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Autore: Lady R Of Rage    26/04/2019    2 recensioni
"Lautrec indica il proprio petto. Le braccia della Dea Fina, il Favore della signora. Le mani scolpite in oro giacciono immobili sulle spalle tremanti, ma il cavaliere di Carim le guarda come se stringessero in mano due pugnali.
-Si sono attaccate alla mia gola e hanno stretto.- Lautrec si aggrappa alla roccia alle sue spalle. -Stavo soffocando. Volevano strozzarmi.-
"
[Scritta per l'evento Easter Advent Calendar, del gruppo "Hurt/Comfort Italia – Fanfiction E Fanart; Prompt "Soffocamento" | Lautrec vive!AU | Romantic bonding o amicizia platonica? You decide]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lautrec di Carim, Solaire di Astora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Il Mondo, Te, Me Stesso

Tell me who's gon' save me from myself
When this life is all I know
Tell me who's gon' save me from this hell
Without you, I'm all alone

(The Weeknd ft. Kendrick Lamar, Pray For Me)


Se stava sognando non si ricorda cosa, e non gliene importa neanche più. 
Il primo istinto di Solaire è afferrare la spada con la destra e sollevare lo scudo, nascondendovici dietro. Tace, rimanendo in ascolto, ma un secondo urlo non segue al primo. Il cavaliere scruta la collina erbosa, dove un gruppo di non morti in abiti da guerrieri deambula lungo la discesa avanti e indietro. No, no, veniva da vicino. Il falò crepita come di dovere, e le scintille si smarriscono nell’aria fredda del mattino. 
Per un attimo, Solaire inizia a temere per la propria sanità. Poi vede due pugni d’oro che tremano nell’erba secca e un elmo bucherellato rivolto verso di lui. 
Tutto è chiaro, ora: ma non semplice come vorrebbe. Solaire sposta i ricci biondi dal volto e si inginocchia al suo fianco, deponendo la spada accanto alla coscia. 
-Lautrec, stai bene? Hai urlato.- 
La risposta è no, e non c’è bisogno che il cavaliere disgraziato parli perché Solaire comprenda. Una goccia di sudore grande come la gemma di un anello si frantuma sui guanti d’oro massiccio; le mani sono chiuse in pugni stretti e palpitanti. Dorme con l’elmo in testa: decisione discutibile quanto a praticità, ma su cui il guerriero del sole non vuole sindacare. 
-Le mani.- ansima Lautrec. -Le braccia.- 
-Che cosa?-
Lautrec indica il proprio petto. Le braccia della Dea Fina, il Favore della signora. Le mani scolpite in oro giacciono immobili sulle spalle tremanti, ma il cavaliere di Carim le guarda come se stringessero in mano due pugnali.
-Si sono attaccate alla mia gola e hanno stretto.- Lautrec si aggrappa alla roccia alle sue spalle. -Stavo soffocando. Volevano strozzarmi.- 
Solaire gattona in avanti, stringendo i ciuffi d’erba fra le mani tremanti.
-Sono d’oro.- prova. -Non si muovono. Stavi sognando, Lautrec. Va tutto bene.-
-Toglimi di dosso quest’affare!- Lautrec afferra la propria corazza e scuote l’oro come se fosse una camicia di forza. -Levamela! Non stare lì a fissarmi.- 
Le allacciature sono sui fianchi e sulle spalle. In qualunque altra circostanza, Solaire si vergognerebbe a mettere le mani addosso a uno che a malapena conosce.
Un assassino e un peccatore: non dimenticarlo. Anche i basilischi piangono prima di maledire. O almeno così si dice, perché tutti gli Occhi della Morte sono un po’ umidi, e la morte stessa non è mai priva di pianto
Lautrec, da parte sua, gli strappa le mani dai fianchi appena la corazza d’oro tintinna contro le pietre. I gambali vi sbattono contro appena ha finito di slacciarli; si getta alle spalle i guanti, e uno rotola fino al dirupo e vi scompare dentro. Anche l’elmo precipita, ma stavolta Lautrec sta guardando verso il burrone, e la casacca grigia si solleva e si ritrae sul ritmo concitato dei suoi ansiti. Ginocchia muscolose, marroni come il suo volto, sporgono da due grossi buchi sulla calzamaglia di stoffa.
