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Autore: Rei Murai    25/04/2019    2 recensioni
«Fa freddo questa notte, vero?».
L’uomo, poco più alto di lui, accostò il viso al suo, accendendo la propria sigaretta.
Il profumo penetrante dell’uomo lo avvolse e, per un secondo, l’aria si fece più gelida, ghiacciata.
Gli parve di sentire il respiro mozzarsi, bloccarsi in un punto indefinito della trachea, rubato dagli occhi chiari dell’altro.
Genere: Angst, Erotico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Gin, Shuichi Akai
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il rumore secco del grilletto della pistola che veniva tirato indietro lo fece sobbalzare.
Sessanta secondi; li mimò con le labbra, senza produrre alcun suono, prima di voltare la testa e trovarsi la canna della Beretta APX piantata in mezzo agli occhi.
Sorrise, rassegnato, quando il carrello scorse lasciando cadere i bossoli vuoti sul pavimento. Il caricatore svuotato.
Il metallo produsse un rumore rassicurante, famigliare: chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni, prima di fare un passo indietro e guardare negli occhi il suo aggressore.
Il braccio che teneva l’arma puntata verso di lui ricadde senza peso lungo il fianco. Il viso piegato; ciuffi argentati che coprivano in parte il ghigno – così simile al suo eppure più crudele; occhi freddi, senza anima.
Aspirò dal mozzicone, sistemò meglio il berretto di lana e portò indietro il peso, sedendosi sul cornicione del tetto. Alla sua destra il fido fucile sul cavalletto, puntato verso il prossimo bersaglio.
«Fa freddo questa notte, vero?».
L’uomo, poco più alto di lui, accostò il viso al suo, accendendo la propria sigaretta.
Il suo profumo penetrante lo avvolse e, per un secondo, l’aria si fece più gelida, ghiacciata.
Gli parve di sentire il respiro mozzarsi, bloccarsi in un punto indefinito della trachea, rubato dagli occhi chiari dell’altro.
«Non più del solito – fu la risposta bassa e roca che ricevette. – Hai eliminato il nostro bersaglio?».
«Sarei qui se l’avessi fatto? – rise, afferrando il mozzicone tra il pollice e l’indice – c’è sua figlia con lui; sto attendendo che vada a letto».
Ne seguì i movimenti; i fili argentati si poggiarono senza peso sull’impermeabile nero, mentre toglieva il capello e si abbassava poggiando l’occhio contro il mirino. Il fumo della sigaretta lo confuse per un istante, prima che lo sparo partisse – preciso e silenzioso – conficcandosi nel costato del politico.
Trattenne la rabbia, lo schifo, imponendosi di restare seduto. Nascose le mani nelle tasche per impedire all’altro di coglierne il tremore, nessun gesto avventato, e si strinse nella giacca in cerca di calore.
«Non abbiamo tempo. Ci è stata affidata un’altra missione, Rye».
Si alzò come un automa, smontando il fucile e riponendolo all’interno della valigetta.
«Questa sera sei particolarmente silenzioso – l’altro lo precedette, dirigendosi verso l’uscita di sicurezza – ti si è congelata la lingua?».
Avrebbe potuto sparargli. Avrebbe potuto prendere la pistola di servizio e puntarla alla sua schiena, eliminando il primo di un lungo elenco di problemi che si portava dietro; eliminarlo lo avrebbe facilitato, dopotutto. Eliminarlo gli avrebbe permesso di infiltrarsi in modo più serrato all’interno dell’organizzazione.
Prese un respiro dandosi dell’idiota. Se voleva inserirsi in una posizione scomoda, quello era certamente il modo più corretto.
Si fermò quando sbatté con il viso contro la sua spalla. Il mozzicone di sigaretta cadde a terra, spalancò le labbra per la sorpresa e non poté evitare all’altro di afferrargli il mento e alzargli il viso.
La fitta al collo gli annebbiò la vista e lo sguardo dell’altro lo pietrificò in quella scomoda posizione.
«Sono abituato alla gente che mi risponde, Rye. Dopotutto sei solo uno scarto dell’organizzazione, dovresti portare rispetto».
Il fiato caldo e intriso di tabacco gli fece storcere il naso.
L’uomo sorrise, un sorriso sporco; cattivo, prima di rubargli un bacio con la forza.
La lingua si fece spazio con prepotenza, i denti morsero il labbro inferiore e la stretta sulla sua mascella si serrò dolorosa, costringendolo ad aprire la bocca senza, tuttavia, poterlo mordere.
Gli piantò le mani sul petto, allontanandolo con uno spintone, prima di sputare a terra.
Rimasero ad osservarsi a lungo, immobili, prima che l’altro scoppiasse a ridere e riprendesse a camminare.
«Sembri un gatto con il pelo arruffato, mi piaci».
Attese che fosse lontano.
Attese immobile, concedendosi solo di pulirsi le labbra con un gesto schifato.
Quando la porta si chiuse alle spalle dell’uomo, Akai strinse la presa sul calcio della pistola di servizio, nascosta sotto la giacca, imprecando.
«Tu invece mi fai schifo, Gin».
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