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Stand by me
"When
the night has come,
and the land is dark
And the moon is the only light
we'll see
No, I won't be afraid, oh, I
won't be afraid
Just as long as you stand,
stand by me
So darling, darling, stand by
me"
[Stand By Me – Ben E. King]
"I'm
dancing in the dark with you between my arms
Barefoot on the
grass, listening to our favorite song
When you said you looked a
mess, I whispered underneath my breath
But you heard it, darling,
you look perfect tonight"
[Perfect – Ed Sheeran]
13 Maggio, Villa Stark, 19:30
Suo
padre aveva inglobato il suo mondo da quando aveva memoria.
Era una
cupola opprimente, alle volte, altre invece sembrava dargli uno
sprone a romperla per arrivare più in alto. La maggior parte
del
tempo la percepiva come fredda, o meglio, di una temperatura
indefinibile: né gradevole né spiacevole, di
quelle giornate di
mezza stagione in cui non si sa se uscire a maniche corte o col
giacchetto e non fa poi molta differenza – indifferente.
Era indifferente, e questo Tony l’aveva sempre intuito con
chiarezza scientifica, con la stessa linearità con cui
scriveva il
risultato di un’equazione o recitava a memoria un teorema
comprovato. L’ indifferenza era una costante della sua vita
come
tante altre, come sua madre che suonava il pianoforte quando sapeva
che c’era solo lui ad ascoltarla, come Jarvis che ignorava le
sue
lamentele e spalancava le finestre della sua camera la domenica
mattina per fare le pulizie, come Rhodey che riusciva sempre a
convincerlo a uscire ogni sabato sera, o che si lasciava convincere
da lui a rimanere a casa – sbronzandosi in ogni caso, ed era
per
quello che il giorno dopo imprecava contro Jarvis e le sue pulizie
alle nove di mattina.
Suo
padre, però, non era mai stato davvero costante. A dispetto
dei suoi
completi tutti uguali e del volto impassibile, non era lineare. Anche
quello, l’aveva sempre saputo.
C’erano quelle
variabili
inaspettate che lo trasformavano in un’altra persona
– i loro
libri commentati di Verne, la foto ricordo con DUM-E, i buffetti
sulla nuca che gli rifilava di tanto in tanto e che non capiva mai se
fossero di rimprovero o di apprezzamento, ma che accettava con un
sorriso incerto, forse speranzoso. Istantanee frettolose, rare e
sbiadite nella sua memoria, ma che esistevano appaiate ai suoi aspri
richiami, agli sguardi delusi, alla percepibile assenza e ai suoi
motti impersonali che, chissà come, riuscivano sempre ad
aprire
ferite sensibili e a plasmare il mondo attorno a lui.
Il tutto in quella cornice di odiosa, protratta
indifferenza – fino all’ultimo, fino ad
attaccargliela addosso
inducendolo a salutare i suoi genitori in una sera di dicembre senza
neanche guardarli, con un distratto scrollare di dita sopra la spalla
e i pensieri già rivolti al toga-party imminente.
Quel
giorno di quasi vent’anni dopo scopriva l’ennesima
variabile –
o forse più d’una – perché
era impensabile che Howard Anthony
Stark girasse un filmato per suo figlio, ed era anche impensabile che
avesse conservato così tanto di quello che lui chiamava ciarpame
– foto, album, souvenir, ricordi, frammenti di vita
– e ancor di
più che l’avesse tenuto sottochiave nel suo
ufficio allo SHIELD.
Tony
voleva convincersi che fosse quello, il motivo per cui gli stava
schizzando via il cuore dal petto mentre si precipitava nello studio;
quello e solo quello, e forse anche l’affanno causato delle
falcate
troppo precipitose per il suo corpo indebolito. Si concentrava a
tunnel su quei due motivi, perché anche solo sfiorare
l’idea di
avere tra le mani uno straccio di soluzione per salvarsi avrebbe
rischiato di farlo impazzire per il sollievo. E a quel punto il cuore
avrebbe finito per scoppiargli come un palloncino sotto pressione,
come prima con Pepper e – no,
non era davvero il caso.
Così
diresse i suoi passi e i suoi pensieri in linea retta e metodica
verso lo studio e verso la lampadina azzurra che gli stava
illuminando a giorno il cervello, consapevole che Pepper lo stesse
chiamando e seguendo allarmata, ma col timore che se avesse aperto
bocca per
risponderle ne sarebbero usciti solo suoni incomprensibili. Si
catapultò all’interno della stanzetta col cuore
che, dopo aver
fatto un giretto nello stomaco e avergli poi ostruito la gola, adesso
gli martellava assordante tra le orecchie. Scostò con forza
il telo
che copriva il plastico della Città del Futuro, prendendo a
fissarlo
a corto di fiato, con la pupilla che seguiva frenetica le linee delle
strutture e degli edifici, donandogli nuovo senso e congiungendole
tra loro con una logica nascosta che, maledizione,
era sempre stata esattamente
davanti
a lui.
«Tony!»
La
voce di Pepper gli squillò proprio vicino
all’orecchio, e si rese
conto solo allora della sua mano poggiata sulla sua spalla sana, da
chissà quanto. Sobbalzò con lieve ritardo,
voltandosi a
guardarla e consapevole di sembrare del tutto fuori di testa
– non
che fosse una novità.
«Pepper!»
replicò d’istinto, voltandosi, e come volevasi
dimostrare la sua
voce risuonò più stridula del dovuto.
Non
vi fece caso, concentrandosi piuttosto sugli occhi preoccupati della
donna, ma tinti anche di un pizzico di titubante aspettativa.
Scollò
la lingua dal palato, obbligandola ad articolare parole di senso
compiuto, anche se sentiva i pensieri sfrecciare al triplo della
velocità a cui era in grado di tramutarli in suoni:
«Prima
di tutto: no, non sono impazzito. Almeno non credo e comunque non del
tutto,» la anticipò, coi palmi
alzati,
concedendosi il beneficio
del dubbio e faticando a concentrarsi su ciò che stava
dicendo,
oltre che a reprimere l’impulso di girarsi di nuovo a
guardare il
plastico nel timore che svanisse in uno sbuffo di fumo.
Pepper
interruppe la prima frase prima di iniziarla, la mano ancora poggiata
sopra la sua spalla e le sopracciglia involontariamente corrugate in
un moto di perplessità, ad oscurarle appena gli occhi
limpidi.
