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Autore: Elis9800    24/04/2019    9 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VIII
 

Occhi cangianti
 
 

 

 
“Insomma, l’assicurazione era tenuta a un rimborso proporzionale al valore dei gioielli rubati! Il loro comportamento è stato assolutamente irrispettoso e non professionale! Sono davvero infuriata per come hanno agito nei miei riguardi, senza tener conto della situazione attuale! Ho appena subito un furto! Non possono affibbiarmi la colpa di quanto accaduto solo per una minuscola dimenticanza nel contratto! Oh buon Dio, non posso pensarci… erano ricordi legati alla mia famiglia da generazioni, non posso davvero sopportare un ulteriore torto come questo…”
 
La donna nervosamente seduta sulla poltroncina di pelle al di là della scrivania in noce gesticolava con parecchia enfasi, voce rotta da tremolii rabbiosi pregni di sconforto.
 
Nonostante l’eccentrico abbigliamento e il tono acuto parecchio arduo da ignorare, il legale sembrava non essersi minimamente accorto di tale presenza all’interno dell’ufficio.
 
La sua mente era completamente deserta.
Uno spianato rettilineo arido e vuoto.
 
Tuttavia, di tanto in tanto, un indistinto eco lontano s’insinuava prepotentemente tra le sinapsi.
 
Non ne conosceva la provenienza, ma guadagnava terreno a gran velocità, riecheggiando tra i propri emisferi come un mantra insistente, distogliendolo sgradevolmente dalla pianura desolata che avrebbe preferito contemplare.   
 
Quella litania, quella cantilena molesta…
Assomigliava orribilmente a uno scomodo quesito.
 
 
Perché?”
 
 
Sbuffò sonoramente, picchiettando rumorosamente le dita della mano sinistra sui fascicoli beige disordinatamente sparsi per la scrivania.
 
Non avrebbe dovuto essere talmente difficile rispondere.
Né tantomeno così frustrante.
 
Maledizione, perché diavolo…
 
“… e adesso si rifiutano persino di contribuire al rimborso per cui erano obbligati! Cosa posso fare, sono disperata…”
 
Una vena iniziò a pulsare pericolosamente sulla fronte di Tobio.
 
Che aveva tanto da ciarlare quella tizia?
Non capiva che quella voce da gallina era assolutamente snervante?
 
Interferiva fastidiosamente con i pochi pensieri sensati che il suo cervello stava faticosamente cercando di generare.
 
Già era arduo ricomporre i pezzi degli avvenimenti della domenica precedente.
Replicare sensatamente alla fottuta domanda che gli assillava l’anima, poi…
 
“Come hanno potuto? Come? Non possono farlo, vero? Mi dica che…”
 
“E stia un po’ zitta, maledizione! Non capisce che la sua voce stridula mi sta perforando il cranio?!”
 
Non si rese immediatamente conto d’aver reagito a quel ronzio lacerante che gli molestava la mente.
L’urlo era fuoriuscito dalle proprie labbra in maniera perfettamente indipendente.
Nemmeno la stava guardando quella tizia, in fondo.
Era solo intensamente concentrato nel non farsi esplodere il cervello in mille brandelli.
 
“C-come?”
 
Alzando distrattamente gli occhi dal legno del tavolo, registrò finalmente la figura della donna vestita di giallo e rosa.
Lo guardava con spalancati occhi vitrei, le cui palpebre erano macchiate da chiazze di mascara sbavato.
Le labbra pallide tremavano flebilmente.
Sullo sfondo, Nakamura svettava immobile, sguardo basso rivolto all’ingombrante agenda stretta tra le braccia.
Nemmeno un singolo muscolo facciale pareva muoversi.
 
Quella visione patetica causò l’innescarsi di un meccanismo imprevisto all’interno delle sue viscere.
 
Non ne comprese l’origine.
Non si disturbò nemmeno di domandarselo.
 
Un’ondata di rabbia anomala lo pervase da capo a piedi nel giro di pochi millisecondi.  
 
“Cosa le fa pensare che m’interessi la sua lagna?! Mi sta solo facendo perdere tempo! Piuttosto che strepitare sterili invettive perché non mi riferisce informazioni più utili? Le pare che blaterare le sue disgrazie m’importi qualcosa, eh!?”
 
Quel ringhio minaccioso non era pronosticato.
La sua etica professionale non prevedeva la perdita della consueta fredda tempra.  
Tuttavia…
 
Quelle lamentele, quelle idiozie senza capo né coda, quello sfogo blando e immotivato di certi sentimentalismi…
 
 
“Ha fretta perché vuole andare ad aiutare il suo cliente, Kageyama-san?”
 
 
“Ma come si permette!?”
 
L’acuto squittio della donna lo riconnesse con il mondo terreno, scollegandolo brutalmente da quel violento ricordo.
 
“Come può denigrarmi così dopo ciò che ho…”
 
“Non me ne frega un accidenti di quello che lei ha passato o provato o cosa diavolo sia stato. Non sono qui per ascoltare i suoi piagnistei! Adesso si sbrighi ad andare dritta al sodo o mi farà tardare per il prossimo appuntamento” sputò con talmente tanto disprezzo che persino la paurosa Nakamura sollevò la testa con espressione accigliata.
 
Trascorsero secondi di tesissimo silenzio, intermezzato soltanto dal fragore dai neuroni impazziti di Tobio.
La parte più ricondita della sua mente era in totale in subbuglio.
 
Non aveva mai perso la propria forzata formalità prima d’ora.
 
Non gliene fregava nulla dei clienti, ma non poteva mica mandarli al diavolo, no?
Era ciò che aveva appreso durante i primi mesi d’apprendistato, non era mica un idiota.
 
Non aveva mai finto, mai simulato una compassione che non possedeva.
Non aveva mai voluto seguito le orme di Oikawa-san, in tal senso.
Scostante lo era sempre stato, eppure…
 
“Me ne vado” mormorò con voce spezzata la donna, alzandosi febbrilmente e afferrando con mano instabile la borsa appoggiata allo schienale della poltroncina.
 
Una risata sprezzante abbandonò le labbra del legale in maniera inquietantemente spontanea.
 
“E chi le risolverà la questione, allora? Gli avvocati della Kobayashi Insurance sono tra i più abili in circolazione. Non se la caverà con gli inetti a basso prezzo che riuscirà a trovare in giro. La sua sarà una perdita al cento per cento”
 
Il volto di Tobio era segnato da una beffarda smorfia di superiorità.
 
Nessuno sarebbe stato in grado di confutare tale verità.
Nessuno sarebbe riuscito a contraddirlo.
 
Quella tizia avrebbe dovuto chinare la testa, esattamente come tutti gli idioti facilmente emozionabili con cui aveva di malavoglia trattato in passato.
 
Il risultato, non il metodo.
Il fine, non il mezzo.
 
No?
 
“Non m’importa”
 
Quelle parole lo colsero di sorpresa soltanto per un misero istante.
 
Quella persona si stava comportando da stupida, esattamente come la maggior parte della gente che lo aveva sempre circondato.
 
Idiota, scialba…
 
“Piuttosto che esser rappresentata da un individuo come lei…”
Non concluse la frase, mordendosi le labbra sottili.
 
Debole.
 
 
“Io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”
 
 
Debole.
 
“Non sono il suo psicologo” sputò fuori Tobio rabbiosamente, mutando atteggiamento in modo decisamente straniante.
 
La donna quella volta sostenne lo sguardo del corvino, con una fermezza talmente inaspettata da fargli arcuare il sopracciglio.
 
“No, infatti” sibilò, serrando i pugni che stringevano il manico della borsa nera.
 
“E’ soltanto un uomo senza sentimenti”
 
Non si prese nemmeno la briga d’inchinarsi in breve segno di congedo.
Si girò con uno scatto e si diresse a passo rapido verso la porta a vetri, avvicinandosi la mano al viso per asciugare le dispettose lacrime d’imbarazzo.
 
 
 
Per qualche minuto nessuno in quella stanza d’ufficio parve esalare un singolo fiato.
 
Poi, d’un tratto, una voce sottile, quasi rauca, come se fosse rimasta in silenzio per un tempo indeterminatamente lungo… s’insinuò vischiosa come un serpente nelle orecchie del legale.
 
“Era davvero necessario?”
 
Tobio puntò le iridi blu in quelle scure di Nakamura.
 
Forse per la prima volta da quando quella ragazza era divenuta la sua segretaria personale, prestò davvero attenzione al suo volto.
 
Ammetteva senza riserve di provare pura indifferenza nei confronti di moltissimi individui.
 
Nakamura non costituiva un’eccezione.
Certe volte aveva persino difficoltà a ricordarne il nome.
Tuttavia avrebbe potuto giurare che, in quei quarantotto mesi, la ragazza l’avesse sempre guardato con un certo timore.
 
Eppure, in quel momento…
Quegli occhi, quegli occhi sempre nascosti da spesse lenti d’occhiali scuri…  
Erano velati di una sfumatura molto diversa dal consueto.
Non rabbia, non paura ma...
 
Disgusto?
Possibile?
 
Pietrificato, Tobio scorse la brunetta stringere forsennatamente al petto l’agenda, come se potesse trasmettergli conforto e, con un fulmineo inchino, uscire rigidamente dalla stanza per addentrarsi nel corridoio est, la cui visuale gli era preclusa.
 
Continuò a fissare il punto in cui la segretaria era sparita per minuti indefiniti.
 
Era disgustata da lui?
Nakamura?
 
Una nuova sensazione di confusione stava addentrandosi nel cervello fin troppo saturo di pensieri, attenuando l’ira immotivata che l’aveva travolto come un fiume in piena appena qualche minuto prima.
 
Perché avrebbe dovuto sentirsi disgustata?
 
Lo guardava sempre in preda alla soggezione poiché cosciente del suo atteggiamento scostante, no?
Perché sorprendersi allora della manifestazione concreta della sua risaputa intolleranza nei confronti di stupidi sentimentalismi?
 
Perché diavolo comportarsi come se fosse stato lui il problema e non quella stupida piagnucolante…
 
Interruppe seccamente il flusso dei propri ragionamenti, digrignando i denti.
 
Maledizione, ma cosa gli importava?
 
Quella ragazzetta scialba poteva pensare ciò che desiderava.
Per lui non avrebbe comportato alcuna differenza.
 
Nessuno poteva scalfirlo.
Nessun essere insignificante sarebbe riuscito a metterlo in discussione.
Nessuno poteva fargli cambiare idea su quelle ridicole, stupide baggianate…
 
 
“Ha fretta perché vuole andare ad aiutare il suo cliente, Kageyama-san?”
 
 
“Merda!”
 
La sonora imprecazione di Tobio risuonò come un ringhio tra le pareti in vetro, immediatamente seguita da un vigoroso sbattersi del pugno sulla scrivania.
 
Lo scoppio d’ira furibonda era improvvisamente tornato come un vulcano in eruzione.
 
Che cazzo ne poteva sapere del perché quel fottuto idiota dai capelli rossi aveva reagito a quel modo tre giorni prima?
 
Che ne sapeva del motivo per cui non si sentivano da ben settantadue ore?
 
Che poteva sapere di…
 
 
“Richiedano? Vuoi dire anche per un semplice attacco emotivo?”
“Soprattutto quando sono emotivamente fragili”
 
 
Il ricordo di quella discussione fu simile a un inaspettato colpo di frusta.
 
Una gocciolina di sudore freddo gli percorse l’intera spina dorsale.
 
Quel giorno aveva semplicemente affermato quanto realmente credeva, no?
 
Non aveva mica detto nulla di errato.
Non aveva aggiunto nulla che quel rosso già non conoscesse di lui, no?
Non aveva agito in maniera inesatta.
 
