Efesto
– 2
–
La barba nuovamente
regimentata e un taglio di capelli molto più moderno
– in stile George Clooney,
gli avevano detto –
Efesto si presentò in un enorme negozio di abbigliamento
maschile assieme alla
sua esaltata nipote e a un più pacato pronipotino.
Una commessa in
livrea li accolse sull’entrata e, dopo aver chiesto loro lumi
circa la loro
venuta, li indirizzò subito verso un reparto di abiti causal
e dalle tinte
tenui.
Senza badare
minimamente alla zoppia di Efesto, la donna gli mostrò
maglioncini in cotone,
camice a righe color cielo e pantaloni classici di lana secca.
Offrì poi il suo
sapere anche nella scelta delle scarpe, dai mocassini in pelle ad
alcuni
modelli di sneakers finché, puntando lo sguardo sul bastone
di Efesto, non lo
mise in allarme.
Che infine fosse
pronta a prenderlo in giro? Che si fosse prestata a essere gentile per
tutto il
tempo, per poi smascherarsi sul più bello?
Già pronto ad
abbaiarle contro, Efesto dovette però fermarsi sul nascere
quando la commessa,
pensierosa, gli disse: “Quel bastone va sostituito. Ho giusto
qualche modello
in ebano che andrebbe benissimo. Ha
qualche animale preferito, per caso? Per il pomello, sa. Noi ne abbiamo
con la
testa di levriero, di leone e di orso, ma si possono ordinare in
qualsiasi
forma, se preferisce.”
Poi, sorridendo
divertita, aggiunse: “Mio nonno ne ha acquistato uno con la
testa di una
papera, e tutto perché è sempre stato un assiduo
cacciatore di germani reali.
Era eccitato come un bambino, quando gliel’ho fatto
vedere.”
Artemide ghignò
soddisfatta, lanciando un’occhiata a Efesto che avrebbe
potuto essere letta
come un ‘che ti dicevo?’,
ma a cui il
dio preferì non replicare.
Rivolta alla
commessa, si limitò a dire: “Con il leone va
bene.”
“Ottimo, ottimo. Per
l’altezza, io le consiglierei un bastone un po’
più alto, rispetto a quello che
utilizza ora. Così camminerà meglio, a mio
parere, ma ne proveremo di diverse
misure per esserne certi” asserì la donna,
svolazzando poi via a passi veloci.
Non appena fu
lontana, Artemide diede di gomito allo zio e bisbigliò:
“Allooooora… è o non è
stata un’idea grandiosa?”
Lui la fissò in
cagnesco ma, prima ancora di poterla mandare al diavolo, Alekos lo
bloccò con
un gesto inaspettato.
Porgendogli un
cappello stile Borsalino, disse: “Secondo me ti potrebbe
stare bene, zio.
Perché non lo provi?”
“Ah… grazie,
ragazzo” mormorò lui, afferrandolo per poi
schiacciarselo in testa.
Artemide, allora,
sbuffò e disse: “Non così, zio. Fai
piano. Ecco… mettilo così. Direi che va
bene. Hai occhio, Alekos!”
“Lo zio ha gli occhi
grigi, perciò ho pensato che potesse andare bene”
sorrise Alekos, tutto
contento, prima di sobbalzare quando udì il suo cellulare
trillare nella tasca
dello zainetto che portava sulle spalle.
Afferratolo in
fretta, rispose e disse: “Ciao, mamma! Sì, va
tutto bene. Sono in compagnia
della zia e di zio Efesto. Ci è venuto a trovare!”
Il bambino assentì a
delle evidenti domande da parte della madre, prima di aggiungere:
“Abbiamo
accompagnato lo zio in giro per San Josè, e ci stiamo
divertendo un mondo.
Dopo, mamma, posso chiedere allo zio di insegnarmi a fare qualcosa col
ferro?”
Efesto sgranò gli
occhi per la sorpresa, di fronte a quella richiesta, ma subito si
preparò a
sentire il diniego di Atena. Quale madre si sarebbe fidata ad
affidargli il
proprio figlio?
Quando, però, il
ragazzino sorrise gaio e salutò sua madre, il dio si chiese
cosa avesse detto
Atena riguardo alla sua richiesta.