«Che
succede?» chiese invece, assottigliando le labbra e
mordendosele
appena con nervosismo.
Stavolta Tony dovette frenare
l’imprevisto
impulso di baciarle, il che gli fece chiedere se non stesse per avere
un breakdown completo. Tutta
quella situazione in verità gli era familiare, ed era un
pensiero
intrinsecamente rassicurante, perché l’ultima
volta che si era
sentito così scollegato dalla realtà aveva
davvero trovato la
soluzione per ricostruirsi una vita. Adesso, forse, avrebbe potuto
salvarla, ma voleva astenersi dal formulare del tutto quel pensiero.
«Non…
non sono sicuro,» esordì quindi, senza scostarsi
dalla sua presa,
perché aveva l’impressione che fosse
l’unica cosa a tenerlo
ancorato a terra.
Le
pieghe confuse sul volto di Pepper si approfondirono, ma non
intervenne.
«Io
credo– penso di… di–» prese
fiato, ossigenando il cervello a
corto di carburante. «Ho un’idea,»
buttò fuori infine,
semplificando il tutto nel concetto più basilare che la sua
bocca
fosse in grado di esprimere.
Vide
gli occhi di Pepper illuminarsi per un istante fugace, in uno sprazzo
di speranza che non fu in grado di mascherare. Sentì la sua
mano
stringergli nervosamente la stoffa della maglietta, come se anche lei
avesse bisogno di ancorarsi da qualche parte.
«Un’idea
per…» esitò e lo sguardo di Pepper
sfiorò il reattore nel suo
petto.
Tony,
che in un’altra situazione avrebbe odiato quel gesto,
annuì invece
quasi con entusiasmo, portando poi la mano a stringere il polso di
Pepper per rafforzare quella conferma.
«Per
questo, sì,» disse, premendo il palmo metallico
sul congegno. «E
non so… non so se è giusta, o cosa
sia esattamente, non so neanche se sarà– possibile,
in termini tecnici,» tartagliò, bloccandosi su
quelle parole quasi
fossero di per sé ostacoli fisici.
«Papà pensava…»
s’interruppe
nel realizzare come lo aveva chiamato, poi scrollò la testa
e
continuò. «Pensava che io potessi portare a
termine il suo
progetto, coi miei mezzi,» proseguì,
più misurato nonostante il
suo cuore non accennasse a rallentare, deciso a infrangere ogni
record di tachicardia. «Il progetto è
là dentro,» continuò,
scostandosi un poco e indicando il plastico dietro di loro.
«E io…
io so
cosa
fare,» disse ancora, e sentì la propria voce
rompersi in un
sorriso, che trovò un tenue, incerto riflesso sul volto di
Pepper.
Tony
si soffermò ad osservarla, a catturare con lo sguardo quelle
fossette apparse sulle sue guance, il lieve rossore che le oscurava
le efelidi, le iridi chiare e lucide, schermate dalle ciglia lunghe e
da qualche capello ramato, la linea incurvata delle sue labbra fini.
Si perse per un istante in quei dettagli come se li vedesse per la
prima volta, e forse Pepper stava facendo lo stesso, perché
si sentì
quasi accarezzare dal suo sguardo, finché non si
scostò un poco da
lui, con un brillio vivo negli occhi.
«Allora,
da dove cominciamo?» ruppe il silenzio, con voce
inaspettatamente
ferma, e Tony si riscosse, coi battiti del cuore più
rallentati e il
respiro di nuovo leggero.
Poi
comprese quello che aveva detto e batté la palpebra,
scostandosi un
poco e inarcando poi un sopracciglio.
«Noi?»
chiese conferma, picchiettando a terra col bastone a esternare la sua
perplessità.
Pepper
incrociò le braccia sottili, raddrizzando la schiena e
sfoggiando
un’espressione caparbia, col mento alzato come in una sfida
già
accettata.
«L’ultima
volta che hai avuto un’idea di questa portata, hai trovato
una
soluzione,» dichiarò con fermezza, facendo
seriamente interrogare
Tony sulle sue doti telepatiche. «E io ero lì. Ed
ero lì anche
quando sei tornato dall’Afghanistan, quando sei diventato
Iron Man,
quando hai perso tutto, quando hai iniziato a ricostruire la tua vita
e quando l’hai quasi distrutta,»
tentennò per un istante,
riprendendo il controllo della sua voce adesso friabile, e Tony
abbassò fugacemente lo sguardo. «Ero lì
quando sei tornato da me
sulle tue gambe, e quando hai deciso di non voler affrontare tutto
questo da solo, e alla Expo, e per il Progetto Phoenix, e per tutto
il resto, per dieci anni,» continuò,
accalorandosi, e i suoi occhi
si fecero più liquidi, in contrasto con la sua voce ferma
anche se
venata dall’emozione. «E voglio esserci anche
adesso,»
concluse,
con un sorriso sottile ma sicuro di sé, irremovibile in quel
proposito.
Tony
inclinò il capo, preso alla sprovvista, poi
sbuffò una mezza
risata, sentendosi di nuovo scaldare da quel calore improvviso e
incontrollabile, e seppe che qualunque tentativo di mostrarsi
disinvolto sarebbe stato vanificato dal modo in cui la stava
guardando, fin troppo intenso, come se quelle parole avessero
alimentato un piccolo fuoco dentro di sé.
«Come
se fossi mai riuscito a farle cambiare idea su qualcosa, signorina
Potts,» osservò Tony con un sorrisetto,
suscitandole
un lampo
compiaciuto sul volto.
«Potrei
dire lo stesso di lei, signor Stark,» ribatté
prontamente.
Tony
alzò le spalle, cedendole quel punto, per poi schiarirsi
la voce
e fare un gesto deciso verso il plastico dietro di sé.
«Cominciamo
da quello.»
***
13 Maggio, Villa Stark, 23:00
Il
laboratorio si era fatto silenzioso da un paio d’ore, ovvero
da
quando Pepper si era inavvertitamente seduta sul divano per
“fare
una breve pausa”: si era bellamente addormentata nel giro di
cinque
minuti mentre lui aveva continuato ad esporre ad alta voce i suoi
ragionamenti e deduzioni al vuoto, trafficando al contempo con gli
ologrammi
di JARVIS. Progettava di fingersi eternamente offeso per quella
piccola mancanza non appena si fosse svegliata… ma per ora
non
poteva fare a meno di sorridere appena ogni volta che rivolgeva lo
sguardo verso di lei, trovandola placidamente ad occhi chiusi,
raggomitolata sotto la coperta che le aveva adagiato sulle spalle.
