Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: Imperfectworld01    24/04/2019    0 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una persona migliore

«Grazie, Trace» dissi solamente, una volta che accostò la sua auto di fronte al vialetto di casa mia. Cominciai a fare pressione sulla maniglia così da poter aprire la portiera e uscire, ma fui interrotta da Tracey, che mi poggiò una mano sul braccio per trattenermi. «Meg, stai bene?» domandò.

«No» risposi, in tutta sincerità. «Come posso stare bene? Stava finalmente cambiando tutto... questa settimana era diverso, lo sentivo, e... e invece non è cambiato proprio un bel niente. Non mi sono mai sentita così umiliata, e poi... perché devo essere l'unica a pagare per qualcosa che non ho neanche commesso? Io ho sbagliato quella sera, lo so, e il mio prezzo da pagare sarà quello di non avere più la mia migliore amica e di convivere per sempre con il senso di colpa. Non è già abbastanza? E poi da quando in qua litigare con qualcuno è sufficiente per essere reputata un'assassina?»

Tracey mi guardava compatita, carezzandomi il braccio come per darmi conforto, ma niente sarebbe servito a farmi tornare di buon umore. Anzi, quest'ultimo peggiorò non appena mi resi conto di aver usato le stesse parole di Lucy. Oltre all'umiliazione pubblica davanti a tutta la scuola, mi sentivo anche tradita da lei.
Tracey sembrò leggermi nel pensiero, poiché disse: «La preside ha subito convocato Lucy e quell'altro ragazzo nel suo ufficio non appena te ne sei andata. Ma il ragazzo era solo uno a caso scelto all'ultimo fra gli spalti per far partire il video, quindi non può essere stato, mentre per quanto riguarda Lucy sembra che la preside Fitzpatrick stia pensando a una sospensione».

«Ha confessato?» chiesi.

Colei che era una delle poche ad avermi mostrato il suo supporto, si era rivelata in realtà la più falsa di tutte. E a che scopo poi? Cosa le avevo fatto di male? E pensare che le avevo anche creduto, maledetta la mia ingenuità.

«Da quello che ho sentito, ha negato tutto fino all'ultimo. Sembra si sia messa a piangere e che abbia continuamente chiesto di te, dicendo che voleva scusarsi o cose simili, che lei non c'entrava niente con quanto accaduto.»

Roteai gli occhi. «Sì, certo... che stronza.»

«Non so, in realtà da lei non me lo sarei mai aspettato. Ha quella faccia angelica, il cerchietto, il crocifisso sempre appeso al collo... e poi la sua condotta fino a questo momento è sempre stata impeccabile. E se qualcuno avesse davvero voluto incastrarla?»

«Qualcuno tipo Olivia? Non so, dopo essere stata convocata nell'ufficio della preside settimana scorsa secondo me si è presa un bello spavento e, per quanto la detesti, non è tanto stupida da fare un'altra mossa azzardata.»

Poi ripensai a una frase che mi aveva detto il giorno dopo il funerale di Emily.

"Mi lusinga che tu mi veda come la tua minaccia più grande. Io però le cose te le dico in faccia. Ma è chiaro che qualcuno qua a scuola la pensi come me e abbia deciso di prenderti di mira."

Che si riferisse a Lucy già allora? E se non lei, allora chi altro?

In quel momento pensai che forse Olivia sapeva più di quanto dava a vedere.

«Ora vado. Grazie del passaggio, Trace.»

«Di niente. Domani fatti sentire, va bene, Meg?».

Annuii e poi scesi dalla sua auto. Aprii la borsa per prendere le chiavi, mentre nel frattempo mi incamminavo verso la porta d'ingresso. Dopodiché entrai in casa e mi diressi subito in camera mia, mi tolsi le scarpe e appoggiai la borsa e la giacca sulla sedia.

«Megan, sei a casa?» sentii mia madre chiamarmi dall'altra stanza.

«Sì!» risposi, urlando.

«È pronta la cena, vieni a tavola!».

Il mio stomaco sembrò ricordarsi soltanto in quel momento che erano già le 19:45 e che io non avevo mangiato nulla dall'ora di pranzo. Infatti, non appena sentii mia madre chiamarmi in cucina, cominciai ad avvertire un profondo vuoto allo stomaco, accompagnato da un leggero brontolio. Così uscii dalla mia camera e andai a sedermi in cucina.

«Dove sei stata fino ad adesso?» chiese mio padre.

