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Autore: aladoni    22/04/2019    0 recensioni
Tre anni dopo la fine della loro esperienza liceale, Emma, Chiara, Giulio e Damiano decidono di organizzare una rimpatriata atipica per rivangare il passato. Le distanze - geografiche e sentimentali - sono solo il primo scoglio che affronteranno nel loro viaggio a Verona, dove la compagnia - inizialmente non calcolata - di Fabiano e Filippo renderanno il mix ancora più particolare. Una sfida soprattutto per Emma e Filippo, che anni prima intrapresero un cammino poco definito. Riusciranno a superare le difficoltà e le diffidenze, ad andare oltre?
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo III – L’ultima notte al mondo
 
 
 
 
 
Luglio 2015, Roma.
Sei più forte di ogni bugia e se la gente ferisce, è perché tu sei migliore e lo capisce (bene).
 
 
“Matteo! Non mi avevano detto i ragazzi che ora lavori qui!” esclama Emma, vedendo arrivare il giovane cameriere verso il loro tavolo. In una specie di anniversario, gli ex studenti della VD avevano deciso di rincontrarsi a un anno di distanza dalla maturità, per festeggiare forse il fatto di essere ancora tutti vivi, seppur in un senso molto teatrale: erano arrivati a non sopportarsi quasi più, dentro quelle quattro mura della classe al terzo piano. La verità è che aver allentato i rapporti aveva reso tutto indiscutibilmente più facile. L’idea di una cena, proposta da Riccardo, in memoria dei bei vecchi tempi, non era quindi sembrata una follia. Il ristorante sul lungo fiume romano era vicino alla scuola, stesso posto dove avevano anche celebrato la fine degli esami, l’anno prima, con tutti i professori. Emma poi, che stava iniziando a pensare alla possibilità di andarsene in Erasmus l’anno seguente, considerava questa cena come un’ottima opportunità per schedare tutti i suoi ex colleghi. Una pratica forse un po’ bambinesca, anche lei lo sapeva, ma le piaceva pensare di avere buon occhio per le amicizie – sicuramente meno per gli amori – e quindi voleva capire quali rami potare e quali, invece, salvare. Chiara, seduta di fronte a lei, ovviamente era da salvare. Forse anche Damiano, intento a salutare Matteo, il cameriere loro coetaneo nonché ex collega, ma di un’altra sezione. Alcuni dei loro compagni non si erano presentati, ma probabilmente perché avevano già portato a termine quella potatura che Emma ambiva a concludere, per evitare di fare gli stessi errori del passato. Giulio e Riccardo stavano scegliendo il vino, mentre Maria – taciturna ma dolce ex compagna di classe – cercava di contare quante Cacio e pepe andassero ordinate in questa ingombrante tavolata.
Era un po’ come tornare indietro nel tempo, alla serata di festeggiamenti post maturità, ma era anche diverso. Emma non riusciva a capirlo fino in fondo, ma le sembrava di vederli già tutti un po’ più maturi, sicuramente più estranei. Non ricordava, per esempio, che Riccardo – dopo aver lasciato Costanza, la ex migliore amica di Emma – avesse iniziato a frequentare Giulia, una ragazzina del IIID. O che Leonardo – imbecille di prim’ordine durante le lezioni di inglese – fosse in realtà così taciturno e elegante, nonché appassionato di Virginia Woolf. Di Filippo però sì che si ricordava, la giovane Emma. Vuoi perché parte del gruppo della classe con cui era più in contatto, vuoi per altre ragioni. Il ragazzo, come chiamato, si gira verso la sua direzione, sorride e le lancia il tappo della bottiglia d’acqua.  La ragazza gli fa una linguaccia e gli rilancia il cerchietto di plastica, per poi concentrarsi sul suo amico cameriere.
“Come sta andando?” chiede, dando le spalle alla tavolata per dare due baci a Matteo.
“Molto bene, molto bene. Sono contento. Mi piace stare qui. Quando non c’è troppa gente, poi, mi fanno anche dare una mano in cucina,” comincia il ragazzo, contento, “e mi fanno preparare qualche piatto!”
“Ma è fantastico! Sono molto contenta!” risponde la ragazza, abbracciando l’amico.
“E tu, come stai?” chiede lui, gentile.
“Al solito, in sessione d’esami. Accaldata!” dice Emma, sventolando il tovagliolo vicino al viso, in un gesto plateale. Matteo annuisce, poi lancia un’occhiata veloce dietro le spalle di lei, verso Filippo.
“E con lui?” chiede. Emma si volta, cercando di capire chi fosse quel lui.
“Chi?”
“Filippo. Tutto bene, sì?” continua Matteo, sempre con tono pacato. Emma sorride, confusa. Annuisce.
“Meno male. Lascialo perdere Ems, è un mio caro amico ma non fa proprio per te!”
“Matté,” inizia Emma, piano, “non capisco a cosa tu ti stia riferendo.”
“Di quello che è successo l’anno scorso tra voi.”
Emma si poggia contro lo schienale della sedia, braccia incrociate e fronte corrucciata.
“Come?”
Matteo ridacchia e scuote la testa. “Ok! Recepito il messaggio: ‘tra voi non è mai successo niente’” dice, mimando il gesto delle virgolette con le dita.
“No Matteo, tu non capisci”, continua Emma, stranita, “tra noi non è veramente mai successo niente.” Afferma.
Il ragazzo la guarda stupito, poi un fievole “Oh” gli sfugge dalle labbra.
“Devo averti confuso con un’altra Emma, sicuramente.”
“Matteo,” ringhia la ragazza, scaldandosi, “dimmi cosa sai e chi te l’ha detto.”
“Ma niente, davvero…”
“Matteo!”
Il ragazzo sposta il peso da un piede all’altro, tornando a guardare oltre le spalle di Emma, probabilmente in cerca di aiuto. Filippo se ne sta tranquillo seduto tra Giulia e Maria, chiacchierando con Riccardo dall’altro lato del tavolo.
“Io non so molto, mi è arrivata solo la voce…” inizia, ed Emma lo incalza, impaziente.
“Pare che, durante il vostro studio insieme, voi due abbiate fatto cose.”
“Quali cose?”
“Cose, Ems. Soprattutto tu. Non farmelo dire, lo sai cosa intendo.”
“Io gli avrei fatto un pompino?!”
Matteo geme, in difficoltà. Poi annuisce. Emma, mano alla bocca e cuore a mille, chiede con voce tremolante: “Da chi l’hai saputo, Matté?”
“Te l’ho detto…voci…”
“Da. Chi. L’hai. Saputo.”
“Me lo ha detto Possi del VA, a cui, a quanto pare, glielo aveva detto Merluzzi del VB.” Confessa, in difficoltà.
“Mi dispiace, Ems. Non lo sapevo.” termina, lasciando l’amica con le mani intrecciate, lo sguardo nel vuoto. Merluzzi era capitano della squadra del liceo scientifico, l’anno prima. Alcuni dei ragazzi di classe sua giocavano in quella squadra.
Emma osserva Filippo, entrambe le braccia poggiate sugli schienali delle due ex colleghe, il sorriso divertito di chi sta ascoltando una storia piacevole, tutto elegante in quella camicia celeste. E di nuovo, forse notando lo sguardo fisso su di sé, Filippo incontra lo sguardo di Emma.
La ragazza scuote la testa e gli indica il bagno, poi si avvia. Filippo, dopo qualche istante di confusione, si scusa e si alza da tavola, raggiungendo la mora dietro la porta del bagno.
In quella squadra liceale di pessimi giocatori di calcetto vi era anche Filippo.
 