Aveva l’insistente tentazione di raggiungerla e coricarsi
discretamente accanto a lei, cedendo anche lui al sonno, ma non
poteva concedersi distrazioni, e non era sicuro che in quel frangente
fosse in grado di gestire una vicinanza del genere senza incorrere in
qualche errore stupido e avventato.
Riportò
lo sguardo al progetto virtuale a cui stava lavorando al momento. O
meglio, alle cinque schermate che tentava di guardare
contemporaneamente con un occhio solo, sfidando anche il suo allenato
multitasking: un rendering dettagliato della Expo del ’74
sovraimpresso a una struttura atomica, l’abbozzo di un
progetto per
un acceleratore di particelle in formato casalingo, il modello di un
reattore arc modificato, e un grafico che metteva a confronto le onde
elettromagnetiche dei micro-reattori con quelle per ora solo
teorizzate del nuovo elemento.
Aveva
di nuovo quasi infartato per la gioia quando aveva avuto la conferma
che il plastico della Expo era fisicamente
la chiave per il futuro, mettendogli di conseguenza tra le mani un
elemento fino ad allora sconosciuto, ma si era subito dovuto
scontrare con la difficoltà di ricostruirlo in modo coerente
e,
soprattutto, del problema della sua sintetizzazione. Oltre a tutti
quelli che si sarebbero presentati in seguito, a cui cercava di non
pensare troppo intensamente, continuando a ripetersi il suo mantra di
“un passo alla volta”.
In
effetti i passi avanti erano stati notevoli, anche se frammentari,
visto che lui era troppo su di giri per pensare in modo lineare o
efficiente. Era caduto più volte in errori da principianti e
sviste
che avevano mandato in fumo ore di ragionamenti. Il plastico era
ovviamente solo una traccia, lo scheletro semplificato di un progetto
molto più complesso che doveva integrare con le proprie
conoscenze.
Certo,
nel momento in cui aveva ricostruito la struttura atomica di quel
nuovo elemento si era sentito come Galileo che scopriva
l’eliocentrismo. Ed era stato immensamente felice di avere
Pepper
accanto a sé, visto che così aveva avuto una
validissima scusa per
stringerla in un abbraccio improvviso e commosso che forse si sarebbe
meritato anche qualcun altro, ormai perduto nel passato.
Poi
erano subentrate le difficoltà tecniche, e
dall’euforia iniziale
era scivolato nell’atteggiamento intento e concentrato che
sapeva
essere odioso per chi lo circondava, e che lo spingeva a passare da
lunghissime dissertazioni scientifiche condite da commenti sagaci a
interi minuti di mutismo assoluto, perso nei suoi calcoli spesso
frenetici ed errati.
Pepper era stata un conforto indispensabile per
tenere a bada il carosello di emozioni e idee che gli roteava in
testa, rendendolo estremamente volatile, ed era intervenuta
puntualmente quando era stato sul punto di perdere la calma o la
pazienza. Dal suo punto di vista assolutamente estraneo a quel mondo
di formule, progetti ed elucubrazioni, aveva buttato lì un
paio di
consigli estremamente umani e sensati, riferiti più al modo
in cui
lui tendeva ad osservare quello stesso mondo, che a
quest’ultimo.
Dei semplici cambi di prospettiva che gli avevano fatto aggirare
almeno alcuni dei molti scogli che gli sbarravano la rotta. Per
esempio, il non fissarsi sulle interferenze tra reattori con nucleo
diverso prima di averne un prototipo funzionante davanti, e il
sottolineare, con perfetto tempismo di fronte a un suo imminente
crollo, che Mendeleev non aveva costruito la tavola periodica in un
giorno, né Einstein aveva formulato la teoria della
relatività in
una settimana. Il tutto rimanendogli accanto, sveglia e attenta
nonostante il sonno e la preoccupazione, da lui condivisa, di stare
alimentando una speranza vana.
Tony
sospirò, scacciando quei pensieri confusionari, e si impose
di non
divagare ulteriormente almeno per la successiva mezz’ora.
Afferrò
il nucleo azzurrino dell’Unisfera proiettato a
mezz’aria,
ingrandendo l’atomo e la sua struttura per tentare di colmare
le
falle e imperfezioni della stessa, di pari passo con il progetto
dell’apposito acceleratore di particelle. Il suo cervello
affaticato riprese a lavorare a pieno ritmo, estraniandolo dal mondo
attorno a lui mentre borbottava a mezza voce con JARVIS, avendo cura
di non svegliare Pepper coi suoi traffici.
Si
concesse un sospiro soddisfatto quando infine ultimò la
struttura
atomica dello… s’interruppe, a corto di un nome,
mancanza a cui
decise di rimediare in un momento meno frenetico. Diede una
schicchera al nucleo, e l’atomo si allargò attorno
a lui, in una
cupola di elettroni che lo avvolse completamente nella sua
rassicurante luce azzurrina, come a proteggerlo. Si trovò a
sorridere pienamente, col pensiero rivolto al contempo al futuro e al
passato, in un doppio anelito che gli fece singhiozzare piacevolmente
il cuore. Ricompattò l’atomo nel palmo della mano,
come a
custodirlo, e gli parve quasi di avvertirne il calore sia sulla pelle
che sul metallo. Il suo sorriso si affievolì un poco nel
lasciar
scorrere lo sguardo sulla protesi, venendo poi calamitato dalla
sagoma dormiente di Pepper.
Lasciò disgregare quella particella luminosa, e prese
a passare distrattamente un dito sulle linee di giunzione del
rivestimento della protesi. Seguì il contorno dei vari
componenti, riconoscendoli a colpo sicuro coi polpastrelli anche senza
guardare, nonostante la mancanza di tatto sul braccio. Si distolse
dalla chioma ramata di Pepper per concentrarsi sulla placcatura
antracite, accarezzandola con lo sguardo e muovendo appena le dita
della mano meccanica; come sempre vi fu un lieve ritardo nella
risposta, e il movimento fu spigoloso, robotico. Fissò con
intensità
il nuovo atomo che si era ricomposto a un palmo dal suo volto,
chiedendosi se
non avrebbe risolto anche quell’imperfezione secondaria,
oltre a
donargli un nuovo cuore che non rischiasse di ucciderlo.
