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Autore: ___MoonLight    28/04/2019    4 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Stand by me





"When the night has come, and the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No, I won't be afraid, oh, I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me
So darling, darling, stand by me"

[Stand By Me – Ben E. King]




"I'm dancing in the dark with you between my arms
Barefoot on the grass, listening to our favorite song
When you said you looked a mess, I whispered underneath my breath
But you heard it, darling, you look perfect tonight"

[Perfect – Ed Sheeran]




13 Maggio, Villa Stark, 19:30

Suo padre aveva inglobato il suo mondo da quando aveva memoria. 
Era una cupola opprimente, alle volte, altre invece sembrava dargli uno sprone a romperla per arrivare più in alto. La maggior parte del tempo la percepiva come fredda, o meglio, di una temperatura indefinibile: né gradevole né spiacevole, di quelle giornate di mezza stagione in cui non si sa se uscire a maniche corte o col giacchetto e non fa poi molta differenza –
indifferente. Era indifferente, e questo Tony l’aveva sempre intuito con chiarezza scientifica, con la stessa linearità con cui scriveva il risultato di un’equazione o recitava a memoria un teorema comprovato. L’ indifferenza era una costante della sua vita come tante altre, come sua madre che suonava il pianoforte quando sapeva che c’era solo lui ad ascoltarla, come Jarvis che ignorava le sue lamentele e spalancava le finestre della sua camera la domenica mattina per fare le pulizie, come Rhodey che riusciva sempre a convincerlo a uscire ogni sabato sera, o che si lasciava convincere da lui a rimanere a casa – sbronzandosi in ogni caso, ed era per quello che il giorno dopo imprecava contro Jarvis e le sue pulizie alle nove di mattina.
Suo padre, però, non era mai stato davvero costante. A dispetto dei suoi completi tutti uguali e del volto impassibile, non era lineare. Anche quello, l’aveva sempre saputo. 
C’erano quelle variabili inaspettate che lo trasformavano in un’altra persona – i loro libri commentati di Verne, la foto ricordo con DUM-E, i buffetti sulla nuca che gli rifilava di tanto in tanto e che non capiva mai se fossero di rimprovero o di apprezzamento, ma che accettava con un sorriso incerto, forse speranzoso. Istantanee frettolose, rare e sbiadite nella sua memoria, ma che esistevano appaiate ai suoi aspri richiami, agli sguardi delusi, alla percepibile assenza e ai suoi motti impersonali che, chissà come, riuscivano sempre ad aprire ferite sensibili e a plasmare il mondo attorno a lui. 
Il tutto in quella cornice di odiosa, protratta indifferenza – fino all’ultimo, fino ad attaccargliela addosso inducendolo a salutare i suoi genitori in una sera di dicembre senza neanche guardarli, con un distratto scrollare di dita sopra la spalla e i pensieri già rivolti al toga-party imminente.
Quel giorno di quasi vent’anni dopo scopriva l’ennesima variabile – o forse più d’una – perché era impensabile che Howard Anthony Stark girasse un filmato per suo figlio, ed era anche impensabile che avesse conservato così tanto di quello che lui chiamava
ciarpame – foto, album, souvenir, ricordi, frammenti di vita – e ancor di più che l’avesse tenuto sottochiave nel suo ufficio allo SHIELD.
Tony voleva convincersi che fosse quello, il motivo per cui gli stava schizzando via il cuore dal petto mentre si precipitava nello studio; quello e solo quello, e forse anche l’affanno causato delle falcate troppo precipitose per il suo corpo indebolito. Si concentrava a tunnel su quei due motivi, perché anche solo sfiorare l’idea di avere tra le mani uno straccio di soluzione per salvarsi avrebbe rischiato di farlo impazzire per il sollievo. E a quel punto il cuore avrebbe finito per scoppiargli come un palloncino sotto pressione, come prima con Pepper e –
no, non era davvero il caso. 
Così diresse i suoi passi e i suoi pensieri in linea retta e metodica verso lo studio e verso la lampadina azzurra che gli stava illuminando a giorno il cervello, consapevole che Pepper lo stesse chiamando e seguendo allarmata, ma col timore che se avesse aperto bocca per risponderle ne sarebbero usciti solo suoni incomprensibili. Si catapultò all’interno della stanzetta col cuore che, dopo aver fatto un giretto nello stomaco e avergli poi ostruito la gola, adesso gli martellava assordante tra le orecchie. Scostò con forza il telo che copriva il plastico della Città del Futuro, prendendo a fissarlo a corto di fiato, con la pupilla che seguiva frenetica le linee delle strutture e degli edifici, donandogli nuovo senso e congiungendole tra loro con una logica nascosta che, maledizione, era sempre stata esattamente davanti a lui.
«Tony!»
La voce di Pepper gli squillò proprio vicino all’orecchio, e si rese conto solo allora della sua mano poggiata sulla sua spalla sana, da chissà quanto. Sobbalzò con lieve ritardo, voltandosi a guardarla e consapevole di sembrare del tutto fuori di testa – non che fosse una novità.
«Pepper!» replicò d’istinto, voltandosi, e come volevasi dimostrare la sua voce risuonò più stridula del dovuto.
Non vi fece caso, concentrandosi piuttosto sugli occhi preoccupati della donna, ma tinti anche di un pizzico di titubante aspettativa. Scollò la lingua dal palato, obbligandola ad articolare parole di senso compiuto, anche se sentiva i pensieri sfrecciare al triplo della velocità a cui era in grado di tramutarli in suoni:
«Prima di tutto: no, non sono impazzito. Almeno non credo e comunque non del tutto,» la anticipò, coi palmi alzati, concedendosi il beneficio del dubbio e faticando a concentrarsi su ciò che stava dicendo, oltre che a reprimere l’impulso di girarsi di nuovo a guardare il plastico nel timore che svanisse in uno sbuffo di fumo.
Pepper interruppe la prima frase prima di iniziarla, la mano ancora poggiata sopra la sua spalla e le sopracciglia involontariamente corrugate in un moto di perplessità, ad oscurarle appena gli occhi limpidi.
«Che succede?» chiese invece, assottigliando le labbra e mordendosele appena con nervosismo.
Stavolta Tony dovette frenare l’imprevisto impulso di baciarle, il che gli fece chiedere se non stesse per avere un breakdown completo. Tutta quella situazione in verità gli era familiare, ed era un pensiero intrinsecamente rassicurante, perché l’ultima volta che si era sentito così scollegato dalla realtà aveva davvero trovato la soluzione per ricostruirsi una vita. Adesso, forse, avrebbe potuto salvarla, ma voleva astenersi dal formulare del tutto quel pensiero.
«Non… non sono sicuro,» esordì quindi, senza scostarsi dalla sua presa, perché aveva l’impressione che fosse l’unica cosa a tenerlo ancorato a terra.
Le pieghe confuse sul volto di Pepper si approfondirono, ma non intervenne.
«Io credo– penso di… di–» prese fiato, ossigenando il cervello a corto di carburante. «Ho un’idea,» buttò fuori infine, semplificando il tutto nel concetto più basilare che la sua bocca fosse in grado di esprimere.
Vide gli occhi di Pepper illuminarsi per un istante fugace, in uno sprazzo di speranza che non fu in grado di mascherare. Sentì la sua mano stringergli nervosamente la stoffa della maglietta, come se anche lei avesse bisogno di ancorarsi da qualche parte.
«Un’idea per…» esitò e lo sguardo di Pepper sfiorò il reattore nel suo petto.
Tony, che in un’altra situazione avrebbe odiato quel gesto, annuì invece quasi con entusiasmo, portando poi la mano a stringere il polso di Pepper per rafforzare quella conferma.
«Per questo, sì,» disse, premendo il palmo metallico sul congegno. «E non so… non so se è giusta, o
cosa sia esattamente, non so neanche se sarà– possibile, in termini tecnici,» tartagliò, bloccandosi su quelle parole quasi fossero di per sé ostacoli fisici. «Papà pensava…» s’interruppe nel realizzare come lo aveva chiamato, poi scrollò la testa e continuò. «Pensava che io potessi portare a termine il suo progetto, coi miei mezzi,» proseguì, più misurato nonostante il suo cuore non accennasse a rallentare, deciso a infrangere ogni record di tachicardia. «Il progetto è là dentro,» continuò, scostandosi un poco e indicando il plastico dietro di loro. «E io… io so cosa fare,» disse ancora, e sentì la propria voce rompersi in un sorriso, che trovò un tenue, incerto riflesso sul volto di Pepper.
Tony si soffermò ad osservarla, a catturare con lo sguardo quelle fossette apparse sulle sue guance, il lieve rossore che le oscurava le efelidi, le iridi chiare e lucide, schermate dalle ciglia lunghe e da qualche capello ramato, la linea incurvata delle sue labbra fini. Si perse per un istante in quei dettagli come se li vedesse per la prima volta, e forse Pepper stava facendo lo stesso, perché si sentì quasi accarezzare dal suo sguardo, finché non si scostò un poco da lui, con un brillio vivo negli occhi.