 
Agosto 2018, Verona.
 
Avevano passato tutto il resto della serata in una piccola trattoria dietro l’Arena, provando piatti tipici e riempiendo i bicchieri con un – discutibile – vino della casa. L’atmosfera era cosi ilare e tranquilla che si erano trovati a spendere ore, seduti su quelle sedie, i gomiti poggiati sulla tovaglia a quadri, le guance arrossate per l’alcool e il tono di voce che si alzava, sempre di più, insieme alle risate sguaiate e alle battutine. Era stato tutto perfetto, dalla sincronia dei loro gusti alimentari, al piacere comune di condividere in maniera gioviale la tavola e il vino, persino i turni per andare a fumare sembravano concordati in anticipo. I sei ragazzi sembravano pezzi di un meccanismo più complesso, destinati a incastrarsi alla perfezione in ogni singola mossa, ogni singolo pensiero: Damiano e Chiara, dolci ma mai smielati; Giulio esilarante e brillante nel trascinare la conversazione senza mai far cadere il silenzio; Fabiano e Filippo, capaci di argomentare e dibattere senza mai portare la conversazione su temi spinosi; e Filippo ed Emma, seduti vicini, complici come forse non lo erano stati da anni. Nulla, durante quella cena, avrebbe potuto far pensare che, paradossalmente, quel gruppo non si ritrovasse nella stessa stanza per più di due ore da anni, per lo meno. Presi in coppie – come Chiara ed Emma, indivisibili – o in blocchi da tre, quattro o tutti e sei, ognuno dei ragazzi partecipava armoniosamente a quel quadretto, senza una nota di stonatura. Una volta pagato il conto poi, avevano deciso di andare a prendere un amaro in un bar della piazza principale, le risate che li accompagnavano durante il tragitto per le stradine vuote di Verona.
 
 
 
 


 
 
Luglio 2015, Roma.
 