Di sbagliato c’era solo l’idiota, malata convinzione, quella ridicola idea che…
 
 
“Il nostro compito non è soltanto curare una malattia. Lì o si vince o si perde, senza possibilità di scampo. Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!”
 
 
“Stronzate… tutte stronzate!”
 
Sapeva già con che razza di persona stava interagendo.  
Era a conoscenza che quel microscopico medico fosse un vero e proprio strambo.
Sapeva che stava uscendo con un…
Con un…
 
Debole.
 
Ecco, sì.
 
Era debole, quell’insignificante scricciolo di essere umano.
 
Fragile in tutto e per tutto.
 
Lui non aveva compiuto nulla a sproposito.
 
Aveva seguito, più o meno, tutti i consigli di Akaashi, Kuroo e Bokuto.
Aveva rispettato ogni norma, ogni comma, ogni piccolo cavillo di quello che poteva esser considerato un “appuntamento”.
 
Aveva lasciato decidere al medico il luogo in cui incontrarsi.
Era giunto in perfetto orario.
Aveva pagato per entrambi pranzo e ingresso al parco.
 
Si faceva così, no?
Glielo avevano insegnato persone con anni di relazione alle spalle.
 
Lui non aveva compiuto alcun errore.
Aveva seguito alla lettera ogni indicazione di quello strano protocollo.
 
Non sbagliava mai nel rispettare un regolamento, per quanto contorto esso potesse apparire.
 
Allora, perché mai…
 
“Fanculo” sibilò tra i denti, alzandosi bruscamente dalla poltrona e facendo scivolare sul pavimento marmoreo qualche fascicolo colorato.
 
Un bel getto d’acqua gelida sul viso gli avrebbe sicuramente consentito di ripristinare la solita tempra imperturbabile.
 
 
 
 
 
 
“Ehi, Naka-kun! Che ti prende?”
“E’ successo qualcosa? E’ raro vederti così agitata”
“Problemi a casa o qualcosa bolle in pentola?”
 
Le due segretarie dal tailleur scuro guardarono la collega entrare come una furia nell’ampia sala ristoro dell’ufficio e sbattere con violenza l’inseparabile agenda sul tavolo al centro dell’ambiente.
“Vuoi che ti prepari un tè?” chiese ancora la ragazza dalla lunga treccia bionda, abbandonando il tono scherzoso e avvicinandosi ai fornellini posti lungo la parete color crema.
“Grazie, Tomomi” mormorò Nakamura con voce malferma, sedendosi stancamente su una delle tante sedie in tessuto.
 
 
Per qualche minuto nessuna aprì bocca.
L’unico brontolio di sottofondo che teneva loro compagnia era il ribollio dell’acqua sui fornelli.
 
“Ecco” mormorò dolcemente Tomomi non appena il tè fu pronto, piazzando dinanzi alla brunetta un’affusolata tazza di ceramica.
“Allora?” indagò senza perder tempo la segretaria dai lunghi capelli corvini, ricevendo un’occhiataccia di rimprovero dalla collega.
Nakamura bevve lentamente un lungo sorso della rigenerante bevanda calda e, dopo un profondo sospiro…
“Non lo sopporto più quell’uomo!” strillò con voce rotta dall’esasperazione.
Le due ragazze sedute al suo fianco spalancarono gli occhi, colte decisamente alla sprovvista.
“Stai… stai parlando di…”
“Sì, esatto. Di lui, di quel… quell’insensibile bastardo!” sputò con voce maggiormente risoluta, stringendo convulsamente la tazza bianca tra le mani.
“Non ce la faccio più, non riesco più a tollerarlo! Non…” s’interruppe, perdendo la verve iniziale per cedere il posto a un senso di spossatezza opprimente.
“Non voglio più lavorare per lui” singhiozzò alla fine, portandosi il dorso della mano destra al viso e scoppiando a piangere convulsamente.
“Oh, tesoro” l’abbracciò la collega dai capelli lisci, stringendola a sé.
“Non piangere così, non ne vale la pena per quel…”
“Invece fa bene a sfogarsi, Yukari” sbottò Tomomi, balzando su dalla sedia e incrociando le braccia sulla camicetta bianca.
“Sopporta quello spocchioso da ormai due anni. Io non avrei resistito nemmeno un mese” sentenziò scuotendo la testa.
“Per non parlare di quanto sia maleducato. Non potrò mai dimenticarmi quando, per lo spavento che ti ha fatto prendere, ti sei rovesciata il caffè sui vestiti e lui non si è nemmeno scusato!” saettò velenosa Yukari.
Tomomi s’incupì violentemente, torcendosi i poveri capelli biondi tra le dita.
“Ha avuto anche la faccia tosta di dire che non era stata colpa sua. Se Kunimi-san e Kindaichi-san non fossero intervenuti gli avrei sbattuto la borsa in testa” sibilò.
“Non ti ha nemmeno offerto di portare a smacchiare la camicetta. E’ un vero cafone” rincarò la dose Yukari, scuotendo i lunghi capelli e strofinando confortante la mano sulla schiena di Nakamura.
“E’ stato Kunimi-san a ricomprartela, vero?” parlò a quel punto, sfilandosi gli occhiali scuri e tamponandosi le palpebre umide di lacrime.
Sul viso di Tomomi nacque un sorriso gentile.
“So che può sembrare quasi apatico la maggior parte del tempo, però… Kunimi-san è davvero una brava persona. Insomma, avrebbe potuto disinteressarsi completamente, non era stato lui a compiere alcun torto. Eppure…”
Lasciò la frase in sospeso, abbassando le iridi chiare sulla camicetta ricamata in pizzo.  
“Si è parecchio arrabbiato quel giorno. Era preoccupato che ti fossi ustionata gravemente” ricordò Yukari con un sorrisetto sulle labbra rosee.
“Anche Kindaichi-san con te si è preso un bello spavento, vero? Quando ti sei accidentalmente conficcata la pinzatrice nel pollice è stato tutto il pomeriggio al pronto soccorso con te e ti ha persino riaccompagnata a casa! Un vero gentiluomo” commentò maliziosa Tomomi con un occhiolino verso la collega, che le rispose con una linguaccia.
Si rivolse poi nuovamente verso Nakamura, appoggiando le mani sui fianchi con aria agguerrita. 
“Ed è così che ci si comporta, non come quel tiranno! Ti tratta come una pezza nonostante tu sia sempre impeccabile! Compi sempre il tuo lavoro alla perfezione, certe volte non so nemmeno come tu faccia a esser così veloce, eppure…”
Troncò la frase, scuotendo violentemente la testa.
“Sopporti sempre ogni fatica, ogni critica… io non ce la farei” concordò Yukari con una smorfia triste.
Nakamura chinò lentamente la testa, fissando il pavimento piastrellato come se potesse vedervi attraverso.
 
Era la pura verità.
 
Aveva sempre tollerato tutto nella sua vita.
Poteva quasi esser catalogato come un suo talento.
Non lamentarsi, non parlare mai a sproposito, non discutere sugli ordini.
Nonostante la stanchezza, aveva persino scoperto di provare una certa soddisfazione nel compiere il proprio lavoro alla perfezione.
Non pretendeva d’esser elogiata, né tantomeno di porsi al centro dell’attenzione.
Desiderava soltanto che ogni ingranaggio funzionasse a dovere.
 
Non appena aveva iniziato a lavorare per Kageyama-san, si era immediatamente scontrata con l’aura tenebrosa di cui era circondato.
Quell’uomo aveva sempre avuto il potere di metterla in soggezione, farla sentire in difetto.
 
Eppure, non aveva mai emesso un fiato.
 
Anche quando le sue colleghe le ripetevano quanto fosse disumano quel trattamento, lei era sempre rimasta in silenzio.
In silenzio…
 
Per paura di un commento offensivo di Kageyama-san?
Di un possibile licenziamento?
Oppure…
 
Semplicemente perché non avrebbe saputo cosa dire per farsi ascoltare da quel legale?
 
Non era stupida, nonostante l’apparenza un po’ insignificante di cui era ben a conoscenza.
 
Sapeva che il suo capo ricordava il suo nome a malapena.
Sapeva anche che la considerazione che aveva di lei era pari a zero.
Aveva smesso di sperare da tempo in un ipotetico gesto d’apprezzamento per i suoi sforzi, nonostante tutti i lavori portati a termine con successo.
Come avevano osservato Tomomi e Yukari, per Kageyama-san lei era uno straccio con cui ripulire le sbavature del suo lavoro.
Né più, né meno.
Allora…
 
Perché continuava a essere la sua segretaria?
 
Era giovane e con un buon curriculum.
Perfettamente in grado di poter intraprendere un nuovo impiego.
Magari un po’ meno retribuito, l’esser parte dell’ufficio Kitawaga Daiichi aveva i suoi indubbi pregi economici, ma maggiormente vantaggioso sul piano umano.
Poteva trovare qualcuno che la apprezzasse, che la ringraziasse per il duro lavoro svolto ogni giorno…
 
Sollevò lo sguardo sui visi premurosi delle amiche.
 
Le chiedevano spesso come diamine facesse a lavorare per un despota del genere.
Le facevano notare il modo in cui terrorizzasse chiunque con una singola occhiata.
 
Abbassò nuovamente gli occhi, pulendosi le lenti della montatura con il bordo della giacca grigia del tailleur.
 
In realtà, a lei Kageyama-san intimoriva per ragioni differenti.
 
Non era la smania di controllo o l’eccessiva durezza dei comportamenti a ferirla.
A quello era abituata.
Non erano le manie di grandezza, la presunzione o prepotenza che mandavano in bestia tutti gli avvocati dello studio.
 
Ciò che l’aveva condotta al limite quel giorno, ciò che aveva provocato la reazione di repulsione verso quell’uomo tanto cupo…
 
Era il totale, gelido distacco nei confronti di ogni persona con cui interagisse.
 
Aveva assistito a tante, troppe scene degradanti.
 
Troppe volte donne o uomini disperati avevano implorato l’aiuto di quel legale tanto intelligente, ricevendo in cambio freddezza e menefreghismo.
Era uno spettacolo talmente desolante da farle desiderare di non possedere orecchie per ascoltare né occhi per vedere.
 
Però…
La reazione di Kageyama-san non era mai stata così diretta, così esplicita.
Senza filtri.
Senza… finzioni.
 
Perché si era talmente sorpresa?
Avrebbe dovuto saperlo, no?
Avrebbe dovuto capire che l’atteggiamento indifferente non fosse solo una corazza, una forzatura, ma nascondesse…
 
La vera natura di quell’individuo. 
 
L’essenza… non di un uomo.
 
Bensì…
 
“E’ un mostro” sussurrò a denti stretti, lo sguardo ancora rivolto al pavimento ma pregno di una rinnovata consapevolezza.
 
Le due colleghe si scambiarono un’occhiata sorpresa.
Non avevano mai sentito Nakamura pronunciare una parola tanto dura prima d’allora.
“Ti ha proprio fatto esplodere, eh” commentò con un sospiro Tomomi, sistemandosi una dispettosa ciocca bionda dietro l’orecchio.
“Ormai… mi disgusta” sentenziò la brunetta con tono velato di rabbia.
“Pensavo che nonostante i modi potesse essere più umano di così, ma…”
Lasciò cadere la frase a metà, scuotendo lievemente la testa e terminando il tè gentilmente preparatole dall’amica.
“Non è niente di diverso da quello che appare” smentì brutalmente Tomomi, scuotendo il dito dinanzi al viso di Nakamura.
“Già. Un egocentrico figlio di puttana!” esclamò Yukari con vivacità.
“Yuka!” la rimproverò la collega trattenendo le risate e persino Nakamura si lasciò sfuggire un sorriso.
 
