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Autore: dreamlikeview    24/04/2019    4 recensioni
È nel momento in cui meno te lo aspetti che la tua anima gemella arriva nella tua vita. Può essere il fato, può essere il destino, può essere un fatto accidentale, oppure semplicemente è il tuo cane che decide di farti incontrare la persona giusta con cui passare il resto della vita, e Arthur ne sa qualcosa.
[Merthur, modern!AU, writer!Arthur, student!Merlin, neighbours and puppies, short-fic]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Desclaimer: Storia scritta senza alcun fine di lucro, i personaggi non mi appartengono e non intendo offenderli (ma chiedo perdono per l’OOC, ci sto lavorando, giuro!) 

Nota: I cani sono i migliori amici dell'uomo, ma spesso gli uomini non se ne accorgono.


________________

Arthur Pendragon era uno scrittore, non era ancora molto famoso, aveva pubblicato il suo primo romanzo da un anno ed era molto soddisfatto di se stesso. Amava scrivere, aveva iniziato quando aveva solo sei anni, quando aveva perso sua madre a causa di una brutta malattia, come gli diceva sempre suo padre, e aveva trovato nella scrittura la sua valvola di sfogo. Ancora dopo vent’anni non riusciva a dire che sua madre era morta a causa di un cancro che l’aveva portata via in pochissimo tempo, nella sua famiglia quell’argomento era tabù da anni.
Aveva iniziato scrivendo su un quaderno di scuola il suo diario personale, che consisteva in una serie di lettere indirizzate a sua madre, in cui le raccontava la sua giornata, dei suoi amici, dei litigi con Morgana, sua sorella maggiore, di suo padre che piangeva, ma che non mostrava mai il suo dolore a lui e alla sorella, anche se Arthur riusciva sempre a scorgere lo sguardo triste di Uther e i suoi occhi rossi e velati di lacrime. Aveva continuato a scrivere il suo diario fino ai suoi dodici anni, poi si era reso conto di essere troppo grande per scrivere un diario; ben presto comprese che scrivere era tutto ciò che lo faceva stare bene, che lo aiutava a soffrire di meno. Così aveva chiesto a suo padre un raccoglitore ad anelli, e su quei fogli aveva iniziato a scrivere delle piccole storie, che erano cresciute insieme a lui. Intorno ai quattordici anni, aveva aperto un blog online e aveva pubblicato sul web alcune delle sue storie ed esse avevano riscosso un discreto successo. Quando a sedici anni aveva detto a suo padre di essersi iscritto ad un corso extracurricolare di scrittura creativa per migliorarsi, Uther non aveva ostacolato i desideri del figlio, sebbene desiderasse ardentemente che suo figlio seguisse le sue orme in campo imprenditoriale; e infine, quando aveva diciotto anni, su quel raccoglitore, su fogli nuovi era nata l’idea per il suo primo libro: un romanzo epico incentrato su una versione alternativa delle leggende arturiane di cui si era scoperto appassionato negli anni delle superiori (dopotutto, il suo cartone animato preferito della Disney era sempre stato La spada nella roccia) e aveva lavorato su quel progetto per tutto il tempo in cui aveva frequentato l’università; in quegli anni, tra scrittura, studio e flirt vari, aveva lavorato duramente al suo romanzo e alla fine, dopo la sua laurea, era riuscito nel suo intento: aveva finito di scrivere il suo primo romanzo. Lo aveva fatto leggere a sua sorella e subito dopo a suo padre, il quale, grazie alle sue conoscenze, gli aveva presentato un editore. E da lì in poi era iniziata la sua scalata verso il successo; i primi mesi dopo il lancio del libro, era stato sul filo del rasoio, in attesa di sapere qualcosa. Poi erano arrivate le prime critiche positive, le persone avevano acquistato il suo libro e nel giro di un anno aveva riscosso un modesto successo, il suo editore sosteneva che presto sarebbe diventato un bestseller. Per festeggiare il suo primo traguardo, Morgana gli aveva regalato un cane, un cucciolo di beagle, perché sarai anche uno scrittore ora, ma devi imparare a prenderti cura degli altri e hai bisogno di compagnia in quel tuo freddo appartamento, e sapeva che sua sorella avesse ragione, perché in quell’appartamento si era sempre sentito solo, aveva vissuto lì per tutto il periodo universitario, poiché non molto distante dall’università, e anche dopo la laurea vi era rimasto, ma solo dopo l’arrivo del piccolo Excalibur, gli era sembrato meno vuoto e più confortevole.
Arthur Pendragon rappresentava tutto ciò che un ragazzo della sua età avrebbe voluto essere: era un giovane ventiseienne di bell’aspetto, occhi azzurri come il mare, capelli biondi come il grano, fisico da modello, famiglia ricca, successo in età giovane… eppure sentiva che gli mancava qualcosa. Non aveva ancora trovato la sua musa ispiratrice, l’amore.
Tutta la sua vita ruotava intorno alla scrittura, ed era alla ricerca di un’idea geniale per il suo secondo romanzo, ma tutte le idee che appuntava e su cui provava a lavorare non gli sembravano degne di nota e si ritrovava a cancellare tutto ciò che scriveva, sperava di poterne parlare con sua sorella Morgana, la quale stava finalmente tornando per qualche giorno in Inghilterra. Morgana non aveva voluto fare l’università (il figlio diligente di Uther Pendragon era sempre stato lui) e quando aveva compiuto diciotto anni, la ragazza era volata a Los Angeles per sfondare nel mondo della moda e, dopo aver lavorato come cameriera in alcuni pub famosi della città, era stata notata ed aveva iniziato a lavorare con molte compagnie che cercavano modelle in erba. Quando aveva posato per il suo primo servizio fotografico, Arthur era stato il primo a ricevere le foto in anteprima; le aveva mandato un messaggio, scrivendole che era fiero di lei. Ogni volta che posava per nuove campagne pubblicitarie, Arthur era il primo a ricevere le foto – e alcune volte si era anche atteggiato da fratello maschio geloso, soprattutto quando lei gli aveva fatto conoscere, via videochiamata, un suo spasimante californiano, che poi era diventato il suo fidanzato – come lei era la prima a ricevere news e nuove idee riguardanti i suoi lavori. Quando la sorella lo aveva chiamato dicendogli che sarebbe arrivata quella sera, si era precipitato all’aeroporto e quando l’aveva riabbracciata, si era sentito immensamente felice, sebbene vivessero lontani, avevano sempre avuto un rapporto molto stretto, e si sentivano con costanza, nonostante le tante ore di fuso orario. Morgana lo strinse forte e poi lo guardò con occhio critico: Arthur aveva qualche problema, dedusse dalla barba incolta e dai capelli leggermente più lunghi di quanto li ricordasse. Lo conosceva abbastanza bene da riconoscere i segnali.
«Arthur, dovresti davvero raderti, sei così sciatto con la barba!» lo riprese bonariamente lei, sorridendogli con dolcezza «E guarda questi capelli! Non va bene» affermò sicura scuotendo la testa.
«Ciao Morgana, mi sei mancata anche tu» borbottò il minore, alzando gli occhi al cielo.
 «Certo che mi sei mancato! Ma potevi raderti prima di venirmi a prendere».
Lui sbuffò, ma non rispose a tono. «Vedo che non hai portato il tuo modello californiano con te» osservò con occhio critico, cambiando argomento «O devo dedurre che lo hai nascosto nella valigia?»