“Piccola Emma, che c’è?” chiede Filippo, entrando sorridendo nel bagno del ristorante. La ragazza è poggiata ai lavandini, spalle allo specchio e sguardo fisso sulle punte delle scarpe. Una parte di lei si vergognava anche solo all’idea di dover confrontarlo con questa storia, e l’altra parte pregava fosse tutto un malinteso. Ma con Restilli nulla era mai veramente lasciato al caso, e lo avrebbe imparato, prima o poi. Alza lo sguardo e si avvicina al compagno di scuola.
“Cosa avresti detto tu a Merluzzi del VB?” chiede, tono calmo e sguardo fisso.
Filippo inarca le sopracciglia e ridacchia: “Ems, non ti seguo.”
“Sì che mi segui benissimo, invece. Come hai osato?” insiste, innervosendosi.
“Ma di cosa stai parlando?!” Ora anche la compostezza di Filippo si era macchiata di quell’atmosfera gelida che, realizza improvvisamente, l’aveva seguito dentro il bagno non appena vi aveva messo piede.
“L’anno scorso. Negli spogliatoi della scuola… cosa avresti detto?” chiede lei, facendo centro. Filippo strabuzza appena gli occhi. È un movimento involontario e infinitesimale, dato che il ragazzo recupera immediatamente il controllo della situazione: “Ems, stai esagerando… io non ho detto nulla, non so quale voce ti sia arrivata”.
“Neghi di aver raccontato ai tuoi amichetti di spogliatoio che io ti avrei fatto delle cose durante il nostro studio?”
“Non è forse così?” tenta di cambiare discorso lui, buttando la palla in un campo che decisamente sapeva gestire meglio: il sesso.
“Balle! Ma che cazzo dici?! Non abbiamo fatto nulla, tu ed io!” esclama Emma.
“Ma infatti, scherzavo, stai tranquilla,” inizia, alzando le mani in segno di resa.
“Lo so che non abbiamo fatto nulla…” aggiunge, dandole ragione.
“E allora perché Matteo Pucci è venuto da me chiedendomi come stesse andando tra noi?”
“Ma che ne so, probabilmente è geloso!” risponde il ragazzo, ora chiaramente alterato. Il perché Marco avesse sentito il bisogno di confrontare e, probabilmente, confortare Emma era una notizia nuova alle sue orecchie.
“Filippo! Tu hai detto ai tuoi compagni di squadra che ti ho fatto un pompino!” e la sgancia, Emma, la storia che aveva appena inclinato – nuovamente, e forse definitivamente – il loro rapporto. Filippo se ne accorge subito, che non sarebbe stato facile uscire da quella situazione da vincitore. Chiaramente non aveva previsto che la storia lasciasse le mura di quello spogliatoio maschile, anche se l’argomento era – chiaramente, di nuovo – un gustosissimo nuovo scoop. Specialmente considerati i soggetti implicati.
“Ma che esagerazione… non ho mai specificato nulla.” ammette.
“Ma perché non c’è mai stato nulla! Perché l’hai fatto?” chiede di nuovo lei.
“Non ho fatto nulla, Ems. I ragazzi hanno insistito che stavamo passando un sacco di pomeriggi insieme e lo sai come sono le chiacchiere da spogliatoio, diventano oscene con poco. Io non ho mai detto nulla.” conclude, cercando di passare per il buono della situazione. Emma, sconsolata, lo guarda con rimorso – forse verso di lui, sicuramente verso sé stessa – e chiede, con tono arreso: “Ma non hai mai neanche negato, dico bene?” Il ragazzo, di fronte a quest’ultima affermazione tace, colto in flagrante. Perché mai un ragazzo di diciassette anni dovrebbe negare di aver ricevuto un piacevole lavoretto di bocca dalla sua carina compagna di classe? All’epoca quella domanda non se l’era posta. Il silenzio di Filippo è la risposta che Emma stava aspettando. La ragazza annuisce e lo scansa, aprendo la porta del bagno. Con gli occhi lucidi e le guance rosse torna velocemente al tavolo, prende le sue cose e si incammina verso l’uscita, senza neanche salutare. Filippo esce dal bagno qualche istante dopo, sul viso la maschera di un sorriso raggiante. Torna a sedersi al tavolo, come se niente fosse. La sua cena sarebbe proseguita e Matteo si poteva scordare la mancia.
 
 
 




 
Agosto 2018, Verona.
 