“Che linguaggio poco consono per delle donzelle come voi”
 
Le tre ragazze sussultarono istantaneamente.
Puntarono subito gli occhi sulla porta della sala, davanti alla quale una figura minuta faceva capolino.
Tomomi sospirò sonoramente, ponendosi una mano sul petto.
“Mi ha fatto venire un colpo, Kunimi-san. Pensavo fosse il direttore”
 
L’uomo mollemente appoggiato allo stipite abbozzò quello che avrebbe potuto definirsi un sorrisetto.
“Akira non mette in soggezione proprio nessuno” lo prese in giro Kindaichi, sbucando in quel momento da dietro la schiena del collega.
“Beh, nemmeno io posso dirmi intimorita da Kindaichi-san” cantilenò Yukari con un occhiolino, giocando con i lunghi capelli corvini e provocando il rossore sulle guance di Yuutaro, che cercò con un colpo di tosse di recuperare un minimo d’autorevolezza.
“Scusate per intrometterci nella vostra pausa, avevamo bisogno di… Nakamura, stai bene?”
Kindaichi non poté non notare il mascara sbavato e gli occhi rossi della ragazza, che chinò il capo in un istante, imbarazzata.
“No, non sta bene per nulla” saettò Tomomi, ancora sul piede di guerra.
“Kageyama-san ha superato ogni limite” le diede man forte Yukari, carezzando la gamba dell’amica.
Le sopracciglia di Kunimi si arcuarono notevolmente.
“Oh. Ecco di chi stavate parlando…”
Si abbandonò poi a un ghigno amaro.
Yuutaro, al contrario, s’infervorò istantaneamente.
“Cosa ti ha fatto quel dannato tiranno? Arrivare a farti piangere così! Come si permette, che razza di uomo farebbe una cosa…”
“Kindaichi-san, sta urlando” gli fece notare la sua segretaria con una risatina.
“Non… è nulla” intervenne però Nakamura, asciugandosi le guance alla bell’e meglio.
“No che non è nulla. Naka, non puoi continuare così in eterno. Non aver paura di Kunimi-san e Kindaichi-san, non direbbero nulla contro di te. Non sono mica come lui” la rassicurò Tomomi, sottolineando l’ultima parola con tanto disgusto da far sogghignare Kunimi.
D’improvviso, un’allettante idea balenò nella mente di Akira.
 
“Ti piacerebbe cambiare legale, Nakamura-kun?”
 
La proposta dell’avvocato colse totalmente alla sprovvista tutti e quattro i presenti, che si girarono a guardarlo un po’ spaesati.
“La segretaria di Oritsume, Fujita-kun, si trasferisce a Kyoto nelle prossime settimane. So che sta iniziando a cercare una ragazza che prenda il suo posto…” informò con voce monocorde, sebbene negli occhi vibrasse una scintilla d’interesse.
A quel punto, Kindaichi s’illuminò.
“Me l’ero dimenticato! Nakamura, sarebbe perfetto per te! Non dovresti nemmeno cambiare ufficio! Certo, Oritsume ha delle richieste un po’, ecco, esigenti…”
S’interruppe, evitando di menzionare come scarrozzasse la povera Fujita a destra e a sinistra nel quartiere sottostante per acquistare sigarette, ramen, sakè...
“Però è sempre meglio che stare con… con quel dannato Re” sputò inacidito.
Tomomi e Yukari si girarono entusiaste verso la collega, ancora seduta con il capo rivolto ai due legali.
“Sarebbe perfetto, Naka!”
“Oritsume-san non è poi così male, Fujita non se n’è mai lamentata più di tanto!”
“Yukari…” la richiamò con un sussurro Tomomi, occhieggiando i due superiori.
“Che c’è? Tanto Kindaichi-san non mi rimprovera mai” chiocciò melensa con un’occhiatina audace a Yuutaro, che tentò in tutti i modi di non avvampare dalla testa ai piedi.
La bellezza della sua segretaria era eccessiva, per diamine.
 
“Dunque, Nakamura-kun? Posso riferire a Oritsume che può interrompere i colloqui?”
 
Gli occhi scuri della ragazza incontrarono quelli color onice di Kunimi, lasciandola interdetta.
 
Non aveva mai davvero pensato d’interrompere il suo contratto con Kageyama-san.
Vi aveva riflettuto fugacemente un paio di volte, glielo avevano consigliato fino alla nausea le colleghe, ma non aveva mai realizzato che avrebbe potuto farlo concretamente.
 
“Ti preoccupa vederlo nei corridoi ogni mattina?” indagò Akira, cercando di comprendere il motivo di quell’esitazione.
“Temi che possa dirti qualcosa di offensivo?” balzò su Yuutaro con il solito temperamento irascibile.
 
Quasi come in trance, la ragazza scosse la testa.
 
Forse, a quel mostro insensibile…
Il suo licenziamento avrebbe consentito di comprendere che non tutto scorreva secondo il suo controllo. 
 
Chissà, magari qualcosina sarebbe mutato.
Piccola o grande, rilevante o meno.
 
Al momento, comunque, fu l’ultimo aspetto su cui si soffermò a riflettere.
 
“Per favore, Kunimi-san, faccia il mio nome a Oritsume-san”
 
Un gravoso macigno parve dissolversi dal suo petto.
 
Trascorse qualche istante di silenzio prima che Tomomi e Yukari saltarono al collo della ragazza, abbracciandola ed esultando “Evviva!” con talmente tanta enfasi che Yuutaro e Akira risero di gusto.
 
“Mi dispiace soltanto per la povera sventurata che dovrà prendere il tuo posto” rifletté Yukari dopo vari minuti di puro giubilo, tornando placidamente a sedersi.
“Non resisterà a lungo come Naka, poco ma sicuro” profetizzò Tomomi, annuendo solennemente.
“Non si potrebbe semplicemente impedire che assuma una segretaria? Non si vanta che può fare tutto da solo?” chiese sfacciatamente Yukari al suo capo.
Kindaichi ridacchiò maligno, ma Kunimi rifletté seriamente su quella frase.
 
“Sai, Nakamura? Non sarebbe una bella idea congedarsi da Kageyama con queste parole?”
Gli occhi della ragazza si sgranarono, spaesati.  
“Fallo, Naka! Ti prego, ti prego, chissà che faccia farà quel… però, pensandoci…” s’interruppe Tomomi, assumendo un’espressione scocciata.
“Quel tizio è terribile proprio perché tutto gli scivola addosso”
“Chissà” proferì Akira con tono misterioso.
Tutti e quattro lo fissarono perplessi.
“Forse il caro Re potrebbe sorprenderci”
 
Assumendo un’espressione ambigua, si chinò verso la brunetta, sussurrandole all’orecchio.
 
“Ti va di prenderti una piccola rivincita sul Re tirannico, Nakamura-kun?”
 
 

 
***
 
 
 
Nei due giorni successivi il cervello di Tobio non aveva smesso un solo istante d’elaborare possibili teorie sul comportamento di quell’idiota di un medico.
 
Non credeva d’essere mai stato tanto distratto prima d’allora.
Aveva persino confuso una pratica di affidamento minorile con una di separazione coniugale e se non fosse stato per la prontezza di Nakamura nel mettergli in mano il fascicolo giusto si sarebbe recato al processo senza…
 
Un momento.
 
Tobio alzò gli occhi blu dalla scrivania stracolma di documenti per fissarsi sulla porta in vetro del suo ufficio.
 
I suoi neuroni operarono una rapida revisione dei ricordi acquisiti nelle precedenti 48 ore.
 
Se vi rifletteva con attenzione, il comportamento della sua segretaria in quell’arco di tempo era stato...
Come dire, un po’ diverso da quello cui era costantemente abituato.
Non che le avesse prestato un reale interesse.
Eppure, nei momenti in cui aveva avuto l’opportunità d’intravederla mentre svolgeva le mansioni tipiche della sua giornata…
 
Aveva notato che il modo di approcciarsi nei suoi confronti era mutato.
 
Era come se…
 
Non fosse più così intimorita da lui.
 
Il tono era stato più fermo e qualunque traccia di soggezione era sparita dai suoi occhi.
 
Ma, in fondo, a chi importava.
 
Era avvezzo a quella ragazza per inerzia.
La sua presenza, così come la sua assenza, non avrebbe comportato la minima differenza per lui.
 
No?
 
 
“Kageyama-san, il meeting mattutino sta per iniziare”
 
A interrompere le sue congetture fu proprio la brunetta dal tailleur blu cobalto, ferma sulla soglia dell’ingresso con la solita agenda tra le mani.
 
Il legale annuì distrattamente, non curandosi nemmeno di guardarla in viso.
 
Era sicuramente colpa della sua immaginazione.
Quella donna era sempre stata intimidita da lui, esattamente come tutte le altre ragazze dell’ufficio.
 
La realtà dei fatti non poteva essere modificata.
 
 
 
 
 
 
“Il caso Goto si è rivelato ben più contorto del previsto, la Corte d’Appello ha deciso di rinviare il giudizio al dieci novembre…”
 
Tobio sbuffò rumorosamente, annoiato.
 
Quei dannati meeting erano una spina nel fianco da quando aveva iniziato a lavorare presso il Kitagawa Daiichi.
Nonostante costituissero parte integrante della propria mansione, li aveva sempre reputati inutili.
 
Del resto, aveva sempre lavorato da solo.
 
Non vedeva il motivo nel riunirsi con inetti del calibro dei suoi “colleghi” per consultarsi su casi o robe del genere.
Il capo ufficio avrebbe potuto benissimo lasciare i suoi incarichi a Nakamura e farglieli recapitare sulla scrivania.
Non c’era alcuna ragione per cui avrebbe dovuto sprecare quaranta minuti della propria giornata in mezzo a quel…
 
“E adesso, una comunicazione urgente”
 
Più per passività che per reale coinvolgimento, il corvino sollevò il capo per incontrare la figura di Kunimi, alzatosi dalla propria poltrona a destra del lungo tavolo rettangolare e con stampata in volto un’espressione… piuttosto inusuale.
Alzando lievemente il sopracciglio, decise per una volta d’ascoltare con attenzione ciò che avesse da dire quel tipo.
 
“Come tutti sappiamo, il nostro lavoro viene quotidianamente supportato dal duro impegno delle nostre collaboratrici”
 
Tobio aggrottò la fronte, notevolmente perplesso.
 
Che razza di discorso stava sputando fuori Kunimi?
 
Un generale cenno d’assenso provenne dagli avvocati.
 
“Senza di loro, probabilmente, le nostre occupazioni sarebbero certamente rallentate. Rispondono a ogni richiesta senza lamentarsi, giorno dopo giorno”
 
Tobio stava perdendo la pazienza.
Quel discorso non aveva senso.
 
Perché mai uno come Kunimi avrebbe sprecato fiato per un argomento tanto banale come quello?
 
“E’ per tale ragione che, nonostante non siano stati rispettati i termini per l’avviso preventivo, chiedo che sia largamente accettata la lettera di dimissioni da parte di una ragazza del personale assistente”
 
Un lieve brusio si levò dalla sala.
 
Quasi tutti i legali girarono perplessamente il capo per incontrare lo sguardo delle rispettive segretarie, in piedi dietro le poltroncine del tavolo.
Tra tutti, solo Yuutaro aveva un ghigno di pura soddisfazione disegnato sul volto, mentre Tomomi e Yukari si scambiarono un’occhiata d’intesa.
 
“Di chi ti stai facendo portavoce, Kunimi?” domandò Hashimaki, responsabile delle problematiche interne all’ufficio.
Akira prese un respiro profondo, cecando in ogni modo di reprimere la smorfia d’enorme compiacimento che sgomitava per sbocciargli sul viso.
 
