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Autore: AdhoMu    24/04/2019    5 recensioni
SOSPESA
[Lee Jordan/Gwenog Jones]
Dice l'Oracolo:
“Se sei un amante sfegatato di Pluffe e Boccini e il tuo sogno è quello di diventare il più grande cronista di tutti i tempi, esistono grandi possibilità che tu perda la testa per una stella del Quidditch.
Attenzione, però: se la stella in questione è una battitrice del calibro di Gwenog Jones la testa, oltre che metaforicamente, rischi di perderla anche in modo piuttosto... letterale”.
Una storia d'amore a colpi di mazza, di reggae e di Gossip sportivi.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwenog Jones, Lee Jordan, Ludovic Bagman
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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10. (There's a) Natural Mystic (blowing through the air).
 
(...) Di tutti i filtri d’amore, l’Amortentia è il più potente e pericoloso, capace di prosciugare gli oceani e di spostare le montagne. La personalità di coloro che l’assumeranno verrà completamente stravolta: i timidi si faranno audaci, gli spavaldi diverranno miti, i coraggiosi proveranno paura e i saggi si trasformeranno in stolidi. Se ne consiglia la fabbricazione da parte di personale altamente qualificato (...).
[Phineas Bourne, De Potentissimis Potionibus.]
 
Stonehenge, Wiltshire, fine settembre 1997
Completamente avvolto dalla bruma che ammantava le campagne, Lee sedeva sul terreno gelato, la schiena china sulla stele coricata al centro del Cerchio Magico di Stonehenge.
Poteva sentirle frusciare intorno a sé, in un incessante rimpiattino di echi e sussurri che riverberavano sugli immensi triliti di pietra macchiata dai licheni. Erano lì, intorno a lui; e poco importava che si trattasse di anime legate a tradizioni completamente estranee al suo passato: gli spiriti dei druidi celtici gli giravano intorno, invitandolo ad agire.
La bisnonna aveva già previsto tutto da tempo, ovviamente.
Quando, lo scorso luglio, lo aveva chiamato a sé per consegnargli solennemente la scatolina di legno contenente i búzios, l’anziana strega gli aveva comunicato che, ben presto, se ne sarebbe dovuto servire.
- Per che cosa li dovrò usare, nonnina? – aveva chiesto lui, tamburellando col dito sul coperchietto intagliato.
- Questo non te lo so dire, figliolo – aveva risposto lei, enigmatica. – Gli spiriti mi hanno solo incaricato di consegnarti i búzios, tutto qui.
- Ma io non li so leggere, i búzios.
La bisnonna lo aveva guardato fisso negli occhi, espirando lentamente una boccata del suo grosso sigaro.
- Al momento giusto li saprai leggere, invece – gli aveva detto, rassicurante. – Gli spiriti ti daranno una mano, vedrai.
“Gli spiriti degli stregoni Yoruba, forse no” pensò Lee un po’ scoraggiato, incerto sul da farsi. Immerso in un contesto così diverso da quello in cui abistualmente si muoveva la bisnonna, il ragazzo si chiedeva se le divinità afrocaraibiche sarebbero state in grado di raggiungerlo senza smarrirsi fra le dense nebbie del sud dell’Inghilterra.
Come a volergli fornire una risposta, un raro raggio di sole fendette la bruma e venne a depositarsi sulla stele sacrificale assopita davanti a lui, facendo brillare i cristalli di quarzo che costellavano la superficie lapidea.
Sotto lo sguardo incantato del ragazzo, la pietra divenne calda; come per magia (e di certo lo era, per Godric), sul pianale segnato dall’incalzare dai millenni cominciarono a disegnarsi eteree linee luminose che presero a fluire, intrecciandosi in un disegno intricato simile ad una spirale tricefala.
Le spalancò di scatto gli occhi, folgorato.
“Triskele”.
Non c’era alcun dubbio: era proprio lei, la triplice spirale tanto cara ai popoli celtici, uguale e identica a quella che Gwenog, da brava strega gallese qual era, portava appesa al collo infilata in una sottile catenella d’argento.
E Lee comprese.
Gli spiriti dei druidi lo avrebbero aiutato. Per una volta sarebbero stati loro, e non gli orishás, a guidarlo nella lettura dei búzios. Gli avrebbero suggerito il giusto cammino; con il loro aiuto, sarebbe riuscito a ritrovarla.
Risoluto, il ragazzo aprì di scatto il coperchio della scatolina ed estrasse il sacchettino di cotone colorato in cui le piccole conchiglie bianche, simili a piccole bocche corrugate, sonnecchiavano tranquille. Allentati i cordoncini, Lee immerse la mano e ne tirò fuori una manciata abbondante.
Poi, senza più esitare, le lanciò sul pianale di pietra.
 