“Speravo riuscissi dalla camera per prendere un bicchiere d’acqua.”
“Addirittura! Mi hai aspettato qui in salotto tutto questo tempo?” chiede la ragazza.
Filippo annuisce, facendo ridere Emma. “E dimmi, come mai?”
“Perché speravo di poter parlare con te, questa volta per davvero.”
Emma sospira e si lascia cadere sul divano, incrociando le gambe e facendo cenno al ragazzo di raggiungerla. Quell’amaro dopo cena la stava rendendo molto più docile e incline a parlare.
“E allora vai, parla.” O meglio, ad ascoltare.
Filippo sorride e si siede, le ginocchia di lui a toccare quelle di lei, il busto ruotato per poterla guardare negli occhi.
“Possiamo smetterla di avere questo rapporto così freddo, per favore?
“Non so di cosa tu stia parlando. Questo rapporto è perfetto per noi.”
“Non lo è, e lo sai. Sei molto distante, non mi è concesso neanche farti una battuta che subito ti alteri!”
“Ah, scusa, non pensavo di star ferendo i tuoi sentimenti! E comunque non è vero.”
“Sai benissimo che invece è così. Lo sai che ti voglio bene e non mi piace vederci così distanti…”
“Certo, quanto amore tra di noi…” dichiara, ridacchiando sarcasticamente.
“Smettila, Emma. Fai la seria.”
“Ora vuoi fare il serio?” chiede, mettendo il broncio. Poi sospira, chiude gli occhi e confessa: “Ti accontento subito: sei un idiota. E sono seria.”
Filippo annuisce e si poggia contro lo schienale del divano. “Così va meglio. Che altro?” chiede, facendo innervosire la moretta. Quel ragazzo poteva mantenere quella dannatissima facciata seriosa per ore, volendo. Non era possibile neanche farlo desistere. L’alcool ora la rendeva stanca, appesantita. Il nervosismo non aiutava.
“Ti aspetti che le cose tra di noi vadano stupendamente, quando neanche sapresti dirmi cosa siamo?”
“Questo non è vero, siamo amici di vecchia data…” Emma rotea gli occhi, sbuffando, “che hanno un rapporto un po’ particolare.” conclude Filippo.
“Le tue bravate da macho alfa le faresti rientrare nel ‘rapporto particolare’?”
“A liceo ero un idiota, lo sai. Non volevo farti stare male.”
“Già. Beh, potevi impegnarti un po’ di più.”
“Lo sto facendo adesso. Ti sto chiedendo scusa, non ti basta?”
Non le bastava, certo che no. Ma meglio negare ché ammettere la sconfitta.
“Scuse accettate! Amici come prima!” esclama, con una ilarità un po’ forzata. Gli batte una pacca sul ginocchio, poi fa per alzarsi, ma Filippo la trattiene per un braccio, riportandola sul divano.
“Non scappi così, Ems. Se te ne vai in camera, giuro che mi metto a gridare il tuo nome e sveglio tutti.” minaccia, facendola, a malincuore, sorridere.
“Fili, non so che vuoi che ti dica, lasciamo le cose come stanno e andiamo a dormire, ok?”
“Di cosa hai paura?”
“Di nulla, ho solo sonno.”
“Hai paura del confronto? Di me?”
Di me stessa.
“Di passare ore su questo divano, sprecando ore di sonno.”
“Hai paura di me?” chiede nuovamente, la mano ancora sul braccio di lei.
“No, non ho paura di te.” afferma, ed era la verità. Certo che non aveva paura di lui. Le promesse le aveva infrante tutte, quindi c’era ben poco da rovinare, per cui le aspettative di Emma erano molto basse. Ma la piccola Emma, svegliata da tutto quell’alcool, stava cominciando a gridare, nella testa, nel cuore e dagli occhi, che qualcosa andava detto, che forse andava fatto un ultimo tentativo. Ma era una vocina probabilmente troppo fievole per farsi strada tra tutti quei ricordi antipatici, quelle frasi non dette, quel rancore maturato negli anni.
“Credo fermamente che non ci sia più nulla da dirci. Ne abbiamo avuto di tempo, e adesso ritengo che sia tardi.”
“Io però non sono d’accordo. Questo viaggio è una benedizione. E poi… io ti voglio ancora.”
Emma, impegnata a lanciargli frecciatine d’odio, resta sorpresa da quella dichiarazione. Esplicita e totalmente inappropriata. Quando aveva deciso di imbarcarsi in quell’avventura veronese – perché, con Filippo nel gruppo, un viaggio di piacere non lo era più – aveva pensato a come evitare di ucciderlo, per lo più. Il primo giorno aveva deciso che avrebbe optato per un po’ di sano sarcasmo, qualche occhiataccia e una cordiale freddezza, giusto per evitare di rovinare il weekend a tutti. Quella mattina, invece, si era ritrovata a pensare che forse, abbandonare quel risentimento e provare ad essere un minimo più carina avrebbe potuto facilitare il passaggio verso situazioni più rosee, concedendole del tempo per abituarsi, per lasciar perdere, per dimenticare. Tuttavia, quel ragazzo non aveva nessuna intenzione di lasciarla al comando del loro rapporto, ne era oramai convinta. Si era così abituato ad avere il coltello dalla parte del manico, Filippo Restilli, che piuttosto che dargliela vinta avrebbe sganciato la bomba, l'ultimo asso nella sua manica: la verità, o meglio, una parte di essa.