“Sto parlando della lettera di dimissioni di Nakamura Ume, assistente di Kageyama”
 
Nella stanza calò il silenzio.
 
Tutti gli occhi dei presenti si puntarono su Tobio, la cui mente aveva recepito quelle parole come estranee.
 
Di che stava cianciando quell’apatico?
Che significava che Nakamura aveva scritto una…
 
“Comunica di rinunciare immediatamente al contratto con Kageyama. Ecco la lettera che mi ha personalmente consegnato”
 
Con ostentata nonchalance, Akira pose dinanzi alla postazione di Tobio una busta candida come il latte, il cui centro era però macchiato da segni neri come l’inchiostro.
 
Dimissioni di Nakamura Ume
 
Il corvino sbatté le palpebre più volte.
 
Che specie di scherzo era quello?
Nakamura chiedeva che cosa?
 
Senza nemmeno pensarci, si voltò con uno scatto alla sua destra, squadrando dietro la spalliera della propria poltrona.
 
“Che razza di…”
 
Interruppe la propria frase, fissando, per la seconda volta nel giro di due anni, la brunetta con estrema attenzione.
 
Gli occhi scuri, celati dietro la montatura a tartaruga, emanavano determinazione.
L’espressione del volto era salda, decisa.
Le mani giunte, strette tra loro in una morsa.
 
Quando sollevò il capo e incontrò lo sguardo di Kageyama…
 
Rifiuto.
 
Ecco cosa vi lesse il legale.
 
Un tagliente, netto rigetto.
 
“Posso garantire per lei, Hashimaki-san. Inoltre…”
Akira si girò verso Oritsume, che annuì e prese la parola.
 
“Sarà la mia nuova assistente. Come sapete Fujita-kun si trasferirà a Kyoto nelle prossime settimane. Risparmieremo così il tempo per cercare una nuova candidata che soddisfi le esigenze del Kitagawa Daiichi. Nakamura-kun è una lavoratrice eccellente” illustrò con entusiasmo.
“Così è tutto sistemato” concluse Kunimi con semplicità.
Hashimaki cercò di scrollarsi di dosso l’espressione sorpresa.
“Beh, se così stanno le cose…”
S’interruppe, occhieggiando la ragazza dall’altra parte della sala.
“Però, Nakamura-kun, come mai questa fretta talmente improvvisa da non poter rispettare il protocollo?”
 
Tutti i presenti erano avidi della risposta.
La bruna alzò la testa, compiendo un piccolo passo in avanti.
 
Non stava guardando Kageyama.
Però, forse per la prima volta da quando aveva messo piede lì dentro…
 
Non lo stava facendo poiché impaurita dalla sua presenza.
 
“Mi dispiace molto per il disguido, Hashimaki-san, ma…”
 
Esalò un profondo respiro e, con una rapida occhiata a Kunimi-san e alle due amiche…
 
“Ho lavorato per Kageyama-san per due anni, senza alcuna interruzione. So che può sembrare assurdo, però…”
 
Strinse le mani a pugno, conficcandosi le unghie nei palmi.
 
“Non riuscirei a lavorare per lui un singolo giorno di più. Ho raggiunto il mio limite, mi dispiace”
 
La sala rimase attonita.
 
“Come non darle ragione” intervenne repentinamente Yuutaro, gote brillanti per la gioia di poter finalmente sfogare il proprio risentimento.
“Insomma, chi reggerebbe anche un solo mese con un despota del genere?”
 
Tra i legali serpeggiarono occhiatine e risatine malevole.
“Dovevi dimetterti molto prima, Nakamura-kun”
“Chi te l’ha fatto fare a rimanere con quel tiranno per così tanto tempo…”
“Ti trattava male, vero? Ti urlava contro spesso?”
 
Tobio non sentiva nulla.
 
Non riusciva a udire nemmeno il minimo suono.
 
Era immerso in una bolla d’acqua, gettata a chilometri di profondità nell’oceano.
 
Tutto attorno a lui, la confusione.
 
Non capiva.
 
Perché?
Perché mai?
 
Alzò nuovamente le iridi e…
 
Nakamura, quella volta, incrociò il suo sguardo.
 
Non c’era disgusto.
Non c’era determinazione.
Solo…
 
Tristezza?
Delusione?
Biasimo?
Un mix di tutte e tre le cose?
 
Con un lieve inchino, la ragazza si congedò definitivamente da Kageyama, che stringeva ancora tra le dita l’intonsa lettera di dimissioni, e oltrepassò la porta di vetro a passo sicuro.
 
Quell’espressione…
 
Cosa gli ricordava?
 
Perché lo incideva così tanto?
 
Perché Nakamura si era dimessa dal suo incarico?
 
Era una segretaria, doveva svolgere il suo lavoro senza lamentele, no?
 
Lo conosceva, sapeva com’era fatto da ben due anni.
Perché andarsene solo ora?
Cos’era accaduto?
Che cosa significava quello sguardo?
 
Perché gli ricordava dannatamente quello rivoltogli dallo scricciolo rosso prima che scappasse via, sparendo per cinque giorni?
 
Quella potente realizzazione colta tra i pensieri che si susseguivano impazziti provocò un potentissimo black out del suo cervello.
 
Nakamura… si era sentita come Hinata?
 
 
“Non è esattamente quello che volevi, Kageyama?”
 
Davanti a Tobio svettava Kunimi con un amaro sorriso divertito sulle guance.  
 
“In fondo, non hai sempre detto di voler fare tutto da solo?”
 
Avrebbe voluto reagire.
Avrebbe voluto mandarlo al diavolo, maledire tutti, lasciarsi scivolare addosso tutto come ogni giorno della propria vita.
Avrebbe potuto inveire, minacciarlo perfino.  
 
Eppure…
 
Non riuscì a muovere un singolo muscolo.
Non riuscì a replicare, perché…
 
 
“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio… ti ritroverai solo. Completamente, inevitabilmente. Solo.”
 
 
Il cuore gli batteva impazzito nel petto.
La respirazione aumentò, s’intensificò fin troppo…
 
Completamente inerme, guardò gli occhi onice di Kunimi.
 
Oltre alla sadica smorfia beffarda…
Poté rivedere, immerse in quelle iridi scure, quelle medesime parole d’avvertimento rivoltegli il mese precedente.
 
“Sai, Akira?”
 
Yuutaro si avvicinò al collega, posizionandosi le dita sul mento come se stesse riflettendo.
 
“Mi domandavo… un Re, un Re tirannico… può continuare a esserlo se privo di sudditi?”
 
All’interno della gabbia toracica di Tobio, il cuore si fermò.
 
Aveva bisogno di fuggire via da lì.
 
Alzandosi talmente di scatto da mandare a sbattere la poltroncina contro la parete della sala riunioni, uscì senza curarsi d’aver lasciato tutto il proprio materiale sul tavolo, senza badare alle risatine dei colleghi.
 
Aveva bisogno di un posto isolato in cui rimettere a pezzi quel qualunque cosa gli si fosse frantumato nel petto, lacerandosi in mille pezzettini e dilaniandolo come mille lame.
 
 

 
***
 
 
 
“Sei sicuro che sia stata una buona idea?”
“Certo che sì! L’abbiamo elaborata nei minimi dettagli io e Kuroo!”
“Ecco, è proprio questo che mi preoccupa…”
 
Seduti attorno a un tradizionale tavolino rettangolare, Akaashi picchiettava ritmicamente i polpastrelli sul legno mentre al suo fianco Bokuto ordinava entusiasta due bottiglie di sakè.
 
“Eri d’accordo con Kuroo anche tu?”
 
La domanda del corvino fece sollevare lievemente la testa di Kenma, i cui occhi ambrati erano ancorati allo schermo del cellulare.
 
“Non proprio, però…” s’interruppe, grattandosi distrattamente il mento con l’indice.
“Non posso dire di non essere un po’ incuriosito da questa storia” concluse con una lieve alzata di spalle.
 
Akaashi si mordicchiò il labbro inferiore, pensieroso.
 
“Hinata non ti ha informato proprio di nulla, quindi?”
 
Kozume scosse la testa.
 
“Niente. Di solito mi riempie di messaggi quando fa qualcosa di nuovo o ha un avvenimento importante…”
Troncò la frase in maniera eloquente.
 
“Non puzza un po’ anche a te questa storia, Akaashi-kun?” s’intromise Tetsuro, materializzatosi in quel momento e abbassatosi per incrociare le gambe sotto il tavolo.
 
Keiji decise d’ignorare per l’ennesima volta il tono sornione del ragazzo, concentrandosi invece sul significato delle sue parole.
 
“Kageyama-kun era palesemente interessato al piccoletto. Ci ha anche chiesto qualche dritta su come poter passare al livello successivo” aggiunse con maggior serietà, versandosi il contenuto dell’alcolico appena portato da un cameriere e sorseggiandolo lentamente.
“Devi assaggiare questo sakè, Bo. E’ delizioso” consigliò poi all’amico seduto dall’altra parte del tavolo, che s’illuminò e iniziò a versare il liquido trasparente nel bicchierino nero riccamente decorato.
“Con moderazione, Koutaro…” mormorò Keiji in direzione del proprio fidanzato, che rispose con un piccolo sbuffo e un broncio infantile.
“Kageyama non è una persona che si sbottona facilmente. Se ci ha raccontato un episodio della sua vita personale significa che è una faccenda seria” rifletté poi, giocherellando con il bordo del piatto.
 
Nonostante si conoscessero da tanti anni, era sempre esistito un velo divisorio fra ciò che il corvino era disposto a rivelare e ciò che custodiva gelosamente per sé.
Non che non si fidasse di lui, questo Keiji l’aveva compreso da molto tempo.
Era solo che…
 
Pareva quasi che lo stesso Kageyama ignorasse gran parte di ciò che realmente provasse.
 
“Per questo è strano” intervenne Kenma, alzando definitivamente la testa e appoggiando il telefono accanto al tovagliolo.
“Shoyo mi aveva detto che avrebbero dovuto vedersi domenica scorsa. Sembrava parecchio nervoso ma anche felice all’idea… però non mi ha più scritto nulla dopo quel giorno. Non ci siamo nemmeno più sentiti su Line” spiegò con voce sommessa.
Tutti e tre i presenti ascoltarono con attenzione.
“Se fosse andata semplicemente male Shoyo non avrebbe esitato a piagnucolarne con me, come tutte le volte in cui è tornato con Terushima”
“Non che è…” indagò Tetsuro, gli occhi stretti in due fessure.
“Kageyama gli ha fatto qualcosa?”
La domanda era per lo più rivota a Keiji, le cui iridi erano ancora fisse sul bicchierino colmo di sakè.
“Sinceramente, non lo so. Kageyama non è famoso per essere una persona accomodante, né tantomeno semplice con cui trattare. Ma credo che Hinata fosse ben a conoscenza della sua personalità. Insomma, ha accettato di uscire con lui” ragionò con raziocinio.
“Però… non ho davvero idea di come possano aver interagito. Sono talmente diversi che è anche solo difficile immaginare una loro conversazione” rifletté ancora, aggrottando la fronte e massaggiandosi le tempie.
“E’ così cupo. Come fa quel raggio di sole del piccoletto a essere attratto da lui?” si chiese Testuro, grattandosi la nuca.
“Ragionando così nessuno di noi quattro dovrebbe stare insieme con il rispettivo compagno” commentò Kenma senza particolare intonazione della voce, tornando a fissare il display del cellulare.
“Kenma ha ragione! Non c’entra il fatto che siano diversi” si aggiunse finalmente Bokuto, rimasto in silenzio per un tempo inaspettatamente lungo.
I ragazzi si girarono a guardarlo con curiosità.
“Shoyo è perfettamente in grado di adattarsi a chiunque. Va d’accordo con tutti, no? E Kageyama…”
S’interruppe un attimo, ricordando qualcosa che lo fece sorridere.
“Anche se a volte mi lascio andare con le chiacchiere, lui sembra davvero ascoltarmi quando parlo. A volte pare solo… un po’ spaventato di non sapere cosa dire, tutto qui”
 