«Allora, da dove cominciamo?» ruppe il silenzio, con voce inaspettatamente ferma, e Tony si riscosse, coi battiti del cuore più rallentati e il respiro di nuovo leggero.
Poi comprese quello che aveva detto e batté la palpebra, scostandosi un poco e inarcando poi un sopracciglio.
«Noi?» chiese conferma, picchiettando a terra col bastone a esternare la sua perplessità.
Pepper incrociò le braccia sottili, raddrizzando la schiena e sfoggiando un’espressione caparbia, col mento alzato come in una sfida già accettata.
«L’ultima volta che hai avuto un’idea di questa portata, hai trovato una soluzione,» dichiarò con fermezza, facendo seriamente interrogare Tony sulle sue doti telepatiche. «E io ero lì. Ed ero lì anche quando sei tornato dall’Afghanistan, quando sei diventato Iron Man, quando hai perso tutto, quando hai iniziato a ricostruire la tua vita e quando l’hai quasi distrutta,» tentennò per un istante, riprendendo il controllo della sua voce adesso friabile, e Tony abbassò fugacemente lo sguardo. «Ero lì quando sei tornato da me sulle tue gambe, e quando hai deciso di non voler affrontare tutto questo da solo, e alla Expo, e per il Progetto Phoenix, e per tutto il resto, per dieci anni,» continuò, accalorandosi, e i suoi occhi si fecero più liquidi, in contrasto con la sua voce ferma anche se venata dall’emozione. «E voglio esserci anche adesso,» concluse, con un sorriso sottile ma sicuro di sé, irremovibile in quel proposito.
Tony inclinò il capo, preso alla sprovvista, poi sbuffò una mezza risata, sentendosi di nuovo scaldare da quel calore improvviso e incontrollabile, e seppe che qualunque tentativo di mostrarsi disinvolto sarebbe stato vanificato dal modo in cui la stava guardando, fin troppo intenso, come se quelle parole avessero alimentato un piccolo fuoco dentro di sé.
«Come se fossi mai riuscito a farle cambiare idea su qualcosa, signorina Potts,» osservò Tony con un sorrisetto, suscitandole un lampo compiaciuto sul volto.
«Potrei dire lo stesso di lei, signor Stark,» ribatté prontamente.
Tony alzò le spalle, cedendole quel punto, per poi schiarirsi la voce e fare un gesto deciso verso il plastico dietro di sé.
«Cominciamo da quello.»