«Cretino» rise lei spintonando il fratello, che per tutta risposta sbuffò contrariato «Non fare il fratello geloso» lo rimproverò.
«Ma io lo sono» disse lui sorridendo soddisfatto; Morgana alzò gli occhi al cielo e rise di nuovo «Allora dove lo hai lasciato?» chiese Arthur, curioso di sapere che fine avesse fatto quel tipo – che non gli piaceva molto, ad essere onesto.
«A Los Angeles, doveva lavorare, ma non vede l’ora di conoscerti di persona!» esclamò lei pimpante.
«Non vedo l’ora…» borbottò lui con sarcasmo.
«Nostro padre non è venuto?» chiese Morgana, cambiando argomento.
«Aveva da fare, ci aspetta per cena, sai com’è lui» rispose Arthur, mordendosi le labbra. Nell’ultimo periodo, Uther non era stato benissimo, Arthur l’aveva accompagnato in ospedale più volte per dei controlli, ma aveva preferito non dirlo a Morgana, mentre era lontana non gli era sembrata l’idea più giusta, ne avrebbero parlato insieme da vicino. «Quanto resti?» chiese il minore con aria speranzosa, ignorando il fluire dei suoi pensieri.
«Non dovrei avere alcun incarico fino al mese prossimo, quindi per almeno tre settimane sono tutta tua!»
«Ma è grandioso!» esclamò Arthur abbracciandola e sollevandola da terra, la sorella lo strinse forte e gli diede un bacio sulla guancia. Poi il biondo la lasciò andare e, dopo aver galantemente preso la sua valigia per non farla portare a lei, insieme raggiunsero la sua auto, poi Arthur sistemò la valigia della sorella nel cofano e alla fine entrambi salirono a bordo dell’auto. «Preferisci stare da me o da papà?»
«Penso che verrò da te, non vedo l’ora di vedere quanto è cresciuto Excalibur!»
«Oh, non ti lascerà libera un momento, ne sono certo!» esclamò ridendo. Mise in moto l’auto e guidò verso casa, senza smettere un attimo di sorridere, gli sembrava che avendo la sorella al suo fianco, ogni cosa sarebbe andata bene. Il viaggio dall’aeroporto a casa sua durò una mezz’oretta e lo passarono a cantare a squarciagola le canzoni che passavano alla radio, facendo a gara a chi stonasse di più – Arthur aveva la prerogativa nel vincere questa particolare attività – e ridendo, esattamente come quando erano ragazzini e facevano impazzire Uther con quel loro bizzarro gioco. Quando parcheggiò nel suo posto auto nel cortile adibito a garage della palazzina in cui viveva, Arthur notò che poco lontano da lì c’era un grosso tir dei traslochi e molti pacchi accantonati in uno dei posti auto vuoti. Ora che ci pensava, l’appartamento di fronte al suo era vuoto da mesi, l’inquilina del piano di sopra gli aveva raccontato che quella casa era stata acquistata da un vecchio medico in pensione, e che egli l’aveva lasciata in eredità ad un nipote a lui molto caro, e che questo ragazzo sarebbe andato a vivere lì. Non aveva mai visto quell’uomo, perché già quando lui era andato a vivere lì era molto anziano, e poi Arthur non era molto propenso a farsi gli affari altrui; sperava solo che il nuovo inquilino non fosse un maleducato.
Senza più badare al camion dei traslochi, prese la valigia di Morgana e con lei salì al primo piano, la portò nel suo appartamento,  dove, appena prima di mettere piede in casa, fu assalito dall’euforia del piccolo Excalibur, che lo aveva aspettato da solo per tutto quel tempo – Arthur era solito portarlo sempre con sé ovunque, perché gli dispiaceva guardare i suoi occhioni che lo supplicavano di non lasciarlo solo, ma in aeroporto sarebbe stato impossibile portarlo.
«Ehi, campione!» esclamò accovacciandosi per terra, passando la mano sulla sua testa e tra le sue orecchie lunghe, il cucciolo rispose con un abbaio allegro e una leccata alla sua mano. Excalibur era un bellissimo esemplare di beagle maschio di sei mesi: musetto allegro, occhioni scuri e languidi, pelo morbido marroncino e bianco, le orecchie lunghe e morbide. Faceva molti dispetti, aveva sempre e costantemente fame, rosicchiava i piedi delle sedie e la notte si accoccolava vicino a lui, invece di andare nella sua cuccia, spesso occupava tutto il letto, ormai la poltrona del salotto era di sua proprietà e gli riempiva le giornate come nessun altro. «Ti sono mancato, eh?» domandò, e fu risposto da un altro abbaio e Arthur rise di gusto, coccolandolo ancora un po’. Poi il cagnolino passò a scodinzolare ai piedi di Morgana, la quale senza troppe cerimonie, lo prese in braccio ed entrò in casa, iniziando a chiacchierare con il cucciolo. Un’altra delle sue caratteristiche: era capace di attirare su di sé l’attenzione di chiunque, persino quella di Uther. Portò la valigia della sorella nella stanza degli ospiti e poi tornò in salotto.
«Arthur, è semplicemente delizioso!» esclamò entusiasta sua sorella «Sono fiera di te!»
«Grazie Morgana» disse lui sedendosi accanto a lei sul divano «È stato il regalo migliore che abbia mai ricevuto».
«Io so sempre cos’è meglio per te» disse lei sorridendo. Arthur si ritrovò ad annuire, lui e Morgana avevano sempre avuto un rapporto speciale sotto quel punto di vista, lei aveva sempre saputo di cosa avesse bisogno lui per stare bene e viceversa.
E il loro rapporto si era rafforzato giorno dopo giorno, soprattutto dopo la batosta che la loro famiglia aveva subito quando entrambi erano molto piccoli, Arthur ricordava bene il periodo successivo alla morte di sua madre e il dolore del padre, il suo e quello di Morgana.
«Lo so, è per questo che ti voglio bene».
«Aw, il mio fratellino tenerone!» esclamò lei, sorridendo e appoggiandosi al minore «La distanza ti ha rammollito?»
«Non dire assurdità» borbottò lui imbarazzato, non era solito lasciarsi andare a confessioni d’affetto, di qualunque natura esse fossero «Mi sei solo mancata, non lo dirò più per le prossime tre settimane» affermò piccato.
«Fingi, fingi, tanto ormai sei stato beccato» disse punzecchiandogli il fianco «Avanti, Excalibur, diglielo tu che ormai è stato beccato!» esclamò Morgana. Per tutta risposta, il cucciolo abbaiò scodinzolando e Arthur gonfiò le guance.
«Traditore» borbottò il biondo, scuotendo la testa, poi guardò la sorella con furbizia e sorrise.
Morgana scoppiò a ridere e lasciò andare il cucciolo, prima che il fratello piombasse su di lei iniziando a farle il solletico, facendola ridere di gusto, e non si fermò fino a che lei non lo supplicò di smetterla, con le lacrime agli occhi per le risate.
«Sei un somaro» affermò lei scuotendo la testa divertita. Arthur stava per ribattere, quando il suo telefono vibrò: un messaggio di suo padre, voleva sapere se Morgana era arrivata e se stava bene, il suo viso si rabbuiò un attimo, ricordando ogni cosa passata nell’ultimo periodo, ma si impose di non far preoccupare Morgana.