-Dei, che freddo bastardo.- 
Solaire fa un passo avanti. -Forse non mi intendo di molte cose, ma chiamare la propria armatura “quest’affare” non mi sembra una cosa normale.-  
Gli occhi dell’altro, iniettati di sangue, sfuggono ai suoi. -Non la voglio più. Fondetela, per quel che mi pare. Buttatela nelle fogne. Ne ho abbastanza di avere due braccia appiccicate alle spalle.-
Batte i denti, Lautrec, e le sue dita tremano a mezz’aria. Eppure non si stringe le braccia al corpo come si fa quando si ha freddo. L’armatura gettata via luccica sull’erba, immobile. Un altro paio di braccia, quelle incise nell’oro, la abbracciano come per consolarla e ricordarle il suo scopo. Un giorno un altro Cavaliere ti troverà e saprà onorarti, anziché andarsene in giro a farsi rinchiudere nelle vecchie chiese e ammazzare le Guardiane del Fuoco disarmate. Lautrec batte i denti, asciugandosi il volto con la manica. 
-Stai tremando. Vieni accanto al fuoco.-
Lautrec lo guarda fisso, battendo i denti adamantini. 
-Tu mi odi?-
Solaire arretra, serrando il pugno attorno all’impugnatura dello scudo. L’odio è brutto anche solo come pensiero: anche se qualcuno, a tutti gli effetti, potrebbe meritare di subirne almeno un po’. Ha ucciso un’innocente, ripete Solaire a sé stesso. Anastacia sorride sempre da dietro la sua gabbia, e simula una riverenza quando lo vede passare. Solaire si chiede se anche lei abbia sentito l’urlo del suo assassino. Se lo stesso Lautrec compaia nei suoi, di incubi, shotel insanguinato alla mano e un fuoco senza volto nei buchi dell’elmo. Se l’improvvisa presenza di un Pugnale del Bandito alla cintura della ragazza, da qualche giorno a questa parte, rappresenti solo una coincidenza. 
Dicono che Quella, Dio dei Sogni, distribuisca gli incubi ai peccatori su consiglio di Velka in persona. Con l’incubo di Lautrec si è davvero superato, deve ammetterlo. 
Ma è nella natura umana commettere un peccato, e un Dio non dovrebbe punire chi serve una Dea sua pari.  
Solaire si guarda le mani rosee, punteggiate dalla pelle d’oca, e scuote appena la testa. 
-Grazioso.- Lautrec serra gli occhi: brillano di più quando li riapre. -Qui mi odiano tutti. Non mi parlano, ma lo vedo. E mi odieranno finché sarò in vita. Sanno cosa ho fatto. E la mia armatura mi punisce con loro.- 
Solaire deglutisce. Lautrec non è un malizioso, e non sta giocando con le parole. Dovrebbe essere un attore degno degli annali, se quegli occhi e quelle guance sono solo un trucco per fregarlo. Ma Solaire non è Anastacia: ha una solida corazza, una lingua per urlare, e abbastanza muscoli da cavarsela anche da disarmato.
Eppure, la Guardiana del Fuoco non è meno forte di me, e più che mai di quest’individuo
-Saliamo a parlare sul tetto, ti va? Staremo in pace, e potremo goderci meglio il sole.- 
-Tu infili il sole dappertutto.- Lautrec getta via una treccina dalla fronte. -Ma sta bene. Il sole non può soffocarmi. Tanto vale che mi cuocia a puntino.-
Il cinismo di quell’uomo basta a fargli bollire la pelle. Gli assassini sono così, inutile aspettarsi qualcosa di diverso. Stringe forte il polso che gli porge e lo conduce verso il montacarichi. Lautrec tiene il capo basso, come un condannato, e si lascia guidare senza un lamento, le mani accuratamente lontane dal petto e dalla gola. 