Avey House, Belfast, ottobre 1997
Aidan Avery si posizionò davanti allo specchio e, con occhio critico, esaminò per l’ennesima volta la sua immagine riflessa nel cristallo. La superficie lucida gli restituì l’immagine di un ragazzone alto, impettito e (per quanto gli fu dato di giudicare) elegante come un principe. Con un gesto misurato della mano, il giovanotto si tirò indietro la chioma scura che, fatto inedito, aveva lavato e, fatto ancor più inedito, aveva pettinato con cura. C’era un capello fuori posto, notò con un certo disappunto; Avery si affrettò a sistemarlo e poi, ugualmente meticoloso, passò a revisionare il vestiario.
La famiglia Avery figurava fra le più antiche, importanti e tradizionali dinastie magiche nord-irlandesi; Aidan e suo fratello Eean (la buon’anima) erano nati ricchi, schifosamente ricchi, il che aveva sempre garantito loro privilegi principeschi e pressoché enormi possibilità di dispendio.
Cosicché quando, qualche giorno prima, si era messo in testa di dover assolutamente rivoluzionare l’intero suo guardaroba (basta, basta con tutti quei capi eternamente neri, dal rigido taglio militare: era tempo di rinnovamento!), il ragazzo non aveva esitato e si era buttato a capofitto nelle più roboanti e rinomate sartorie del Mondo Magico londinese, dalle quali era uscito al termine di un pomeriggio intensivo di shopping lasciandosi letteralmente alle spalle l’equivalente di una piccola fortuna.
Manco a dirlo si era tirato dietro Macnair che, da che mondo era mondo, era sempre stato un indiscusso modello di eleganza per la Casa di Salazar tutta; durante la sessione di acquisti, però, costui si era limitato a starsene seduto con noncuranza sui divanetti delle boutiques, sorseggiando Whiskey scozzese e bofonchiando di tanto in tanto qualche rara espressione di disapprovazione quando il gusto discutibile di Avery rischiava di scadere in ridicoli eccessi. Perché c’è poco da fare: la grana, da sola, non è necessariamente sinonimo di classe; e di questa singolarissima (ma assai diffusa, purtroppo, pensava Macnair con rammarico) verità Avery era sempre stato un esempio oltreché lampante.
Alla fine, dopo averlo dissuaso dal comprarsi una vaporosa gorgiera di pizzo che, secondo lui, lo faceva sembrare un tacchino sul tavolo imbandito del Giorno del Ringraziamento, Bastian Macnair aveva spudoratamente abbandonato la nave e se n’era andato, un’espressione vagamente disgustata dipinta sul volto.
Aidan era rimasto per un altro po’, mortalmente combattuto se scegliere il completo di velluto color bacche di ribes o quello di camoscio a rigoni verdi e argento; alla fine, per dare un taglio all’indecisione, li aveva comprati entrambi, aggiungendovi vieppiù uno stupefacente smoking cangiante di pelo di dugongo.
“Arrivederci, Madama McClain” aveva detto alla titolare del negozio al momento di andarsene, facendosi levitare alle spalle una quantità assurda di pacchi e pacchetti accuratamente infiocchettati.
La strega lo aveva a sua volta salutato con il garbo che si riserva a clienti di tale levatura (e di risaputa pericolosità); soddisfatta, aveva fatto due conti giungendo alla gradevolissima conclusione che, col denaro appena guadagnato, avrebbe anche potuto chiudere baracca e burattini e ritirarsi a Mauritius per trascorrervi gli anni che le rimanevano.
Con la coda dell’occhio, si era poi accorta di un fogliettino che giaceva sul pavimento, probabilmente caduto dalla tasca di Aidan Avery nel momento in cui questi si apprestava ad uscire. Madama McClain si era affrettata a raccoglierlo da terra e aveva aperto la bocca per richiamare il cliente.
- Signor Avery, ha...
La sarta s’era interrotta, stupefatta.
Perché mai, mai avrebbe pensato di associare un simile oggetto ad un tipo losco come quello.
Quella fra le sue mani altro non era che una figurina. Una figurina delle Cioccorane.
Dalla superficie di carta patinata, Gwenog Jones le aveva rivolto un’occhiata trionfante.
 