«Nostro padre chiede di te, ti va di anticipare la nostra visita da lui?» chiese, alzandosi dal divano.
«Perché no? Non lo vedo da tanto» disse lei, poi alzò lo sguardo sul fratello e lo guardò comprensiva «Sicuro che vada tutto bene, fratellino?» chiese «Hai assunto un’aria strana quando ti è arrivato il messaggio».
«Cazzo, tu dovevi fare psicologia, altro che fare la modella» mormorò scuotendo la testa «Non è niente, tranquilla»
«Dimmi la verità, avanti» sbuffò lei incrociando le braccia al petto.
Arthur sospirò, era inutile continuare a nasconderglielo, l’avrebbe scoperto a suon di occhiatacce «Ultimamente papà ha avuto qualche piccolo problema di salute» spiegò brevemente, guadagnandosi un’occhiata piena di stupore e preoccupazione da parte della maggiore «Niente di grave!» aggiunse «L’ho accompagnato più spesso per alcuni controlli e ha il diabete un po’ alto, tutto qui» disse «Solo che è stato male e io… beh, ho avuto paura, ecco» spiegò alla sorella.
«Sicuro che sia solo questo? E perché non mi hai detto niente?» chiese lei, guardandolo.
«Certo, non te l’ho detto per non farti preoccupare» disse il ragazzo mortificato «Eri lontana e non era giusto allarmarti solo per la mia paura folle di perdere un altro genitore, no?»
«Artie, la prossima volta chiamami. Anche se non riesco ad arrivare subito, almeno posso starti vicino in quei momenti». Arthur sospirò e senza dire nulla, annuì alle parole della sorella. Lei gli sorrise con dolcezza e appoggiò una mano sulla sua spalla, comprendeva il suo dolore e lo condivideva, così come la sua paura «Stai tranquillo, andrà tutto bene. Lui è un osso duro, no?»
«Certo, è un Pendragon» rispose il biondo, l’ansia che pian piano svaniva da lui.
«Appunto. Adesso, andiamo da papà, forza, sono sicura che muore dalla voglia di rivedere tutti e tre!» esclamò prendendo Excalibur in braccio «Vero, piccolo?» il cagnolino per tutta risposta scodinzolò ancora.
«Con me non fa mai così» borbottò Arthur, mentre recuperava la pettorina, il guinzaglio e le ciotole del suo cane, prima di uscire insieme alla sorella. Prima di scendere le scale che portavano al pian terreno, osservò gli scatoloni impilati sul pianerottolo davanti alla porta che stava di fronte al suo appartamento. Se si fosse concentrato bene, avrebbe notato la sagoma di un giovane intento ad aprire la porta e forse gli avrebbe dato una mano con gli scatoloni, ma non lo notò e scese le scale in fretta per raggiungere la sorella.
 
La cena con suo padre e sua sorella era stata infinitamente lunga, ma trascorrere un po’ di tempo in famiglia era ciò di cui aveva bisogno, pur vedendosi spesso con suo padre, soprattutto quando doveva accompagnarlo in ospedale, aveva bisogno di passare un po' di tempo tutti insieme, la nostalgia era il sentimento predominante in lui, in quel periodo, e forse era per questo che il suo secondo romanzo non sembrava aver voglia di nascere. Ogni cosa che scriveva gli sembrava scialba e priva di significato. Aveva perso la magia? Aveva perso la sua passione? Com’era possibile non riuscire a produrre nulla, se non schifezze? Era frustrato, ma non voleva deludere nessuno, per questo non parlava con nessuno, neanche i suoi amici sapevano cosa passasse nella sua mente in quel periodo. Aveva detto di essere concentrato sul lavoro e di non aver tempo per nessuno, ed era vero, ma aveva anche bisogno di qualcosa che riscuotesse il suo animo e gli facesse ritornare la passione che sembrava essere andata persa. No, non era davvero persa, era solo sopita e necessitava di qualcosa che lo scuotesse e gli desse la spinta per dare il meglio di sé. Prima di quel momento di stasi, aveva sempre tirato fuori il meglio di sé solo quando era triste o sotto stress; come quando tornava a casa stanco dopo una giornata di lezioni e apriva il suo quaderno e scriveva; come quando dopo un esame sfogava la tensione in eccesso sulla carta, come quando trascriveva al PC il suo romanzo, nello stesso periodo in cui scriveva la tesi. Ecco, rivoleva quei momenti, quelli in cui riusciva a gettare su un foglio ogni cosa che provava e lo trasformava in qualcosa di bello. Alla fine della cena, Morgana aveva detto ad Arthur che avrebbe trascorso la prima notte in Inghilterra da Uther, perché voleva assicurarsi che il padre stesse bene, e il biondo aveva capito il suo desiderio, sarebbe andato a prenderla il giorno dopo, la cosa bella di essere uno scrittore era proprio quella di non avere orari per scrivere, poteva scrivere di notte, di giorno, di pomeriggio, quando voleva, purché l’ispirazione fosse presente. Aveva appena parcheggiato l’auto, quando Excalibur gli fece capire di dover fare i suoi bisogni, così era uscito con lui dall’auto e lo aveva portato a spasso nel quartiere. Erano appena le undici di sera, quando la sua vita cambiò.
Gli piaceva quel quartiere, le luci di notte erano soffuse, ma non troppo, non davano fastidio, ma permettevano una buona visuale, Londra era caotica anche di notte, ma quel quartiere era particolarmente tranquillo.
Poi improvvisamente, mentre passeggiavano, Excalibur iniziò a tirare forte, Arthur si chiese se si fosse spaventato o altro, ma il cane lo trascinò; provò ad opporsi e a tirarlo nella direzione opposta, ma quel cane era un testardo e oppose resistenza, fino a che il padrone non gli permise di seguire quella strada, a quel punto Arthur era curioso di capire il motivo di tanto caos da parte sua. Sperava solo che non avesse annusato qualcosa da mangiare, quel birbante ne sarebbe stato capace. E, se così fosse stato, stavolta avrebbe sporto reclamo, perché non era la prima volta che degli incivili lasciavano dei cartoni di pizza abbandonati e il suo cane ci si tuffava dentro.
«Ehi, ti vuoi calmare?» domandò Arthur. Il cane si arrestò in quel momento e abbaiò, scodinzolando, Arthur quasi cadde per terra. Davanti a loro c’era un altro beagle – ecco cosa l’aveva attratto – e lo scrittore rimase fulminato quando i suoi occhi si posarono sul padrone del beagle, era un giovane incantevole. Illuminato dal fascio di luce del lampione sembrava un angelo, si potevano notare i capelli scuri, gli zigomi pronunciati, gli occhi azzurri, le labbra sottili e belle, le orecchie un po’ a sventola, ma incantevoli; era bellissimo e Arthur era rimasto rapito dalla sua fisionomia.
«Non è aggressivo» si ritrovò a dire Arthur a discolpa del suo cane «Gli piace giocare con i suoi simili».
«Tranquillo, lo so» disse sorridendo il moro «Sono cani molto giocherelloni». Santo cielo era bello fisicamente e aveva una voce sexy. Chi diavolo era?
Ma chi sei tu che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?
«Non me lo dire» ridacchiò il biondo «Ha sempre voglia di giocare, anche quando dovrei lavorare».
«Ti credo!» esclamò il moro «Il tuo è un maschio, giusto?» chiese poi per precauzione, i due cani si stavano studiando e annusando in maniera molto attenta, abbaiando appena e iniziando a giocare insieme.