Keiji rifletté sulle parole di Koutaro che scrollò le spalle e scolò il bicchierino di sakè, lasciandosi poi andare a un’esclamazione entusiasta.
“Bisogna solo capire cosa sia successo durante il loro appuntamento, allora” concluse Kuroo con un sorrisetto.
“Invadere la privacy è diventato il tuo nuovo hobby?” proferì sarcasticamente Akaashi e il moro ridacchiò.
“Spiare mi diverte parecchio. Ma se non divertisse anche te, perché avresti accettato di venire qui?” lo provocò con un ghigno beffardo.
Keiji assottigliò le labbra, punto sul vivo.
“Non ho mai detto di appoggiare pienamente la vostra stupida idea di riunire entrambi senza che sapessero…”
 
“Piccoletto! Eccoti finalmente” lo stroncò immediatamente Kuroo, individuando Hinata avvicinarsi fra i tavoli del ristorante.
“Ciao, Shoyo!” lo salutò allegramente Bokuto, agitando la mano con un’ampiezza un po’ eccessiva.
Gli effetti dei due bicchierini di alcool stavano iniziando a comparire.
“Buonasera a tutti!” ricambiò il medico con calore, sedendosi con le gambe incrociate a capotavola con Kenma alla sua sinistra e Bokuto alla sua destra.
“Ho una fame da lupi. Non sono riuscito nemmeno a pranzare oggi” si lamentò sonoramente e stiracchiò le braccia sopra la testa con nonchalance.
Kozume cedette a un sorriso e Koutaro rise sonoramente.
La spontaneità del rosso contagiava chiunque alla velocità della luce.
“Mi hanno detto che il sushi di questo posto è tra i più buoni di Tokyo. Non potevo non riunirvi per provarlo” gongolò Tetsuro, chiamando un cameriere per cominciare le ordinazioni.
“Non vedo l’ora di divorarlo” esalò il rosso con l’acquolina in bocca, fantasticando su ogni varietà di pesce possibile da gustare.
 
“Hai avuto… una settimana impegnativa, Shoyo?” domandò dopo qualche minuto Kenma, i cui occhi felini scambiarono una rapida occhiata con quelli di Kuroo e Akaashi.
Shoyo si portò le dita fra i capelli folti, grattandosi il capo con nonchalance.
“Eccome. Abbiamo avuto tantissime emergenze e ho dovuto più volte collaborare con il personale del pronto soccorso, nonostante in teoria non sia di mia competenza. Tsukishima è diventato ancor più insopportabile del solito…” mugugnò scuotendo la testa e Akaashi ridacchiò.
“Sembra stancante” concordò Kozume, il cui solo pensiero di muoversi come una trottola per tutto il giorno lo faceva letteralmente rabbrividire.
“Sai, Kenma si era un po’ preoccupato” sciorinò abilmente Kuroo, pilotando l’attenzione del rosso su di sé.
“Non gli hai scritto per un’intera settimana. Non è da te, piccoletto” chiocciò con tono leggero, nonostante il velato fine di sottofondo.
Shoyo sbatté le palpebre, mordicchiandosi le labbra con aria colpevole.
“No, è che… davvero non ho avuto molto tempo” cercò di sviare il discorso con una risatina.
Peccato che tutti i presenti seppero cogliere la sfumatura d’incertezza della sua voce.
Dovette comprendere che gli occhi taglienti di Kenma e Kuroo lo stessero trapassando da parte a parte, poiché deglutì nervosamente e agitò le braccia.
“Non sono stato nemmeno tanto bene! Vedete, ecco, emh, ho avuto un’emicrania pazzesca e il troppo lavoro mi ha davvero sfiancato” si giustificò velocemente, bevendo con celerità un sorso di sakè.
 
“Oh, povero piccoletto. Ma dimmi, sei stato male subito dopo domenica o è una cosa più recente?”
 
Alla domanda provocatoria di Kuroo, Shoyo mollò bruscamente il bicchierino che reggeva tra le dita, che ricadde sul tavolo con un pesante tonfo mentre il contenuto trasparente si rovesciò sul suo pullover azzurro.
“Merda” imprecò sonoramente, suscitando le occhiatacce di coloro che erano seduti ai tavoli vicini.
“Aspetta, ti aiuto” intervenne Akaashi, afferrando un tovagliolo e avvicinandosi a Hinata per aiutarlo a tamponare il tessuto.
“Vuoi che ti accompagni in bagno?”
“Nono, grazie Akaashi-san, faccio da solo… sono con la testa fra le nuvole” rise un po’ concitatamente, estremamente grato d’alzarsi dal tavolo per troncare quel discorso spinoso.
“Torno subito” annunciò per poi dirigersi alla toilette.
 
Non appena fu sparito all’orizzonte, Kenma si girò subito verso Kuroo.
“Non c’era bisogno di arrivare al punto così brutalmente” lo rimproverò severamente, fissandolo negli occhi con intensità.
Kuroo assunse un’espressione innocente.
“Non gli ho mica chiesto che cosa hanno fatto domenica, no?”
Guardò Bokuto per trovare un appiglio d’aiuto, ma il ragazzo per sua sorpresa scosse la testa.
“Sei stato troppo diretto, bro. Shoyo ha bisogno di trovarsi a suo agio per parlare” spiegò saggiamente.
Tetsuro sbuffò, ma il malumore durò appena qualche istante.
“Guardate chi è arrivato!”
 
Akaashi si mise le mani nei capelli, pentitosi amaramente d’aver dato corda a quelle due pesti.
 
Che avevano combinato?
 
 
 
Sospirando scocciato, Shoyo strofinò con fin troppa energia il tovagliolo di stoffa inumidito sul pullover turchese, che lasciava trasparire con evidenza una grande macchia in prossimità dello stomaco.
 
Dove aveva la testa?
Reagire a quel modo solo perché Kuroo-san aveva posto quella semplice domanda…
 
Si fermò un attimo, fissando la propria mano con aria trasognata.
 
Non aveva detto a nessuno come fossero andate le cose quella domenica. 
Né a Kenma, né a Yachi, né tantomeno a Suga, che l’aveva travolto con talmente tante occhiate incuriosite da volerlo evitare con tutto se stesso.
Non che biasimasse l’amico.
La preoccupazione nei suoi confronti era genuina.
 
Però…
Quella era qualcosa su cui nemmeno lui aveva desiderato riflettere accuratamente.
Pensarvi avrebbe significato…
 
No, no.
Era decisamente molto più facile ignorare tutto.
Sia lui, sia gli amici.
 
Era un atteggiamento da codardi, lo sapeva più che bene.
 
Certo, non è che quello lì l’avesse cercato, eh.
Era stato lui ad andarsene per primo, però.
 
Strizzò gli occhi e arricciò il naso con espressione di cocente frustrazione.
 
Perché doveva essere così dannatamente difficile?
Perché le cose non potevano mai andare lisce?
Perché aveva dovuto provare interesse per quel… per quel…
 
Inalò una gran quantità d’ossigeno, cercando di calmarsi.
 
Non era più un bambino.
Scappare non era una scelta concepibile.
 
 
 
Terminando di pulirsi al meglio delle sue capacità, lasciando comunque un enorme alone fin troppo visibile sul tessuto azzurro del pullover, si lavò le mani e uscì dal bagno con passo fermo.
 
Aveva accettato l’invito di Bokuto e Kuroo per gustare sushi e chiacchierare tutti assieme.
Se gli amici erano curiosi della sua situazione… non poteva certo incolparli.
Avrebbe cercato di rispondere alle loro domande senza farsi prendere dal nervosismo.
 
Ciò che desiderava più di ogni altra cosa era soltanto non avere a che fare con…
 
I battiti del suo cuore si arrestarono improvvisamente.
Le iridi si sgranarono tanto da bruciare.
 
No.
Non poteva essere.
L’uomo seduto a capotavola accanto a Kuroo e Akaashi…
Non poteva mica…
 
“Kageyama-kun, hai avuto difficoltà a trovare il locale?”
 
Kuroo e Bokuto erano due farabutti.
 
Quella volta avevano davvero oltrepassato il limite.
 
D’un tratto Kenma alzò il mento, individuando Hinata a qualche tavolino di distanza a fissare sgomento la testa corvina che gli dava le spalle.
 
L’amico era palesemente nel panico.
Com’era prevedibile, del resto.
 
Cercando di sopprimere l’impulso di tirare i capelli a Kuroo, tentò di mandare a Shoyo un’occhiata che potesse convincerlo a soprassedere su quella carognata.
 
Lo guardo che il rosso interpretò dal viso di Kenma era a metà tra una richiesta di perdono e una che…
Lo invitata a sfruttare l’occasione?
O stava semplicemente immaginando troppo come suo solito?  
 
Eppure, in effetti…
 
Sarebbe stato un ottimo modo per affrontare il problema di petto.
Non che desiderasse risolverlo al momento.
 
Però…
 
 
Continuerai a rimandare, Shoyo?
 
 
Quell’opprimente vocina risuonò tra le pareti della sua mente come se provenisse da un megafono, nonostante in realtà fu più simile un sussurro.
 
No, doveva risolvere le cose, prima o poi.
 
Strizzando velocemente le palpebre, si avvicinò al tavolo, catturando l’attenzione di Bokuto.
 
“Ehi, Shoyo! Sei riuscito a togliere un po’ di sakè dal maglione?”
 
Merda, doveva macchiarsi proprio quando c’era anche Kageyama nel tavolo con loro?
 
Dalla sua postazione poté chiaramente scorgere la schiena del corvino scuotersi bruscamente in un sussulto.
Si avvicinò al suo posto e, dopo essersi seduto a gambe incrociate e aver sollevato lo sguardo…
 
Gli occhi blu di Kageyama erano talmente spalancati che avrebbero potuto fuoriuscire tranquillamente dalle orbite.
 
Hinata cercò di rimanere calmo.
Almeno quella volta non sarebbe stato lui ad apparire un pesce lesso.
 
“Ecco la cena, finalmente” esultò Koutaro non appena si avvicinarono due camerieri con sei piatti esageratamente grandi colmi di sushi e sashimi, che appoggiarono sul tavolo augurando loro buon appetito.
“Aaaah non vedevo l’ora” esalò Kuroo prima d’avventarsi sulla propria porzione, divorando un pezzo di pesce dopo l’altro.
“E’ davvero ottimo bro, abbiamo fatto bene a venire qui” concordò Bokuto con la bocca piena.
“Dobbiamo sempre farci riconoscere…” commentò sconsolato Akaashi, scuotendo la testa.
“Shoyo, hai assaggiato? Riempiti pure, in fondo oggi non hai nemmeno pranzato!”
 
Il rosso udì le parole di Koutaro un po’ indistintamente, concentrato com’era a cercare di non fissare Kageyama negli occhi.
Impresa piuttosto ardua, considerando che il corvino si trovasse proprio di fronte a lui dall’altro lato della tavola.
 
Annuì un po’ distrattamente e acchiappò con le bacchette scure un trancio di salmone, masticandolo con una lentezza che non gli sarebbe mai appartenuta in circostanze normali.
 
Lo stomaco gli si era completamente chiuso.
 
Percepiva lo sguardo di Kageyama fisso su di sé come la luce di un faro in piena notte.
 