***


13 Maggio, Villa Stark, 23:00

Il laboratorio si era fatto silenzioso da un paio d’ore, ovvero da quando Pepper si era inavvertitamente seduta sul divano per “fare una breve pausa”: si era bellamente addormentata nel giro di cinque minuti mentre lui aveva continuato ad esporre ad alta voce i suoi ragionamenti e deduzioni al vuoto, trafficando al contempo con gli ologrammi di JARVIS. Progettava di fingersi eternamente offeso per quella piccola mancanza non appena si fosse svegliata… ma per ora non poteva fare a meno di sorridere appena ogni volta che rivolgeva lo sguardo verso di lei, trovandola placidamente ad occhi chiusi, raggomitolata sotto la coperta che le aveva adagiato sulle spalle. Aveva l’insistente tentazione di raggiungerla e coricarsi discretamente accanto a lei, cedendo anche lui al sonno, ma non poteva concedersi distrazioni, e non era sicuro che in quel frangente fosse in grado di gestire una vicinanza del genere senza incorrere in qualche errore stupido e avventato.
Riportò lo sguardo al progetto virtuale a cui stava lavorando al momento. O meglio, alle cinque schermate che tentava di guardare contemporaneamente con un occhio solo, sfidando anche il suo allenato multitasking: un rendering dettagliato della Expo del ’74 sovraimpresso a una struttura atomica, l’abbozzo di un progetto per un acceleratore di particelle in formato casalingo, il modello di un reattore arc modificato, e un grafico che metteva a confronto le onde elettromagnetiche dei micro-reattori con quelle per ora solo teorizzate del nuovo elemento.
Aveva di nuovo quasi infartato per la gioia quando aveva avuto la conferma che il plastico della Expo era
fisicamente la chiave per il futuro, mettendogli di conseguenza tra le mani un elemento fino ad allora sconosciuto, ma si era subito dovuto scontrare con la difficoltà di ricostruirlo in modo coerente e, soprattutto, del problema della sua sintetizzazione. Oltre a tutti quelli che si sarebbero presentati in seguito, a cui cercava di non pensare troppo intensamente, continuando a ripetersi il suo mantra di “un passo alla volta”.
In effetti i passi avanti erano stati notevoli, anche se frammentari, visto che lui era troppo su di giri per pensare in modo lineare o efficiente. Era caduto più volte in errori da principianti e sviste che avevano mandato in fumo ore di ragionamenti. Il plastico era ovviamente solo una traccia, lo scheletro semplificato di un progetto molto più complesso che doveva integrare con le proprie conoscenze.
Certo, nel momento in cui aveva ricostruito la struttura atomica di quel nuovo elemento si era sentito come Galileo che scopriva l’eliocentrismo. Ed era stato immensamente felice di avere Pepper accanto a sé, visto che così aveva avuto una validissima scusa per stringerla in un abbraccio improvviso e commosso che forse si sarebbe meritato anche qualcun altro, ormai perduto nel passato.
Poi erano subentrate le difficoltà tecniche, e dall’euforia iniziale era scivolato nell’atteggiamento intento e concentrato che sapeva essere odioso per chi lo circondava, e che lo spingeva a passare da lunghissime dissertazioni scientifiche condite da commenti sagaci a interi minuti di mutismo assoluto, perso nei suoi calcoli spesso frenetici ed errati. 
Pepper era stata un conforto indispensabile per tenere a bada il carosello di emozioni e idee che gli roteava in testa, rendendolo estremamente volatile, ed era intervenuta puntualmente quando era stato sul punto di perdere la calma o la pazienza. Dal suo punto di vista assolutamente estraneo a quel mondo di formule, progetti ed elucubrazioni, aveva buttato lì un paio di consigli estremamente umani e sensati, riferiti più al modo in cui lui tendeva ad osservare quello stesso mondo, che a quest’ultimo. Dei semplici cambi di prospettiva che gli avevano fatto aggirare almeno alcuni dei molti scogli che gli sbarravano la rotta. Per esempio, il non fissarsi sulle interferenze tra reattori con nucleo diverso prima di averne un prototipo funzionante davanti, e il sottolineare, con perfetto tempismo di fronte a un suo imminente crollo, che Mendeleev non aveva costruito la tavola periodica in un giorno, né Einstein aveva formulato la teoria della relatività in una settimana. Il tutto rimanendogli accanto, sveglia e attenta nonostante il sonno e la preoccupazione, da lui condivisa, di stare alimentando una speranza vana.
Tony sospirò, scacciando quei pensieri confusionari, e si impose di non divagare ulteriormente almeno per la successiva mezz’ora. Afferrò il nucleo azzurrino dell’Unisfera proiettato a mezz’aria, ingrandendo l’atomo e la sua struttura per tentare di colmare le falle e imperfezioni della stessa, di pari passo con il progetto dell’apposito acceleratore di particelle. Il suo cervello affaticato riprese a lavorare a pieno ritmo, estraniandolo dal mondo attorno a lui mentre borbottava a mezza voce con JARVIS, avendo cura di non svegliare Pepper coi suoi traffici.
Si concesse un sospiro soddisfatto quando infine ultimò la struttura atomica dello… s’interruppe, a corto di un nome, mancanza a cui decise di rimediare in un momento meno frenetico. Diede una schicchera al nucleo, e l’atomo si allargò attorno a lui, in una cupola di elettroni che lo avvolse completamente nella sua rassicurante luce azzurrina, come a proteggerlo. Si trovò a sorridere pienamente, col pensiero rivolto al contempo al futuro e al passato, in un doppio anelito che gli fece singhiozzare piacevolmente il cuore. Ricompattò l’atomo nel palmo della mano, come a custodirlo, e gli parve quasi di avvertirne il calore sia sulla pelle che sul metallo. Il suo sorriso si affievolì un poco nel lasciar scorrere lo sguardo sulla protesi, venendo poi calamitato dalla sagoma dormiente di Pepper.
Lasciò disgregare quella particella luminosa, e prese a passare distrattamente un dito sulle linee di giunzione del rivestimento della protesi. Seguì il contorno dei vari componenti, riconoscendoli a colpo sicuro coi polpastrelli anche senza guardare, nonostante la mancanza di tatto sul braccio. Si distolse dalla chioma ramata di Pepper per concentrarsi sulla placcatura antracite, accarezzandola con lo sguardo e muovendo appena le dita della mano meccanica; come sempre vi fu un lieve ritardo nella risposta, e il movimento fu spigoloso, robotico. Fissò con intensità il nuovo atomo che si era ricomposto a un palmo dal suo volto, chiedendosi se non avrebbe risolto anche quell’imperfezione secondaria, oltre a donargli un nuovo cuore che non rischiasse di ucciderlo.
Poggiò i gomiti sulle ginocchia e giunse i palmi davanti a sé, sentendo la pelle aderire perfettamente alla superficie fredda. Avere due arti meccanici era diventato in un certo senso quasi naturale, e aveva iniziato già da tempo a non fare più caso al sibilo delle giunture meccaniche quando si muoveva e al rumore metallico che producevano le sue dita contro gli oggetti. A volte aveva persino l'impressione di poter percepire qualcosa; sapeva che erano solo fugaci strascichi della sindrome dell'arto fantasma, ma assaporava quegli attimi con irrazionale esultanza, tornando col pensiero al tempo irreale in cui progettava di riacquistare il tatto e aveva addirittura avuto un braccio tiepido e non gelido come adesso.
Avrebbe solo dovuto essere grato di poterle avere, di poter camminare e muoversi quasi normalmente anche con le fitte sempre più frequenti che lo debilitavano. Avrebbe dovuto essere grato, e lo era, quando era solo. Ma bastava uno sguardo estraneo a fargli desiderare di non avere affatto quei surrogati meccanici, o di poterli rendere invisibili. In quei casi la percezione delle protesi non era fisica; gli sembrava di sentirle incunearsi nella propria mente, mettendo a nudo anche tutto ciò che di sbagliato si celava sotto la sua superficie.
Riportò lo sguardo a Pepper, accigliandosi. Prima o poi anche lei avrebbe dovuto vedere la sua imperfezione; un formicolio di aspettativa gli solleticò il basso ventre solo al pensiero, offuscato poi dalla consapevolezza di quanto fosse terrorizzato dal mostrarsi in quello stato ai suoi occhi, e di quanto allo stesso tempo volesse farlo. Sapeva, nel profondo, che quello era l’unico modo per scacciare i demoni, assieme a quella vocina beffarda e derisoria che sembrava amplificarsi e sghignazzare ogni volta che incrociava il proprio sguardo in uno specchio, nudo o meno che fosse.
Le protesi erano funzionali ma sgraziate, e i punti di giunzione spiccavano ancora rossi sulla sua pelle, assieme alle cicatrici ormai bianche che lo segnavano dall'Afghanistan. E il palladio. Come poteva mostrarsi agli occhi di Pepper – di chiunque – con quel mostro avviluppato sul petto, che sembrava mettere ancor più in evidenza la sua debolezza? Portò le dita alle costole, trovandole in malsano rilievo sotto la maglietta che indossava, e gli sembrarono troppo fragili anche solo per contenere il battito affaticato del proprio cuore. Non era ancora scheletrico – lo sarebbe di sicuro diventato, se fosse vissuto abbastanza – ma la sua magrezza era evidente, innegabile, e stentava a riconoscersi nelle copertine patinate di Playboy per cui aveva posato in quella che sembrava un’altra vita. Ora si sentiva difettoso come un soldatino di stagno scartato, con anche la stessa determinazione nel non lasciar trasparire quella sua fragilità intrinseca, standosene impettito sulla sua unica gamba.