«Sì, giusto. Mentre immagino che la tua sia una femmina».
L’altro annuì sorridendo: «Uhm, io sono Merlin» disse il moro presentandosi porgendogli la mano libera «Sono arrivato oggi in città».
«Arthur» si presentò a sua volta, stringendogli la mano e sorridendo. Le coincidenze…
«Mi stai prendendo in giro?» chiese, Arthur si accigliò «Il nome. Arthur, ti sei presentato così a causa della leggenda?»
«No, mi chiamo davvero Arthur» rispose lui divertito «Arthur Pendragon».
«Quell’Arthur Pendragon? Lo scrittore?» chiese allibito Merlin con gli occhi spalancati «Oh mio dio, non ti avevo riconosciuto con il buio! Adoro il tuo libro sulle avventure del principe Arthur, è una figata pazzesca!» esclamò.
«Sono felice di sapere che ti piace, ti ringrazio».
«Ti chiederei un autografo, ma… sai, sono un po’ impossibilitato al momento» ridacchiò Merlin imbarazzato, Arthur notò con piacere le sue gote arrossate e anche la punta delle sue orecchie di quel colore.
«Beh, vivo qui in zona, magari ci incrociamo di nuovo, Merlin».
«Davvero? Che coincidenza, mi sono trasferito in questo quartiere oggi, nella palazzina all’angolo» disse indicando la strada e Arthur spalancò gli occhi.
«Grosso camion e enormi pacchi?» chiese il biondo, il moro annuì «Sei il mio nuovo vicino, assurdo!»
«Beh, sono stato fortunato» borbottò il moro ancora rosso in volto.
«Anche io» ribatté il biondo, facendolo arrossire ancora di più. Lo vide respirare affaticato per un secondo, e riprendere in fretta lucidità, ricordandosi dei loro cani che si stavano ancora annusando a vicenda, molto soddisfatti della cosa.
«Allora, pensiamo alle cose importanti» mormorò Merlin accovacciandosi per terra «Come si chiama questo campione?»
«Excalibur» rispose con fierezza il biondo.
«Adesso mi stai prendendo in giro» ribatté il moro guardandolo con sfida «Non puoi aver chiamato il tuo cane con il nome di una spada» disse allibito e divertito al tempo stesso «Sei un po’ megalomane, la fama ti ha dato alla testa?»
Arthur scosse la testa indignato: «Porto il nome del grande re, il mio cane doveva avere per forza un nome epico» rispose «E poi non sono così famoso da potermene vantare, sai?»
Merlin rise, prima di ribattere. «Non potevi, che ne so, scegliere uno dei cavalieri della tavola rotonda?»
«No» borbottò in risposta, era stata Morgana a suggerirlo, ma non lo avrebbe di certo detto ad un estraneo «E sentiamo, la tua come si chiama?»
«Aithusa, è il nome di un drago».
«Credo di aver usato un nome simile nel mio libro, l’hai chiamata così dopo aver letto il libro, Merlin?» chiese divertito.
«No, l’ho scelto perché è un bellissimo nome e il mago di cui io porto il nome è un potente stregone capace di dominare i draghi» rispose alzando la testa in segno di sfida. Ad Arthur piacque subito il suo atteggiamento.
«E poi io sarei il megalomane?» chiese il biondo divertito.
«Lo siamo entrambi allora» disse Merlin, prima di scoppiare a ridere di nuovo. Arthur, in quel momento, si innamorò di quella risata e rise anche lui. Forse aveva appena trovato la sua musa ispiratrice.
«Che ne dici, visto che siamo vicini, torniamo a casa insieme?» chiese lo scrittore all’altro.
«Mi farebbe piacere» rispose sorridendo «Così potrai farmi quel famoso autografo».
«Ci sto».
 
§§§
 
Alla fine Merlin aveva ottenuto il suo autografo con una piccola dedica/augurio in aggiunta: Al mio nuovo vicino di casa, sperando che questo sia solo l’inizio di una bell’amicizia – Arthur Pendragon; e non aveva ottenuto solo quello, oh no.
Merlin era una forza della natura, era tutto ciò che Arthur riusciva a pensare ogni volta che lo incontrava. In pochi mesi aveva scoperto su di lui un sacco di cose: aveva ventiquattro anni, solo due in meno rispetto a lui, si era trasferito nel vecchio appartamento dello zio per risparmiare sull’affitto della sua precedente abitazione, era uno studente universitario all’ultimo anno di cinematografia, sognava di diventare un regista e sceneggiatore famoso, amava i cani, veniva da una famiglia non molto agiata, ma aveva lavorato duramente, spesso cambiando lavoro, per potersi permettere di studiare all’università, attualmente lavorava come commesso in un negozio di articoli per animali e faceva il volontario in un’associazione no profit che cercava casa agli animali domestici abbandonati – gli aveva raccontato che la sua cagnetta era stata abbandonata appena nata e lui se ne era occupato fin dai primi giorni, era stato lui a trovarla sul ciglio della strada e a portarla in salvo – ed era sempre piacevole parlare con lui, spaziava da un argomento all’altro con facilità e loro due erano molto affini; inoltre, fin da quando lo aveva incontrato, la sua verve artistica, che sembrava svanita nel nulla, era tornata e si sentiva ispirato come mai in vita sua. Quando lo guardava sentiva mille emozioni diverse, si sentiva diverso lui stesso, ogni volta che gli parlava o lo osservava era un puro incantesimo. E lui scriveva, scriveva come quando era ancora uno studente, scriveva tutto ciò che gli veniva in mente, Merlin era decisamente la sua musa ispiratrice e senza che lui se ne rendesse conto, il personaggio principale del suo secondo libro, aveva molte caratteristiche di Merlin, come i suoi occhi azzurri che sembravano pozze d’acqua marina, il suo atteggiamento euforico, ma a tratti malinconico – Arthur si era ripromesso di indagare a riguardo – e tanti altri piccoli dettagli. Morgana aveva adorato Merlin fin dal primo momento, quando il moro aveva bussato alla sua porta e gli aveva chiesto se per caso avesse una bustina di tè in più perché il suo era finito, Arthur aveva trovato naturale invitarlo ad entrare e offrirgli una buona colazione, preparata ovviamente dalla sorella (lui e i fornelli non erano mai stati amici). Morgana, quando Merlin era tornato nel suo appartamento, aveva subito incoraggiato il fratello a frequentare quel ragazzo perché passi troppo tempo da solo, Artie, devi trovare qualcuno che passi il tempo con te! E mai come quella volta, era stato felice di seguire un consiglio della sorella. Quel ragazzo era la persona giusta per lui, lo sapeva.
