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Autore: Kerberos 1001    27/04/2019    0 recensioni
Breve storia sull'illusione e sull'inganno: quando quello che credi essere vero in realtà non lo è per niente, puoi solo sperare di non venirlo mai a sapere, soprattutto se si tratta della tua ultima possibilità. Quelli che lo sanno però ...
Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un piano nero lucido e infinito, in uno spazio ugualmente nero ed infinito. Nient’altro.

Comincia sempre così, con la percezione ampliata che cerca una direzione alto-basso per riallinearsi come un giroscopio mancante di un punto d’appoggio. È interessante, devo ammetterlo: quegli istanti di stordimento che si allungano per un tempo quasi infinito (tre, quattro decimi di secondo) durante i quali posso avvertire il mio corpo che stenta ad accettare la realtà. Quando finalmente i miei piedi si posano sul piano, attivando al contatto la griglia, il buio scompare, lasciando il posto all’input sensorio che permette ai miei occhi ciechi di vedere il paesaggio, ai miei timpani irrigiditi di udire il sibilo del vento tra le cime, laggiù sullo sfondo… Bello! Bellissimo, anzi, e sono contento di far parte della squadra che contribuisce a preservare questo angolo di paradiso incontaminato, costruendo la cupola geodetica che finirà per isolarlo dal resto del mondo. Saluto Henry, che cammina a grandi passi verso il ruscello, diretto alla cava dalla quale estraiamo le pietre che costituiscono il basamento della cupola, le sue fondamenta: pietre naturali, scavate a mano, niente cemento, in questo progetto, affermazione che mi consola, promessa che mi fa ben sperare riguardo alla volontà dei nostri governanti di assecondare il crescente bisogno della gente di vivere una vita migliore, più tranquilla. Duecento metri più in là, Martha e Stepan iniziano a tracciare la strada che attraverserà la cupola – una sola – per le necessarie operazioni di manutenzione future. Sorrido: si sono conosciuti così, loro due, aderendo al programma e credo, pur non essendosi mai visti, che tra loro ci sia del tenero … chissà!
Mentre mi chino per sradicare un cespuglio da ricollocare più all’interno rispetto al perimetro già tracciato della struttura – ottanta chilometri di diametro! Ottanta! Pensateci, signori: una cosa stupefacente! – vedo con gli occhi posteriori Mikail che inizia a scavare il solco nel quale domani caleremo qualche altra tonnellata di roccia squadrata a dovere, spingendo avanti a sé le mani giunte con le dita tese e irrigidite; sempre allegro, il vecchio Mikail: anche ora fischietta l’aria di un’operetta di cui non mi sovviene il titolo, inframezzando imprecazioni e commenti osceni quando i suoi polpastrelli incontrano un ostacolo più ostinato del previsto. Il cespuglio ricollocato a dovere, innaffiato e concimato a puntino, scorro la lista dei miei compiti odierni, cercando il successivo: dunque, vediamo … Oh! Questo mi piace: devo dirigermi verso le montagne e arrampicarmi fino in vetta, per effettuare una mappatura aggiornata della zona, da utilizzare nella fase successiva del progetto di salvaguardia; da quello che leggo, saremo in due, io e Viola. Logico: in questo modo, potremo raffrontare le nostre registrazioni ed ottenere un quadro molto più preciso. Non vedo l’ora di partire, anche se quel pendio sulla cresta Sud, così ripido, un poco mi spaventa: non sono mai stato un patito di alpinismo, io!

«Avanza! Dobbiamo riuscire a fermarlo, questa volta! Colpitelo con tutto quello che avete!»