Prese un respiro profondo, ripensando con forza a tutte le volte che Pepper l’aveva stretto a sé, del tutto incurante di come apparisse, e avvicinandosi anzi ogni giorno di più con carezze più lunghe e sguardi più intensi. Come poco prima, quando erano stati entrambi sul punto di sconfinare in un territorio inesplorato e agognato da più tempo di quanto riuscisse a quantificare.
Prese un altro respiro profondo, sapendo di dover scacciare quelle elucubrazioni, nella consapevolezza che fossero fantasticherie da tenere a bada finché sarebbe stato bloccato in quel limbo di incertezza con quell’unica luce azzurrina a brillare all’orizzonte, troppo lontana per rappresentare una salvezza. Saperlo era un conto, metterlo in pratica tutt’altro, ed era altrettanto consapevole – con un misto di paura e aspettativa – che la determinazione di entrambi in quel senso si stava allentando sempre più, senza che nessuno dei due volesse davvero frenarsi. Anzi, ormai premevano assieme contro quel limite, logorati dall'attesa e sempre più incuranti di cosa li aspettasse al di là.
Si passò le mani tra i capelli, arruffandoli nervoso, come a ripristinare i fili sfrangiati dei propri pensieri erratici.
Era stanco, esausto, e si sentiva come se non avesse dormito per un milione di anni; il che, sommato al senso d’indolenzimento costante che gli attanagliava i muscoli, gli faceva desiderare unicamente di collassare a faccia in giù sul materasso dormendo fino al mattino dopo – altro che notti movimentate con Pepper. 
Scrollò la testa a quel pensiero che lo disorientava, e si concentrò invece sulle schermate attorno a lui. Mancava così poco… sperava. Lo sperava con così tanta intensità che probabilmente stava consumando gran parte delle sue energie in quel semplice atto, bruciando neuroni in mute preghiere rivolte a niente e nessuno.
Si costrinse a tenere aperta la palpebra, e oltre il velo di stanchezza e febbrile impazienza si sforzò di leggere le formule azzurrine proiettate da JARVIS, in cerca di errori e possibili modifiche. La teoria era più o meno collaudata, adesso doveva passare alla pratica. Sapeva come costruire un acceleratore di particelle… ma avrebbe funzionato? Avrebbe sintetizzato il nuovo elemento o rischiava di far saltare in aria la villa? E se ci fosse riuscito, lo avrebbe davvero salvato, oppure l’avrebbe solo ucciso più in fretta?
E se non fosse stato compatibile con le protesi? Magari gli avrebbe salvato la vita, ma cosa ne avrebbe fatto, se le avesse rese inutilizzabili riportandolo al punto di partenza? Le odiava abbastanza da non volerle vedere, ma non così tanto da potervi rinunciare, e quella dei malfunzionamenti era una deriva che non voleva prendere in considerazione. Perché allora avrebbe dovuto operarsi di nuovo per sostituire i vecchi micro-reattori, e quella consapevolezza latente lo sprofondava in una terrorizzata prostrazione. Ne aveva abbastanza di farsi aprire e ricucire e di porre la propria vita sul filo di un bisturi, fosse anche quello fidato di Ian.
Si prese le tempie tra pollice e indice, massaggiandole appena per alleviare un principio di emicrania, e sospirò cercando di smuovere quel peso sul petto che si era fatto più pesante nel corso delle ultime ore. Quello tremò, ma rimase piantato dov’era.
Non aveva altre possibilità. Quella era l’ultima,
l’ultima, e proprio adesso che era così vicina sentiva crescere una paura martellante che rallentava i suoi gesti, che gli pulsava nello stomaco come un’ulcera dolorosa. Non voleva illudersi così tanto per un altro nulla di fatto. Per un’altra notte insonne passata a rovinarsi la vista sugli schermi e a farsi venire i crampi a forza di stare chino sul bancone per poi rimanere a mani vuote, frustrato, deluso, con un altro giorno in meno davanti e buttato al vento. Con la consapevolezza che ciò che doveva accadere in caso di sconfitta sarebbe accaduto davanti a Pepper, perché lei sarebbe rimasta. E forse sarebbe rimasta anche dopo, e quel pensiero gli raschiava l’anima, facendola sanguinare dall'interno.
Sentì con chiarezza l’attacco di panico che bussava alla porta, attirato da quelle riflessioni concentriche, come onde attorno a un macigno appena affondato. Poteva ancora sbarrarla e respingerlo, fare un lento respiro e tornare a riempirsi la mente con calcoli e schemi a fargli da scudo. Sentì poi la folle tentazione di spalancarla, di aprire almeno uno spiraglio, ma la soppresse appena in tempo, premendosi con forza il palmo metallico contro la bocca per tenere a bada un singulto. Serrò quella porta alla quale era fin troppo facile cedere e trasse un respiro profondo e tremolante, che aleggiò troppo sonoro nel laboratorio.
Udì un fruscio provenire dal divanetto su cui si era assopita Pepper, e si affrettò a sfregarsi l’occhio lucido e a rilassare il volto mascherando gli strascichi d’ansia che lo segnavano, anche se gli tremavano appena le mani. Lei l’avrebbe comunque letto come un libro aperto, ma valeva sempre la pena tentare. Riprese ad armeggiare coi suoi ologrammi, mentre la sentiva alzarsi barcollante e avvicinarsi alla sua postazione, attraversando la penombra luminescente del laboratorio, silenziosa. Ebbe un improvviso, terribile senso di
déjà-vu che gli strizzò le viscere.
«Come va?» gli chiese, con voce un po’ appesantita dal sonno ma tranquilla, segnata unicamente da una tenue curiosità.
«Uh,
va,» rispose vago lui, in modo più roco e traballante di quanto avesse previsto.
Si schiarì la gola, sentendola contratta, e non ebbe bisogno di guardare Pepper per vedere il suo cipiglio sospettoso. Non disse nulla, ma la sentì fermarsi dietro la sua sedia, posandogli poi una mano delicata sulla spalla sana. Una decina di pensieri contrastanti si agitarono nella sua testa, con una parte sollevata per il fatto che non avesse toccato la protesi, un’altra che avrebbe voluto lo facesse, un’altra ancora che gli urlava quanto lei ne fosse disgustata e le altre che strepitavano altre variazioni degli stessi, logoranti concetti. Emise d’istinto un sospiro snervato e avvertì Pepper stringere la presa, per poi spostare il palmo sulla zona di pelle lasciata scoperta dal colletto, facendogli percepire il suo calore. Tony le fu grato: quelle piccole accortezze gli davano ossigeno, mettendo a tacere i demoni.
Si rilassò in modo impercettibile, reclinando la nuca contro lo schienale con la palpebra socchiusa, godendosi semplicemente quel contatto come se qualcuno gli avesse riattaccato la spina per permettergli di ricaricarsi. Si accorse di essersi quasi assopito solo quando lei lo riscosse appena, con una particella d’allarme nella voce.
«Tony?»
Lui realizzò in un lampo colpevole la situazione, e colse l’ombra di preoccupazione appena trattenuta sul volto di Pepper, che lo fece pentire in parte di averla fatta scendere di nuovo in laboratorio, anche se l’aveva voluto lei.
«Sì, sì, ci sono,» disse in fretta, scattando in avanti e sottraendosi involontariamente al suo tocco. «Più o meno,» aggiunse poi, stropicciandosi l’occhio.
Un breve silenzio li avvolse. Tony sentì le parole successive aleggiare nell’aria, anche se Pepper non le pronunciò, come se temesse di recitare un brutto copione già scritto e recitato un anno prima. Poteva percepirla in piedi dietro a lui, in attesa, forse anche lei bloccata da quella stessa consapevolezza.
«Dovrei dormire, lo so,» sbottò infine Tony, un po’ troppo duramente, chiedendosi se non avesse appena innescato un qualcosa di irreparabile.
Non voltò la sedia verso di lei, né lei la aggirò per guardarlo in faccia.
«E hai intenzione di farlo?» gli chiese, in modo talmente sibillino che Tony non fu certo se fosse un rimprovero, una provocazione o una semplice domanda speranzosa.
Si chinò in avanti con i gomiti sulle ginocchia, sentendosi schiacciare dal sonno, dalla paura, dalla rabbia, da quella sensazione di minaccia incombente che lo fiaccava nel profondo, cosciente che finiva sempre per commettere gli stessi errori. Durò un istante, in cui si sentì come se avesse addosso un’armatura rotta e pesante che rallentava i suoi movimenti. Poi si riscosse, immettendo a forza una boccata d’aria nei polmoni, e la morsa d’ansia lasciò un poco la presa, lasciando posto a una stretta diversa, mossa da altri fili a cui finora aveva impedito di prendere il controllo.
Si alzò in piedi. Un po’ instabile, certo, ma si alzò in piedi, perché adesso
poteva farlo. Si voltò verso Pepper, coprendo la distanza tra loro prima di poter esitare. La strinse in un lieve abbraccio senza incrociare il suo sguardo, prendendola forse di sorpresa, ma la sentì ricambiare avvolgendogli le spalle, entrambe, come quella volta lontana. Tony poggiò il mento sulla sua clavicola, respirando appena nel suo odore conosciuto. Era quello che avrebbe voluto e dovuto fare anche un anno prima, ma non ne aveva avuto né il coraggio né la possibilità, se non troppo tardi. Sentì mille nodi di tensione stringergli i muscoli, rendendolo estremamente cosciente delle protesi, ma li ignorò. 
Non era ancora troppo tardi. Forse lo sarebbe stato domani, o tra due mesi, ma non oggi.