Lui e Merlin si incontravano spesso, avevano appuntamento fisso ogni sera, uscivano insieme ai loro cuccioli e li portavano a passeggiare nel quartiere, chiacchierando, qualche volta Merlin gli raccontava aneddoti riguardanti la sua giornata – oggi la lezione è stata di una noia tremenda, oppure il cucciolo di labrador che abbiamo trovato due mesi fa, oggi ha trovato una casa! – e Arthur gli raccontava dei suoi progressi con il suo libro, e Merlin insisteva per poter dare un’occhiata, ma lo scrittore era irremovibile, nessuno poteva sbirciare i suoi lavori prima della loro conclusione; era una persona che tendeva a riscrivere alcune parti, gli capitava di cambiare molti dettagli, rileggendo i capitoli,  e non voleva che qualcuno rimanesse deluso scoprendo che quel particolare passaggio era stato cambiato. Anche se era difficile resistere agli occhioni di Merlin, quando lo supplicava. Aveva ceduto solo una volta e gli aveva mostrato una sola pagina di un racconto che aveva scritto, ma che non era ancora finito; lo sguardo esterrefatto e illuminato del moro gli aveva fatto passare qualsiasi malumore. Non riusciva a capire, Merlin gli piaceva, eccome se gli piaceva, ma non riusciva a capire l’altro cosa pensasse: lo frequentava solo perché era uno scrittore? O solo perché i loro cani si piacevano?
Excalibur aveva un vero e proprio debole per Aithusa (sì, esattamente come Arthur l’aveva per Merlin) e una sera quando un pastore tedesco aveva abbaiato contro la cagnetta, il beagle di Arthur aveva abbaiato contro il cane mettendosi davanti a lei. Per fortuna i tre cani non avevano avuto modo di incrociarsi da vicino, o Arthur non osava immaginare come sarebbe finita; esattamente come lui, il suo cane si gettava in prima fila davanti alle ingiustizie, come quando lui a sedici anni, aveva sfidato un bullo perché gli aveva dato del frocio e invece di piangersi addosso, gli aveva tirato un pugno dritto sul naso, nello stesso modo il suo cane stava difendendo l’altra beagle da un cane ostile. Papà è fiero di te, Excalibur, aveva pensato in quel momento sorridendo fiero. Onde evitare litigi o peggio, Merlin aveva deciso per tutti di cambiare strada. Erano ritornati alla palazzina un’ora dopo, e si erano salutati sul pianerottolo come al solito, ma a differenza delle altre volte, Merlin si era voltato verso di lui e: «Ti va di prendere una cioccolata calda?» gli aveva chiesto con le gote arrossate per l’imbarazzo e poi aveva aggiunto «Posso farti anche un tè o un caffè…»
«Mi piacerebbe davvero una cioccolata calda» gli aveva risposto Arthur e l’altro l’aveva invitato ad entrare nel suo appartamento e gli aveva fatto strada verso la cucina, dove tra una chiacchiera e l’altra, mentre i loro cani si inseguivano e giocavano, facendo anche le capriole sul divano del soggiorno, avevano consumato la loro cioccolata calda. Era quasi l’una di notte, quando Merlin aveva accompagnato Arthur alla porta, scusandosi con lui per averlo fatto stare in piedi fino a quell’ora, ma Arthur sarebbe rimasto lì ancora per ore, anche fino all’alba, pur di passare del tempo con lui. Prima che lui andasse via, il moro si sporse verso di lui e gli diede un bacio sulla guancia, poi rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto, chiuse subito la porta con le gote rosse per l’imbarazzo scaturito dal gesto avventato e anche molto gradito dal biondo.
Arthur era rientrato nel suo appartamento con le gote rosse e lo sguardo scioccato e allo stesso tempo sognante, come un adolescente alla prima cotta – no, lui non aveva affatto ventisei anni suonati – si era toccato il punto che Merlin gli aveva baciato e aveva sospirato sognante e il suo cuore aveva perso un battito ricordando il calore di quelle labbra sul suo viso. Quella era stata l’ennesima notte insonne per lo scrittore, che era rimasto in piedi fino alle quattro di mattina a scrivere. Tuttavia, le domande sull’altro continuarono a tormentarlo. Perché non gli dava segnali più evidenti? Perché non era diretto? E ancora: se mi frequenta solo perché sono famoso? Se vuole solo questo? Ma Merlin non sarebbe il tipo, giusto? O sì? Non lo conosco ancora abbastanza bene… e altri. Si arrovellava il cervello per capire cosa stesse accadendo nella sua vita, ma soprattutto nel suo cuore. Eppure, da quando aveva incontrato Merlin, aveva ripreso a lavorare al suo romanzo con costanza, e rinnovata passione. Scrivere a sua sorella non era pensabile, soprattutto perché conoscendola, lei gli avrebbe suggerito di fregarsene dei dubbi e gettarsi a capofitto nella nuova situazione, da una parte non voleva fasciarsi la testa prima di rompersela, dall’altra non riusciva a smettere di farsi domande e a dubitare. Però una cosa era certa: Merlin gli piaceva e gli piaceva anche tanto.
Sospirò accarezzando il dorso morbido del suo cucciolo e sospirò. «Non siamo poi tanto diversi io e te» mormorò «Entrambi abbiamo un debole per l’affascinante vicino». Il cane alzò lo sguardo contrariato, come se il padrone lo avesse disturbato durante il suo sonno, poi si acciambellò contro il suo fianco e appoggiò il musetto sulla sua pancia, sbuffando. «Grazie» mormorò Arthur iniziando ad accarezzarlo fino a prendere sonno. Okay, persino il suo cane gli stava dicendo di smetterla di comportarsi come un adolescente alla sua prima cotta e prendere in mano la situazione. Così, mentre scivolava tra le braccia di Morfeo, decise: il giorno successivo avrebbe chiesto a Merlin di uscire.
 
 
Quando quella sera Excalibur gli portò il guinzaglio, ricordandogli dell’abituale passeggiata serale, Arthur era un fascio di nervi, non si sentiva così fin da quando aveva chiesto per la prima volta a Gwen di uscire – e con lei non era andata bene, anche se alla fine erano rimasti buoni amici. Non frequentava nessuno fin dai tempi in cui frequentava l’università, troppo impegnato con la sua arte per pensare ad uscire seriamente con qualcuno, e poi non aveva mai incontrato nessuno che ne valesse la pena, non come Merlin. Aveva anche fatto le prove disastrose davanti allo specchio, ma non era riuscito a concludere nulla. Era troppo agitato, ma era certo che in qualche modo avesse fatto, sarebbe riuscito nell’intento; dopotutto lui era Arthur Pendragon, il mago della seduzione! Pft, aveva avuto così tanti amanti all’università! Certo, li rimorchiava nei pub e poi il giorno dopo non ricordava nemmeno il loro nome, ma doveva pur significare qualcosa, giusto? I suoi amici gli avrebbero dato dello sfigato, oh sì. Soprattutto Gwen e il suo ragazzo, Lance, gli avrebbero detto che non era da lui avere tutti questi dubbi, che l’Arthur che conoscevano loro era determinato e fermo sulle sue idee e sui suoi desideri, che mai avrebbe tentennato in quel modo. Certo, anche lui lo sapeva, ma davanti a Merlin perdeva qualunque sua caratteristica positiva. Merlin era in grado di destabilizzarlo in ogni senso.
«Okay, okay, ho capito!» esclamò quando l’abbaio del suo cane iniziò a risuonare come un lamento nelle sue orecchie. Senza più pensare, fece indossare la pettorina al suo cucciolo e insieme a lui uscì dall’appartamento. Nello stesso momento in cui lo fecero anche Merlin e Aithusa. Arthur restò imbambolato davanti a lui per qualche istante, prima di riscuotersi, grazie ad Excalibur che lo strattonò per andare a salutare la sua amica scodinzolando.
«Ciao Merlin» lo salutò con un sorriso enorme stampato sulle labbra.