“Se non ti scoccia,
zio, mi faresti vedere come si forgiano i metalli? Mamma dice che le
tue armi
sono grandiose, ma che forse non sono ancora abbastanza grande per
tenere in
mano i tuoi martelli. Però, ha detto che posso guardarti e
imparare e, quando
lo riterrai giusto, mi farai provare qualcosa.”
La divinità
avvertì
qualcosa di molto simile alle lacrime, nei suoi occhi e Artemide,
dandogli una
pacca sulla spalla, chiosò: “Solo
perché tua madre è una vacca isterica, non
è
detto che tutte le donne lo siano. Ti pare?”
Alekos si esibì in
un ghigno divertito e si tappò la bocca per trattenersi dal
ridere sguaiato,
mentre Efesto fissava senza parole la dea e Artemide borbottava subito
dopo:
“Guai a te se dici a tuo zio che ho detto delle brutte parole
davanti a te. E’
chiaro, ragazzino?”
“Zio Felipe
riderà
troppo, quando glielo dirò” la irrise per contro
Alekos, vedendola poi
arrossire per diretta conseguenza.
Efesto si ritrovò a
sua volta a sorridere divertito – cosa davvero inconsueta,
per lui – e,
indirizzando un’occhiata al pronipote, domandò:
“E’ il fratello del tuo papà
umano?”
“Sì, zio
Felipe fa
la guardia ai boschi e va molto d’accordo con zia Artemide.
Ma non vuole che
lei parli male, quando ci sono io nei paraggi” gli
spiegò Alekos, sempre
ridacchiando.
“Fa bene a
dirlo”
annuì Efesto.
Artemide fece per
mandarli al diavolo, ma l’arrivo della commessa le
impedì di prendersi la sua
rivincita.
Tutta soddisfatta –
e ignara delle ire della dea – la donna mostrò il
bastone a Efesto e disse: “Lo
provi. Sono sicura che le andrà bene. Ho occhio per le
misure.”
Il dio dovette
essere concorde con lei perché, non appena ebbe cambiato il
proprio bastone con
quello nuovo, avvertì un deciso cambiamento.
Inoltre, il pomello
in argento si conformava bene con il suo palmo. Lo faceva sentire
più sicuro.
La commessa assentì
orgogliosa e chiosò: “Ora, direi che è
perfetto.”
***
Perfetto. Nessuno
aveva mai usato quella parola, rivolta a lui ma, quando infine
uscì dal negozio
con addosso alcuni dei suoi nuovi abiti – mentre il resto
degli acquisti era
ben impacchettato dentro ad altre tre borse – Efesto si
sentì bene per la prima
volta da millenni.
Che la donna lo
avesse fatto perché pagata, o perché ci credesse
veramente, alla divinità non
importava.
Ora si sentiva
giusto nella sua pelle, e non aveva più paura dei commenti
della gente.
Aveva i capelli in
ordine, la barba irsuta era sparita e sostituita da una più
leggera e ordinata,
mentre i suoi abiti cenciosi erano stati sostituiti da una camicia
azzurra a
righe bianche e pantaloni grigio ghiaccio su mocassini neri.
Il bastone lo
accompagnava a ogni passo senza costringere la sua schiena a piegarsi
in
maniera innaturale e, invece di puzzare di ferro e fuoco, odorava di
spezie e
di pulito.
Un vero cambiamento,
per lui.
Se solo non si fosse
intestardito con l’infischiarsene di se stesso per tutto
questo tempo, forse
avrebbe vissuto meglio, e per più tempo, con i propri
difetti senza trovarli
inaccettabili.
Non sarebbe mai
stato un Adone, lo sapeva, ma essere ordinato e pulito era un bel passo
avanti.
Ora, nessuno avrebbe più potuto sbeffeggiarlo.
Nel salire quindi in
auto con i nipoti, dichiarò: “Una volta a casa,
controllerò se a Catania esiste
qualcosa del genere.”
“Ben detto, zio. Si
fottano quelli che vogliono prenderti per i fondelli. Sei un uomo
piacente, se
ti ci metti” sbottò Artemide, dandogli man forte.
Alekos rise del suo
dire ed Efesto, ridendo con lui, asserì:
“L’hai rifatto, Artemide. Parla bene.”