-Neanche la conoscevo.- Lautrec colpisce il tetto con i pugni serrati. -Il suo nome me l’ha detto la ragazza che l’ha vendicata. Non mi ha fatto niente. Se anche sapesse impugnare un’arma, non l’aveva in mano. Eppure l’ho sgozzata. Un colpo solo. E tutto per cosa?-
Si guarda le mani con disgusto, come se fossero ricoperte di piaghe. 
-Per portare un bel regalino alla mia signora?-
Piega le ginocchia, mettendosi in posizione fetale, e nasconde le proprie mani tra le cosce e i polpacci. Non vuole vederle: sono l’arma del delitto. Lautrec sporge le labbra in fuori. 
-Quale signora abbandona i suoi servitori a morire?- 
Non lo so: ma le parole non escono. La verità è che Solaire non vuole neanche pensarci, alla possibilità dell’abbandono. Il sole sarà anche un grande padre, ma ci sono padri che abbandonano i loro figli senza guardarsi indietro. Ci sono padri come Sir Siegmeyer, che sua figlia ha pianto tutto il giorno precedente tra le braccia di Sua Eccellenza Griggs e Laurentius. Era un uomo buono, ma la sua eclissi perenne è bastata a spegnerne il bagliore. A Lady Sieglinde, Solaire ha sussurrato parole affettuose e scaldato una tisana alle erbe. Gli sembra di riaverla davanti, in quel momento: eccetto che Lady Sieglinde aveva gli occhi grandi del padre, e non quelli sottili e scostanti del cavaliere di fronte a lui.
E non è detto che Lady Fina sia una madre così brava
Lautrec sfila le mani dalle ginocchia
-Sono sudicio.- mugugna. 
-Ci sono peccati ben peggiori.-
Lautrec ride, ma è una risata amara. -Parlavo del mio corpo. Guarda che disastro. Quelle dannate fogne mi si sono appiccicate tutte addosso.- 
I lati del suo cranio sono rasati, e i capelli che stanno nel mezzo sono intrecciati l’uno sull’altro in trecce spesse un dito, che si impilano sulla sua fronte. Neri corvini, privi di riflessi e non a caso: nessuno di loro due si lava come si deve da quando è giunto in quella terra senza uscita.
Il giorno precedente, Solaire ha provato a lavarsi nelle acque di Nuova Londo, talmente trasparenti da vedere il fondale a braccia intere di distanza. Forse troppo trasparenti, tuttavia, perché era riuscito a scendere in quell’acqua piena di cadaveri fino ai polpacci prima di ritrarsi col cuore che batteva sotto la cotta di maglia. Non intende consigliarla a Lautrec, ma allo stesso tempo è stanco quanto lui di essere sporco. Ha dei bei capelli, questo sì, e intrecciati con cura. 
-Posso scioglierteli.- 
Lautrec lo guarda di sbieco. -Ne sei capace?-
-Ho avuto amici che li portavano. Viaggiavamo insieme, e non è facile farlo da soli.-
-Non posso certo farlo da me.- 
Lautrec solleva le braccia e le depone nel proprio grembo. -Ho tutto quello che serve nella mia borsa. Mi hanno permesso di tenere quasi tutte le mie cose.-
Gli shotel: un condannato non può avere un’arma alla mano, e quelle di Lautrec erano raffinate e di facile utilizzo. Aveva mozzato la coda al Drago Famelico in un sol colpo – Solaire rabbrividisce al pensiero della povera Anastacia ridotta alla stregua di una bestiaccia delle fogne. Non deve dimenticare chi ha davanti. Eppure vorrebbe tanto. Lautrec sta soffocando, e quando qualcuno soffoca non importa se e chi ha ucciso: devi liberargli la gola comunque vada. 