«Ciao Arthur» rispose l’altro con lo stesso tono, forse un po’ stanco. Il moro aveva delle giornate davvero frenetiche e si stupiva come ogni sera riuscisse a ritagliarsi quella mezz’ora che passavano insieme. Era il suo momento preferito della giornata, quando vedeva Merlin e insieme portavano i loro cani a spasso. Doveva tirare fuori il coraggio e chiedergli di passare più tempo insieme, sì, doveva farlo. Uscirono dalla palazzina l’uno accanto all’altro e presero a passeggiare. Merlin gli raccontò che quella giornata era stata davvero sfiancante per lui e che sarebbe tornato presto a casa per non crollare addormentato in strada. Così dopo aver fatto un breve giro dell’isolato, ritornarono entrambi alla palazzina, Arthur si diede dell’idiota per non aver tentato prima di chiedere a Merlin di uscire, ritornò in sé e prima di aprire la porta, si voltò verso di lui. Nello stesso momento lo fece anche il moro e si guardarono per istanti che parvero infiniti.
«Mi chiedevo…» iniziò Arthur, spezzando il silenzio che si era creato.
«Ascolta, domani ti va di guardare un film insieme?» chiese Merlin interrompendolo, facendogli spalancare gli occhi «Insomma, andare al cinema insieme, ti va?» rettificò la sua domanda. Oh. Arthur restò impietrito un paio di secondi, lo aveva preceduto, Merlin gli aveva chiesto di uscire prima che lui potesse fare lo stesso, assurdo. Il suo cuore iniziò a battere un po’ più forte senza che lui lo premeditasse e si ritrovò a sorridere come un ebete «Io… scusa, forse hai altri impegni…» balbettò il moro dopo qualche istante di silenzio.
«No! No, nessun impegno!» esclamò il biondo «Certo che mi va, magari dopo, uhm, potremmo mangiare qualcosa insieme» aggiunse, perché non avrebbe mai lasciato il suo patetico tentativo di chiedergli di uscire irrisolto.
Il volto di Merlin si aprì in un enorme sorriso gioioso «Credevo non me lo chiedessi più».
«Tu aspettavi che io…?»
«Sai, sei un bravo scrittore, ma sei pessimo a capire le persone» mormorò Merlin scuotendo la testa divertito «Domani sera, film e cena insieme allora? Abbiamo finalmente un appuntamento?»
«Sì» biascicò il biondo «Sì, abbiamo un appuntamento».
«Forte».
 
 
La sera successiva, Arthur era, di nuovo, abbastanza nervoso. Gli appuntamenti non facevano per lui, e se si faceva prendere dall’ansia rischiava di comportarsi in modo ridicolo, e sperava che il suo primo appuntamento con Merlin andasse bene come sperato, si era vestito piuttosto casual, una camicia rossa, i jeans scuri e si era sistemato più volte i capelli, nell’intento di sembrare decente – anche se era piuttosto certo di essere attraente anche con degli stracci addosso – e per completare il quadro, qualche goccia di colonia.
«Okay» disse a se stesso guardandosi nello specchio «Posso farcela».
 Si abbassò per dare una carezza al suo piccolo Excalibur, gli dispiaceva da morire lasciarlo da solo a casa, ma al cinema era vietato l’ingresso ai cani e non poteva cambiare le loro stupide regole; era anche consapevole che al suo ritorno avrebbe trovato le sue pantofole preferite rosicchiate, insieme al paio di scarpe che aveva dimenticato di rimettere nella scatola e probabilmente anche qualche piede di sedia sarebbe stato rosicchiato a causa dell’ira del suo cane. La prima volta che l’aveva lasciato solo, aveva trovato un cuscino sventrato e sparso sul pavimento, mentre Excalibur riposava placidamente nella sua cuccia, soddisfatto di aver recato danni al suo padrone traditore.
«Non fare danni, okay?» si raccomandò con il cane «Ti ho lasciato una ciotola piena d’acqua, i croccantini e i tuoi giochini preferiti. Papà torna presto, okay?» il cucciolo lo guardò con sguardo languido, come per dirgli traditore, perché mi lasci solo? E Arthur si sentì un verme, quasi avrebbe dato buca a Merlin, se non fosse stato lui «Dai, è importante per me, se va bene con Merlin tu passerai molto tempo con Aithusa, non ti fa piacere?» un abbaio e uno scodinzolare furono le sue risposte alla domanda «Bravo, ecco così mi piaci! Il mio campione!» esclamò fiero del suo amico, accarezzandogli il pelo «D’accordo, adesso augurami buona fortuna e spera che vada bene! Dammi la zampa!» Excalibur alzò la zampetta appoggiandola su quella del padrone e Arthur sorrise soddisfatto, dandogli un biscottino. Poi lo salutò definitivamente, e accompagnato da quello sguardo languido, uscì di casa, dopo aver preso una rosa; l’aveva acquistata quella mattina per Merlin, era un gesto stupido, ridicolo e romantico, ma lui era fatto così, era un gentiluomo dopotutto. Udì solo una volta la voce del suo cucciolo abbaiare, poi capì che fosse andato dritto verso le sue scarpe o le ciabatte. Poco male, le avrebbe ricomprate. Attraversò il pianerottolo e raggiunse l’appartamento di Merlin, dal quale sentì la voce del vicino rassicurare la cagnolina e dirle che sarebbe tornato presto. Arthur sorrise, alla fine lui e Merlin non erano poi così diversi. Suonò il campanello, e il moro aprì la porta. Arthur giurò di aver appena visto un angelo, quel ragazzo aveva una bellezza delicata, che lui avrebbe definito angelica, gli sorrise dolcemente e «Aspetta, do un premio ad Aithusa e arrivo».
Arthur annuì e restò lì immobile, in attesa che il suo angelo lo raggiungesse. Patetico, stupido, riprenditi, maledizione!
«Eccomi» disse il moro raggiungendolo, Arthur gli sorrise di rimando «Ciao Arthur».
«Ciao Merlin» ricambiò il saluto il biondo «Sei incantevole stasera».
«Grazie» rispose il moro arrossendo leggermente «Neanche tu sei male». Il moro gli sorrise dolcemente e Arthur si incantò di nuovo davanti a lui, dannazione, doveva darsi un contegno o avrebbe fatto la figura dell’idiota; si riscosse un momento e gli porse la rosa che teneva ancora tra le dita.
«Per me?» chiese Merlin, prendendo il dono tra le mani, arrossendo leggermente. Si morse le labbra per non emettere alcun suono di sorpresa, aspettando la risposta del biondo, che non tardò ad arrivare.
«Sì» Arthur sorrise notando le sue gote rosse «Sono un gentiluomo, io».
«Con questo gesto mi stai dicendo che mi vedi come la donna della coppia?» chiese scettico, spalancando gli occhi di sorpresa, lo scrittore restò di sasso, non aveva mai pensato una cosa del genere, voleva solo essere romantico.
«N-No, volevo solo fare qualcosa di carino per te» rispose Arthur a disagio, pregando tutte le divinità esistenti di non essere arrossito dopo quella risposta. Sentiva le sue gote rosse come pomodori maturi e un calore innaturale su di esse, sperava che Merlin non se ne accorgesse grazie alla scarsa illuminazione del pianerottolo dove si trovavano.