Per tutta risposta,
Artemide li mandò al diavolo e accese la radio per non
ascoltarli dopodiché,
ingranata la marcia, si avviò lungo la strada per tornare a
Pescadero Point.
Quando, però, le
programmazioni vennero interrotte per avvisare la popolazione di un
brutto
incendio sulle colline vicino a San Francisco, si ammutolì e
divenne pallida in
viso.
A causa del vento
forte e di un probabile incendio doloso, le zone di Alamo e di Mount
Diablo
erano invase dalle fiamme, perciò le persone erano invitate
ad allontanarsi
dalla zona per mettersi in salvo.
Sia Artemide che
Alekos si azzittirono, a quella notizia ed Efesto, chiedendosene in
motivi,
domandò: “Perché la cosa vi preoccupa?
Non è vicino alle vostre case.”
“No,
ma…” tentennò
Artemide, non sapendo quanto dire.
“Lo zio lavora nella
zona di Alamo, perciò è sicuramente lì
a gestire i soccorsi” disse per lei
Alekos, pallido in viso non meno della zia.
Efesto si rabbuiò
immediatamente e, rivolto uno sguardo al pronipote, asserì:
“Vedrai che non gli
succederà nulla.”
Volgendosi poi verso
la nipote, disse: “Portami là. Voglio capire come
si muove il fuoco.”
Artemide lanciò
un’occhiata preoccupata allo specchietto retrovisore ma
assentì e, nello
svoltare l’auto, dichiarò: “Alekos,
però, deve stare lontano dal fuoco. Se gli
succede qualcosa, Atena mi taglia la gola.”
“Al ragazzo non
succederà nulla, ma non voglio che diventi triste se dovesse
succedere qualcosa
a suo zio, e non credo che neppure Atena sarebbe tanto felice. O
tu” sottolineò
il dio, adombrandosi.
Artemide rimase in
silenzio per diversi secondi, prima di dire:
“Grazie.”
***
Il fronte delle
fiamme era spaventoso, anche se erano ancora molto lontani da Alamo. La
strada
era stata chiusa, perciò era impossibile avventurarsi
ulteriormente vicino, ma
non era affatto un problema, per due divinità e per un mezzo
dio.
Tenendo Artemide per
mano, Alekos si teleportò assieme a loro e, quando
raggiunsero un punto
riparato dal vento, ma più vicino al fronte
dell’incendio, domandò: “Come
facciamo a trovare lo zio?!”
Artemide non gli
rispose, gli occhi puntati sul monte in fiamme e la mente concentrata
su ciò
che stava vedendo e ascoltando.
Gli animali stavano
fuggendo ogni dove, folli di paura e annebbiati dal fumo non meno degli
umani.
Era raggelante udire le loro voci disperate e non poter fare nulla per
aiutarli.
Efesto, impegnato a
sua volta a studiare quelle lingue scarlatte – che si
sviluppavano verso il
cielo come braccia di dannati in fuga dall’inferno
– non era meno in ansia
della nipote.
Da quel poco che
poteva comprendere, non v’erano abbastanza uomini sul campo
e, di quel passo,
il fronte di fiamme avrebbe scollinato, invadendo l’intera
vallata di Alamo,
distruggendola.
Occorreva porvi
rimedio, predisponendo dei corridoi frangi fiamma abbastanza larghi da
bloccarne l’avanzata, ma non era certo che gli uomini
potessero farli in tempo.
“Portami qui
l’umano, ragazza. Devo parlare con lui”
dichiarò Efesto, lapidario.
Artemide assentì e
si teleportò dove percepiva più forte la presenza
di Felipe, mentre Alekos
rimaneva al fianco di Efesto, il viso preoccupato e teso.
“Sai come fermarlo,
zio?” domandò il bambino.
“Farò quel che
posso. Zeus ci ha vietato di interferire con le vite degli umani, e per
ovvie
ragioni, ma posso dare dei consigli, no?” asserì
il dio, dandogli una goffa
pacca sulle spalle.
Alekos sbatté le
palpebre sugli occhi colmi di lacrime e, abbracciandolo con forza,
mormorò:
“Sono così contento che tu sia qui.”