Castel Lestrange, coordinate imprecisate, ottobre 1997
- Una sudicia cella del Ministero non-è-luogo-appropriato per lei.
Aidan Avery era stato irremovibile su questo punto; e tanto aveva detto, tanto aveva fatto e tanto aveva scassato le balle che alla fine, esasperati, Mulciber e Rookwood avevano acconsentito al trasferimento di Gwenog Jones a più confortevoli locali.
Non prima, però, di essersi lamentati a gran voce con Avery Senior il quale tuttavia, dal canto suo, abituato com’era a cedere da sempre ai capricci del nipote, aveva dato loro l’ordine di procedere.
- Se Aidan insiste tanto – aveva dichiarato con un’alzata di spalle – deve avere i suoi motivi.
C’era poco da fare: il vecchio mago adorava quel suo rampollo che, secondo lui, incarnava alla perfezione gli ideali di rigore e tradizione, nonché di assoluta fedeltà al Signore Oscuro, che si confacevano ad una stirpe magica onorata come la loro. Non come quel mollaccione di Eean, disgraziato ragazzo che, non a caso, era prima stato smistato in Tassorosso e poi, crescendo, lo aveva mortalmente deluso distanziandosi dalla Causa, per poi convolare a nozze con quella traditrice del suo sangue di Keira Caroline Greta Montague, che lo aveva definitivamente irretito inducendolo alla diserzione. Alla fine, per fortuna, l’onta alla famiglia era stata lavata col sangue; il fattaccio, però, ancora bruciava e Avery Senior, punto sul vivo, aveva raddoppiato il suo affetto nei confronti di Aidan.
Che era testardo, bello e capriccioso, bizzoso, oscuro e volitivo come si coviene ad un Avery (per Salazar!). E che, quando esigeva qualcosa, andava assolutamente soddisfatto.
“Sì” aveva pensato Mulciber, scuotendo la testa “me li immagino, i buoni motivi”.
Tuttavia, impossibilitati a discutere le disposizioni del Mangiamorte anziano (le gerarchia era una cosa seria), lui e Rookwood si erano visti costretti a cedere e avevano predisposto il trasferimento.
 