-Puoi sistemarmi i capelli, se ti va.- Lautrec armeggia sul proprio fianco e apre il marsupio che pende da esso. Un pettine di legno, sottile come due dita, dall’affilato manico di ferro, e una boccetta di olio di mandorle dal tappo in avorio. Lautrec glieli porge senza distogliere lo sguardo, come se avesse paura che glieli rompesse. Si gira, dandogli la nuca, appena le loro mani si allontanano. 
Non dice di cominciare: Solaire esita prendendo in mano la prima treccia. Lautrec respira dalla bocca, come addormentato, schiena immobile di marmo. 
Anche lui si sta disfacendo, pensa il Guerriero del Sole. Unge e bagna ogni treccia finché non gronda, massaggiandole tutte con i palmi per scaldare i capelli al loro interno. Lautrec tiene le mani raccolte sul ventre, si accarezza col pollice sinistro il dorso della destra. 
-Hai ancora freddo?-
-Sto bene.- 
Solaire guarda oltre la spalla dell’altro, nel punto dove il sole si dipana nel cielo illuminando le terre verdi. È bello come la vita stessa: nonostante tutto, Anastacia ce l’ha fatta. Qualcuno si è preso cura di lei. Chissà se arriva il sole, nella sua cella isolata. Deve essere così, pensa infilando la punta del pettine fra i capelli intrecciati dell’altro uomo. Il sole non dimentica nessuno. Magari ha riservato qualche raggio speciale per questo povero disperato. In fondo anche lui aveva bisogno di una luce che lo guidasse, e la portava addosso coprendovisi tutto il corpo. L’armatura di Lautrec, come l’abbraccio mortale che gli ha tormentato la notte, era d’oro fino all’ultima giuntura. Sul tetto della Chiesa, anche schivando un colpo di coda di là e uno di ascia di qua, era impossibile non notare il suo bagliore. 
-La tua armatura?-
-Ho detto che non la voglio.- mugugna Lautrec. -Buttatela via. Fatela a pezzi. Usatela come vespasiano. Non voglio mai più vederla. Non voglio più essere quello.- 
-Era una bella armatura.- Solaire accarezza la nuca di Lautrec, dove una goccia di olio pende minacciosamente vicino al colletto della maglia. -Probabilmente valeva tanto. A qualcuno farà bene trovarla.- 
Lautrec digrigna i denti, sorridendo per finta. 
-Posso confidarti un segreto?-
-Bocca cucita, promesso.- 
Si mette l’indice sulla bocca, come un ragazzino. Lautrec guarda il cielo, seguendo il volo degli uccelli. Non si volta nemmeno per parlargli. 
-Con quell’elmo non si vede praticamente niente.- 
Solaire emette un “oh” che non vuol dire nulla, lasciando andare per un attimo la treccina cui sta lavorando. Molti grandi guerrieri sono ciechi: lo stesso Gough Occhio Di Falco aveva perso la vista quando abbatté il possente Kalameet dal cielo. Solaire sta per dirglielo, ma si rende conto che non ha senso appena vede le mani del guerriero di Carim tremare nel suo grembo. 
Senz’altro, l’Occhio Di Falco non avrebbe scoccato un bel niente con polsi del genere.
-Solo un imbecille fatto e finito porta un elmo che non fa vedere dove va, non è così?- 
La voce di Lautrec trema: sembra che a parlare sia qualcun altro, come uno Spirito Oscuro che si è insinuato nel cervello del guerriero sfinito. Ha la pelle d’oca, i denti serrati. È incastrato
Solaire si allunga in avanti e avvolge le spalle di Lautrec con le proprie braccia. 
-No!-
Solaire scatta all’indietro, guarda a destra, a sinistra, le braccia larghe di fronte al cavaliere disgraziato. Uno stormo di corvi si perde nel cielo turchese, una folata di vento accarezza le fronde lontane del Bacino Radiceoscura. E poi ci sono loro due, e il Sole lontano che accarezza i loro volti stanchi – e gli occhi di Lautrec, neri e spalancati come quelli di un bambino. 