Efesto si irrigidì
per un istante, a quelle parole, non avendole mai udite da anima viva,
se non
dalla sua madre adottiva e, nello stringere debolmente a sé
il bambino,
sussurrò commosso: “Farò tutto il
possibile, te lo assicuro.”
***
Riprendendo forma
solida nei pressi di una delle jeep dei ranger del luogo, Artemide si
guardò
febbrilmente intorno, il cuore in gola e l’ansia che le
galoppava feroce nelle
vene.
Dea o meno, le
fiamme l’avevano sempre spaventata e gli incendi boschivi
erano, per lei, un
autentico inferno a occhi aperti.
Il fatto di sapere
che, tra quelle fiamme, poteva trovarsi una persona a cui teneva, poi,
peggiorava di molto le cose perciò, quando infine intravide
la figura di
Felipe, il cuore quasi le scoppiò nel petto.
In quel momento
impegnato a sistemare delle transenne perché le auto non
risalissero la
collina, appariva stanco e tirato, oltre che sporco di fuliggine, ma
sano.
Artemide non aspettò
un attimo di più e, di corsa, si avventurò verso
di lui fino a raggiungerlo.
Lì, lo
afferrò per
un braccio e Felipe, sobbalzando per la sorpresa, sgranò gli
occhi ed esalò:
“Arty, ma… che diavolo ci fai qui?!”
“Sono venuta ad
aiutare” disse soltanto lei, prima di trascinarlo con
sé e aggiungere: “Porto
rinforzi, ma ho bisogno che tu ti assenti un minuto con me.”
“Come vedi siamo
piuttosto presi” replicò piccato Felipe, indicando
il caos che li circondava.
“Ti assicuro che abbiamo tutto sotto controllo, e abbiamo
già visto molti
animali scappare fuori dal bosco. Vedrai che staranno tutti
bene.”
Imprecando, Artemide
strinse la mano sul suo braccio e ringhiò: “Non
devi ammansirmi, umano! Ma
ascoltarmi! Non avete affatto la
situazione sotto controllo, e devi parlare di questo con mio zio, prima
che sia
tardi. Lui è l’unico che può salvare la
baracca, ma ha bisogno di parlare con
te, perché non può intervenire
direttamente!”
Felipe fissò
attentamente la dea per capire quanto, delle parole di Artemide,
fossero frutto
del suo carattere naturalmente estroso e vanesio ma, nulla trovando se
non
paura allo stato puro, annuì in fretta e disse:
“Dammi un minuto.”
Ciò detto, si
allontanò per parlare con un collega alcuni attimi, attimi
in cui Artemide
picchiettò il piede a terra, sempre più in ansia.
Se avesse atteso anche un
solo minuto in più, sarebbe esplosa.
Non appena Felipe
tornò, lo trascinò dietro un pick-up e disse
lesta: “Non lasciare il mio
fianco, mortale, non so che fine potresti fare.”
Felipe non fece
neppure in tempo a replicare, che il suo corpo venne vaporizzato dal
potere
della dea e condotto altrove sotto forma di una nuvola di particelle.
Quando infine
riprese forma umana, Felipe cadde a terra in ginocchio e
tossì acidi, davvero
impreparato per un simile – quanto violento –
evento soprannaturale.
Efesto si rabbuiò, a
quella vista e, mentre Alekos accorreva a soccorrere lo zio, il dio
borbottò:
“Per tutti i demoni, ragazza! Hai la stessa delicatezza di un
Titano!”
Lei sbuffò, si terse
il viso da una lacrima ribelle e sbottò: “Quando
sono in ansia, non riesco a
essere delicata.”
Sorpreso da
quell’ammissione, così come dal motivo per cui la
dea era nervosa – perché era
palese che la motivazione fosse da ricercare nel giovane seduto a terra
–
Efesto si chetò e, rivolto allo zio di Alekos,
domandò: “Va meglio, umano?”
Felipe si volse a
mezzo, si passò una mano sul volto cinereo e
gracchiò: “Se non muoio nei
prossimi due minuti… sì.”
Efesto abbozzò un
sorrisino, gli poggiò una mano sulla spalla e, rivolto ad
Artemide, borbottò
contrariato: “Un umano non accetta bene la
smaterializzazione. Dovresti
saperlo. L’hai quasi spezzato in due!”