Le guance gli stavano andando a fuoco.
Diamine, che aveva da guardarlo così insistentemente?
 
Non era pronto per incontrare quegli occhi blu.
Non voleva ricordare quei pozzi artici come il ghiaccio.
 
“Allora, Kageyama-kun. E’ stata una giornata pesante, oggi?”
 
Shoyo fu intimamente grato a Kuroo, nonostante ce l’avesse a morte con lui in quel momento, per aver distratto il legale.
La testa altrimenti gli sarebbe sicuramente scoppiata per l’insistenza di quell’occhiata.
 
Si azzardò a sollevare la testa dinanzi a sé, ma con estremo orrore vide che Kageyama non aveva mosso un singolo muscolo.
Continuava a guardarlo…
 
Con occhi fissi, sì, ma non gelidi.
Non freddi.
Non colmi d’ira.
 
Che sfumatura racchiudevano quelle perle color mare?
 
Perché quell’uomo lo confondeva così tanto?
Perché aveva il potere di mutare con un singolo battito di ciglia?
 
Non seppe per quanto sostenne quello sguardo indecifrabile.
A un certo punto, tuttavia, la tensione fu troppa.
 
Spezzò il contatto visivo, pescando un sashimi dal piatto e portandoselo alla bocca.
 
Era un codardo.
Un vile che scappava continuamente dalle situazioni difficili.
 
“Umh… onerosa” mugugnò Tobio dopo qualche infinito secondo.
 
Stava tentando in ogni modo possibile di distogliere l’attenzione dal medico…
Ma era dannatamente complicato.
 
Insomma, che diavolo ci faceva lì quello scricciolo?!
Era vero che Akaashi-san non aveva specificato la presenza di nessuno in particolare, però non avrebbe mai potuto pensare che quel rosso si sarebbe trovato con loro.
 
Maledizione.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Riusciva a stento a trattenersi dall’urlargli in faccia la domanda che lo aveva tormentato per i giorni precedenti.
La domanda che lo aveva mandato fuori di testa.
 
Perché?
Perché, perché, perché, perché….
 
Non aveva sue notizie da sei giorni… e adesso era lì, a nemmeno un metro di distanza.
 
Si sentiva vorticare.
Un senso di nausea gli attanagliò lo stomaco.
 
I terrificanti istanti del giorno precedente iniziarono a tartassarlo incessantemente.
 
La faccia di Nakamura sovrapposta a quella di Hinata.
La sua espressione uguale a quella del rosso.
Gli occhi colmi della medesima espressione.
 
Ma…
Che espressione era?
Che cosa significava?
Se non era disgusto o ira… cos’era, allora?
 
Merda, non riusciva a connettere un bel nulla.
 
“Kageyama”
 
Un lieve tocco sulla mano lo fece trasalire inaspettatamente.
 
Girò la testa per trovare il volto un po’ apprensivo di Keiji che lo squadrava.
“Va tutto bene?” sussurrò, non facendosi udire da nessun altro al di fuori di loro due.
 
Kageyama deglutì a vuoto, annuendo appena.
 
Avrebbe desiderato vomitare tutto ciò che aveva in corpo.
 
Arrischiò una fugace occhiata davanti a sé…
 
E il medico persisteva ostinatamente a non guardarlo.
 
Quella situazione stava divenendo parecchio snervante.
 
“Che programmi avete per domani? Per noi due è una delle poche domeniche in cui non siamo impegnati anche nel pomeriggio” sospirò Bokuto con una smorfia esagerata.
“Di quando in qua un part-time ti costringe a stare tutto il giorno a lavorare?” si lamentò Kuroo accoratamente.
“Sbrigati a raccogliere i soldi che ti servono e non dovrai più stare sotto nessuno” osservò razionalmente Akaashi, scrollando le spalle.
“Se fosse così facile ci sarei riuscito anni fa, non credi?” sbuffò tagliente, incrociando le braccia.
“Beh, il succo però è questo” concordò Kenma senza guardarlo.
Tetsuro gli scoccò un’occhiata oltraggiata.
“Dovresti stare dalla mia parte e non da quella di quest’essere crudele” sbottò, apostrofando Keiji come se si trattasse del diavolo personificato.
“Da che pulpito” osservò Shoyo con una linguaccia.
“Ti scavi la fossa se dici così, bro” ridacchiò Bokuto.
“Okay, siete tutti contro di me”
Il moro incrociò le braccia, imbronciato.
“Non sei capace di mettere il broncio, Kuro” proferì Kenma, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Dovresti aver finito entro i prossimi due mesi. Smettila di scoraggiarti”
Dal viso di Kuroo nacque un piccolo sorriso genuino.
“Lo so. Non vedo l’ora di aprire una clinica veterinaria tutta mia” gioì, riacquisendo la solita verve.
“Cosa farò senza di te, bro? Le giornate saranno così noiose!” si disperò melodrammatico Bokuto, mettendosi le mani fra i capelli.
“Avevi detto che non appena se ne sarebbe andato Kuroo avresti accettato il lavoro al Tokyo Metropolitan Gymnasium” gli ricordò pazientemente Akaashi.
“Oh, giusto! Fortunatamente uno dei loro personal trainer si trasferirà in quel periodo, così potrò iniziare io! Sarà strano smettere di lavorare da Murakami, però. Non avrò più lo sconto dipendenti…”
Shoyo e Akaashi risero.
 
“Tornando alla domanda originale, io credo che dovrò lavorare”
Kuroo si svoltò di scatto verso Kenma.
“Come lavorare?! Ma è domenica!” protestò vivacemente.
“Stiamo progettando un videogioco piuttosto costoso e il capo vuole progressi giornalieri” spiegò con una scrollatina di spalle.
“Anch’io dovrò studiare, domani” si aggiunse Keiji con un sospiro stanco.
Le bacchette rette da Bokuto caddero rumorosamente sul piatto.
“No! Akaashi, non puoi farmi questo! Studi ogni giorno, perché anche domani quando ho il pomeriggio libero?”
Il ragazzo sembrava genuinamente scioccato dalla notizia.
“Perché il concorso si avvicina, Kou. Non posso allentare il ritmo proprio adesso” spiegò con un sorriso un po’ triste, appoggiando la mano sul braccio di Bokuto.
“Quando sarà la data?” s’intromise Kageyama, appigliandosi all’unico dato conosciuto del discorso. 
“Tra due settimane, il 22 ottobre”
“Ma c’è ancora tempo, Akaashi… domani volevo un po’ di tempo per noi due…” piagnucolò sommessamente Koutaro, facendo scivolare il palmo sulla coscia di Keiji.
Le guance del corvino si colorarono lievemente.
“Di tempo a disposizione ne avremo presto” rispose con un sorrisetto.
 
Shoyo assisté alla scena con un po’ di celata invidia.
 
Quei momenti d’intimità gli mancavano.
Anche se non poteva ammettere che gli mancasse al cento per cento la persona con la quale era solito trascorrerli.
 
Un pensiero malizioso s’insinuò nella sua mente, causando l’imprevisto arrossamento delle guance.
 
Chissà come sarebbe apparso Kageyama in una situazione d’intimità.
 
Oh Dio, ma che andava a immaginare in quel momento?!
 
Era un pensiero inopportuno e fuori contesto.
E per di più inutile, considerando che non progettava di scoprirlo mai.
Non voleva avere a che fare con il legale, no?
 
O almeno, per il momento.
 
Okay, la sua testa aveva esagerato.
 
Gli mancava semplicemente un po’ di contatto fisico, fine della storia.
L’ultima volta che era stato con Terushima risaliva a…
 
Allargò le palpebre, inorridito.
 
Oddio, erano davvero passati sette mesi?
Ecco spiegato il mistero.  
 
Teru, eh…
 
Studiò per un minuscolo istante il volto di Kageyama che, ringraziando il cielo, era impegnato in una conversazione con Akaashi e non si accorse della sua occhiatina.
 
La domenica precedente il legale aveva reagito in maniera completamente inaspettata alla sua provocazione.
Sembrava essersi incupito terribilmente all’ipotesi di un possibile individuo con cui lui avesse potuto incontrarsi.
Anche se…
 
 
“Non mi vedo con nessuno, ma se anche fosse… ti darebbe fastidio?”
 
 
Quella domanda non aveva ottenuto una risposta.
 
Si mordicchiò l’interno della guancia, indeciso.
 
Non voleva comportarsi da bambino.
Non desiderava lanciare frecciatine gratuite, considerando soprattutto la spinosa situazione attuale.
 
Non voleva avere a che fare con Kageyama al momento, però…
 
Una piccola vendetta aveva il diritto di conquistarsela.
 
“Io credo… che mi vedrò con Teru, domani”
 
Dieci occhi strabuzzati si focalizzarono su di lui.
 
Due più di tutti, però, parevano trapassarlo a metà per la loro intensità.
 
Shoyo tentò d’ignorarli.
 
Le iridi feline di Kenma e Kuroo lo scrutarono meglio dei raggi X.
Bokuto, invece, esclamò uno spontaneo e preoccupato “Ma come, di nuovo?”
Keiji avrebbe voluto baciarlo per la sua ingenuità, che però rafforzava la credibilità delle parole di Hinata.
Il rosso aveva deciso di tirar fuori gli artigli.
E, a giudicare dall’espressione ferina di Kageyama…
Aveva fatto decisamente breccia.
 
“Vi siete… riavvicinati?” chiese Keiji rimanendo sul vago, sorseggiando placidamente il suo sakè.
 
Shoyo giocherellò con un pezzo di sashimi, temporeggiando sulla risposta.
 
Okay, non era stata una mossa molto intelligente, considerando quanto fosse una frana nelle improvvisazioni e a inventare bugie.
 
Però…
 
Cercò di sbirciare discretamente davanti a sé, e…
 
Lo sguardo di Kageyama per poco non gli fece sputare il boccone che stava masticando.
 
Era assolutamente terrificante.
 
Abbassò la testa, irritato.
 
Perché era così arrabbiato, quell’antipatico insensibile?
 
Di lui non gliene fregava poi un granché, no?
Come non gli importava nulla di tutte le persone che gli stavano intorno…
 
“In effetti sì. Ci siamo sentiti questa settimana…”
 
Lo sguardo incredulo che Kenma gli rivolse lo fece quasi inciampare nelle sue stesse parole.
 
Era ovvio che stesse mentendo, non aveva contattato nemmeno lui in quei giorni.
Tuttavia…
Quello Kageyama non lo sapeva.
 
“E abbiamo deciso di vederci per prendere qualcosa da bere. Una piccola serata per... ricordare i bei tempi assieme”
 
Oddio, cosa accidenti gli era fuoriuscito dalla bocca.
 
Kuroo per poco non scoppiò a ridere e persino per Kenma e Akaashi fu complicato mantenere un’espressione seria.
Bokuto, fortunatamente, decise di soffermare tutta la propria attenzione sulla bottiglia di sakè dinanzi a lui.
 
Il sangue di Kageyama, invece, stava letteralmente ribollendo.
 
La sola immagine di quel ributtante essere biondo ossigenato assieme al medico…
 
Era istinto omicida quello che provava?
 
Cazzo, l’idiota gli aveva comunicato di non frequentarsi con nessuno!
 
Aveva mentito?
L’aveva ingannato?
 
Anche se…
Lui non possedeva alcun diritto d’interessarsi alla vita di quel rosso.
Poteva uscire con chi desiderava…
 
No.
Hinata gli era sembrato sincero la domenica precedente.
Allora…
 
Perché?
Cosa cazzo era successo quel giorno?
Perché, perché era finita in quel modo?
Perché quell’idiota non lo degnava nemmeno di uno sguardo?!
 