-Cosa c’è?-
-No. Non così, per favore.- Lautrec solleva i pugni dinnanzi a sé. -Non abbracciarmi come la mia armatura.- 
Solaire si ritrae. Avrei dovuto immaginarlo: ma non sempre si riesce a consolare, e il rimorso è un parassita ben persistente. Torna a guardare Lautrec, e il sudore luccicante sulle sue guance tese. 
-Cosa ti piacerebbe?-
-Voglio vederti negli occhi.- 
Le sue dita afferrano l’erba, come se avesse paura che anche lui si ritraesse alla sua vista. 
-Non mi sono mai fidato di nessuno. Se vuoi aiutarmi voglio essere sicuro di meritarlo.-
-Ti garantisco assoluta fiducia.-
Solaire sporge la testa in avanti, abbassando lo sguardo verso gli occhi luccicanti del cavaliere disgraziato. 
-Sei davvero un avventato…- 
Si asciuga di nuovo la fronte, ma stavolta le gocce brillano in modo diverso. Non è olio, pensa Solaire: quest’uomo suda come un peccatore in chiesa, e considerando dove si trovano è ben affine. Subito dopo, qualcos’altro gli gocciola sulle mani. Solaire lascia andare la treccina cui stava lavorando e si volta in tempo per vedere Lautrec che si tampona gli occhi con un lembo della camicia. 
-Lautrec…-
-Non sarei dovuto nascere, Dei maledetti.- 
Solaire si ritrae, come se le parole disperate dell’altro uomo potessero afferrare anche il suo collo. Lautrec accarezza l’erba coi palmi schiusi, la annaffia con il suo pianto e con l’olio che gocciola dai riccioli sciolti. La schiena ampia di muscoli si contrae a ogni singulto, le braccia tornite tremano come canne di lago. Le sue dita tremanti tendono fino al colletto la stoffa della maglia. 
Solaire depone la bottiglietta di olio alle proprie spalle e adagia il pettine sulla propria gamba piegata. 
-Vieni qui.- sussurra. -Non ti abbraccio, prometto.-
Le mani se le mette in grembo, accanto a quelle di Lautrec, e disegna cerchi sui loro dorsi con i propri pollici. Le vene dell’altro pulsano sotto la pelle – come se dentro di lui strisciasse qualcosa premendo per uscire. 
Le lacrime si fanno vedere, quelle sì, e disegnano cerchi grigi nel paramento bianco di Solaire. 
-Era,- Lautrec tira un pugno all’erba, -è una ragazza gentile, no? Non la conosco per niente, ma mi guardava con un’aria carina. Mi ha fatto un ritratto. Ne fa tanti. Ha avuto la disgrazia di fare la Guardiana del Fuoco anziché qualunque altra cosa. Proprio come il sottoscritto ha avuto la disgrazia di servire proprio quella Dea.- 
Afferra i ciuffi verdi e ne strappa una manciata, gettandola via come petali al passaggio di una processione. 
-Ma è adorabile, non ho mai smesso di pensarlo. Ha pure accettato le mie scuse. Tutti adorabili, voialtri di Astora. Se ci mettessi piede io esploderei sul posto.- 
-Respira, amico mio.- 
Non c’è da aggiungere altro. Lautrec stringe la sua mano e ansima lentamente, assaporando l’aria fresca dell’alba come un sorbetto preparato apposta per lui. 
-Sono così stanco…-
Appoggia la fronte alla sua spalla, senza ritrarre le dita dalla sua stretta. Quando dice “continua” e si volta dall’altra parte, l’alba è conclusa, e i singhiozzi del cavaliere disgraziato riempiono il silenzio mentre Solaire lavora alla sua chioma. 
Piange per sé, pensa il guerriero del Sole: ma procede senza dire nulla, perché a Lautrec bastano le lacrime di Lautrec, e versarne altre farebbe traboccare il suo già ricolmo calice. 
I capelli del cavaliere rovinato scorrono lievi e si lasciano plasmare. Ricci spessi, bellissimi, pendono sulla fronte luccicante di sudore e olio. Due volte Solaire solleva la mano unta per accarezzargli le spalle, e due volte deve ripetersi no – Lautrec non vuole, e chi soffre ha bisogno di una torre in cui rifugiarsi per un po’. Ciuffi di chiome staccatesi formano un mucchio nero di fianco a loro, soffice come l’erba che li circonda. Solaire non osa gettarli via. 