Artemide, a
sorpresa, sbatté le braccia contro i fianchi al pari di una
bambina e, con
occhi colmi di lacrime rabbiose, ringhiò: “Credi
che non lo sappia?! Ma papà ci
ha vietato di intervenire direttamente nella vita degli umani, e non
potevo
portarlo qui a dorso di…”
Tappandosi la bocca
l’attimo seguente – memore di ciò che
era accaduto alla festa del Cinco de Maio
– Artemide imprecò tra i
denti e terminò di dire con più calma:
“La smaterializzazione era l’unica
soluzione.”
“Che
stupidaggine…
neppure la possibilità di usare…”
cominciò col dire Efesto, subito bloccato da
Artemide e Alekos che, in coro, strillarono un potente NO.
Felipe li fissò
straniti, finalmente in grado di muoversi senza apparire un ubriaco e,
rimesso
in piedi, li squadrò tutti e domandò:
“Posso sapere, a questo punto,
perché mi avete portato qui?”
“Il fronte
dell’incendio
si muove in un modo irregolare, e gli uomini che avete sul fianco della
montagna, a ovest, verranno investiti in pieno. Dovete farli spostare,
e
predisporre dei canali frangi-fuoco un miglio a sud rispetto a dove si
trovano
ora” gli disse in fretta Efesto, vedendolo aggrottare la
fronte per diretta
conseguenza.
“I ragazzi ci sanno
fare, e conoscono la montagna – e gli incendi –
molto bene” replicò cauto
Felipe.
“Non come mio zio,
credimi” sottolineò Artemide, scura in volto.
“Efesto conosce il fuoco come voi
umani non potrete mai comprenderlo, neppure in altri diecimila
anni.”
A quel nome, Felipe
impallidì leggermente ma assentì e, passandosi
una mano tra la chioma
spettinata e affumicata dal fuoco, borbottò:
“Oookay… il dio del fuoco. Gran
cosa. Erano questi i rinforzi di cui parlavi, Arty?”
“Esatto. Ma non
possiamo intervenire direttamente, perché mio padre ce
l’ha impedito, dopo che
Ares ha combinato un mezzo macello, con il Progetto Manhattan e tutto
il
resto…” gesticolò nervosa la dea,
facendogli strabuzzare gli occhi per diretta
conseguenza.
“No, guarda,
preferisco non sapere fino a che punto siete invischiati nei nostri affari…”
scosse le mani Felipe,
sospirando esasperato. “… quindi, tu mi dici che
il fronte dell’incendio si
sposterà. In base a cosa?”
“Il vento, il tipo
di piante sul monte, la conformazione del terreno e la pressione
barometrica”
gli citò lesto Efesto, guardandosi intorno nervosamente.
“Non possiamo perdere
altro tempo. Dobbiamo farli spostare. Ora!”
“D’accordo,
d’accordo…” annuì
più volte Felipe, rimuginando sul da farsi. “Non
mi daranno
mai retta, se glielo dirò per radio. Devo andare
là per forza.”
Guardandosi poi
intorno, individuò la Mustang di Artemide, guardò
lei speranzoso e infine domandò:
“So quanto ci tieni, ma…”
“Andiamo. Guido io.
Tu mi dirai dove andare” dichiarò lapidaria lei,
prima di guardare seria Alekos
e aggiungere: “Rimani con lo zio. Lui si prenderà
cura di te.”
Ciò detto, Artemide
scrutò ombrosa la divinità del fuoco e disse:
“Non appena arriveremo lassù, mi
dirai come dovremo comportarci. Tieni il cellulare a portata di
mano.”
Efesto assentì e,
mentre Artemide e Felipe si allontanavano alla svelta per raggiungere
il fronte
dell’incendio, Alekos prese la mano del prozio e
mormorò: “Non succederà nulla
allo zio, vero?”
“Se Artemide si
ricorda di non smaterializzarlo un’altra volta,
sì” sospirò Efesto, tornando a
scrutare l’incendio con espressione accigliata.
***
La risalita verso il
monte fu più semplice del previsto, grazie alle strade
deserte e ai blocchi già
messi in atto dai colleghi di Felipe.
Artemide non
incontrò nessuno, sul suo cammino, a parte un’auto
di poliziotti che intimò
loro l’alt prima di notare la divisa di Felipe.