Poggiò
i gomiti sulle ginocchia e giunse i palmi davanti a sé,
sentendo la
pelle aderire perfettamente alla superficie fredda. Avere due arti
meccanici era diventato in un certo senso quasi naturale, e aveva
iniziato già da tempo a non fare più caso al
sibilo delle giunture
meccaniche quando si muoveva e al rumore metallico che producevano le
sue dita contro gli oggetti. A volte aveva persino l'impressione di
poter percepire qualcosa; sapeva che erano solo fugaci strascichi
della sindrome dell'arto fantasma, ma assaporava quegli attimi con
irrazionale esultanza, tornando col pensiero al tempo irreale in cui
progettava di riacquistare il tatto e aveva addirittura avuto un
braccio tiepido e non gelido come adesso.
Avrebbe
solo dovuto essere grato di poterle avere, di poter camminare e
muoversi quasi normalmente anche con le fitte sempre più
frequenti
che lo debilitavano. Avrebbe dovuto essere grato, e lo era, quando
era solo. Ma bastava uno sguardo estraneo a fargli desiderare di non
avere affatto quei surrogati meccanici, o di poterli rendere
invisibili. In quei casi la percezione delle protesi non era fisica;
gli sembrava di sentirle incunearsi nella propria mente, mettendo a
nudo anche tutto ciò che di sbagliato si celava sotto la sua
superficie.
Riportò
lo sguardo a Pepper, accigliandosi. Prima o poi anche lei avrebbe
dovuto vedere la sua imperfezione; un formicolio di aspettativa gli
solleticò il basso ventre solo al pensiero, offuscato poi
dalla
consapevolezza di quanto fosse terrorizzato dal mostrarsi in quello
stato ai suoi occhi, e di quanto allo stesso tempo volesse farlo.
Sapeva, nel profondo, che quello era l’unico modo per
scacciare i
demoni, assieme a quella vocina beffarda e derisoria che sembrava
amplificarsi e sghignazzare ogni volta che incrociava il proprio
sguardo in uno specchio, nudo o meno che fosse.
Le
protesi erano funzionali ma sgraziate, e i punti di giunzione
spiccavano ancora rossi sulla sua pelle, assieme alle cicatrici ormai
bianche che lo segnavano dall'Afghanistan. E il palladio. Come poteva
mostrarsi agli occhi di Pepper – di chiunque
– con
quel mostro
avviluppato sul petto, che sembrava mettere ancor più in
evidenza la
sua debolezza? Portò le dita alle costole, trovandole in
malsano
rilievo sotto la maglietta che indossava, e gli sembrarono troppo
fragili anche solo per contenere il battito affaticato del proprio
cuore. Non era ancora scheletrico – lo sarebbe di sicuro
diventato, se fosse vissuto abbastanza – ma la sua magrezza
era evidente, innegabile,
e
stentava a riconoscersi nelle copertine patinate di Playboy per cui
aveva posato in quella che sembrava un’altra vita. Ora si
sentiva
difettoso come un soldatino di stagno scartato, con anche la stessa
determinazione nel non lasciar trasparire quella sua
fragilità
intrinseca, standosene impettito sulla sua unica gamba.
Prese
un respiro profondo, ripensando con forza a tutte le volte che Pepper
l’aveva stretto a sé, del tutto incurante di come
apparisse, e
avvicinandosi anzi ogni giorno di più con carezze
più lunghe e
sguardi più intensi. Come poco prima, quando erano stati
entrambi
sul punto di sconfinare in un territorio inesplorato e agognato da
più tempo di quanto riuscisse a quantificare.
Prese
un altro respiro profondo, sapendo di dover scacciare quelle
elucubrazioni, nella consapevolezza che fossero fantasticherie da
tenere a bada finché sarebbe stato bloccato in quel limbo di
incertezza con quell’unica luce azzurrina a brillare
all’orizzonte,
troppo lontana per rappresentare una salvezza. Saperlo era un conto,
metterlo in pratica tutt’altro, ed era altrettanto
consapevole –
con un misto di paura e aspettativa – che la determinazione
di
entrambi in quel senso si stava allentando sempre più, senza
che
nessuno dei due volesse davvero frenarsi. Anzi, ormai premevano assieme
contro quel limite, logorati dall'attesa e sempre più
incuranti di cosa li aspettasse al di là.
Si
passò le mani tra i capelli, arruffandoli nervoso, come a
ripristinare i fili sfrangiati dei propri pensieri erratici. Era
stanco, esausto, e si sentiva come se non avesse dormito per un
milione di anni; il che, sommato al senso d’indolenzimento
costante
che gli attanagliava i muscoli, gli faceva desiderare unicamente di
collassare a faccia in giù sul materasso dormendo fino al
mattino
dopo – altro che notti movimentate con Pepper.
Scrollò la testa a
quel pensiero che lo disorientava, e si concentrò invece
sulle
schermate attorno a lui. Mancava così poco…
sperava. Lo sperava
con così tanta intensità che probabilmente stava
consumando gran
parte delle sue energie in quel semplice atto, bruciando neuroni in
mute preghiere rivolte a niente e nessuno.
Si
costrinse a tenere aperta la palpebra, e oltre il velo di stanchezza
e febbrile impazienza si sforzò di leggere le formule
azzurrine
proiettate da JARVIS, in cerca di errori e possibili modifiche. La
teoria era più o meno collaudata, adesso doveva passare alla
pratica. Sapeva come costruire un acceleratore di
particelle… ma
avrebbe funzionato? Avrebbe sintetizzato il nuovo elemento o
rischiava di far saltare in aria la villa? E se ci fosse riuscito, lo
avrebbe davvero salvato, oppure l’avrebbe solo ucciso
più in
fretta? E
se non fosse stato compatibile con le protesi? Magari gli avrebbe
salvato la vita, ma cosa ne avrebbe fatto, se le avesse rese
inutilizzabili riportandolo al punto di partenza? Le odiava
abbastanza da non volerle vedere, ma non così tanto da
potervi
rinunciare, e quella dei malfunzionamenti era una deriva che non
voleva prendere in considerazione. Perché allora avrebbe
dovuto
operarsi di nuovo per sostituire i vecchi micro-reattori, e quella
consapevolezza latente lo sprofondava in una terrorizzata
prostrazione. Ne aveva abbastanza di farsi aprire e ricucire e di
porre la propria vita sul filo di un bisturi, fosse anche quello
fidato di Ian.