«Sta’ calmo, Arthur, scherzavo» disse il moro, regalandogli un enorme sorriso che da solo sembrava illuminare l’ambiente scarsamente illuminato «In realtà, mi fa molto piacere che tu abbia deciso di portarmi un fiore, anche se siamo due uomini» spiegò, prendendogli delicatamente una mano «Dimostra che tipo di persona sei…» fu in quel momento che Merlin lo guardò negli occhi e Arthur si perse in quelle gemme azzurre «Non ti credevo capace di arrossire» scherzò subito dopo, per tagliare l’imbarazzo che si era creato tra di loro. Merlin era così, riusciva a mettere chiunque a suo agio con lui, anche se la sua sola presenza era in grado di sconvolgere dal profondo una persona, almeno per Arthur era così.
«Idiota» borbottò Arthur, fingendosi irritato, ma tradendosi con un sorriso dolce «Andiamo?» chiese subito dopo, udendo due abbai quasi all’unisono provenire dai loro appartamenti, probabilmente i loro cuccioli avevano fiutato la loro presenza lì fuori e li stavano pregando di tornare dentro. Cielo, se non avesse promesso a Merlin di accompagnarlo al cinema e poi di andare con lui a cena fuori, sarebbe tornato dentro e avrebbe chiesto perdono ad Excalibur per averlo lasciato solo. Ed era certo che lo stesso avrebbe fatto Merlin con la sua Aithusa.
«Sì, andiamo. Prima che ci costringano a rientrare» disse Merlin intrecciando le sue dita con quelle di Arthur, in realtà il suo fu un azzardo, non sapeva come l’altro la pensasse su quel tipo di dimostrazioni in pubblico. Ma Arthur invece di lasciargli la mano gliela strinse, quindi reputò il suo azzardo ben giocato.
Fianco a fianco, mano nella mano, uscirono dalla palazzina e si incamminarono verso l’auto di Arthur, si sentivano entrambi emozionati e speravano che quella serata andasse nel migliore dei modi. Mentre raggiungevano l’auto, il silenzio stava diventando opprimente ed imbarazzante, quindi Arthur si prese la briga di spezzarlo, rompendo il ghiaccio.
«Sai già quale film guarderemo?» chiese guardandolo.
Merlin annuì «È il film di un… regista emergente. Dicono che sia bello» disse a disagio, senza guardare Arthur.
«Wow, tu sì che sei esaustivo quando spieghi le cose» scherzò il biondo «Hai altre brillanti esposizioni o devo indovinare da solo?» chiese ironicamente, sperando che l’altro capisse che stesse solo scherzando, ma lo vide incupirsi appena. Che aveva fatto? Aveva appena rovinato tutto, scherzando come un quattordicenne? Ma quale problema aveva?
«Scusa» borbottò Merlin «In realtà non è un film, stasera proiettano il cortometraggio che io e un mio compagno di corso abbiamo realizzato per un progetto che abbiamo presentato ad un concorso» spiegò brevemente, tenendo lo sguardo basso «E abbiamo vinto, quindi…»
«Cosa?» chiese Arthur «E non mi hai detto niente?»
«Io, uhm… credevo… non volevo che ti sentissi obbligato e… ti avrei proposto di guardare un altro film, ma…» iniziò balbettando, Arthur sbatté le palpebre incredulo, ma poi si sciolse in un sorriso dolce, non era l’unico ad essere ansioso per la serata, anche l’altro lo era, come aveva fatto a non capirlo subito?
«Merlin, sarei venuto con te lo stesso, giusto perché tu lo sappia, senza sentirmi obbligato» gli disse il biondo. Udendo quelle parole, le labbra di Merlin si stesero in un dolce sorriso rilassato, e Arthur si rese conto di aver detto la cosa giusta per la prima volta, doveva averlo fatto per forza, e l’avrebbe rifatto altre mille volte per rivedere quel meraviglioso sorriso.
«Sai sempre qual è la cosa giusta da dire?» chiese il moro, che era arrossito fino alla punta delle orecchie dopo le parole di Arthur, sapere che il biondo l’avrebbe accompagnato ugualmente al cinema, nonostante avesse saputo che il film che andavano a vedere era un suo cortometraggio che aveva vinto un concorso, lo faceva sentire bene, accettato.
«Ovvio». Merlin rise rilassato e Arthur lo seguì nella risata, conducendolo finalmente alla sua auto. Una volta davanti alla vettura, il biondo galantemente aprì la portiera al moro e lo invitò ad entrare, facendolo arrossire di nuovo.
«Wow, prima la rosa, poi tutta questa galanteria… stai cercando di conquistarmi, Pendragon?» chiese, riacquistando quel suo caratteristico modo di rivolgersi a lui, che finalmente diede ad Arthur il sentore che tutto stesse andando bene. L’imbarazzo iniziale andava scemando e loro iniziavano ad essere un po’ più loro stessi, non avrebbe saputo come comportarsi se fossero stati in imbarazzo per tutto il tempo tra di loro.
«Ci sto riuscendo?» chiese in risposta il biondo, ottenendolo solo uno sguardo interrogativo e un sorriso furbo.
«Vedremo» affermò il moro, chiudendo da solo la portiera dell’auto. Arthur alzò gli occhi al cielo e una risata cristallina uscì dalle sue labbra, mentre raggiungeva il lato del guidatore ed entrava anche lui in auto. Chiunque avesse messo Merlin sulla sua strada, avrebbe avuto la sua intera gratitudine. Trascorrere il tempo con lui era una continua montagna russa di emozioni e di sentimenti messi in discussione. Il sorriso che gli rivolse quando anche lui entrò in macchina, riuscì a mettere a tacere tutti i dubbi che in quei giorni avevano popolato la sua mente. Probabilmente Merlin era davvero interessato a lui come persona e non come scrittore. Si disse di smetterla di comportarsi in quel modo e fare esattamente tutto quello che il se stesso dei tempi dell’università avrebbe fatto per conquistare qualcuno.
Raggiunsero il cinema in meno di dieci minuti, durante i quali chiacchierarono del più e del meno, delle ultime marachelle dei loro cani, e sperando che non facessero loro troppi dispetti quella sera. Quando entrarono nel cinema, Merlin si allontanò da lui per raggiungere un ragazzo e abbracciarlo – forse era il suo compagno di corso – e indicò nella direzione di Arthur sorridendo in modo davvero imbarazzante, Arthur avvertì un leggero fremito di gelosia nel fondo del suo cuore, ma si morse le labbra e restò zitto. Poi quel tizio indicò a Merlin una ragazza agli ingressi e vide il moro annuire. Ritornò da lui scusandosi dicendogli che quello era il suo collega di università con cui aveva lavorato al progetto il quale gli aveva indicato la persona a cui dare il nome. Raggiunsero gli ingressi alle sale e Merlin si presentò come l’ideatore del cortometraggio che avevano in programmazione per quella sera e fece presente che Arthur era il suo più uno, l’ingresso era libero, ma erano stati riservati alcuni posti per gli ideatori del video, il professore che li aveva seguiti nel concorso e per un eventuale accompagnatore. Solo in quel momento, Arthur si rese conto che Merlin avesse voluto lui, invece di chiunque altro a quella presentazione. Il suo cuore batté un po’ più forte e se lo strinse contro, mettendogli un braccio attorno ai fianchi, sorridendo. Avrebbe voluto baciarlo lì, in quel momento, davanti a tutti. La giovane indicò loro la sala in cui ci sarebbe stata la presentazione, li fece accomodare e augurò loro buona serata.