“Buon per voi, allora”
Kuroo si schiarì la gola, occhieggiando rapidamente i due uomini agli opposti del tavolo, percependo la tensione crescente.
Decise di riprendere in mano le redini del gioco.
“Ho sentito che al cinema è uscito il nuovo Avengers. Che ne…”
“Woooo, davvero?? Non vedo l’ora di andare a vederlo!” lo interruppe Bokuto con fin troppo fervore, il bicchierino di sakè pericolosamente in bilico sulla mano.
“Kou, per oggi basta bere, che ne dici?” sussurrò Keiji con il tono maggiormente persuasivo che riuscì a pescare, provocando una risatina ilare in Tetsuro.
“Tu che ne dici, piccoletto?”
Il viso di Hinata riacquistò un po’ della solita allegria.
“Sono curiosissimo! Spero che Iron man faccia qualcosa di super spettacolare! Magari insieme a Thor… è così figo” esalò sognante.
“Andiamo tutti insieme, Kenma? Ti va?” domandò all’amico con occhi brillanti.
“Se ci tieni…” rispose sommessamente, sebbene un piccolo sorriso gli avesse disegnato le labbra.
“Ehi! Ma perché quando te lo chiede il piccoletto sei tutto carino e quando ti propongo una cosa io fai tante storie?” si lagnò Tetsuro con espressione oltraggiata.
“Perché le tue idee sono spesso un fiasco” ribatté con una sfumatura piuttosto eloquente che fece ridacchiare di gusto Keiji.
Il moro s’imbronciò.
“Ehi, vedete che anche voi avevate…”
“E tu, Kageyama?” troncò il discorso Akaashi, rivolgendosi al corvino, la cui attenzione pareva esser unicamente indirizzata al piatto di fronte a lui.
“Ti piace la saga? Io sono stato costretto da Bokuto-san a vedere tutti i film, però non sono affatto il mio genere” spiegò con una smorfietta.
Koutaro spalancò gli occhi, sconvolto.
“Ma Akaaaaaashi! Avevi detto che non ti dispiacevano poi così tanto!”
“Bro, ti avevo avvertito. Akaashi-kun è un essere spregevole” lo consolò Tetsuro con aria vissuta mentre scoccava un occhiolino subdolo a Keiji.
Il corvino roteò gli occhi e mise una mano sulla spalla di Bokuto.
“Vederli assieme a te non mi dispiace, okay? Però i film in sé non sono i miei preferiti” spiegò con pacatezza al proprio ragazzo, calmandone la crisi sul nascere.
“Mmmh” mugugnò senza convinzione, abbatacchiando le voluminose spalle verso il basso che, paradossalmente, lo facevano apparire ancor più massiccio di quanto non fosse.
“Bokuto-san, sei un bambinone” scherzò Shoyo con leggerezza e Keiji sorrise, facendogli una carezza sulla guancia un po’ ruvida per il velo di barba crescente.
“Un bebè di appena ottantacinque chili. Una passeggiata da scarrozzare in giro” ghignò ironico Testuro.
“Basta prendermi in giro” si lamentò Koutaro con il labbrino e Akaashi non resistette alla voglia di scoccargli un bacio sulla guancia.
Le gote di Bokuto si colorarono e il suo buon umore tornò velocemente come se n’era andato.
“Perché non impari un po’ da Akaashi? Mi farebbe bene essere ricompensato quando faccio qualcosa di carino” soffiò Kuroo con un sorrisetto all’orecchio di Kenma.
“Non fai mai nulla di carino” rispose subito il biondo con voce monocorde, giochicchiando con il telefono in maniera impassibile.
“Insensibile. Mi spezzi il cuore così” esalò il moro con drammatica disperazione.
“Un cuore che sembri non avere, però” intervenne Shoyo con un sopracciglio inarcato.
 
Tetsuro sbatté gli occhi, colto in contropiede.
 
Che lo stesse rimproverando indirettamente per avergli causato quello scherzetto?
 
Uno degli scopi impliciti di Shoyo era proprio quello, senza dubbio.
 
Anche se…
 
Nel pronunciare quella frase i suoi occhi nocciola, per una frazione di secondo, si posarono sul volto di Kageyama che, casualmente, in quel momento stava proprio fissando lui.
 
Hinata distolse subito lo sguardo.
 
Ma Kageyama l’aveva adocchiato fin troppo bene, ormai.
 
Che il legale avesse compreso che quella fosse una frecciatina rivolta a lui?
 
Non seppe la risposta, poiché si rifiutò ostinatamente di tornare a sbirciare il suo viso.
 
“Quindi possiamo considerarti un amante dei supereroi o no, Kageyama-kun?”
 
La domanda di Kuroo arrivò alle orecchie di Tobio completamente distorta.
 
Il suo cervello, solitamente tanto in subbuglio per riuscire a catalogare emozioni e sensazioni contrastanti…
 
In quel momento appariva calmo.
Quieto, privo di qualunque rumore.
Tranquillo in maniera inquietante.
 
Non c’era poi molto da comprendere, no?
 
Quello scricciolo l’aveva appena confermato.
 
Tobio poteva essere lento a capire le sfaccettature di significato, ma il senso di quella frase era fin troppo palese.
 
Non aveva un cuore.
 
Non aveva
 
Un cuore.
 
Perché si sorprendeva?
 
Non c’era nulla per cui meravigliarsi.
 
Glielo ripetevano continuamente.
 
Glielo dimostravano continuamente.
 
Solo la mattina precedente la sua ormai ex segretaria aveva dichiarato a tutti che lavorare con lui era impossibile.
 
Non possedeva un cuore, no?
 
Freddo, indifferente, menefreghista.
 
Lui stesso si descriveva così.
 
Lui stesso voleva essere così.
 
Capace di ogni azione senza il minimo aiuto.
 
Invincibile.
 
Inarrivabile.
 
Per tutti.
 
Per Oikawa-san, un giorno.
 
Per…
 
Sbatté le palpebre sulle sclere che, inaspettatamente, non erano aride come si aspettava.
 
Per quel medico rosso.
 
 
Erano un po’ umide, le sue cornee.
Chissà perché.
 
Deglutì un grumo di saliva compatto come sabbia bagnata.
 
Non c’era altro che desiderasse.
 
Essere il primo in tutto.
 
Primeggiare su tutto.
 
Vincere su tutto.
 
Tuttavia…
 
Si focalizzò nuovamente sulla figura di Hinata, indaffarato a mangiucchiare qualcosa.
 
Aveva vinto, su quello scricciolo?
 
Aveva appena affermato che non possedesse un cuore.
 
Dunque?
 
Aveva guadagnato la sua personale soddisfazione nel dimostrare che fosse superiore a lui?
 
Poteva mai essere appagamento, quel vuoto che lo scavava dentro al petto?
 
 
Un Re tirannico… può continuare a esserlo se privo di sudditi?”
 
 
Strinse così forte le bacchette tra le dita da poter giurare d’udire un piccolo “crack”.
 
No, non voleva percepire le emozioni spiacevoli del giorno precedente.
Non sapeva nemmeno il motivo per cui le aveva provate.
 
Non avrebbe dovuto farsi contaminare.
 
Nulla avrebbe dovuto scalfirlo.
 
Lui era superiore, superiore a tutto.
 
Oikawa-san si era mai lasciato intaccare dalle cattiverie sputategli dagli avvocati che bramavano minarne la professione?
 
No.
Oikawa-san era sempre andato avanti a buttar sangue.
Da solo.
 
E lui sarebbe diventato più bravo di lui.
Sarebbe giunto più in alto.
 
Se Oikawa-san era stato senza cuore, lui lo sarebbe stato di più.
 
Non poteva…
 
Non poteva mica fare male tutto quello, no?
 
Perché quelle parole gli stringevano il petto, allora?
 
Perché l’affermazione di Hinata, di quello stupido idiota…
Doveva lasciarlo così scosso?
 
E perché se n’era andato via in quel modo sei giorni prima?
 
Aveva agito così perché lui era senza cuore?
 
Ma non l’aveva sempre saputo, dannazione?!
 
Perché, perché se le persone sapevano fin dall’inizio com’era realmente, si sorprendevano talmente tanto non appena manifestava nel concreto la sua essenza?
 
Perché lo illudevano così?
 
Perché, dannazione?!
 
Crack.
 
Sbatté le palpebre, stralunato.
 
Sentiva la fronte appiccicaticcia.
Nel palmo sinistro, la bacchetta di legno era tranciata a metà.
Trucioli di legno erano sparsi sopra il suo piatto.
 
Gli occhi di Kuroo, Bokuto, Keiji e Kenma erano su di lui.
 
Tranne un paio.
 
Tranne quelli che Kageyama avrebbe segretamente desiderato avere soltanto su di sé.
 
Grandi, cristallini… brillanti occhi nocciola.
 
“Scusate, non mi sento molto bene” mormorò impulsivamente, lasciando di scatto l’oggetto danneggiato e strofinandosi l‘avambraccio sulle tempie.
 
“Grondi di sudore, Kageyama” constatò Kuroo, fissando la fronte madida del legale.
 
“Ti ha fatto male qualcosa? Non è che il pesce è avariato?” si allarmò Bokuto, squadrando con orrore il piatto ormai vuoto.
 
“Non credo sia stato il pesce, Kou” gli sussurrò Akaashi all’orecchio, più per tranquillizzarlo sul fatto che non sarebbero morti a breve che per illustrargli la situazione.
“Non dovresti dargli un’occhiatina, piccoletto? Magari il nostro legale si è beccato un’intossicazione” chiocciò Kuroo, ricevendo sotto il tavolo un pugno ben assestato da Kenma, che scosse la testa, esasperato.
Quell’uomo non si fermava mai nemmeno di fronte all’evidenza.
 
“No, non ce n’è bisogno, sto… sto bene, ora” farfugliò velocemente Tobio.
Non voleva che il medico lo rigettasse platealmente un’altra volta.
 
Soltanto a quel punto Shoyo alzò la testa, pungolato dalla provocazione di Tetsuro.
 
“Se non si sente bene posso controllarla in un attimo, Kageyama-san”
 
Fu come se avessero riempito la stanza di ghiaccio.
 
Terza persona.
Uso dell’onorifico.
Livello di una conoscenza puramente convenzionale.
 
Non era una vittoria.
 
Quella di Tobio era stata una sconfitta su tutti i fronti.
 
“Si è fatto piuttosto tardi” s’intromise prontamente Akaashi, occhieggiando con casualità l’orologio al polso e segnalando al cameriere d’avvicinarsi.
“Domani mattina è una giornata lavorativa e, in teoria, Bokuto è d’apertura” commentò con un sospiro,  guardando il proprio fidanzato mezzo addormentato per tutto il sakè ingerito.
“Vuoi che ti aiuti a trascinarlo in macchina?” chiese Kuroo con il solito sorriso sghembo, che fece venir voglia a Keiji di lanciargli il vassoio in testa.
“E’ meglio che noi torniamo dritti filati a casa” risolse la situazione Kenma con voce piatta, scoccando a Tetsuro un’occhiata capace di azzittirlo all’istante.
 
 
 
Uscirono dal ristorante dieci minuti dopo, Akaashi e Bokuto in testa al gruppo, Kuroo che supportava l’amico sulla spalla di Keiji e Kenma accanto a Shoyo.
Dietro di loro camminava lentamente Kageyama.
 
“Io e Bo abbiamo la macchina proprio lì. Voi come tornate?” chiese Keiji, fermatosi dinanzi a un marciapiede.
“Noi prendiamo il treno, siamo a due fermate di distanza” rispose Kuroo con una scrollata di spalle.
“Io prendo un taxi…” mugugnò Kageyama, fissando l’asfalto.  
“Shoyo?” domandò a quel punto Kenma, guardando l’amico che si grattò la nuca.
“Mi ha dato uno strappo Tanaka per venire qui all’andata. Non preoccupatevi, prendo un taxi” li rassicurò con un sorriso.
La faccia di Kenma non era però molto convinta.
 