-Stai meglio?-
-Le sento ancora. Sono fredde.- 
Ho di fronte un ostaggio appena sciolto dalle corde. Solaire lascia andare l’ultima massa di ciocche, che va a unirsi alle altre ai lati del suo capo. 
-Ti fanno male? Le mani, intendo.-
Lautrec mugugna un “nnh”, accarezzandosi la fronte su cui scorrono due spesse gocce d’olio. -Mi tolgono la voce, mi impediscono di respirare. Tutto questo mi spaventa.- Scuote la testa, sgocciolando olio nella camicia. -So a cosa pensi, sono un disastro di cavaliere.- 
Se anche lo fossi, amico mio, ci sarebbero motivi più validi. Lautrec infila il mignolo fra i propri ricci, attorcigliandoveli attorno. -Sono morbidi. Sei bravo.- 
-Suvvia, per così poco.- 
Lautrec soppesa i propri boccoli, dal cranio alla punta. Piega la testa di lato. 
-Non mi sento io, con i capelli sciolti.-
-Te li intreccerò di nuovo, se vorrai. Prima devi lavarti la testa.-
-Sì, sì. Vado.- 
Non si muove, e le sue dita stringono più forte quelle di Solaire. Gli viene da chiedersi se le solerti mani della Dea abbiano mai stretto le sue anziché attaccarglisi sempre alle spalle e al petto. O alla gola, pensa deglutendo. Lautrec ha i muscoli troppo tesi, gli occhi troppo sgranati, per aver dimenticato. 
-Lautrec, sul serio…-
-Aiutami.- 
Una parola chiara, che riconosce. Accenna un sorriso nell’udirla. -Sono qui per te.-  
-Ho bisogno di parlare, di capire. Di capirmi. Non voglio sognarle mai più, quelle mani.-
-Tutti i cavalieri hanno paura di qualcosa. Persino Sir Artorias, probabilmente, tremò di terrore alla vista dell’Abisso.- 
Solaire gli porge le mani, ma Lautrec ritrae le proprie. -Non ho paura. Non possono farmi più nulla.- 
Solleva lo sguardo, sbattendo le palpebre, lasciando scendere due ultime lacrime. Solaire giunge le mani, aspettando che Lautrec gli porga le proprie. Le sue dita tremano come foglie, avrebbero bisogno di una stretta. 
-Rimorso.- 
Lautrec soppesa la parola fra le labbra spesse, deglutendo.
-Mi lamento dei miei incubi. Che cosa pietosa. Immagina cosa avrò causato a quella dolce ragazza.- 
-La Guardiana del Fuoco è nobile e gentile. Ti ha perdonato. Se vorrai, metterò una buona parola per te con gli altri. Non è escluso che la ascoltino.-
Lautrec lo guarda di sottecchi, nudo sotto i riccioli sciolti.  
-Perché tanta gentilezza verso un peccatore?- 
-Un peccatore non lascia Simboli di Evocazione.- Solaire gli stringe la spalla, muscoli nudi sotto la stoffa sottile, e si sposta al suo fianco. -Hai agito per una Dea. C’è chi uccide per molto meno, lo sai.- 
-Ho sussurrato una preghiera a Nito, quando è caduta morta. Dicono che sia buono, più buono anche di te. Speravo che così avrei fatto anch’io una cosa buona.- Lautrec si pulisce il naso col dorso della mano. -Mi piace raccontare bugie a me stesso. Mi intrattiene quando non ho nessuno con cui parlare.- 
E non avrò nessuno per un bel po’, è sottinteso nel suo tono sfinito. Solaire scuote la testa. Richiude la boccetta di olio di mandorle e gliela porge, stringendogli le mani appena la prende.