Si
prese le tempie tra pollice e indice, massaggiandole appena per
alleviare un principio di emicrania, e sospirò cercando di
smuovere
quel peso sul petto che si era fatto più pesante nel corso
delle
ultime ore. Quello tremò, ma rimase piantato
dov’era.
Non
aveva altre possibilità. Quella era l’ultima, l’ultima,
e proprio adesso che era così vicina sentiva crescere una
paura
martellante che rallentava i suoi gesti, che gli pulsava nello
stomaco come un’ulcera dolorosa. Non voleva illudersi
così tanto
per un altro nulla di fatto. Per un’altra notte insonne
passata a
rovinarsi la vista sugli schermi e a farsi venire i crampi a forza di
stare chino sul bancone per poi rimanere a mani vuote, frustrato,
deluso, con un altro giorno in meno davanti e buttato al vento. Con
la consapevolezza che ciò che doveva accadere in caso di
sconfitta
sarebbe accaduto davanti a Pepper, perché lei sarebbe
rimasta. E
forse sarebbe rimasta anche dopo,
e quel pensiero gli raschiava l’anima, facendola sanguinare
dall'interno.
Sentì
con chiarezza l’attacco di panico che bussava alla porta,
attirato
da quelle riflessioni concentriche, come onde attorno a un macigno
appena affondato. Poteva ancora sbarrarla e respingerlo, fare un
lento respiro e tornare a riempirsi la mente con calcoli e schemi a
fargli da scudo. Sentì poi la folle tentazione di
spalancarla, di
aprire almeno uno spiraglio, ma la soppresse appena in tempo,
premendosi con forza il palmo metallico contro la bocca per tenere a
bada un singulto. Serrò quella porta alla quale era fin
troppo
facile cedere e trasse un respiro profondo e tremolante, che
aleggiò
troppo sonoro nel laboratorio.
Udì
un fruscio provenire dal divanetto su cui si era assopita Pepper, e
si affrettò a sfregarsi l’occhio lucido e a
rilassare il volto
mascherando gli strascichi d’ansia che lo segnavano, anche se
gli
tremavano appena le mani. Lei l’avrebbe comunque letto come
un
libro aperto, ma valeva sempre la pena tentare. Riprese ad armeggiare
coi suoi ologrammi, mentre la sentiva alzarsi barcollante e
avvicinarsi alla sua postazione, attraversando la penombra
luminescente del laboratorio, silenziosa. Ebbe un improvviso,
terribile senso di déjà-vu
che gli strizzò le viscere.
«Come
va?» gli chiese, con voce un po’ appesantita dal
sonno ma
tranquilla, segnata unicamente da una tenue curiosità.
«Uh,
va,»
rispose vago lui, in modo più roco e traballante di quanto
avesse
previsto.
Si
schiarì la gola, sentendola contratta, e non ebbe bisogno di
guardare Pepper per vedere il suo cipiglio sospettoso. Non disse
nulla, ma la sentì fermarsi dietro la sua sedia, posandogli
poi una
mano delicata sulla spalla sana. Una decina di pensieri contrastanti
si agitarono nella sua testa, con una parte sollevata per il fatto
che non avesse toccato la protesi, un’altra che avrebbe
voluto lo
facesse, un’altra ancora che gli urlava quanto lei ne fosse
disgustata e le altre che strepitavano altre variazioni degli stessi,
logoranti concetti. Emise d’istinto un sospiro snervato e
avvertì
Pepper stringere la presa, per poi spostare il palmo sulla zona di
pelle lasciata scoperta dal colletto, facendogli percepire il suo
calore. Tony le fu grato: quelle piccole accortezze gli davano
ossigeno, mettendo a tacere i demoni.
Si
rilassò in modo impercettibile, reclinando la nuca contro lo
schienale con la palpebra socchiusa, godendosi semplicemente quel
contatto come se qualcuno gli avesse riattaccato la spina per
permettergli di ricaricarsi. Si accorse di essersi quasi assopito
solo quando lei lo riscosse appena, con una particella
d’allarme
nella voce.
«Tony?»
Lui
realizzò in un lampo colpevole la situazione, e colse
l’ombra di
preoccupazione appena trattenuta sul volto di Pepper, che lo fece
pentire in parte di averla fatta scendere di nuovo in laboratorio,
anche se l’aveva voluto lei.
«Sì,
sì, ci sono,» disse in fretta, scattando in avanti
e sottraendosi
involontariamente al suo tocco. «Più o
meno,» aggiunse poi,
stropicciandosi l’occhio.
Un
breve silenzio li avvolse. Tony sentì le parole successive
aleggiare
nell’aria, anche se Pepper non le pronunciò, come
se temesse di
recitare un brutto copione già scritto e recitato un anno
prima.
Poteva percepirla in piedi dietro a lui, in attesa, forse anche lei
bloccata da quella stessa consapevolezza.
«Dovrei
dormire, lo so,» sbottò infine Tony, un
po’ troppo duramente,
chiedendosi se non avesse appena innescato un qualcosa di
irreparabile.
Non
voltò la sedia verso di lei, né lei la
aggirò per guardarlo in
faccia.
«E
hai intenzione di farlo?» gli chiese, in modo talmente
sibillino che
Tony non fu certo se fosse un rimprovero, una provocazione o una
semplice domanda speranzosa.
Si
chinò in avanti con i gomiti sulle ginocchia, sentendosi
schiacciare
dal sonno, dalla paura, dalla rabbia, da quella sensazione di
minaccia incombente che lo fiaccava nel profondo, cosciente che
finiva sempre per commettere gli stessi errori. Durò un
istante, in
cui si sentì come se avesse addosso un’armatura
rotta e pesante
che rallentava i suoi movimenti. Poi si riscosse, immettendo a forza
una boccata d’aria nei polmoni, e la morsa d’ansia
lasciò un
poco la presa, lasciando posto a una stretta
diversa, mossa da altri fili a cui finora aveva impedito di prendere
il controllo.