«C'era la partita, ve l'avevo detto» risposi, scrollando le spalle.

«Ah, sì, è vero. Com'è andata? Dorian ha giocato bene?»

«Si chiama Dylan» lo corressi, roteando gli occhi. Adoro come presti sempre attenzione ai dettagli della mia vita, papà, pensai. E no, non l'aveva sbagliato di proposito, né tantomeno era geloso come normalmente lo sono tutti i padri delle figlie: a lui non importava mai niente.

"Scusa, Megan, puoi ripetere? Non stavo facendo attenzione."

"Scusami, tesoro, sono stanco. Magari me lo racconti un'altra volta?"

"Esci con Tiffany? Ah, sì, Tracey, è vero. Mi confondo sempre."

Il picco l'aveva raggiunto giovedì scorso, dopo il funerale, con: "Senti, mi dispiace per la perdita della tua amica, so quanto Tracey fosse importante per te, ma ti assicuro che prima o poi riuscirai a superarle. Come dici? Si chiamava Emily? Ah, sì, fa niente".

«Ma certo, Alan, come fai a confonderti? Suo padre è Seth Walker. Perché una sera non lo inviti a cena per farcelo conoscere, questo Dyaln? I suoi genitori hanno quell'enorme villa, non è vero? Credo di aver sentito da qualche parte che suo padre è amministratore delegato di quell'importante azienda a New Orleans... Chissà, magari potresti invitare anche i suoi genitori» propose mia madre, dimostrando ancora una volta quanto poco le importasse di me e quanto l'unica cosa a cui tenesse fossero le amicizie vantaggiose e un buon stato sociale.

Non potendomela prendere con lei, me la presi con il risotto sul mio piatto, appiattendolo energicamente e in modo frenetico con la forchetta.

«Sì, d'accordo» risposi simulando un sorriso.

Sperai che le loro futili domande fossero terminate, ma purtroppo per me, erano appena cominciate. «Stai studiando in questi giorni? Sei quasi sempre fuori casa» constatò mio padre.

«Ho preso B+ nel compito di matematica della settimana scorsa.»

«Solo?» chiese mia madre.

Sì, solo, scusa se la mia mente era più concentrata sulla mia migliore amica defunta e non sono riuscita a dare il massimo, pensai. Dio, in che mondo vivevano i miei genitori?

Il risotto sembrava ormai una schifosa poltiglia gialla, ma la fame mi stava uccidendo, così cercai di non farci caso e ne presi un boccone, prima di mandarlo giù con un sorso d'acqua.

«Megan, non lo sai che bere durante i pasti è sconsigliato? Sarebbe meglio farlo prima, aiuta a perdere peso.»

A quel punto non seppi più trattenermi e battei un pugno sul tavolo, facendo sussultare mia madre e ricevendo un'occhiata stralunata da mio padre. «Basta! Dio, vi rendete conto di quello che dite? Per voi sono davvero vostra figlia oppure sono solo un bambolotto a cui fate fare tutte le cose che volete, a cui imponete cosa mangiare, come vestirsi, cosa dire, come comportarsi? E sebbene mi impegni per seguire i vostri ordini alla lettera, non siete mai soddisfatti, non sono mai come mi volete, non sono mai... perfetta. Sono stufa! Non mi ascoltate mai, non vi interessate mai a me, a quello che succede nella mia vita, a quello che passa davvero nella mia testa!» esclamai, scattando in piedi.

«Megan, come ti permetti?» domandò mia madre, alzandosi anch'essa in piedi. Fu subito seguita da mio padre: «Vedi di moderare i toni, non stai parlando con uno dei tuoi amici».

Alzai gli occhi al soffitto. «I miei amici? Quali? Dorian e Harry, oppure Tiffany?».

«Abbassa la voce, Megan» disse mia madre.

Mi uscì una risata nervosa. «È l'unica cosa che sai dirmi? Non ci provi nemmeno a giustificarti, a dire che non è vero che non ti interessi a me, che tu fai di tutto per me, che ti preoccupi per me? Non lo fai perché sai che non è così. E la cosa vale per entrambi: siete così occupati a pensare soltanto a voi stessi, alla vostra immagine, alla vostra reputazione, da non accorgervi di quanto stia soffrendo in questo periodo. E se proprio volete saperlo, ho cercato di farmi investire da una macchina settimana scorsa!»