 “Filippo…”
“È così, non c’è nulla che possa fare per impedirlo. Sei così bella, buona e dolce. Simpatica e arguta, accattivante e semplice.  A volte mi dimentico di tutte queste tue qualità. Ma d’altronde non ci vedevamo da mesi, quindi non è interamente colpa mia. Mi hai sempre fatto quest’effetto, Ems.”
“Della serie ‘lontana dagli occhi, lontana dal cuore’ eh? Dai, basta.”
“Lo sai quello che intendo. Al liceo ho fatto l’idiota, ma stavo cercando di dirti esattamente questo. E anche dopo, in questi anni.”
Emma strattona il braccio e si libera dalla presa, poi si alza. Doveva assolutamente uscire da quella situazione o se ne sarebbe pentita per il resto dei suoi giorni.
“Smettila. Le cose sono andate in questo modo per un sacco di motivi, non solamente per qualche scaramuccia sciocca tra di noi. E due giorni di cordiale convivenza non possono certo far luce su tutto.”
“Lo so,” inizia Filippo, alzandosi a sua volta e avvicinandosi alla ragazza, “ma questo non cambia il fatto che tu mi faccia provare tutto questo, da anni ormai. Te lo ripeto.”
“Filippo, abbi pietà di me…”
“Sono serissimo.”
“Anche io, la devi smettere.”
“Perché?
“Perché se non la smetti, finisce male.”
Male sarebbe noi due che ci baciamo?” chiede lui, avvicinandosi ancora di qualche passo e sorridendo.
“Male nel senso che ti tiro un calcio nelle palle.”
Il ragazzo ride e le va di spalle, bloccandole quel suo lento indietreggiare verso il corridoio. Emma si gira per fronteggiarlo, stanca.
“Sono abbastanza sicuro che ti dispiacerebbe.” continua il ragazzo.
“Non mi tentare.”
“Sono anche sicuro che tu voglia baciarmi tanto quanto lo voglia io” dichiara, notando come lo sguardo della compagna si sia posato più volte sulle labbra di lui.
“Questo perché sono vagamente alticcia, e tu mi stai troppo vicino.” ammette Emma.
“Smettila di resistermi.”
“Smettila di provocarmi, Filippo.”
“Non sto provocando, sto cercando di chiudere questa storia. Sto cercando di farci essere entrambi onesti con noi stessi per poter andare avanti.”
“E dimmi,” chiede Emma, ormai a pochi centimetri dalla più assoluta distruzione, “l’onestà deve necessariamente passare per un bacio? Non può essere tutto questo un po’ meno fisico e un po’ più chiacchierino?”
“Quest’ultima è sempre stata una tua fastidiosissima dote. Almeno, fino a quando non mi hai tolto il saluto.”
“Te lo eri meritato.”
“Vero, ma adesso non mi merito di essere trattato così.”
Emma non risponde, incrocia le braccia al petto e si sofferma a guardare i propri piedi.
“Ti chiedo scusa, di nuovo. Mi sono comportato male al liceo. Ti voglio bene, e lo sai da anni. Non ho mai voluto fare qualcosa che tu non volessi, ne sono certo. Ho forse tirato un po’ troppo la corda. Ma ora siamo qui, tutti e due. E ti sto chiedendo di guardarmi…”
“No.” Non le bastava, neanche lontanamente. E quella volta alla cena di classe? E a Madrid? E a casa di Giulio? E tutte le altre? Quante maschere hai addosso Filippo, al punto da non riuscire neanche a vedere la realtà?
“Non fare la bambina!”
“E tu non fare la testa di cazzo!” risponde piccata, infastidita da quel rimprovero. Aveva tutto il diritto, lei, di essere offesa. Mica lui, che invece se ne stava lì davanti, cercando di passare per il buon samaritano di turno, volenteroso di seppellire l’ascia di guerra, così facilmente. 
Filippo sorride e le solleva con due dita il mento, incontrando gli occhi di lei.
“Posso?”
“No.”
Lui sorride e avvicina il viso di qualche millimetro.
“Posso, Ems?”
“Sarebbe meglio di no.”
“Posso?”
Ed è Emma a baciarlo, alla fine.
Aveva paura di sé stessa. E aveva ragione ad averne. Perché Filippo forse la provocava, ma era lei a rispondere. Sempre. Come quella notte.
 