La scalata non è facile, anche con le nostre possibilità amplificate: come prevedevo, il costone frana alla minima vibrazione, la roccia ci si sbriciola sotto i piedi, nonostante i ramponi retrattili che piantiamo automaticamente nel terreno ad ogni passo; avere quattro braccia è essenziale per mantenere la presa e l’equilibrio. Trattandosi di routines motorie automatizzate, per qualche minuto mi scollego dal sistema e mi diverto ad immaginare la scena vista attraverso gli occhi di un osservatore esterno: due grossi insetti bluastri che zampettano in salita lenti ed impacciati, dieci metri su, poi quattro giù; si spostano a destra, cercando una via migliore, un appoggio più saldo per le due paia di zampe anteriori, stranamente difformi da quelle posteriori, ma non lo trovano, motivo per cui si dirigono a sinistra, serpeggiando per qualche metro verso il basso, prima di tornare a salire lungo un altro percorso, suggerito dal satellitare. Sorrido, pensando che, in realtà, avrebbero anche potuto lasciarmi a casa; è un poco ingiusto, lo so, perché il progetto non sarebbe nemmeno partito, se noi veterani non avessimo acconsentito a pilotare le servo-unità impiegate. L’automazione totale non è mai stata contemplata: troppo rischiosa, stando ai soloni del governo. Vabbè! Torniamo a collegarci con l’esterno! Siamo quasi in cima, l’ultimo tratto si presenta come una scarpata verticale di un centinaio di metri che io e Viola superiamo aiutandoci a vicenda, come quando eravamo camerati, fino a raggiungere uno stretto plateau da cui possiamo finalmente osservare il mondo! Che ironia, per un cieco! Ma tant’è: ora siamo qui, abbiamo una missione da portare a termine, come ai vecchi tempi, anche se si tratta di una missione civile, di pubblica utilità. Do un’occhiata al cronometro, mentre i sensori esterni registrano ad ampio spettro: a questo ritmo non ci vorranno più sei, sette minuti. Poi la discesa. Già, proprio così: una volta saliti, a meno di non voler tramutarsi in una roccia o un albero, bisogna anche scendere …

«Adesso! Addosso, mentre è fermo! Dobbiamo …»
«Troppo tardi! Sta ripartendo! Ritirata! Ritirata!»

La discesa è stata un inferno anche peggiore della salita. Viola è inciampata e ruzzolata lungo il pendio un paio di volte, riuscendo ogni volta a fermarsi a fatica artigliando il terreno con tutt’e sei le estremità. Io me la sono cavata un poco meglio, nel senso che non sono mai caduto, ma in pratica ho percorso gli ultimi trecento metri sciando sulla ghiaia. Spero tanto che i dati raccolti servano a qualcosa, perché io, lassù, non ci torno, sicuro come l’oro! Raggiunto il gruppo, noto con piacere che Mikail ha finito in anticipo l’aratura e si è dedicato ad altre incombenze, come suo solito, mentre Henry sta terminando proprio ora di impilare i blocchi di roccia necessari al lavoro di domani. Martha e Stepan … bè, loro sono nel loro mondo, come sempre, tanto che dobbiamo chiamarli una dozzina di volte prima che si accorgano della nostra presenza. Soddisfatti nonostante tutto, ci prendiamo per mano tutti e sei come bambini, rimanendo immobili per qualche minuto a godere il contatto, la vicinanza: siamo simili, similmente sfortunati e fortunati allo stesso tempo. Un ultimo cenno, poi uno alla volta ci scolleghiamo, tornando al buio, tornando all’infinito. Sino a domani, quando ricominceremo tutto daccapo. Buonanotte, amici!

La città è devastata, il terreno reso viscido da un impasto di polvere di cemento, vetro e la poltiglia rossastra e sanguinolenta che fino a poche ore prima era stata una divisione. Gli ordini sono stati eseguiti a puntino: nulla di strategicamente importante è rimasto in piedi – nella maggior parte dei casi, nulla del tutto! – e grandi crateri slabbrati si aprono là dove i mezzi nemici si erano concentrati per fermare l’avanzata dello JOMS. Inutilmente. Gambe e braccia multiple hanno calpestato, schiacciato, arato tutto quanto: acciaio; cemento; esplosivi; tessuto; carne, tutto insieme, amalgamato dall’enorme pressione esercitata da un corpo gigantesco che si muove con la ponderosa lentezza di chi ha uno scopo superiore. Il generale Khorov si sfrega allegramente le mani: «Bene! Anche questa è fatta! Colonnello, dove abbiamo in programma di mandare in gita i nostri ragazzi, la prossima volta?»
Il colonnello storce la bocca: non ha mai sopportato l’umorismo macabro del superiore, ma non è tanto coraggiosa da farglielo notare. Per qualche secondo, ripensa ai piloti, a come si sentirebbero se venissero a conoscenza della verità: JOMS è una macchina che possiede sei cuori, sei poveri veterani storpiati dalla guerra che ritengono si aver ritrovato uno scopo per vivere …
Scrollando le spalle tornite, notevoli nonostante la divisa, si limita a passare il pad al generale: non sono affari suoi, dopotutto.
   
 
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