«Tu... tu cosa?». Mia madre si accasciò sulla sedia, portandosi una mano tremolante sulle labbra e scoppiando in lacrime. Mio padre, anch'egli sconvolto, mosse invece qualche passo verso di me e mi appoggiò una mano sulla spalla, mentre io rivolsi lo sguardo verso il pavimento. «Perché... perché non ce ne hai parlato?» chiese, ma la sua voce venne prontamente sovrastata da quella di mia madre: «Perché l'hai fatto? Dio, Megan, tu sei... tu sei la mia bambina, come hai potuto pensare di farmi una cosa del genere?».

Emisi un sorriso amaro e deglutii, sentendo un grosso nodo formarmisi in gola. «Ancora non l'hai capito, mamma? Non riguarda te, ma me. Non si tratta sempre di te!»

«Non è così, no... io... Non avevo idea che ti sentissi così nei miei confronti... tu con me non parli, non so mai quello che pensi.»

«A detta di tutti sono la persona più trasparente del mondo» ribattei. «Solo due persone superficiali e disattente come voi non sono in grado di capirmi.»

«Hai ragione» asserì mio padre, asciugandosi una lacrima da sotto l'occhio. «Abbiamo sbagliato. Per tanto tempo. Ma ti prometto che... che cambierà tutto. Saremo dei genitori migliori.»

«Ma tu... tu giura che non proverai mai, mai più a fare una cosa del genere... giuralo, Megan.»

Esitai un attimo, più che altro perché non riuscivo realmente a credere che, per la prima volta, mi avevano ascoltato. Per anni mi ero tenuta tutto dentro, per paura che non avrebbero capito, che, anche parlandogli, non sarei giunta a niente. Invece, forse, ci ero finalmente riuscita. Sarebbe cambiato tutto.

«Lo giuro.»

•••

«Hai intenzione di startene tutto il pomeriggio lì seduta?» chiese Dylan accigliato, sdraiandosi a pancia in giù e poggiando entrambi i gomiti sul materasso.

In risposta, feci roteare la sedia girevole e gli diedi le spalle, volgendomi verso la scrivania.

«Ehi!» esclamò. Poi si stese in avanti fino a raggiungermi e, tirando il bracciolo della sedia, la spostò fino a farla giungere di fianco al suo letto. Appoggiò anche l'altra mano sull'altro bracciolo, imprigionandomi di conseguenza fra le sue braccia. «Quindi, che fai?» domandò con un ghigno strafottente.

Roteai gli occhi e infine mi rassegnai. Posai le mie mani sulle sue spalle fino a farlo arretrare e far sì che si sdraiasse supino sul letto, prima di stendermi a cavalcioni su di lui.
Dylan afferrò una ciocca dei miei capelli e se la arrotolò attorno al dito, sorridendo. Poi passò la mano sulla mia testa e mi scompigliò tutti i capelli. In cambio ricevette da me un pizzicotto proprio sul capezzolo. «Ahia!» esclamò, cominciando a massaggiarsi quel punto con la mano. «È già il terzo che mi dai oggi.»

«Ma piantala, guarda che non ti ho fatto niente» cercai di difendermi, incrociando le braccia al petto.

«Ah no? Vuoi che tolga la maglia e ti faccia vedere le forti lesioni da te causate?»

Sorrisi e scossi la testa. «No, non serve.»

Poi sollevò il busto, facendo sì che mi ritrovassi seduta fra le sue gambe, con le mie avvolte attorno alla sua vita. Restammo per un po' di tempo in silenzio, a non fare nulla se non guardarci negli occhi. Pian piano lo vidi avvicinarsi sempre di più al mio viso. «Mi dispiace per ieri» disse a un certo punto.

«Avrei dovuto prevederlo. Ma fa niente, ormai è successo» risposi io, scrollando le spalle. Ormai stavo imparando a farmi scivolare addosso le cose, a non darci lo stesso peso che gli avrei attribuito un tempo. Ci ero stata molto male e ci stavo male tuttora, ma preferivo non pensarci. «Almeno avete vinto la partita. Scusa se me ne sono andata prima che iniziasse» aggiunsi poi, per cambiare discorso.

«Ma scherzi? Non devi scusarti di nulla, Meg» disse, a un centimetro dalle mie labbra. Mi diede un piccolo bacio, che io gli restituii. Con le sue labbra sulle mie, la mia mente tornò inevitabilmente indietro all'ultimo bacio che ci eravamo dati la sera prima, e a quello che mi aveva detto subito dopo. «Dyl...».

«Sì?»