«Sì, dovrei dormire,» rispose semplicemente, e la sentì rilassarsi come se fosse rimasta sulle spine in attesa della sua reazione. «Andiamo?» le propose poi in un sussurro, rompendo del tutto copione.
Formulò di proposito la frase in quel modo, con quella traccia di ambiguità a delineare i contorni di una domanda implicita che non necessitava di una risposta diretta. Ma voleva sentirla accanto a sé, percepire il suo calore nel buio, cullarsi a occhi chiusi nel suo profumo, cercarla e lasciarsi cercare, perché oggi non sarebbe ancora stato troppo tardi. Sentì il cuore che procedeva a sobbalzi nel petto, temendo di aver posto la domanda in modo troppo pressante, ma Pepper affondò solo un po’ di più il volto nella sua spalla, inspirando a fondo.
«Va bene,» la sentì rispondere, altrettanto piano, altrettanto vaga, con una carezza che gli attraversò la schiena prima di scostarsi da lui.
Tony si distanziò di un passo, sentendosi attraversare da un fremito che sperò non fosse evidente, e le voltò le spalle accingendosi a chiudere la sessione, salvare i progressi e riporre il quaderno di suo padre nel cassetto della scrivania. Come se in vita sua si fosse mai preoccupato di lasciare il caos dietro di sé quando usciva dal laboratorio; ma con quei gesti inusuali gli sembrò di riordinare al contempo i propri pensieri sconvolti ad ogni colpo del tamburo che gli risuonava nel petto, mentre sentiva lo sguardo di Pepper che lo osservava dalla porta. Non gli riuscì di decifrarla, notò solo come ancora una volta indossasse i suoi vestiti da casa come pigiama, e come fosse poggiata allo stipite con un piede scalzo sopra l’altro a limitare il contatto col pavimento freddo, riuscendo comunque a mantenere intatta la sua eleganza.
La raggiunse senza incrociare il suo sguardo, con un ultimo cenno della mano per spegnere le luci dietro di sé. Le tenne aperta la porta, posandole poi una mano delicata alla base della schiena a guidarla sulle scale.
Quel breve percorso sembrò eterno e fu cadenzato dal suo cuore che aveva deciso di battere in controtempo ai propri passi, minando il suo già precario equilibrio. Gli sembrava che delle spirali formicolanti avessero preso ad arricciarsi nel suo stomaco, causandogli una vaga sensazione di solletico che non sapeva se fosse nuova o provata talmente tanto tempo prima da essere quasi scomparsa dalla sua memoria, associata a un vestito blu cobalto. 
Appena messo piede nell’atrio scostò la mano dalla schiena di Pepper, lasciandole completa libertà di movimento Non riuscì però a impedirsi di accorciare i propri passi, a prendere tempo, a lasciarle quel pizzico di vantaggio che gli avrebbe permesso di capire dove fosse diretta così da evitare una figuraccia o un fraintendimento. Notò in lei lo stesso istante di esitazione, in sincrono con un suo battito mancato perché adesso avevano entrambi superato le scale, un passo dopo l’altro, senza ben sapere chi stesse guidando chi, finché non si trovarono di nuovo vicini, a un passo dalla sua camera e coi volti a un soffio di distanza.
Le portò con delicatezza la sua ciocca ribelle dietro l’orecchio, sfiorandole col pollice la guancia punteggiata di efelidi, e sentì la mano di lei posarsi sul suo braccio mentre le scioglieva lo chignon. Gli scostò di rimando i capelli dalla fronte, tirandoglieli indietro con dolcezza, in un gesto così semplice e spontaneo che Tony si sentì sciogliere sotto il suo tocco. Avvertì i propri sensi annebbiarsi e acuirsi al contempo, facendogli registrare appena i suoni e l’ambiente circostanti e amplificando quel contatto di pelle contro pelle, a cui si unì ben presto quello più profondo delle loro labbra. Non si rese quasi conto di essersi proteso per primo verso di lei, catturandola in un bacio che aveva sempre immaginato ma che non aveva mai avuto il coraggio di trasporre nella realtà, troppo frenato dai suoi stessi limiti, dai suoi fardelli. Adesso però la sua unica àncora era davanti a lui, in quegli occhi cerulei che l’avevano aspettato fino ad ora, e lo tratteneva a sé con le braccia sul suo petto e le dita a cingergli il collo, intrecciate dietro la nuca. Il clangore del suo bastone da passeggio che cadeva a terra risuonò nel salone, ma nessuno dei due ci fece caso, e Pepper fu pronta a sorreggerlo quando si adagiò appena contro di lei.
Si separarono il tempo necessario per incamerare una boccata d’ossigeno, entrambi inebriati e coi respiri accelerati che ancora si mescolavano, gli occhi liquidi e accesi. La guidò piano verso la propria porta col braccio attorno alla vita, incapace di rompere quel contatto, e lei assecondò il movimento ancora stretta a lui, per poi spingersi sulle punte dei piedi e cercargli di nuovo le labbra. In quel momento, Tony sentì il cervello scollegarsi di netto, lasciando spazio a gesti non più repressi, finalmente sordo alla vocina che cercava sempre di sopraffarlo e rinchiuderlo nella sua gabbia. La strinse a sé, ricambiando il bacio con tutto l’impeto che aveva trattenuto finora, e lei fece lo stesso, senza più alcuna timidezza o freno a interporsi tra le loro bocche.
La schiena di Pepper incontrò infine la porta della stanza, e Tony riuscì a recuperare quel briciolo di razionalità che gli permise di scostarsi appena da lei, anche se con sguardo annebbiato. Le sue mani rimasero a stringerle i fianchi morbidi, con tutta la delicatezza di cui era capace, limitandosi a sfiorarla appena con quella meccanica. Trovò i suoi occhi, rischiando di affogarvi, e poggiò la fronte contro la sua percependo il suo respiro contro le labbra umide.
«Pepper…?» cominciò incerto, con voce più roca di quanto intendesse, ma prima di poter continuare lei lo anticipò, con un tono altrettanto intenso che gli suscitò un fremito d’eccitazione.
«Sì, Tony,» sussurrò semplicemente, anche lei affannata, capendolo come sempre con un solo sguardo.
La sentì aumentare appena la stretta sulle sue spalle, e Tony intravide la sua espressione intensa ed emozionata nella penombra, in un’ulteriore conferma che aumentò il suo desiderio. Trattenne l'impeto e le inclinò il mento con due dita per lasciarle un lungo bacio sulla guancia, tracciando poi il profilo del suo volto fino a lambirle le labbra, per arrivare infine al collo. Sentì le sue mani accarezzargli la schiena e scendere fino al bacino per attirarlo a sé, strappandogli un sospiro contro la sua pelle. Poi abbassò la maniglia e la sospinse oltre la soglia.