Si
alzò in piedi. Un po’ instabile, certo, ma si
alzò in piedi,
perché adesso poteva
farlo. Si voltò verso Pepper, coprendo la distanza tra loro
prima di
poter esitare. La strinse in un lieve abbraccio senza incrociare il suo
sguardo, prendendola forse di sorpresa, ma la sentì
ricambiare
avvolgendogli le spalle, entrambe, come quella volta lontana. Tony
poggiò il mento
sulla sua
clavicola, respirando appena nel suo odore conosciuto. Era quello che
avrebbe voluto e dovuto fare anche un anno prima, ma non ne aveva
avuto né il coraggio né la
possibilità, se non troppo tardi. Sentì
mille nodi di tensione stringergli i muscoli, rendendolo estremamente
cosciente delle protesi, ma li ignorò.
Non era ancora troppo
tardi.
Forse lo sarebbe stato domani, o tra due mesi, ma non oggi.
«Sì,
dovrei dormire,» rispose semplicemente, e la sentì
rilassarsi come
se fosse rimasta sulle spine in attesa della sua reazione.
«Andiamo?»
le propose poi in un sussurro, rompendo del tutto copione.
Formulò
di proposito la frase in quel modo, con quella traccia di
ambiguità
a delineare i contorni di una domanda implicita che non necessitava
di una risposta diretta. Ma voleva sentirla accanto a sé,
percepire
il suo calore nel buio, cullarsi a occhi chiusi nel suo profumo,
cercarla e lasciarsi cercare, perché oggi non sarebbe ancora
stato
troppo tardi. Sentì il cuore che procedeva a sobbalzi nel
petto,
temendo di aver posto la domanda in modo troppo pressante, ma Pepper
affondò solo un po’ di più il volto
nella sua spalla, inspirando
a fondo.
«Va
bene,» la sentì rispondere, altrettanto piano,
altrettanto vaga,
con una carezza che gli attraversò la schiena prima di
scostarsi da
lui.
Tony
si distanziò di un passo, sentendosi attraversare da un
fremito che
sperò non fosse evidente, e le voltò le spalle
accingendosi a
chiudere la sessione, salvare i progressi e riporre il quaderno di
suo padre nel cassetto della scrivania. Come se in vita sua si fosse
mai preoccupato di lasciare il caos dietro di sé quando
usciva dal
laboratorio; ma con quei gesti inusuali gli sembrò di
riordinare al
contempo i propri pensieri sconvolti ad ogni colpo del tamburo che
gli risuonava nel petto, mentre sentiva lo sguardo di Pepper che lo
osservava dalla porta. Non gli riuscì di decifrarla,
notò solo come
ancora una volta indossasse i suoi vestiti da casa come pigiama, e
come fosse poggiata allo stipite con un piede scalzo sopra
l’altro
a limitare il contatto col pavimento freddo, riuscendo comunque a
mantenere intatta la sua eleganza.
La
raggiunse senza incrociare il suo sguardo, con un ultimo cenno della
mano per spegnere le luci dietro di sé. Le tenne aperta la
porta,
posandole poi una mano delicata alla base della schiena a guidarla
sulle scale.
Quel
breve percorso sembrò eterno e fu cadenzato dal suo cuore
che aveva
deciso di battere in controtempo ai propri passi, minando il suo
già
precario equilibrio. Gli sembrava che delle spirali formicolanti
avessero preso ad arricciarsi nel suo stomaco, causandogli una vaga
sensazione di solletico che non sapeva se fosse nuova o provata
talmente tanto tempo prima da essere quasi scomparsa dalla sua
memoria, associata a un vestito blu cobalto.
Appena messo piede nell’atrio scostò la
mano dalla
schiena di Pepper, lasciandole completa libertà di
movimento Non
riuscì però a impedirsi di accorciare i propri
passi, a prendere
tempo, a
lasciarle quel pizzico di vantaggio che gli avrebbe permesso di
capire dove fosse diretta così da evitare una figuraccia o
un
fraintendimento. Notò in lei lo stesso istante di
esitazione, in
sincrono con un suo battito mancato perché adesso avevano
entrambi
superato le scale, un passo dopo l’altro, senza ben sapere
chi
stesse guidando chi, finché non si trovarono di nuovo
vicini, a un
passo dalla sua camera e coi volti a un soffio di distanza.
Le portò con delicatezza la sua ciocca ribelle dietro
l’orecchio,
sfiorandole col pollice la guancia punteggiata di efelidi, e
sentì
la mano di lei posarsi sul suo braccio mentre le scioglieva lo
chignon. Gli scostò di rimando i capelli dalla fronte,
tirandoglieli
indietro con dolcezza, in un gesto così semplice e spontaneo
che
Tony si sentì sciogliere sotto il suo tocco.
Avvertì i propri sensi
annebbiarsi e acuirsi al contempo, facendogli registrare appena i
suoni e l’ambiente circostanti e amplificando quel contatto
di
pelle contro pelle, a cui si unì ben presto quello
più profondo
delle loro labbra. Non si rese quasi conto di essersi proteso per
primo verso di lei, catturandola in un bacio che aveva sempre
immaginato ma che non aveva mai avuto il coraggio di trasporre nella
realtà, troppo frenato dai suoi stessi limiti, dai suoi
fardelli.
Adesso però la sua unica àncora era davanti a
lui, in quegli occhi
cerulei che l’avevano aspettato fino ad ora, e lo tratteneva
a sé
con le braccia sul suo petto e le dita a cingergli il collo,
intrecciate dietro la nuca. Il clangore del suo bastone da passeggio
che cadeva a terra risuonò nel salone, ma nessuno dei due ci
fece
caso, e Pepper fu pronta a sorreggerlo quando si adagiò
appena contro
di lei.
Si
separarono il tempo necessario per incamerare una boccata
d’ossigeno,
entrambi inebriati e coi respiri accelerati che ancora si
mescolavano, gli occhi liquidi e accesi. La guidò piano
verso la
propria porta col braccio attorno alla vita, incapace di rompere quel
contatto, e lei assecondò il movimento ancora stretta a lui,
per poi
spingersi sulle punte dei piedi e cercargli di nuovo le labbra. In
quel momento, Tony sentì il cervello scollegarsi di netto,
lasciando
spazio a gesti non più repressi, finalmente sordo alla
vocina che
cercava sempre di sopraffarlo e rinchiuderlo nella sua gabbia. La
strinse a sé, ricambiando il bacio con tutto
l’impeto che aveva
trattenuto finora, e lei fece lo stesso, senza più alcuna
timidezza
o freno a interporsi tra le loro bocche.