«Ieri sera, prima che andassi negli spogliatoi, mi hai chiamato...»

Mi interruppe subito: «Sì, scusa, lo so, ho sbagliato. Tu hai detto che vuoi andarci piano e io... con quella parola ho rovinato tutto. È solo che... quello che provo con te io... io non l'ho mai provato con nessuna, mi è venuto quasi naturale. Mi dispiace».

Scossi la testa. «No, perché ti dispiace?» gli diedi una carezza sulla guancia. «In realtà, mi è piaciuto che tu mi abbia chiamata così.»

«Quindi non ti è sembrato strano?» chiese preoccupato. «Io non... non voglio rovinare...»

«Dylan» lo interruppi io. «Va bene così. Non ci sono regole per queste cose, è tutta una questione di... di istinto, e sentimenti. Lo so che ti ho detto che non voglio affrettare le cose, ma... ma forse è meglio viverci tutto giorno per giorno, senza rifletterci troppo.»

Del resto, perché dovevano sempre esserci delle regole? Non era meglio vivere con spensieratezza?

«Perché hai cambiato idea, tutto a un tratto?» domandò, incuriosito.

Sospirai. «Perché la vita è soltanto una, ed è preziosa quanto imprevedibile. Non si può mai sapere cosa può succedere da un momento all'altro, ma se la vivi lasciandoti guidare dai sentimenti, non potrai mai pentirti di aver fatto oppure non aver fatto qualcosa.»

Dyl rimase in silenzio, con un piccolo sorriso dipinto in volto. Mi fissò per una manciata di secondi, prima di abbracciarmi e attirarmi sempre più a sé, fino a farmi sdraiare su di lui. Nascose il viso nell'incavo del mio collo, lasciandoci dei baci di tanto in tanto e soffiandoci sopra subito dopo. «Amore mio.»

•••

«Megan, lo sai che dopo quello che mi hanno raccontato i tuoi genitori, non potrò prescriverti quei farmaci che mi avevi chiesto? Non posso di certo rischiare che tu...»

«La prego, dottoressa Blackburn» la interruppi. «Ne ho bisogno, ho perso il conto delle notti insonni che ho trascorso da quando Emily... la prego.»

«Ti rendi conto che il tuo è stato un gesto molto avventato, Megan?»

«Sì, certo che me ne rendo conto. Io... io ero sconvolta, non sapevo più cosa fare, non ne potevo più di tutta quella storia... so di aver sbagliato, ma ora è passato. Sono ancora viva, come vede, e non ho intenzione di riprovarci di nuovo a... a togliermi la vita.»

«Il problema è che tu ci abbia provato, Megan, anche soltanto una volta.»

«Era prima che iniziassi con le sedute. Non avevo nessuno con cui parlare, non mi sentivo capita, sembrava che tutto il mondo ce l'avesse con me... Ma ora non è così. L'ha detto anche lei che sono migliorata, venire da lei mi sta aiutando, sul serio. Ho anche affrontato i miei genitori, come mi aveva consigliato di fare, e loro stanno cercando di porsi meglio nei miei confronti, ho Tracey, il mio ragazzo. Non mi serve nient'altro. Ora come ora, non cercherei mai più di fare una cosa del genere, lo giuro.»

«Vorrei crederti, Megan» rispose, rivolgendomi uno sguardo dispiaciuto. «Anzi, ti credo. So che ci stai mettendo tutta la buona volontà, ma il fatto è che tu hai una mente molto istintiva, ti lasci trasportare troppo dalle emozioni, quindi non si può sapere come reagirai la prossima volta che qualcuno ti attaccherà verbalmente, che sia a scuola o a un funerale o magari al supermercato. Perché accadrà, tienilo a mente. Le persone non si fermeranno e non è detto che dopo l'udienza cesseranno di avercela con te, forse continueranno per sempre. E tu hai solo sedici anni, Megan, non sarà per niente facile.»

«Mi creda, dottoressa Blackburn: io sto cambiando. Sto imparando a controllarmi di più, ho smesso di piangere per qualsiasi cosa come facevo prima, ho smesso di aspettare che qualcuno venga a consolarmi, sto imparando a dipendere prima di tutto da me stessa, a cavarmela da sola. Io non sarò più debole.»

Rimase in silenzio a fissarmi a lungo, come per studiarmi, per valutare la situazione, per decidere se fidarsi o meno delle mie parole.

«D'accordo. Parlerò con i tuoi genitori e, se saranno d'accordo, allora ti prescriverò la ricetta.»