Non impiegarono più
di un minuto prima di spiegare loro la situazione e, complice un
piccolo gioco
di sguardi di Artemide ai due uomini, il tutto si svolse celermente e
senza
danni.
“Non ti chiedo
neanche cosa hai fatto a quei due agenti… sembravano
rintronati” ridacchiò a un
certo punto Felipe, tenendosi alla portiera dell’auto quando
Artemide imboccò
una curva con particolare irruenza.
“Niente di speciale.
Ho usato un po’ di fascino divino. Può fare questo
effetto, sulle menti degli
uomini” chiosò lei, accennando un sorrisino
nervoso.
Felipe ne scrutò
attentamente il profilo teso, le mani strette al volante fin quasi a
sbiancarle, le labbra tese e secche e, turbato, le domandò:
“Arty, che ti
succede?”
Lei tentò di
sorridere ma fu tutto vano e, quando si ritrovarono dinanzi a una
pianta
crollata a causa del fuoco, l’urlo che le uscì
dalle labbra risuonò
nell’abitacolo come una salva di cannoni.
Felipe allora le
afferrò il braccio tremante, mentre l’auto si
bloccava a pochi centimetri dal
tronco caduto, e mormorò: “Hai paura del fuoco,
Arty?”
La dea allora
assentì, spense l’auto – la strada era
sbarrata dalla pianta, perciò non
avrebbero potuto andare da nessuna parte, a quel punto – e,
guardandolo
spaurita, sussurrò: “Gli incendi
boschivi… mi terrorizzano.”
“Ma allora,
perché
sei venuta?” replicò lui, prima di sgranare gli
occhi quando lei gli sorrise
piena di candore e dolcezza.
“E te lo chiedi
anche?” ironizzò la dea, allungandosi per dargli
un bacio sulle labbra
dischiuse.
Felipe la lasciò
fare per alcuni istanti, assaporando la dolcezza di miele di quelle
labbra
divine – in tutti i sensi – prima di riprendere
coscienza di sé e di ciò che
stava accadendo.
Scostandola a
malincuore, Felipe asserì: “Ne parleremo dopo,
Arty, e approfonditamente,
credimi. Ma ora vai. Torna da Alekos. Andrò io a parlare coi
vigili del fuoco.”
“Non se ne
parla”
ringhiò Artemide, uscendo dall’auto mentre lui la
imitava, leggermente
irritato. “Non mi fido delle Moire. Con tutto il rispetto per
Érebos, ma le sue
figlie sono tre stronze, e non voglio lasciare il tuo fianco per nessun
motivo
al mondo.”
Felipe imprecò
sottilmente, lanciò uno sguardo al cielo come se temesse di
venire colpito da
un meteorite da un momento all’altro e sottolineò
cauto: “Tengo a precisare, a
chiunque stia ascoltando, che sono opinioni
sue, non mie.”
Nonostante tutto,
Artemide scoppiò a ridere e, nell’oltrepassare
l’auto, indicò a Felipe la
pianta abbattuta e disse: “Sbrighiamoci. A piedi
sarà una bella scarpinata.”
Lui, però, la
afferrò alla vita, se la strinse contro per un attimo e, con
foga, le diede un
bacio impetuoso quanto rapido.
Soddisfatto, poi, la
lasciò andare – vagamente stordita ma sorridente
– e chiosò: “Ora volerò. Poco
ma sicuro.”
Artemide rise, ma
non si lasciò ingannare. Neppure Felipe era tranquillo come
voleva far apparire
e, anche per questo, la dea non tornò sulle sue decisioni e,
assieme all’uomo,
risalì l’erta per raggiungere i pompieri.
***
“Perché non
chiama?”
si domandò per la millesima volta Efesto, passeggiando
claudicante avanti e
indietro.
Alekos fissava
spaventato il monte sempre più avvolto da fiamme e fumo
finché, finalmente, il
cellulare di Efesto squillò nella sua mano, spezzando il
silenzio inquieto che
li circondava.
Accettando subito la
chiamata, Efesto urlò: “Ma dove diavolo sei
finita?!”