La
schiena di Pepper incontrò infine la porta della stanza, e
Tony
riuscì a recuperare quel briciolo di razionalità
che gli permise di
scostarsi appena da lei, anche se con sguardo annebbiato. Le sue
mani rimasero a stringerle i fianchi morbidi, con tutta la delicatezza
di cui
era capace, limitandosi a sfiorarla appena con quella meccanica.
Trovò i suoi occhi, rischiando di affogarvi, e
poggiò la fronte
contro la sua percependo il suo respiro contro le labbra umide.
«Pepper…?»
cominciò incerto, con voce più roca di quanto
intendesse, ma prima
di poter continuare lei lo anticipò, con un tono altrettanto
intenso
che gli suscitò un fremito d’eccitazione.
«Sì,
Tony,» sussurrò semplicemente, anche lei
affannata, capendolo come
sempre con un solo sguardo.
La
sentì aumentare appena la stretta sulle sue spalle, e Tony
intravide
la sua espressione intensa ed emozionata nella penombra, in
un’ulteriore conferma che aumentò il suo
desiderio. Trattenne l'impeto e le inclinò il
mento con due dita per lasciarle un lungo bacio sulla guancia,
tracciando poi il profilo del suo volto fino a lambirle le labbra,
per arrivare infine al collo. Sentì le sue mani
accarezzargli la
schiena e scendere fino al bacino per attirarlo a sé,
strappandogli
un sospiro contro la sua pelle. Poi abbassò la maniglia e la
sospinse oltre la soglia.
***
Pepper
percepì la porta schiudersi dietro di lei e
scivolò nella penombra
della camera con un piccolo vuoto allo stomaco nel sentire le mani di
Tony posarsi con più fermezza sui suoi fianchi, in un misto
di
freddo e calore che le provocò un piacevole brivido. Una
parte di
lei non credeva che stesse succedendo davvero, e si aspettava di
riaprire gli occhi sul divano del laboratorio da un momento
all’altro, trovandosi a fissare la schiena di Tony immerso
nei suoi
progetti. Ma l’altra era totalmente inebriata dal suo
profumo,
dalla sensazione del suo corpo esigente contro il proprio, dalla mano
meccanica che la sfiorava appena per guidarla e da quella sana che
invece seguiva languida le sue curve imprimendole sul proprio palmo,
dalle proprie dita che non riuscivano a districarsi dai suoi capelli
scuri quasi potesse sfuggirle, dalle sue labbra che quasi le
rubavano il respiro – e sapeva che tutti quei dettagli e
sensazioni
che le stavano facendo girare la testa erano reali nonostante la loro
consistenza quasi onirica, forse proprio perché attesi tanto
a
lungo.
Come
poco prima, non capì chi dei due avesse spinto
l’altro sul letto,
sentì solo di essere stesa improvvisamente sul materasso,
con Tony
che esitava, chino su di lei in modo da non pesarle addosso.
Quando Pepper incrociò il suo sguardo nella penombra sopra
di lei,
le sembrò quasi smarrito. Comprese che, probabilmente,
neanche lui
riusciva a credere davvero a ciò che stava accadendo, e
sembrava
temere che svanisse sotto le sue dita da un momento
all’altro. Si
sollevò di nuovo per cingergli il collo e attirarlo a
sé, rompendo
la sua esitazione e facendolo adagiare accanto a lei. Tony si riscosse
e incontrò
di nuovo le sue labbra, catturandole in un lungo bacio, lento e
metodico, che avvicinò i loro corpi fino ad annullare
nuovamente le
distanze. Poi i
suoi gesti si fecero più cauti e meno intraprendenti, come
se avesse
bisogno di studiare la situazione perché impreparato ad
affrontarla.
Pepper assecondò quel rallentamento, con la
testa
leggera anche solo nel percepire il calore e le labbra
dell’uomo
contro la pelle, mentre lei iniziava ad esplorare il suo corpo con
gesti quasi impalpabili. Era consapevole di quanto fosse delicato quel
momento per lui, ed era disposta a prolungarlo anche tutta la notte, se
necessario.
Tony
prese a giocherellare con l'orlo della sua maglietta, approfondendo
il contatto e sfiorandola appena a fior di pelle, per poi esplorare
la sua schiena nuda in una lenta carezza in punta di dita che le
lasciò la pelle d'oca e accelerò il suo respiro
quando indugiò tra
le scapole, stuzzicando il gancetto del reggiseno. Gli cinse la
vita con un braccio, e sentì le sue mani posarsi di riflesso
sui
suoi glutei e premerla contro di sé, sempre delicate ma con
una
punta di decisione più marcata. Interruppero il bacio per
guardarsi,
entrambi affannati e in cerca dell’altro. Pepper vide il suo
sguardo esitare per una frazione di secondo, per poi scurirsi di
passione e riprendere a baciarla con più foga, prendendola
quasi di
sorpresa quando la sospinse di lato, portandosi sopra di lei e
incastonando infine il proprio corpo al suo. Entrambi si lasciarono
sfuggire un sospiro per quella vicinanza, e Pepper sentì la
sua mano
fattasi più ferma risalirle l’addome, seguendo la
curva dei seni e
spogliandola della maglietta, per poi rimanere su di lei,
cristallizzato in un
istante di contemplazione che la fece avvampare. Tony si
chinò piano
sulle sue labbra, stavolta sfiorandole più volte come ad
assicurarsi
che fossero tangibili, e Pepper gli accarezzò le braccia,
studiando i suoi muscoli e
risalendo fino
alle spalle. Seguì con lentezza il profilo di entrambe,
evitando con
accortezza di indugiare troppo sul bordo metallico della protesi, e
scese lungo la schiena fino a insinuarsi sotto la sua maglietta,
mentre lui cominciava a tracciare la linea del suo collo in un
sentiero di baci.
Fu quando arrivò a lambirgli gli addominali che
lo sentì sobbalzare e irrigidirsi contro di lei, frenandole
allo
stesso tempo la mano che aveva iniziato a sollevargli la stoffa
sull’addome. Si rialzò di colpo sulle ginocchia,
soffocando un gemito, col respiro corto
e un'espressione contrita stampata in faccia.