***


Pepper percepì la porta schiudersi dietro di lei e scivolò nella penombra della camera con un piccolo vuoto allo stomaco nel sentire le mani di Tony posarsi con più fermezza sui suoi fianchi, in un misto di freddo e calore che le provocò un piacevole brivido. Una parte di lei non credeva che stesse succedendo davvero, e si aspettava di riaprire gli occhi sul divano del laboratorio da un momento all’altro, trovandosi a fissare la schiena di Tony immerso nei suoi progetti. Ma l’altra era totalmente inebriata dal suo profumo, dalla sensazione del suo corpo esigente contro il proprio, dalla mano meccanica che la sfiorava appena per guidarla e da quella sana che invece seguiva languida le sue curve imprimendole sul proprio palmo, dalle proprie dita che non riuscivano a districarsi dai suoi capelli scuri quasi potesse sfuggirle, dalle sue labbra che quasi le rubavano il respiro – e sapeva che tutti quei dettagli e sensazioni che le stavano facendo girare la testa erano reali nonostante la loro consistenza quasi onirica, forse proprio perché attesi tanto a lungo.
Come poco prima, non capì chi dei due avesse spinto l’altro sul letto, sentì solo di essere stesa improvvisamente sul materasso, con Tony che esitava, chino su di lei in modo da non pesarle addosso. Quando Pepper incrociò il suo sguardo nella penombra sopra di lei, le sembrò quasi smarrito. Comprese che, probabilmente, neanche lui riusciva a credere davvero a ciò che stava accadendo, e sembrava temere che svanisse sotto le sue dita da un momento all’altro. Si sollevò di nuovo per cingergli il collo e attirarlo a sé, rompendo la sua esitazione e facendolo adagiare accanto a lei. Tony si riscosse e
incontrò di nuovo le sue labbra, catturandole in un lungo bacio, lento e metodico, che avvicinò i loro corpi fino ad annullare nuovamente le distanze. Poi i suoi gesti si fecero più cauti e meno intraprendenti, come se avesse bisogno di studiare la situazione perché impreparato ad affrontarla. Pepper assecondò quel rallentamento, con la testa leggera anche solo nel percepire il calore e le labbra dell’uomo contro la pelle, mentre lei iniziava ad esplorare il suo corpo con gesti quasi impalpabili. Era consapevole di quanto fosse delicato quel momento per lui, ed era disposta a prolungarlo anche tutta la notte, se necessario.
Tony prese a giocherellare con l'orlo della sua maglietta, approfondendo il contatto e sfiorandola appena a fior di pelle, per poi esplorare la sua schiena nuda in una lenta carezza in punta di dita che le lasciò la pelle d'oca e accelerò il suo respiro quando indugiò tra le scapole, stuzzicando il gancetto del reggiseno. Gli cinse la vita con un braccio, e sentì le sue mani posarsi di riflesso sui suoi glutei e premerla contro di sé, sempre delicate ma con una punta di decisione più marcata. Interruppero il bacio per guardarsi, entrambi affannati e in cerca dell’altro. Pepper vide il suo sguardo esitare per una frazione di secondo, per poi scurirsi di passione e riprendere a baciarla con più foga, prendendola quasi di sorpresa quando la sospinse di lato, portandosi sopra di lei e incastonando infine il proprio corpo al suo. Entrambi si lasciarono sfuggire un sospiro per quella vicinanza, e Pepper sentì la sua mano fattasi più ferma risalirle l’addome, seguendo la curva dei seni e spogliandola della maglietta, per poi rimanere su di lei, cristallizzato in un istante di contemplazione che la fece avvampare. Tony si chinò piano sulle sue labbra, stavolta sfiorandole più volte come ad assicurarsi che fossero tangibili, e Pepper gli accarezzò le braccia, studiando i suoi muscoli e risalendo fino alle spalle. Seguì con lentezza il profilo di entrambe, evitando con accortezza di indugiare troppo sul bordo metallico della protesi, e scese lungo la schiena fino a insinuarsi sotto la sua maglietta, mentre lui cominciava a tracciare la linea del suo collo in un sentiero di baci.
Fu quando arrivò a lambirgli gli addominali che lo sentì sobbalzare e irrigidirsi contro di lei, frenandole allo stesso tempo la mano che aveva iniziato a sollevargli la stoffa sull’addome. Si rialzò di colpo sulle ginocchia, soffocando un gemito, col respiro corto e un'espressione contrita stampata in faccia.
Pepper quasi boccheggiò, presa in contropiede da quella reazione inaspettata, ma dopo il primo secondo di spaesamento, intervallato dal battito convulso del proprio cuore, si sollevò sui gomiti cercando di intercettare il suo sguardo sfuggente. Non dovette aspettare che le spiegasse nulla: l'aveva già intuito dal modo in cui si stringeva la protesi del braccio, col palmo della stessa premuto contro il reattore e il viso voltato dalla parte sana, quasi a volerle nascondere tutto in un solo movimento. Pepper si alzò a sua volta sulle ginocchia, accostandosi a lui e aspettando qualche secondo prima di stringerlo di nuovo a sé con gentilezza. Lo sentì tendersi a quel contatto, ma non si ritrasse, tenendo a bada l’ansia che aveva preso il sopravvento su di lui.
«Magari dovrei...» cominciò, con voce arrochita e titubante, e fece cenno come a voler rimuovere il braccio meccanico, poi si coprì nuovamente il reattore, quasi frenetico, al che Pepper lo fermò, posando una mano sulla sua.
«… fare con più calma,» completò, cercando il suo sguardo e trovandolo in bilico tra la vergogna e il sollievo.
Si lasciò scostare la mano, facendo trapelare di nuovo la luce azzurrina dal suo petto, a rischiarare flebilmente il buio della stanza.
«Sì, è solo che…» riprese lui, sempre a voce bassa, ma si interruppe, e Pepper si chiese se anche lui in quel momento udisse solo il battito profondo del proprio cuore. «Non vorrei rovinare tutto come al solito,» mormorò poi, con un sorrisetto nervoso e quasi di scuse.
A quel punto Pepper, oltre al desiderio di avvinghiarsi di nuovo a lui, provò quello di buttarlo giù dal letto, e sentì anche un improvviso pizzicore agli occhi nel sentirlo pronunciare quelle parole.
Gli prese il volto tra le mani, sapendo di star valicando una sorta di regola non scritta, e prevedibilmente lui sussultò. Non lo trattenne, ma lui non si ritrasse, osando però a malapena respirare. Seguì con la punta delle dita il contorno del suo viso, dalla parte integra, per poi passare all’altra e lambire il bordo della benda che ancora indossava. La scollò con delicatezza, sentendolo trattenere bruscamente il fiato a quel gesto. Prima che potesse reagire, sfiorò con le labbra la cicatrice che gli attraversava il volto, dal sopracciglio allo zigomo, seguendone il profilo frastagliato senza esitare, spinta solo dalla duplice volontà di conoscere appieno anche quella sua imperfezione, e di rassicurarlo. Non sarebbe mai stato un marchio così superficiale a definire lui, e tantomeno a far ritrarre lei. Quel segno non voluto faceva parte di Tony, così come le protesi, così come il reattore, così come tutto ciò che era oltre a tutto questo. E non offuscavano neanche lontanamente il desiderio che le pervadeva il petto in quel momento, né tutti i motivi che l’aveva spinta a rimanere al suo fianco fino ad allora. Cercò di trasmetterlo anche a Tony attraverso quel gesto per lei semplice, spontaneo, ma che probabilmente per lui non era affatto scontato. Tony si abbandonò contro le sue labbra, respirando a fior di labbra e sfiorandole i fianchi in un anelito trattenuto. Lasciò che lei gli sfilasse anche la maglietta e baciasse anche il punto di giunzione tra la protesi e il suo corpo, arrivando dalla spalla fino alle nocche, percependo il sapore acuto del metallo misto a quello più dolce della sua pelle. Accettò anche quella parte di lui, facendolo rilassare e avvicinare sempre più ad ogni contatto, vero o immaginato, e spezzandogli allo stesso tempo il respiro per l’emozione. Pepper si scostò infine da lui per guardarlo in volto, incontrando la sua pupilla lucida e di nuovo adorante, e fu quel singolo sguardo a darle il coraggio di fare il gesto che aveva rimandato ormai da molto tempo: posò entrambe le mani sul suo reattore, avvertendone la superficie liscia e tiepida, col lieve ronzio che le riverberava nei palmi. La paura che si era aspettata di provare non arrivò, soppiantata da un brivido di piacere quando sentì la presa di Tony farsi più salda sulla sua schiena. La luce che li illuminava si affievolì, ma Pepper intravide distintamente il lampo di incredulità che balenò sul volto di Tony, che adesso la fissava intento con le labbra schiuse, come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che era appena avvenuto.
Quell’
istante sospeso durò il tempo di un battito di ciglia, in cui Tony si sentì disorientato nel percepire il suo stesso corpo, come se fosse in qualche modo cambiato dopo il tocco di Pepper. Come se fosse semplicemente il suo corpo, e non un altro fardello. Durò un attimo, il tempo di scrollarsi di dosso i ceppi che lo trattenevano, trovandosi finalmente libero: si slanciò sulle labbra di Pepper, catturandola in un bacio impetuoso e stringendola a sé quasi con smania; lei lo assecondò col medesimo ardore, cingendogli la vita con le gambe e trovandosi di nuovo sotto di lui, tempestata dalle sue labbra e dalla nuova, vibrante energia che le trasmetteva ad ogni tocco non più inibito. Le loro mani corsero insieme a sganciare il ferretto del reggiseno e il bottone dei jeans, portandoli più vicini e rendendoli più sensibili ad ogni sospiro e contatto di pelle contro pelle, ritardando ancora quello completo.
Tony si sentiva sospeso tra una stupefatta euforia e un desiderio bruciante che gli rimescolava il sangue nelle vene, una sensazione diversa da qualunque altra avesse mai provato in quei contesti; perché Pepper, l’aveva sempre saputo, non era una qualunque donna e non era mai stata solo un’altra. Non ricordava di aver mai voluto nessuno con la stessa intensità che guidava ora i suoi gesti, né di aver mai usato così tanta accortezza nel dosarli per darle piacere.
Esplorò ogni nicchia e curva del suo corpo, imparando a conoscerlo, ad amarlo con ogni bacio e carezza che le lasciava sulla pelle, contando le lentiggini che le costellavano le spalle, per poi diradarsi a lambirle appena il seno latteo e le areole rosee. Si perse nel seguire la sua linea alba, e deviò più volte dal suo percorso per risalire a cercarle le labbra, catturando i suoi sospiri e il suo stesso nome con le proprie; sentì i suoi tremiti riverberargli nelle ossa quando la liberò senza fretta dei pantaloni e degli slip, facendola poi sussultare ad ogni tocco più intimo e deciso, con le sue mani aggrappate ai capelli, al collo, alle spalle nella ricerca di un appiglio saldo, perché ora Pepper si sentiva sul punto di cadere da un momento all’altro. Gli accarezzò il profilo forte del collo, scoprendo che baciare la conchetta tra la spalla e la clavicola gli strappava più di un gemito mentre la stringeva di nuovo a sé, trovando le sue fossette di Venere. Vi incuneò le dita, stringendola e facendola inarcare contro di lui mentre lei gli tracciava la linea della schiena, percorrendo con lentezza quel lieve avvallamento, soffermandosi sulla sua pelle increspata, sulla curva spigolosa dei fianchi stretti, sui tenui rilievi di qualche vecchia cicatrice. Gli sfiorò il torace, con una stretta al cuore nel percepire i segni del palladio e le costole troppo pronunciate, proseguendo quindi sull'addome e trovando i due solchi virili che scomparivano oltre l'orlo dei boxer. Li scostò appena, facendogli trattenere bruscamente il respiro mentre si tendeva contro di lei a quel contatto più intenso, che ricercò a sua volta sfiorandole un seno con le labbra. Sentì le sue mani che lo liberavano del tutto, in una carezza languida che lo fece tremare.
Le linee dei loro corpi si sovrapposero, finalmente prive di barriere, e si trovarono avvinti in un abbraccio che cercava di stabilizzarli senza riuscirvi, esaltando solo la percezione dell’uno contro l’altro mentre si guidavano a vicenda verso il limite.
I loro occhi si cercarono, ora impazienti, e si incontrarono in una tacita intesa. Tony le lasciò un ultimo bacio sulle labbra, prima di immergersi in un solo, lento movimento nel suo calore; quell’unione strappò un sospiro estatico a entrambi, rimasti sopraffatti per un istante dal piacere prima di ricercarlo con più veemenza, verso quel limite, sempre più vicino ad ogni contatto più profondo.
Pepper lo valicò per prima, avvinghiandosi con forza a lui, e Tony rallentò appena, incatenandosi a lei, ai suoi occhi, alle sue dita, come a trattenere quell’attimo che fuggiva via e imprimerselo nel corpo; voleva prolungare quel momento, sentirlo in ogni dettaglio prima di cadere anche lui insieme a lei, congiunto a quella parte di sé che non gli apparteneva, ma che gli era indispensabile.
Per quel singolo istante di attesa in bilico, cessò di essere carne e metallo, di essere lui, in uno scavalcamento di campo che lo annullò e allo stesso tempo lo fece sentire completo, finché un nugolo di vertigini lo invase da capo a piedi, spingendolo di colpo oltre il bordo e nelle sue braccia pronte ad accoglierlo.