 
 
 



Anno della maturità 2014, terrazzo di casa di Damiano, Roma.
 
 
Inventerai che non hai tempo; inventerai che tutto è spento; inventerai che ora ti ami un po' di più; inventerai che ora sei forte e chiuderai tutte le porte. Ridendo troverai una scusa.
 
“Parliamo un attimo, ti va?” domanda Chiara, avvicinandosi ad una Emma seduta al tavolino fuori della terrazza di Damiano, sola. Emma la osserva e annuisce, togliendo i piedi dalla sedia per farla sedere.
“Volevo chiederti formalmente scusa…” inizia la bionda, ma Emma scuote la testa e ribatte: “Per cosa? Non hai niente per cui chiedere scusa.”
“Invece sì. Non mi sono comportata bene per un bel po’ di tempo, e vorrei scusarmi. Ero gelosa, e lo sai. Ti ho messo in una posizione difficile, anche perché in realtà non volevo farti scegliere tra me e Dam. Spero questo tu lo sappia.” confessa.
Emma sorride e annuisce, poggiando la mano sul ginocchio della migliore amica, tranquilla.
“Stiamo parlando di una cosa successa un po’ di tempo fa, ormai.”
“Sì, ma non ne abbiamo mai parlato per bene. Non volevo farti stare male.”
“Lo so. So anche che non deve essere stato facile, dato il tuo caratterino, cercare di rimanere indifferente mentre la tua migliore amica e il tuo ragazzo esploravano una nuova faccia di quella amicizia, considerato che la sottoscritta aveva una cotta paurosa per lui.”
“In ogni caso, io mi sarei dovuta fidare di te. Invece ho dubitato e ci ho fatto allontanare.”
“Ma se ci siamo riavvicinate, quest’anno!”
“Più per tuo buon cuore, che per merito mio. Lo sai, cosa intendo: non siamo più state le stesse, da quando ho dato sfogo alla mia gelosia stupida. Mi dispiace.”
Chiara si vergona a ricordare a voce alta la scena di quella triste serata in albergo, ad Atene. Le due ragazze erano state scelte direttamente dal preside per partecipare a un progetto europeo di volontariato, insieme ad altre scuole. In veste di rappresentanti ufficiali, avevano avuto la possibilità di spendere tre giorni nella capitale greca, a contatto con studenti di altri paesi e alle prese con un interessante piano triennale di cooperazione. Si trovavano in un limbo particolare, le due amiche, per via della gelosia di Chiara, e il viaggio si era presto trasformato in una sessione di tensione e cose non dette. L’ultima notte, sedute su uno dei due letti della camera d’albergo, una risposta sbagliata di Emma aveva portato Chiara ad esplodere, trattandola quasi con disprezzo nel ricordarle quanto le cose fossero cambiate, di come Damiano avesse scelto di stare con lei, e non con la mora. Che era ora che Emma si rendesse conto di non avere nessuna possibilità, visto che le cose tra loro stavano andando così bene.
“Scuse accettate. Mi è dispiaciuto vederti così intransigente nonostante le mie promesse, lo ammetto. Ma l’ho anche capito, sai? Per questo ho fatto di tutto per farmi passare quella stupida cotta, perché non volevo che si mettesse tra noi.”
“E invece io, ingigantendo tutto, ho fatto proprio l’opposto. Una stronza! E tu così buona, fin dal principio. Emma, mi dispiace veramente tanto.”
Emma sorride divertita, ripensando alla sera di capodanno di qualche tempo prima: ubriaca, felice e piena di confidenza, era andata a cercare Damiano, probabilmente per dichiararsi, forse per finire a fare una sciocchezza e basta. In ogni caso, una volta trovato l’omone solo e sbronzo in camera da letto, aveva passato un’oretta a sedurlo – o a coccolarlo, cercando di non farlo vomitare – e una parte di lei, probabilmente la più lucida, aveva capito di non essere ricambiata. Così, dopo un bacio sulla guancia e la promessa di tornare con dell’acqua fresca, Emma aveva lasciato Damiano in posizione supina ed era uscita dalla stanza. Di ritorno dalla cucina, distrattasi dalla pietosa scena di Ludovica e Giulio accovacciati per terra a mangiare gli avanzi di lenticchie, aveva trovato Costanza – all’epoca ancora la sua migliore amica – a gridare per i corridoi, minacciando Chiara di rovinarla, per aver osato fare un torto del genere a Emma. Poi la notizia: Chiara e Damiano si erano appena baciati per una scommessa, in quella stessa camera da letto in cui appena pochi minuti prima Emma aveva tentato un imbranato approccio. Al di là della sorpresa – Emma era sicura che Chiara non fosse interessata a Damiano – la prima reazione della mora fu di accettazione: ora aveva la certezza di essere semplicemente la migliore amica di Damiano, nulla più. Probabilmente neanche per una scommessa lui l’avrebbe baciata, anche fosse solo per risparmiarle un ulteriore dispiacere.