E così, man mano che quel buio e gelido autunno procedeva avvicinandosi inesorabilmente all’inverno, Gwen si era ritrovata rinchiusa fra le spesse mura dell’antico maniero dei Lestrange, fra arazzi tarmati, strati di polvere spessi come Ere geologiche e traballanti mobili mortalmente fiaccati dai tarli.
“Non che si siano dati molto da fare” aveva pensato la ragazza non appena arrivata, osservando l’affaccendarsi scomposto degli elfi domestici che servivano la famiglia. Il castello, in effetti, era in uno stato pietoso ma, evidentemente, ai suoi proprietari andava bene così. Proprietari che, peraltro, non si erano mai fatti vivi (e per Gwenog, senz’altro, era stato meglio così), preferendo soggiornare nei ben più confortevoli alloggi messi loro a disposizione presso la residenza dei Malfoy.
A lei era stata assegnata una camera da letto che, se non fosse stato per i decenni d’incuria che le avevano irrimediabilmente conferito un aspetto sudicio e dimesso, sarebbe stata poca cosa definire lussuosa. Per il resto, alla ragazza era permesso spostarsi per il Castello a suo piacimento; disarmata com’era, infatti, non le sarebbe stato possibile fuggire da quelle solide mura schermate da incantesimi potentissimi.
La pendola appesa in corridoio batté le cinque.
Gwenog trasse un profondo sospiro, ormai rassegnata all’inevitabile.
E difatti un secondo dopo, puntuale come un purgante, la testa bruna di Aidan Avery fece capolino dal caminetto di pietra del salottino.
- Buon pomeriggio, Gwenog cara – cinguettò il giovanotto, rivolgendole uno sguardo intriso di puro affetto. Quel pomeriggio, probabilmente intenzionato a fare colpo, Aidan indossava un completo a giacca ricamato d’oro zecchino (“un’autentica cafoneria” l’avrebbe sicuramente definito Macnair, che detestava le esagerazioni) i cui riverberi le ferirono gli occhi.
- Bu...buon pomeriggio – borbottò lei, recalcitrante all’idea di ricalarsi nei panni della fragile donzella, ma imponendosi di farlo. – Come stai oggi, Aidan carissimo? (“Ti spaccherei la teiera in testa, brutto coglione”).
- Decisamente meglio, ora che ti vedo.
- Oh, che caro – commentò lei, un’espressione assassina immediatamente smorzata e un conato di vomito subito represso. - Vieni, siedi qui: ho preparato il tè...
- Sei assolutamente eccezionale, o divina Gwenog – acclamò lui, prendendo posto sul divano di velluto sdrucito.
Rimasero in silenzio per qualche tempo, lui ad osservarla compiaciuto e lei a rigirare furiosamente il cucchiaino nella tazzina.
“Stai calma, Gwen” si diceva la ragazza, imponendosi un forzato autocontrollo (quesito nel quale, a onor del vero, non era mai stata molto brava). “Tieni a mente il messaggio”.
Già, il messaggio.
Un breve scritto sibillino recapitatole da un’enorme e misteriosa cornacchia nera il giorno in cui Mulciber e Rookwood l’avevano condotta a Castel Lestrange.
Stai al gioco, c’era scritto semplicemente, e aspetta il momento buono.
Gwen non sapeva chi diavolo glielo avesse mandato, ma era abbastanza acuta da comprendere che in quelle poche parole risiedeva la sua speranza di salvezza. E così, sforzandosi di mantenere celato il disgusto e la rabbia, aveva visto bene di fare la sua parte.
Ed era stata anche abbastanza brava in Pozioni da aver intuito quasi subito che, alle spalle del brusco mutamento caratteriale di Avery, c’era in ballo un ben noto preparato magico conosciuto come Amortentia. Una pozione che lei, per quanto piuttosto abile nel maneggiare ampolle e alambicchi, non sarebbe mai stata in grado di preparare ma di cui qualcun altro, evidentemente ben più competente in materia di lei, le aveva fatto avere – sempre tramite cornacchia – un discreto quantitativo.
Ricordati di inserirvi un tuo capello c’era scritto sulla bottiglietta di vetro verde e odorosa di cacao, tabacco e salsedine (l’aroma di Lee, che lei aspirava con struggente nostalgia), rammentandole che, in assenza di quell’ultimo ingrediente, la pozione non avrebbe funzionato. Gwen, ligia, eseguiva.
E tutti i pomeriggi, quando quell’imbecille di Avery veniva a farle visita, non esitava a servirgli una bella tazza di té preparatagli con tanto, tanto amor...tentia.
 