«Sei davvero così bravo da essere finito in un cinema prima della laurea?» chiese Arthur per rompere di nuovo il ghiaccio. Non capiva come mai tra di loro si creassero quei momenti di silenzio imbarazzante, ma si disse che forse era solo causa del primo appuntamento e delle emozioni che stavano provando, era plausibile.
«Ho vinto un concorso» rispose il moro, guardandolo «Che c’è? Tu puoi aver venduto tantissime copie alla tua età e io non posso avere un cortometraggio al cinema? Hai paura della concorrenza, grande scrittore?»
«Pft, sta’ zitto Merlin, i miei libri saranno di sicuro più belli dei tuoi filmetti». Merlin per tutta risposta gli diede un leggero pugno sulla spalla, e il loro battibecco continuò fino a che le luci non si abbassarono. Tacquero per la mezz’ora successiva, solo perché Merlin era in tensione per la sua prima produzione riprodotta in un cinema e Arthur era rapito dalle scene. Sapere che dietro quel lavoro c’era Merlin, lo rendeva stranamente euforico. Quando il corto finì, il professore di Merlin dal centro della sala presentò i due giovani studenti che avevano realizzato quel lavoro e anche se le persone in sala erano poche, scoppiarono in un fragoroso applauso rivolto ai due giovani, Arthur compreso che guardava Merlin con uno sguardo pieno d’ammirazione e di amore. Uscirono dal cinema tenendosi per mano e la ragazza che li aveva accolti, disse loro che erano una coppia meravigliosa ed entrambi arrossirono subito dopo aver ringraziato la giovane.
«Muoio di fame» si lamentò Merlin «Troppe emozioni, suppongo».
«Sei stato davvero bravissimo. Dico davvero, non sono un esperto di cinema, ma hai fatto un lavoro strepitoso».
«Grazie…» disse a bassa voce, baciandogli la guancia con delicatezza in segno di ringraziamento. Arthur si ritrovò ad arrossire di nuovo, ma cercò di mascherare il suo imbarazzo.
«Allora, grande regista, dove vuoi andare a cenare?»
«Se ti dico che andrebbe bene qualunque posto abbia del cibo?» Arthur ridacchiò alle sue parole «C’è un chiosco che fa dei panini ottimi qui vicino» aggiunse il moro subito dopo «Perché non andiamo lì?»
«Un chiosco?» chiese Arthur «Ma ti ho invitato a cena fuori» ribatté spalancando gli occhi «Pensavo che proponessi il cinese, o l’italiano, o qualsiasi tipo di cucina…»
«Sono una persona semplice» rispose Merlin, abbassando lo sguardo imbarazzato, certo, Arthur non era abituato ad uscire con quelli economicamente disagiati come lui, di certo le sue fiamme precedenti avevano richiesto grandi gesti, lui invece si sarebbe accontentato di un panino consumato insieme, dopo aver visto un film – o il suo cortometraggio come in quel momento – bastava solo la compagnia reciproca. «Scusa, forse preferiresti un altro tipo di persona…»
«No, no, ehi» Arthur si avvicinò a lui e gli prese il volto tra le mani, Merlin trattenne il fiato «Mi hai solo sorpreso, nessuno mi aveva mai proposto un panino al chiosco come cena di un primo appuntamento» disse, accarezzandogli gli zigomi con i polpastrelli, lo sentiva tremare sotto le sue mani e anche lui era un fascio di nervi in quel momento «Sta’ tranquillo, non devi scusarti, sei perfetto così come sei» sussurrò ad un palmo dal suo viso.
«Allora, panino al chiosco e passeggiata serale ad Hyde Park?»
«Se è questo ciò che desideri» soffiò Arthur sulle sue labbra «Avrai ogni cosa da me» promise, prima di sfiorare le sue labbra con un leggero bacio a stampo, che immobilizzò entrambi. Arthur si chiese per un momento se il suo gesto non fosse stato troppo avventato, ma poi vide le labbra di Merlin tendersi in un sorriso dolce e allora ritentò, e stavolta senza esitazione, lo baciò senza alcun imbarazzo, tenendogli il viso tra le mani, mentre l’altro si avvicinava un po’ di più a lui e ricambiava il bacio mettendogli le braccia dietro al collo.
«Finalmente» biascicò il moro, quando per necessità d’ossigeno si separarono «Erano due mesi che aspettavo questo bacio» disse Merlin, prendendo la mano di Arthur e incamminandosi con lui verso il chiosco. Quello era l’appuntamento migliore di tutta la sua vita, mai prima di quel momento si era sentito tanto euforico e felice nello stesso momento.
«Avresti potuto baciarmi prima tu, idiota» ribatté il biondo, guardando l’altro divertito.
«Che gusto ci sarebbe stato?» chiese innocentemente il moro «Sei tu il maschio alfa, no?»
«Sei proprio uno scemo» mormorò dandogli un leggero bacio a stampo. Ed è per questo che ti amo.



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Hola people!
Did you miss me? 
Spero di sì. Allora partiamo dalla cosa fondamentale di tutta questa storia. Quanto sono adorabili i beagle. Io ho un beagle e lo amo alla follia e il cane di Arthur è praticamente la descrizione del mio. Dispetti a profusione, non posso aprire un pacchetto di crackers senza che lui già sia sotto ai miei piedi, si prende tutto il letto la notte e simili. Oppure quando vado all'università, mi guarda e mi dà della traditrice. E quando torno fa le feste come se non mi vedesse da millenni. E niente questa ONE SHOT, divisa ovviamente in tre capitoli, (l'ho rifatto, ma mi perdonate, vero? çç) è nata così, da una passeggiata con il mio Marley che mi ha quasi fatta cadere per terra per raggiungere un barboncino dall'altro lato della strada. Ma non c'erano nè Merlin nè Arthur dall'altro lato, sad me, anzi quel tizio era anche particolarmente antipatico. Quindi dalla mia disavventura mi sono detta “però! Sarebbe carino se Arthur e Merlin avessero un cane e si incontrassero in questo modo, stile la carica dei cento uno” e tra il dire e il fare c’è di mezzo solo… la tastiera e quindi è nata nel giro di due notti e doveva essere una one shot. Inizio a pensare di avere qualche problema LOL
Come al solito, i personaggi si sono impossessati di me ed è venuta fuori una cosa troppo lunga per essere una one shot come avevo programmato. Ah, lo faccio sempre. 
Ho approfittato della “pausa accademica” come ha detto il mio professore di estetica, per dedicarmi un po’ alla correzione delle mie storie e ho deciso di regalarvi questa cosa! (anche se dovrei studiare, ma... pfttttt) Spero vi piaccia! In attesa di cose più sostanziose che finirò di scrivere, si spera, presto.
E quindi non vi libererete di me per le prossime due settimane, u.u vi avviso, è molto fluff e Arthur è imbarazzantemente romantico (m’è uscito così, mi metterà alla gogna per aver fatto uscire il suo lato romantico, lo so, chiedo venia).
E' ispirata alla canzone Accidentally in love (cliccate sul titolo per ascoltarla, ma spero che la conosciate!)
Spero che vi piaccia e vi diverta un po', e vi do appuntamento alla prossima settimana per un nuovo capitolo!

Sciao! Stay tuned!

PS come al solito chiedo viena per eventuali errori, pur rileggendo tante volte, mi sfuggono anche se non vorrei :(

   
 
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