-Lei ti vuole qui, perché questo è il tuo posto. Siamo una comunità, e lei non ha paura di te. Ha chi la protegge.- 
E tu chi hai, vorrebbe chiedergli. I suoi shotel sono stati presi in custodia ad Anor Londo nel momento in cui Lady Cyndi aveva ordinato che lo portassero via. Probabilmente, nel tempo infinito che Lautrec aveva trascorso svenuto nell’infermeria di Anor Londo, erano stati fusi fino alla punta del manico. Lady Cyndi è una Guardiana del Fuoco quanto è un soldato – con i suoi morbidi capelli corvini e la carnagione marrone assomiglia a Lautrec più che ad Anastacia, ma è della seconda che si considera sorella. Non offrirà gentilezze all’assassino di una come lei.
Eppure non ha concesso che fosse ucciso, e che raggiungesse i suoi simili nel loro rifugio. Solaire si gratta la testa con aria interrogativa. Un qualche disegno ha deciso che Lautrec deve vivere: come sarà la sua vita d’ora in poi rimane un mistero che gli è precluso.
Può almeno, finché c’è, provare ad addolcire quella vita incognita.
-Forse Anastacia non ti vorrà mai bene, ma non vuole che tu sia marchiato a vita.- Gli viene un’idea, e si sporge verso il cavaliere disgraziato accennando un sorriso. -Lei sa cosa significhi. Lo ha subito.- 
Sono impura, aveva detto appena ripresasi. La mia lingua non è intesa per la ristorazione. Nemmeno le gentili ancelle sono del tutto innocenti – e solo un peccatore può comprendere davvero un altro peccatore. Eppure si rivolge a Lautrec quanto più dolcemente riesce.
-La tua Signora ti avrà dimenticato, ma noi no. Puoi aprirti sui tuoi incubi in qualunque momento. Presto anche gli altri vedranno chi sei davvero. E quando sarà tutto finito, se vorrai, ti porterò ad Astora con me.-
Lautrec si guarda le mani, come se temesse che anche quelle lo abbandonassero. Respira dal naso spesso, stringe le labbra screpolate. Poi leva il volto al cielo – al sole – giungendo le mani come in una preghiera. 
-Allora,- sussurra, viso in estasi e occhi luccicanti, -la mia Signora aveva torto.- 
-Prendi un po’ di sole, Lautrec. Lui non ti soffocherà mai.-
Solaire gli stringe appena il polso. Un refolo di vento fresco gli accarezza la fronte e il naso. 
-Piangi finché vuoi. Ti aiuteremo a ricominciare daccapo. Goditi il sole, amico mio.- 
E i suoi raggi riempiono la lacrime sul viso di Lautrec, tingendole d’oro. 

A.A.: 
Non c'è nulla come una challenge per stimolare la creatività latente. 
Ho deciso di scrivere su questi due a seguito di un'improvvisa ispirazione, una delle tante che mi vengono di recente per brevi one-shot incentrate sui singoli NPC. Almeno una sono riuscita a completarla, e direi che è un bene. 
Il volto di Lautrec è ispirato a quello dell’attore Michael B. Jordan. So che sono presenti dei modelli di come dovrebbero essere i visi di questi personaggi, ma se quello di Solaire mi piace, quello di Lautrec è tra i più brutti. Sembra che abbia solamente due espressioni: “ghigno malvagio” e “vi-odio-andate-via”. Michael B. Jordan è un attore meraviglioso, con una gamma di espressioni vastissima, e maestro nel dare umanità anche a personaggi tormentati e incazzati. Ho cominciato a pensare a questa shot dopo aver visto Creed – film che raccomando – di cui è protagonista, ma l’idea di Jordan nei panni di Lautrec l’avevo dall’anno scorso e da Black Panther. 
Cyndi è il nome che ho dato alla Guardiana di Anor Londo. Mi piace pensare che possa dare una mano a sconfiggere Lautrec nel duello, anche per vendicare la vita di una "sorella". Il nome è un omaggio all'opera della cantante Janelle Monae, al cui viso è ispirato quello della donna cavaliere. 
Alla prossima.
Lady R. 
  
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