Gli effetti collaterali della pozione avevano sovvertito il suo carattere sanguigno, violento ed esplosivo, trasformandolo in un garrulo e romantico galantuomo d’altri tempi. Non in tutti i frangenti, beninteso. Sul lavoro e nelle spedizioni punitive, infatti, Aidan Avery continuava ad sbadilare la proverbiale crudeltà che lo contraddistingueva.
Con Gwenog, però, il giovane Mangiamorte si comportava come un agnellino di prima lana.
Ogni giorno le portava regalini (quasi sempre orridi, ma da centinaia di galeoni ciascuno), fiori, cioccolatini e amenità del genere; e poi le sorrideva gioioso, guardandola trasognato. Chiaramente non si era mai più permesso di sfiorarle neppure un capello, atteggiamento che lei fomentava il più possibile, assumendo un contegno a dir poco virginale.
Le rare volte in cui Aidan, estasiato, si era azzardato a stringerle delicatamente le mani fra le sue e a sospirare per un suo bacio, lei aveva abbassato gli occhi con falso imbarazzo e gli aveva detto:
- Certe cose, le streghe onorate le fanno solo dopo il matrimonio, Aidan caro...
- Oh, oh, ma certo... perdona il mio ardire, te ne prego.
Se ne andava scornato, col cuore in tumulto e la mente attraversata da pensieri poco ortodossi laddove la sua vera personalità tentava disperatamente di affiorare, ed apprestandosi a trascorrere le ore notturne in preda alla smania e al bollore.
La voleva, eccome se la voleva.
Ma non osava toccarla nel timore di contrariarla; oh! l’amava troppo per poter anche solo pensare di riuscirle sgradito!...
Cosicché, febbrile e insoddisfatto, Aidan Avery viveva nell’eterno purgatorio del puro tormento.
Fu quindi inevitabile che, in quel freddo pomeriggio di ottobre, la situazione giungesse alfine al punto del non ritorno. Deciso a risolvere la spinosa situazione una volta per tutte, il giovane si era infine ripromesso di agire, e così fu.
- Gwen cara – le disse allora, dopo aver trascorso una buona mezz’ora  raccimolando il coraggio.
Lei lo guardò perplessa, insospettita nel riconoscerlo roseo e imporporato.
- Che c’è?
- Ascolta...
E sotto lo sguardo esterrefatto della ragazza, ancora seduta sul divano con la tazza del tè stretta fra le mani, il giovanotto si inginocchiò al suo cospetto ed estrasse dalla tasca della giacca una scatolina di raso verde come il più sfolgorante trifoglio d’Irlanda, contenente un anello d’oro spesso come una ciambella e sormontato da un diamante delle dimensioni di un cubetto di ghiaccio extralarge.
- Gwenog Jones – le disse, con un respiro profondo – mi renderesti l’inestimabile onore di diventare mia moglie?
 
Cottage di Oliver detto “Il Covo”, ottobre 1997
Intento a sistemare i dischi che avrebbero costituito la colonna sonora del prossimo programma di Radio Potter, Lee rimuginava senza sosta.
I búzios erano stati chiari: il loro messaggio risaltava sul pianale di pietra senza dare adito a dubbi; eppure, purtroppo, il responso era stato così sibillino da risultare incomprensibile.
Il cigno e il giaguaro dicevano le nivee conchigliette; Lee, nel tentativo di vederci chiaro, le aveva lanciate e rilanciate più volte, ma l’arcano persisteva, impedendogli di rintracciare Gwen.
La voce un po’roca di Katie che lo chiamava dal corridoio lo indusse ad alzare il capo.
- River.
- Sono arrivati?
- Sì.
Il ragazzo si alzò in piedi e seguì l’amica nel piccolo salotto del cottage che, quel giorno, era particolarmente affollato. La rete di dissidenza imbastita da Radio Potter si ampliava ogni giorno di più, inglobando nelle sue maglie altri nuclei della resistenza. E proprio come rappresentanti di uno di questi nuclei alternativi, quel pomeriggio, due personaggi a lui ben noti erano infine approdati al Covo.
Capelli neri lucidi come vinile, occhi allungati e pelle di porcellana.
Capelli altrettanto lucidi, sguardo scanzonato e sorriso di perla.
- Chang, Davies. Come ve la passate, ragazzi?
 
Post-scriptum:
Nella recensione all’ultimo capitolo, Gatty mi ha giustamente chiesto com’è che Bastian sapeva che Gwen non avrebbe bevuto l’Amortentia durante l’interrogatorio di Avery. Beh, non so esattamente come funzioni questo tipo di pozione, ma ipotizzo che, per renderla effettiva, debba esservi aggiunto un pezzettino della persona che diventerà oggetto d’amore da parte di colui che la berrà (tipo la Polisucco, per intederci). Quindi, nel momento in cui ha servito ad Avery il bicchiere da portarsi dietro, Bastian deve averci messo un capello di Gwen precedentemente estratto, o qualcosa di simile... Oltretutto, conoscendo i metodi del suo “amico”, Bastian sapeva che Avery non avrebbe usato il presunto Veritaserum e che, nel caso improbabile in cui Gwen avesse bevuto la pozione, l’effetto sarebbe stato nullo (salvo forse innamorarsi ancora un pochino di più di se stessa, hehehe).
   
 
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