“Posso…”
 
Tobio aprì bocca prima che potesse pensare logicamente.
 
Il viso di Shoyo non si mosse, ma i suoi occhi ruotarono di striscio verso la sua direzione.
 
“Posso… accompagnarti alla fermata del taxi. S-se vuoi” quasi balbettò, maledicendo la sua stupida lingua per essersi azzardata a sputar fuori parole non richieste.
 
Hinata avrebbe certamente rifiutato.
L’aveva ignorato tutta la sera.
Perché mai avrebbe dovuto…
 
“Va bene”
 
Come in ogni singola occasione in cui s’incontravano, quello scricciolo rosso lo sorprese per l’ennesima volta.
 
“Sicuro, Shoyo?” gli sussurrò Kozume all’orecchio, cosicché nessuno potesse sentirlo.
“Mmh-mmh, non preoccuparti” lo rassicurò il medico con espressione tranquilla.
“A presto, ragazzi. Buonanotte!”
Salutò tutti con un gesto della mano, girando poi le spalle e incamminandosi verso la strada opposta.
“B-buonanotte a tutti e… grazie per la cena, Kuroo-san” mormorò Kageyama con gli occhi ancora rivolti al terreno, voltando velocemente i tacchi e seguendo la direzione intrapresa dal rosso.
 
 
 
Vi fu qualche attimo di silenzio generale.
 
“E’ stata davvero una pessima idea” sputò finalmente fuori Akaashi, scoccando un’occhiata talmente truce in direzione di Kuroo che il moro fu costretto a distogliere lo sguardo.
“Ehi, perché non te la prendi anche con il tuo fidanzato? Non sono stato mica l’unico a ideare questo piano” si giustificò, scombinandosi i capelli scuri.
“Con lui farò i conti quando sarà abbastanza lucido da capirmi” rispose senza batter ciglio Keiji, raddrizzandosi il braccio di Bokuto sulle spalle, faticando non poco per la mole ingombrante.
“E’ raro vedere Shoyo tanto freddo con qualcuno”
La riflessione di Kenma colse tutti di sorpresa.
“Però, più che esserlo davvero… pareva sforzarsi per apparire così” ragionò ancora con gli occhi assottigliati, rimettendo insieme le immagini della serata appena trascorsa.
“Tu dici?” chiese Akaashi, un po’ incerto.
Il biondo annuì.
“Allora vedi che non è stata poi una cattiva idea? Abbiamo potuto ricavare qualche notizia in più sulla situazione” si difese con forza Kuroo, incrociando le braccia al petto.
“Non sappiamo però cosa è davvero successo domenica scorsa” fece notare Keiji con uno sbuffo.
“Qualunque cosa sia accaduta” troncò il discorso Kenma “Deve aver fatto scattare in Shoyo qualcosa. E non so…”
S’interruppe, aggrottando la fronte in maniera stranamente preoccupata.
“Se sia positiva o meno” mormorò sommessamente, guardando l’ormai vuota stradina in cui i due erano scomparsi.
 
 
 
Camminarono in silenzio per quelli che sembrarono interminabili minuti.
 
Era Hinata a condurre il percorso, procedendo a passo fastidiosamente tranquillo.
 
Guardandolo da quella prospettiva, la loro differenza d’altezza era ancor più pronunciata.
I capelli rossi ondeggiavano lievemente grazie alla brezza serale.
Tobio aveva davvero voglia di sfiorarli.
 
A un tratto, il medico si fermò.
Una lunga striscia gialla disegnata sull’asfalto simboleggiava la fermata del taxi.
 
Il silenzio li avviluppava come un veleno letale.
 
Tobio era solitamente avvezzo al silenzio che lo avvolgeva quotidianamente.
 
Nel suo appartamento.
Nella sua mente.
Nella sua vita.
 
Tuttavia, non era abituato a quel silenzio.
Non al silenzio proveniente da colui che più di tutti avrebbe agognato sentir parlare.
 
I minuti continuarono a scorrere, implacabili.
 
Il taxi sarebbe potuto arrivare in qualunque momento.
Forse nel giro di una quindicina di minuti.
Forse proprio nel secondo successivo.
A quel punto, il rosso se ne sarebbe andato.
Forse, non si sarebbero più parlati fino al giorno, ormai sempre più prossimo, in cui il medico gli avrebbe definitivamente rimosso il gesso dal braccio.
 
Gli andava davvero bene così?
 
Voleva davvero perdere?
 
Ma, cosa più importante…
 
Voleva davvero perdere la possibilità di rivedere quello scricciolo rosso?
 
“Perché?”
 
Fu più forte di lui.
 
Il suo cervello ormai gli sputava quella domanda in ogni singolo momento della giornata.
In ufficio, in casa, durante i processi, le sentenze in tribunale.
 
Era divenuta la sua ossessione, tanto da starne male.
 
Shoyo sbatté gli occhi, colto completamente alla sprovvista.
Si sforzò di non occhieggiare l’uomo al suo fianco.
 
“Perché cosa?” si decise a formulare in un sussurro incerto.
 
“Perché non ci siamo più sentiti?”
 
Dio, che idiota.
Che frase da idiota.
Che schifo.
Kageyama Tobio che si abbassava a elemosinare spiegazioni.
Cazzo, non avrebbe dovuto fregargliene nulla!
 
Decisamente innervosito, Shoyo sollevò il volto repentinamente.
 
“Perché lo chiedi a me, scusa?” sbottò, serrando i pugni.
 
Tobio sbatté le palpebre.
 
“Ho… ho fatto… qualcosa?” farfugliò vagamente, evitando di proposito l’aggiungere “di sbagliato”.
 
Lui non commetteva errori.
Non doveva sbagliare.
Non poteva sbagliare.
 
Hinata emise una mezza risata ironica.
 
“Secondo te?”
 
“Non saprei rispondere”
 
Il medico sbuffò, sprezzante.
 
“Allora è anche solo inutile parlarne”
 
Tobio percepì il battito cardiaco accelerare.
 
No, no, no.
Non… andava bene.
Non…
Non… poteva…
 
“Ho agito in modo tale da farti comprendere che io sia senza cuore?”
 
Non poteva più evitarlo.
 
Mettere insieme quella frase fece male.
 
Male, dannatamente male.
 
E ciò che più lo turbava, era che non ne comprendeva nemmeno il motivo.
 
Shoyo spalancò gli occhi, scrutando il volto di Kageyama per la prima volta da quando si erano seduti allo stesso tavolo un’ora e mezza prima.
 
Gli occhi del legale…
Non erano gelidi nemmeno in quel frangente.
Erano…
 
Liquidi.
 
Cosa?
 
Liquidi?
 
Che fossero davvero un po’ umidi?
 
Ma perché?
 
Non c’era nemmeno così tanto freddo, quella sera.
 
Dannazione.
Quegli occhi, in quel momento, non lo intimorivano affatto.
Anzi, gli…
 
“Che razza di affermazione sarebbe” sputò molto più acidamente di quel che avrebbe desiderato.
 
Gli facevano venir voglia di stringerlo stretto, ecco.
 
Tobio aggrottò la fronte.
 
“E’ quello che hai detto tu prima. Era riferito a me, no?”
 
Il medico si morse il labbro inferiore.
 
“Sì, lo era. Però…”
 
Dannazione.
 
Poteva una singola persona mutare atteggiamento così rapidamente?
Avere occhi…
Occhi così cangianti?
 
Aveva capito la causa scatenate, giusto?
Aveva compreso la vera natura di quell’uomo, no?
 
“Però prende forma solo in determinati momenti” 
 
Oddio, era un idiota.
Hinata Shoyo era il re degli idioti.
Come poteva aver appena affermato che Kageyama non fosse sempre senza cuore?
 
Improvvise immagini della domenica precedente che aveva cercato di rimuovere gli affollarono di prepotenza la mente.
 
Il solletico.
La spontaneità di quel gesto… poteva mai rispecchiare l’assenza di emozioni in un uomo?
Poteva davvero essere sempre senza sentimenti… se era capace di un’azione come quella?
 
Eppure...
Eppure…
 
“Mi hai ferito, Kageyama”
 
Non ce la faceva più a trattenerlo.
 
Aveva bisogno di smettere di comportarsi come qualcuno che non fosse.
Smettere di fingere d’essere disinteressato, o peggio…
Indifferente nei confronti di quell’uomo dagli occhi blu come il mare.
 
Tobio allargò le palpebre.
 
“Mi hai davvero ferito e… ho paura che mi ferirai molte, molte altre volte” sussurrò, distogliendo lo sguardo da quelle iridi blu tanto sgranate, tanto…
 
Perse.
Smarrite in mare sconosciuto, mai solcato prima d’ora.
 
La luce gialla dei fari del taxi interruppe qualsiasi altra possibilità di comunicazione.
 
“Grazie per avermi accompagnato” si congedò Shoyo senza guardare indietro, entrando nell’autovettura e chiudendosi lo sportello con un tonfo.
 
Kageyama rimase fermo, immobile come un fusto finché la macchina non fu sparita all’orizzonte.
 
L’aveva ferito…?
Ma…
Come?
Come, come, come?!
 
Come aveva fatto a ferire volontariamente l’ultima persona che avrebbe desiderato soffrisse?
 
Come aveva fatto a ferirlo senza essersene nemmeno accorto?
 
Improvvisamente, un’immagine venne proiettata al centro del proprio cervello.
 
Fu una semplice connessione di sinapsi.
Una banale associazione libera d’idee.
 
Il viso di Nakamura che lo guardava.
 
Il viso di Nakamura…
 
Che aveva sopportato due anni in cui lui l’aveva guardata con indifferenza…
E, magari, disprezzo.
 
Il volto di chi si era sentito…
Ferito.
 
Spalancò gli occhi dinanzi a quella terrificante realizzazione.
 
Quell’espressione negli occhi di Nakamura la mattina del giorno precedente…
Lo sguardo negli occhi di Hinata sei giorni prima…
 
Altro non erano che simboli di una ferita.
 
Piaga…
 
Che soltanto lui, il Re tirannico, aveva provocato...
Consapevolmente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note finali: sono soddisfatta dai, non vi ho fatto aspettare due mesi questa volta.
Questo capitolo è stato un parto. Scriverlo mi ha letteralmente sfiancata.
Man mano che la storia diventa più lunga mi rendo inoltre conto di quanto sia stancante correggere e ricorreggere il tutto virgola per virgola, dunque se doveste notare refusi o errori di qualche genere non esitate a farmeli notare, per favore.
Nota di servizio. So che gli eventi sembrano andare a rilento e che i monologhi interiori occupino forse più spazio dell’azione in sé, ma è il ritmo che desidero affidare alla storia.
Naturalmente vi prego di segnalarmi se i pensieri dei personaggi mal si amalgamano con la narrazione o se ci sono passaggi poco chiari (come temo sia avvenuto qualche volta in questo capitolo).
La vostra opinione mi è di grandissimo aiuto.
Come sempre ci tengo a ringraziare tantissimo coloro che mi hanno lasciato una recensione, stanno continuando ad aggiungere la storia fra le preferite e chi la continua a seguire con assiduità.
Senza di voi non credo che sarei arrivata a questo punto, non smetterò mai di sottolinearlo.
Avrei probabilmente abbandonato il progetto tra le tante idee troncate sul nascere.
Vi mando un mega bacio.
Al prossimo aggiornamento ^-^
   
 
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