***


Rimasero abbracciati nella penombra, ansanti e con le gambe ancora intrecciate, donandosi carezze morbide e stremate. Tony si scostò appena di lato per non pesarle addosso, e lei seguì quel movimento, stringendogli il busto per rimanere pelle contro pelle con lui.
Tony deglutì, cercando di recuperare il fiato che gli rimaneva sospeso tra gola e polmoni, e sentì le mani di Pepper adagiarsi sul suo petto, come ad aiutarlo.
Non sapeva esattamente come sentirsi, se non frastornato ed esausto, oltre che colto da un leggero imbarazzo nel non sapere come comportarsi adesso. Arrivare fin qui era stato – più o meno – semplice, naturale, ma adesso si sentì cogliere da una lieve, impacciata inquietudine. Le protesi gli inviarono una stilettata pungente, a ricordargli che erano ancora là, e decisamente seccate per lo sforzo fisico, ma le ignorò, assieme al carico di ombre che cercavano di sospingere nella sua direzione. Si era ripromesso di non pensare al domani, ed era intenzionato a mantenere quel proposito almeno fino al mattino.
Non riusciva comunque a parlare, e forse non ce n’era bisogno, ma man mano che recuperava il controllo di sé e dei propri pensieri, sentì disegnarsi sul volto quel sorriso scanzonato che le rivolgeva spesso, che fu ricambiato dallo sguardo di vago, affettuoso rimprovero che lei gli indirizzava quando intuiva una delle sue battutine impertinenti in arrivo.
«Allora, è stato strano?» chiese infatti Tony, come riprendendo un discorso interrotto.
Pepper acuì il suo sguardo inquisitore, per poi sospirare tra sé e distendersi in un sorriso. Allungò una mano ad accarezzargli il volto, seguendo la linea del pizzetto, e Tony si chiese per quanto tempo si fosse astenuta da quel gesto.
«No, per niente,» rispose poi a bassa voce, sfiorandogli di nuovo le labbra in un bacio leggero.
«Bene,» rispose lui, scostandosi un poco per evitare di sprofondare completamente in quel contatto. «Certo, possiamo sempre migliorare,» commentò poi, con un sorrisetto scaltro, e Pepper alzò prevedibilmente gli occhi al cielo.
«Tony…» cominciò con fare ammonitore, e lui sbuffò divertito, stringendola a sé, sentendosi profondamente felice per il semplice fatto di stare parlando con lei come sempre, nonostante la situazione completamente estranea, e vinse senza difficoltà l’immotivato imbarazzo di poco prima.
«Che ci sarebbe di male?» chiese ironico, prendendo a giocherellare con le sue ciocche ramate e trovando di nuovo i suoi occhi. «Dopotutto, abbiamo aspettato solo dieci anni,» continuò, abbassando un poco la voce e posandole un bacio appena sotto l’orecchio.
«Un po’ meno di dieci,» replicò sottovoce lei, col sorriso nelle parole.
«Quanti allora? Nove?» la provocò lui, con un sogghigno sicuro di sé.
Lei sorrise un po’ perfida, sfiorandogli il naso in un gesto giocoso.
«Direi… quattro?» propose infine, e Tony sentì la propria espressione tronfia cadere di schianto.
«Quattro,» ripeté, serissimo, vedendo fin troppo bene il modo in cui lei si stava trattenendo per non scoppiargli a ridere in faccia. «Wow. Quattro,» ripeté ancora, come un disco rotto, e si sollevò un poco sul gomito, rimangiandosi il sorriso che stava premendo anche sul suo volto. «Ok, da che punto stiamo contando?» chiese poi, alzando un sopracciglio e Pepper finse di pensarci su.
«Ha importanza?» scrollò poi le spalle.
«Assolutamente, ci tengo ad essere sempre preciso nelle mie analisi,» dichiarò lui, e stavolta il sorriso gli sfuggì tra le labbra.
«Allora prima dovrei sapere di
cosa stiamo parlando,» lo stuzzicò lei, con un pizzico di curiosità ben palpabile.
Tony percepì che adesso la discussione stava per sconfinare in territori
decisamente imbarazzanti, per qualcuno che non si era mai trovato nella posizione di dover definire un rapporto di quel tipo.
«È comunque troppo tempo,» svicolò quindi, strappandole una risatina nel vedere tutta quella goffa reticenza da parte sua, che però gli guadagnò anche un altro bacio.
La trattenne a sé, cingendola di nuovo con le braccia, e lei fece lo stesso, a confermare le sue parole e il desiderio che riprendeva già a consumare entrambi, nella consapevolezza condivisa di aver davvero aspettato troppo.
La sentì sciogliersi contro il suo corpo, intrecciando le mani dietro le sue spalle, e lui si girò piano sulla schiena, portandola sopra di lui col braccio a stringerle la vita. Rimase muto ad ammirarla, illuminata solo dalla fievole luce del reattore che giocava sui suoi capelli, disegnandole ogni curva in altorilievo, e vide con un misto di sollievo e ardore che anche i suoi occhi indugiavano rapiti sul suo corpo imperfetto.
Il “sei bellissima” che gli era salito spontaneo alle labbra si scontrò su quelle di Pepper quando si chinò a baciarlo con impeto. La seguì in quell’invito e si intrecciò subito a lei senza esitare, sentendosi desiderato almeno quanto lui desiderava lei ad ogni sospiro unisono, mentre si cercavano e trovavano nel buio.
Poi si persero di nuovo, entrambi.




