato Alekos. “Non voglio che nonna Anita perda anche Felipe.”

“Non succederà. Con quelle due discole di mezzo, non succederà mai” lo rassicurò lui, avvolgendogli le spalle con un braccio.

Sperò davvero di avere ragione perché, se fosse successo il peggio, niente avrebbe fermato Artemide dal commettere un deicidio, e forse neppure Atena.

 

 

 

 

N.d.A.: sottolineo che il titolo di “zio” e “nipote”, nel caso specifico, è del tutto onorario, visto che non ci sono reali parentele tra Efesto e Artemide, o tra Efesto e Alekos. Visto l’aspetto più ‘anziano’ di Efesto, mi è venuto spontaneo che, tra loro, vi fosse una sorta di rapporto tra zio/nipote, quando in realtà non hanno legami (almeno, seguendo il mito a cui mi sono appoggiata per scrivere questa storia).
  
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