 “Il vero dramma, in tutta questa storia” le ricorda la mora, “è stato quando mi hai preso di peso e mi hai portato in bagno. Lì, mentre da ubriaca facevi pipì, mi hai chiesto scusa per aver ‘tradito’ la nostra amicizia”.
Chiara sorride imbarazzata, sia per l’imbarazzante scena, sia per il fattaccio commesso. “A quanto pare, non ne ho fatta una giusta con te, da quando ho baciato Damiano…”
“Ma piantala! Ti ricordo che ti ho dato immediatamente il benestare per la vostra relazione, considerando che io non gli interessavo ed era inutile impedirvi di aver qualcosa, visto che io non l’avrei mai avuto. E da allora non mi sono mai pentita di questa decisione, e lo sai. Tuttavia, la situazione mi è sfuggita di mano… per farmi passare la cotta per Dam, ho finito per fare un casino.”
Me ne sono accorta. “Filippo?” chiede Chiara, sorridendo dolcemente.
Emma sbuffa e si passa una mano tra i capelli, sconsolata.
“Non per scaricare tutta la colpa su di te… ma pur di non continuare a pensare al tuo ragazzo in altri termini che non fossero di sincera amicizia, mi sono ritrovata a dare più attenzioni, e forse troppe elucubrazioni mentali, ad un’altra situazione. E ora, non so, la suddetta situazione è diventata un po’ complessa.” ammette, con una risata nervosa.
“Perché dici questo?”
“Perché non so cosa ci sia, tra me e Filippo, amore. Non ho idea di che cosa siamo, sinceramente. Ma sono sicura che quel ragazzo sia uno stronzo!” esclama, facendo sorridere entrambe.
“Prima non ci filiamo,” continua, “e pensavo fosse anche un idiota montato, lo sai, poi durante il terzo anno diventiamo amici, almeno credo. Giochiamo, scherziamo, andiamo d’amore e d’accordo. Fare i rappresentanti di classe ci ha unito, l’hai visto anche tu! L’hanno visto tutti, a dire il vero, persino i professori. Poi arriva il quarto anno, i giochini diventano battutine, le battutine diventano sguardi strani, credo. Non lo so, a dire il vero. Questo è quello che ho percepito io. Due bicchieri di vino di troppo e lui rovina tutto, come se niente fosse. Ah, che cosa imbarazzante, non mi ci far pensare neanche! Cretina io, senz’ombra di dubbio!”
“Cosa è successo?” chiede Chiara, ignara. Emma scuote la testa, negandole l’accesso a quel ricordo imbarazzante – per sé stessa, per le sue speranze, per la sua dignità – e prosegue: “Lascia stare, credimi. Prima o poi te lo racconterò. Quello che conta è che poi lui se ne va in scambio, e tanti cari saluti. Finiamo l’anno, ci sta di mezzo l’estate e poi torna qui, a scuola. Settembre scorso. Era così palese che mi stesse antipatico?” domanda, in maniera quasi retorica. Emma aveva provato in tutti i modi a far capire a quel belloccio che il loro rapporto si era deteriorato, probabilmente in maniera definitiva. All’inizio gli aveva addirittura tolto il saluto, poi si era limitata a una fredda cordialità.
“All’inizio sì. Poi però vi siete riavvicinati, no? Avete studiato insieme tutto il secondo semestre, praticamente.” continua Chiara, ricordando le sessioni di studio iniziate a fine aprile, prima ancora che divenisse un appuntamento fisso di gruppo. Era così grata di aver di nuovo accesso anche a quella mini parte di Emma, quella che raramente la porta ed esporre i dubbi, le insicurezze. Era tornata a confidarsi, in tutto e per tutto, e Chiara si ripromise di farne tesoro, così come di non permettere mai a niente e a nessuno – men che meno a sé stessa – di rischiare di perdere di nuovo tutto questo.
Emma geme e chiude gli occhi, poi sbuffa. “Mi sa che lì è stato un errore mio. Lui continuava a fare il carino, il simpatico, il tipo tranquillo che non si lascia abbattere dalle situazioni. E così, essendo sfacciato come pochi, io ho ceduto! Ho smesso di tenergli il muso. Poi Agile ci ha messo a fare un lavoro di gruppo insieme – per educazione civica, ricordi? – e abbiamo dovuto passare un paio di pomeriggi a studiare. Poi, hai visto anche tu, siamo andati avanti fino a l’altro giorno. Però, non so, mi sembra ci sia qualcosa di profondamente marcio in tutto questo.”
“Si comportava in maniera strana, durante il vostro studio? Ha detto qualcosa?”