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Note Dell'Autrice:

Ah-ehm, salve?
A parte il fatto che quest' aggiornamento è fuori tempo massimo e con pessimo tempismo, considerando il periodo e in tenore del fandom... sì, ho visto Endgame e no, non farò spoiler, ma chi l'ha visto penso possa immaginare il mio stato d'animo. E credo abbia colto anche un velato riferimento al film verso la fine del capitolo ;)

A parte tutto, questa è la primissima volta che mi cimento nello scrivere una scena simile, e forse mi sono dilungata un po' troppo... ma un po' sentivo di "doverlo" a chi legge, considerando l'attesta infinita di 50 (!) capitoli. Spero di non aver fatto troppi casini, e non abbiate timore di lanciarmi pomodori in caso non doveste gradire :') (Tony mi fa sapere dalla regia che, , dopo sei anni di sofferenza ha gradito molto, e anche Pepper concorda).
La scelta di farli "cedere" prima di aver trovato una soluzione, a dispetto di tutto ciò che si sono detti e ripromessi in proposito, è voluta, a sottolineare il fatto che rimangano due esseri umani, e come tali soggetti ache debolezze, ripensamenti e decisioni impulsive ;)

Come sempre, il testo in blu è di Tony e quello in arancione di Pepper. E sì, questo titolo collegato a questo momento esiste dalla prima menzione di Stand By Me nella storia, dieci capitoli fa, e a tal proposito vi sarà un piccolo spin-off in futuro :D A parte ciò, il richiamo spero più evidente è a Hysteria, uno dei miei capitoli preferiti, e mi auguro che vi sia piaciuto <3

Ringrazio immensamente _Atlas_, T612 ed Emyclarinet per aver recensito lo scorso capitolo, oltre a tutti quelli che continuano a leggere e seguire aggiungendo la storia alle loro liste <3 Confesso di essere particolarmente curiosa delle vostre opinioni su questi ultimi capitoli, considerando che il prossimo è quello finale. Ci sarà un breve (?) epilogo, ma diciamo che la storia in sé si conclude nel prossimo e, no, non so affatto come gestire lo stress emotivo di fronte alla fine del MCU (per ora) e di Phoenix.

Spero di pubblicare in tempi brevi il prossimo capitolo, che, vi avviso, sarà mastodontico :')
Un caro saluto e alla prossima,

-Light-

[AVVISO]: in vista della conclusione della storia mi accingo all'ultima fatica: sto effettuando la sua revisione finale, correggendo sviste, errori di battitura e la punteggiatura dei dialoghi, oltre a operare qualche miglioramento dal punto di vista formale. I capitoli non subiranno cambiamenti sostanziali, eccezion fatta per il prologo e il primo capitolo, che in seguito al ritrovamento di un vecchio appunto cartaceo sono stati modificati. Tutto ciò non influenzerà ovviamente la trama, né gli eventi.
Soprattutto, è probabile che alcuni capitoli della prima parte cambieranno titolo e canzone introduttiva: inizialmente eravamo molto pigre nella loro scelta, e so quali sono stati buttati lì per mancanza d'inventiva/voglia. Quelli passabili di cambiamento sono indicati con 
* e ove è stata cambiata la canzone è presente 

Pubblicherò l'ultimo capitolo solo a revisione ultimata, e ho deciso di inserire su questo una sorta di countdown per tenervi aggiornati: segnerò mano mano i capitoli corretti, segnalando quelli che potrebbero essere stati soggetti a revisioni più pesanti. Chiudo il papiro, e vi lascio al "Phoenix-Bingo", con un paio di micro-sneak peek finali ;)

[Edit]: Presa dall'estro creativo (?) mi sono tolta lo sfizio di fare delle grafiche per il titolo della storia e per quelli delle tre parti, oltre che qualche illustrazione. Le trovate ai capitoli con ! :D
 
Prologo - Let the flames begin ✔ ! Rilettura consigliata
Capitolo 1 - It could've been worse ✔ ! Rilettura consigliata 
Capitolo 2 - In dream 
Capitolo 3 - One way road  [titolo cambiato] 
Capitolo 4 - As always ✔ 
Capitolo 5 - Get off my cloud ✔ [titolo cambiato]
Capitolo 6 - Heart of steel ✔ 
Capitolo 7 - Another brick in the wall 
Capitolo 8 - Time is running out 
Capitolo 9 - Stumbling 
Capitolo 10 - Falling Correzioni&aggiunte marginali
Capitolo 11 - Sinking ✔ Rilettura consigliata
Capitolo 12 - Psychosocial? 
Capitolo 13 - Hysteria 
Capitolo 14 - Scar tissue  
Capitolo 15 - Twist and shout ✔ ♪ [titolo cambiato] Correzioni&aggiunte marginali
Capitolo 16 - High hopes  [titolo cambiato]
Capitolo 17 - Another family reunion ✔ 
Capitolo 18 - It's gonna be OK, someday 
Capitolo 19 - Close to the bottom 
Capitolo 20 - Tiptoe higher  [titolo cambiato] ♪
Capitolo 21 - Rage against the machine 
Capitolo 22 - Unsustainable 
Capitolo 23 - The hangover  [titolo cambiato]
Capitolo 24 - Your bridges are burning down 
Capitolo 25 - Hycarus  [titolo cambiato]
Capitolo 26 - Apocalypse, please 

Capitolo 27 - Of storms, shells and shattered dreams 
Capitolo 28 - Innervision 
Capitolo 29 - In noctem !
Capitolo 30 - Iron and bones 
Capitolo 31 - Chasing cars 
Capitolo 32 - It can only get better 
Capitolo 33 - Stay hungry 
Capitolo 34 - Stay foolish ✔ !
Capitolo 35 - Friends will be friends 
Capitolo 36 - Show and tell 
Capitolo 37 - No man is an island 
Capitolo 38 - Smoke and mirrors 
Capitolo 39 - Kintsugi 
Capitolo 40 - Dancing in the dark ✔ Correzioni&aggiunte marginali
Capitolo 41 - Showbiz  !
Capitolo 42 - Legacy 

Capitolo 43 - Supernova  !
Capitolo 44 - Neutron star 
Capitolo 45 - Highway to Hell 
Capitolo 46 - Knockin' on Heaven's door 
Capitolo 47 - The show must go on 
Capitolo 48 - Sometimes you can't do it on your own 
Capitolo 49 - Stand by me 
Capitolo 50 - W. [Completo]
Epilogo - P. [Work in progress]


 
L'aggiornamento sarà tra l'8 e il 9 luglio!
   
 
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