“Ce la siamo fatta a
piedi, nell’ultimo tratto! Ecco cosa!”
strillò esausta la dea, mandandolo poi
debitamente a quel paese.
Sbuffando, Efesto
brontolò un insulto all’indirizzo della nipote
prima di chiedere delucidazioni
della situazione su quel lato della montagna e, quando seppe ogni cosa,
ringhiò.
Come temeva, il
fuoco si era dato da fare per sparigliare le carte ma, non potendo
mettervi
mano direttamente, avrebbe dovuto fare affidamento sulle forze degli
umani, per
fermare un potenziale disastro apocalittico.
“Usa il tuo fascino,
ragazza, e spingi quei ragazzi a lasciar perdere quella parte di bosco.
E’
ormai persa. Si devono concentrare a sud, perché il fuoco
sterzerà da quella
parte e arriverà a bruciare tutto il monte, se non
intervengono prima. Di’ loro
di usare quei grandi uccelli di metallo per bagnare il bosco a sud,
così che le
fiamme non attecchiscano, e permettano loro di creare i canali
frangi-fuoco.”
“Okay. Papà si
incazzerà di brutto, ma lo manderò direttamente
da Atena. Con lei abbasserà la
cresta” dichiarò rapida Artemide, chiudendo la
comunicazione.
Efesto, a quel
punto, scrutò Alekos e, dubbioso, gli domandò:
“Credi che la mamma si
arrabbierebbe, se la disturbassimo? Temo che Artemide, da sola, possa
fare
poco, e io devo prendermi cura di te, al momento.”
Alekos storse il
naso, ma disse: “Visto che lo zio è in pericolo,
non credo che dirà nulla. Lei
gli vuole molto bene. Però, se vuoi andare anche tu,
lassù, io prometto di
andarmene a casa e aspettarvi lì.”
“E farti rimanere da
solo, senza nessuno a cui chiedere lumi o aggiornamenti?”
ritorse lui con
gentilezza davvero rara. “No, Alekos. Non ti costringerei mai
a farlo. Mi
sorbirò la rabbia di Atena, se necessario, ma è
meglio accettare quello, che
lasciare che a tuo zio succeda qualcosa, ti pare?”
“Le dirò che
te l’ho
detto io” lo tranquillizzò Alekos, abbracciandolo.
Efesto accettò con
gratitudine quell’abbraccio, trovandolo più
confortante di mille parole e di
tutti i doni del mondo e, nel chiudere gli occhi, ringraziò
Teti per avergli
consigliato di raggiungere Atena e Artemide in California.
Diversamente, non
avrebbe mai conosciuto Alekos e il suo calore umano.
“Spiacente
di disturbarti, Atena, ma c’è bisogno che
tu ed Érebos rientriate. C’è un
incendio nei pressi di Alamo, e il tuo parente
è coinvolto.”
“Efesto…
cosa sta succedendo? Felipe è in pericolo?” domandò ansiosa la voce
di Atena nella sua mente.
“Artemide
è con lui, e stanno tentando di convogliare
i pompieri nel punto giusto, ma non so se riusciranno, visto che ci
è negato
intervenire direttamente.”
“Maledetto
Ares e la volta che si è impicciato!” sbottò Atena, imprecando
a gran voce. “Torneremo subito,
ovviamente. Alekos è con
te?”
“Sì,
è qui con me. Ho preferito tenerlo qui perché
fosse costantemente informato, piuttosto che solo a casa, e senza
informazioni
di prima mano su suo zio.”
“Hai
fatto benissimo, grazie. Ti chiedo di prenderti
cura ancora un po’ di lui, mentre io ed Érebos
andiamo a dar loro man forte. Ti
farò sapere.”
Ciò detto,
interruppe il contatto ed Efesto, sorridendo a un ansioso Alekos,
disse: “Non
si è arrabbiata, tranquillo. Ora andranno a dare una
mano.”
“Bene”
mormorò
sollevato Alekos. “Non voglio che nonna Anita perda anche
Felipe.”
“Non
succederà. Con
quelle due discole di mezzo, non succederà mai” lo
rassicurò lui, avvolgendogli
le spalle con un braccio.
Sperò davvero di avere ragione perché, se fosse successo il peggio, niente avrebbe fermato Artemide dal commettere un deicidio, e forse neppure Atena.