Sospirai di sollievo: «Grazie mille, dottoressa Blackburn!».

«Megan, dovrai stare molto attenta: non si scherza con i farmaci, possono avere effetti collaterali anche gravi. Dovrai seguire alla lettera le indicazioni che ti darò e dovrai prenderli solo e soltanto in presenza dei tuoi genitori, hai capito?»

«Sì, ho capito. Non la deluderò» tentai di rassicurarla.

«Mi auguro davvero che sia così.»

•••

Dopo la visita dalla dottoressa Blackburn di ogni lunedì pomeriggio, uscii dal suo studio con un gran senso di soddisfazione. Mi sentivo sempre così ogni volta che lasciavo quella casa: più leggera, libera, e anche più sicura di me stessa. Non pensavo realmente che andare da una psicologa mi sarebbe servito, ma mi sbagliavo. Era vero ciò che avevo detto alla dottoressa Blackburn, che grazie a lei stavo cambiando, sentivo di star diventando una persona migliore, una che avrebbe quasi potuto piacermi, a differenza di prima.

Mentre mi incamminavo verso casa, sentii il cellulare vibrare nella tasca dei jeans. A quel punto lo tirai fuori, e vidi un messaggio da parte di Tracey.

"Meg, forse è il caso che tu torni a scuola. Io e Herm dobbiamo dirti una cosa."

Quel semplice messaggio fece sì che cominciassi ad allarmarmi.

Cos'altro c'è?, mi chiesi, cos'altro può andare storto ora che sta già andando tutto in frantumi?

"Tra dieci minuti sono lì" risposi, accelerando il passo e dirigendomi verso la mia scuola.

Avevo il cuore in gola e un pessimo presentimento. Ero così ansiosa di sapere che l'ultimo tratto di strada lo percorsi correndo.

Tracey mi aveva detto di raggiungerla nell'aula dei computer, così una volta entrata dentro scuola, non persi tempo e mi diressi immediatamente lì.
Lei e Herm erano girati di spalle, bisbigliavano qualcosa. Non tentai nemmeno di cercare di capire cosa stessero dicendo, ero troppo impaziente che mi feci subito notare non appena entrai: «Eccomi!» esclamai, prima di fermarmi un secondo a riprendere fiato. «Di... di che... di che si tratta?».

Nel vedermi, sia Trace che Herm si ammutolirono. Tracey si portò una mano sulla bocca, cominciando a mordersi nervosamente le unghie, mentre Herman sembrava quasi paralizzato.

Cosa poteva essere di così orribile?

«Allora?» chiesi con tono incalzante. «Sono corsa fin qui non appena ho... non appena mi hai scritto. Ditemi di che si tratta, vi prego.»

Trace tirò una gomitata a Herm, il quale si riscosse e mosse un paio di passi verso di me. «Io ho... ecco, la professoressa di letteratura inglese ci ha assegnato una ricerca da fare a coppie per questo venerdì, da presentare sotto forma di presentazione su Power Point. Io sono in coppia con Dylan, e oggi ci siamo visti per iniziarlo. Poi lui aveva gli allenamenti e quindi gli ho detto che se mi avesse lasciato la sua chiavetta USB, sarei potuto andare avanti io per un po'. Così, una volta finito il mio lavoro, l'ho salvato sulla sua pen drive e... so che non avrei dovuto farmi gli affari suoi, ma... be', sai come sono fatto, è più forte di me... In fondo non pensavo che ci avrei trovato qualcosa di importante, così ho curiosato un po' fra le sue cartelle e... ho trovato questa.»

Mi indicò un file salvato sul computer di fronte a lui. Mi sedetti e, sebbene la mano mi tremasse un po', aprii il file.

Rimasi a bocca aperta.

Avevo appena detto alla professoressa Blackburn che stava cambiando tutto, che mi stavo trasformando in un'altra persona, una persona più forte.

E invece rieccomi alla situazione di partenza. Ancora una volta, mi sentii profondamente sola, tradita, ingannata, abbandonata. L'aria prese a mancarmi, i respiri divennero sempre più scostanti e affannati, la gola si fece secca, le mani cominciarono a tremarmi, gli occhi a riempirsi di lacrime, che però non fuoriuscirono mai, bloccate non si sa da cosa.

«Mi dispiace, Meg» disse Tracey, chinandosi un po' e avvolgendomi in un abbraccio.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Imperfectworld01