Pfff, quell’uomo è difficile da leggere. Non so, ti ho detto. Qualcosa è successo, ma niente di ché.”
Chiara la incalza, curiosa.
Emma, le mani sul viso a coprirsi, imbarazzata dalle parole che sta per pronunciare, abbassa notevolmente il tono di voce, quasi a renderlo un sussurro.
“Mi vorrei sotterrare, Chia. Non lo sa nessuno, nessuno! Durante lo studio, o anche quando ci mettevano al banco insieme, noi… ecco… ogni tanto ehm… ci facevamo i grattini.”
Grattini? In che senso? Dove?”
Emma sprofonda sulla sedia, in difficoltà.
“Lo sai che mi piace fare i grattini, che mi rilassa,” inizia, come a mo’ di scusa, “e quindi sì, ci facevamo i grattini sulle braccia, sul collo, sulle gambe. Ero per lo più io a farli, spesso distrattamente, ma a volte me li chiedeva esplicitamente.”
“Ha un qualcosa di malizioso.”
“LO SO! È quello che ho pensato anche io! Dio, questo ragazzo riesce a trasformare una cosa innocente come i grattini in qualcosa di erotico!”
“Addirittura, in qualcosa di erotico?”
“Sì beh, gli veniva duro…”
“COSA?!” esclama Chiara, alzando la voce. I pochi superstiti della serata alcolica stavano giocando a pallone con la musica a tutto volume, un po’ più in là.
“Zitta, zitta! Lo so, è assurdo. Ma te lo giuro, i miei grattini glielo facevano venire duro, sempre. All’inizio non lo avevo capito e poi, beh, diciamo che quel ragazzo ha qualcosa che non passa molto inosservato.”
“Questo da dei semplici e innocui grattini?”
“Non ho mai detto che fossero innocui.” ammette con vocina mozzata Emma.
“Quindi ci stavi provando? O ci stava provando lui?” cerca di capire l’amica, confusa.
“No. Non credo. Non lo so. Forse. Io forse un po’ di più, ma non siamo mai andati oltre a questo. Una sola volta siamo finiti a farci i grattini a letto, in camera mia…”
“Come scusa?!”
“Ah, Chiara, non te lo so spiegare! Stavamo ripetendo sul letto, poi lui mi ha chiesto dei grattini per rilassarsi. Poi mi ha chiesto se potevamo metterci un po’ più comodi, e siamo finiti in una posizione ambigua: io contro la ringhiera del letto e lui steso tra le mie gambe, accarezzandole ad occhi chiusi, la testa sulla mia pancia. E ci siamo lasciati un po’ trasportare dalla situazione, finché non è entrato Fabiano, che stava ripetendo storia nell’altra stanza.”
“Oh, mio Dio. Che ha detto?”
“Per fortuna ha bussato prima di entrare! Ci siamo spostati e via, fine. Certo, lui con la camicia un po’ sbottonata e fuori dai pantaloni, ed io sicuramente rossa come un peperone.”
“E poi?”
“E poi basta. Questo è stato il culmine di quest’anno. Nelle settimane successive abbiamo quasi sempre ripetuto in gruppo, quindi non è mai successo chissà cosa di strano. Mah, forse ho voluto vederci più cose di quante in realtà ce ne siano dietro. Alla fine, è sempre stato un po’ così, l’abbiamo solo voluto portare su un livello un po’ più piccante. Non gli piaccio, lo so. E ti posso assicurare che ci sono moltissimi lati della sua personalità che non sopporto!” conclude e ridono entrambe.
“Ma il vero problema è un altro, vero? Che in realtà a te lui piace, e ti fa stare male questo suo comportamento.”
“Mmh, questo tuo essere così diretta non mi era mancato.”
“Dai, amore...”
“Sì, beh, credo di sì. Penso che mi piaccia da un po’. Anzi, so che mi piace da un po’ ma, peggio ancora, so che penso a lui da un bel po’ di tempo. Quando le cose hanno iniziato a farsi interessanti e complicate.”
“Ovvero?”
“Da quando ho iniziato a dare spazio a Filippo nei miei pensieri, dici?” chiede Emma, buttando giù l’ultimo sorso di vino dal bicchiere di plastica. Riflette un attimo mentre si accende una sigaretta. Espira.
“Direi dal terzo anno, da quel viaggio di ritorno dalla Grecia. Ma se volessi essere totalmente onesta con me stessa, probabilmente già dal primo giorno di scuola del primo anno, quando è entrato in classe con quella sua faccia da ‘sono il più figo dell’universo’.”













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Buona Pasquetta a tutti! Questo è il terzo di sei capitoli, ci stiamo avvicinando alla fine. Molti nodi vengono al pettine, anche se dovrete aspettare il prossimo per una maggiore delucidazione! Mi scuso per il ritardo, come al solito. Il prossimo capitolo, tuttavia, è già pronto. Conto di riguardarlo e pubblicarlo tra una settimana o poco più. 
Vi auguro una piacevole giornata e, come sempre, grazie. 

Chiara
   
 
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