Pepper quasi
boccheggiò, presa in contropiede da quella reazione
inaspettata, ma
dopo il primo secondo di spaesamento, intervallato dal battito
convulso del proprio cuore, si sollevò sui gomiti cercando
di
intercettare il suo sguardo sfuggente. Non dovette aspettare che le
spiegasse nulla: l'aveva già intuito dal modo in cui si
stringeva la
protesi del braccio, col palmo della stessa premuto contro il
reattore e il viso voltato dalla parte sana, quasi a volerle
nascondere tutto in un solo movimento. Pepper si alzò a sua
volta sulle
ginocchia,
accostandosi a lui e aspettando qualche secondo prima di stringerlo
di nuovo a sé con gentilezza. Lo sentì tendersi a
quel contatto, ma
non si ritrasse, tenendo a bada l’ansia che aveva preso il
sopravvento su di lui.
«Magari dovrei...» cominciò, con voce
arrochita e titubante, e fece cenno come a voler rimuovere il braccio
meccanico, poi si coprì nuovamente il reattore, quasi
frenetico, al
che Pepper lo fermò, posando una mano sulla sua.
«…
fare con più calma,» completò, cercando
il suo sguardo e
trovandolo in bilico tra la vergogna e il sollievo.
Si
lasciò scostare la mano, facendo trapelare di nuovo la luce
azzurrina dal suo petto, a rischiarare flebilmente il buio della
stanza.
«Sì,
è solo che…» riprese lui, sempre a voce
bassa, ma si interruppe,
e Pepper si chiese se anche lui in quel momento udisse solo il
battito profondo del proprio cuore. «Non vorrei rovinare
tutto come al solito,»
mormorò poi, con un sorrisetto nervoso e quasi di scuse.
A
quel punto Pepper, oltre al desiderio di avvinghiarsi di nuovo a lui,
provò quello di buttarlo giù dal letto, e
sentì anche un
improvviso pizzicore agli occhi nel sentirlo pronunciare quelle
parole.
Gli
prese il volto tra le mani, sapendo di star valicando una sorta di
regola non scritta, e prevedibilmente lui sussultò. Non lo
trattenne, ma lui non si ritrasse, osando però a malapena
respirare.
Seguì con la punta delle dita il contorno del suo viso,
dalla parte
integra, per poi passare all’altra e lambire il bordo della
benda
che ancora indossava. La scollò con delicatezza, sentendolo
trattenere bruscamente il fiato a quel gesto. Prima che potesse
reagire, sfiorò con le labbra la cicatrice che gli
attraversava il
volto, dal sopracciglio allo zigomo, seguendone il profilo
frastagliato senza esitare, spinta solo dalla duplice
volontà di
conoscere appieno anche quella sua imperfezione, e di rassicurarlo.
Non sarebbe mai stato un marchio così superficiale a
definire lui, e
tantomeno a far ritrarre lei. Quel segno non voluto faceva parte di
Tony, così come le protesi, così come il
reattore, così come tutto
ciò che era oltre a tutto questo. E non offuscavano
neanche
lontanamente il desiderio che le pervadeva il petto in quel momento,
né tutti i motivi che l’aveva spinta a rimanere al
suo fianco fino
ad allora. Cercò di trasmetterlo anche a Tony attraverso
quel gesto
per lei semplice, spontaneo, ma che probabilmente per lui non era
affatto scontato. Tony si abbandonò contro le sue labbra,
respirando a fior di labbra e sfiorandole i fianchi in un anelito
trattenuto.
Lasciò che
lei gli sfilasse anche la maglietta e baciasse anche il punto di
giunzione
tra la protesi e il suo corpo, arrivando dalla spalla fino alle
nocche, percependo il sapore acuto del metallo misto a quello
più
dolce della sua pelle. Accettò anche quella parte di lui,
facendolo
rilassare e avvicinare sempre più ad ogni contatto, vero o
immaginato, e spezzandogli allo stesso tempo il respiro per
l’emozione. Pepper si scostò infine da lui per
guardarlo
in volto,
incontrando la sua pupilla lucida e di nuovo adorante, e fu quel
singolo sguardo a darle il coraggio di fare il gesto che aveva
rimandato ormai da molto tempo: posò entrambe le mani sul
suo
reattore, avvertendone la superficie liscia e tiepida, col lieve
ronzio che le riverberava nei palmi. La paura che si era aspettata di
provare non arrivò, soppiantata da un brivido di piacere
quando
sentì la presa di Tony farsi più salda sulla sua
schiena. La luce
che li illuminava si affievolì, ma Pepper intravide
distintamente il
lampo di incredulità che balenò sul volto di
Tony, che adesso la
fissava intento con le labbra schiuse, come se non riuscisse a
capacitarsi di ciò che era appena avvenuto.
Quell’istante sospeso
durò il tempo di un battito di ciglia, in cui Tony si
sentì
disorientato nel percepire il suo stesso corpo, come se fosse in
qualche modo cambiato dopo il tocco di Pepper. Come se fosse
semplicemente il suo
corpo, e non un altro fardello. Durò un attimo, il tempo di
scrollarsi di dosso i ceppi che lo trattenevano, trovandosi
finalmente libero: si slanciò sulle labbra di Pepper,
catturandola in
un bacio impetuoso e stringendola a sé quasi con smania; lei
lo
assecondò col medesimo ardore, cingendogli la vita con le
gambe e
trovandosi di nuovo sotto di lui, tempestata dalle sue labbra e dalla
nuova, vibrante energia che le trasmetteva ad ogni tocco non
più
inibito. Le
loro mani corsero insieme a sganciare il ferretto del reggiseno e il
bottone
dei jeans, portandoli più vicini e rendendoli più
sensibili ad ogni
sospiro e contatto di pelle contro pelle, ritardando ancora quello
completo.
Tony
si sentiva sospeso tra una stupefatta euforia e un desiderio
bruciante che gli rimescolava il sangue nelle vene, una sensazione
diversa da qualunque altra avesse mai provato in quei contesti;
perché Pepper, l’aveva sempre saputo, non
era una qualunque
donna e non era mai stata solo un’altra. Non ricordava di
aver mai
voluto nessuno con la stessa intensità che guidava ora i
suoi gesti,
né di aver mai usato così tanta accortezza nel
dosarli per darle
piacere.
Esplorò
ogni nicchia e curva del suo corpo, imparando a conoscerlo, ad amarlo
con ogni bacio e carezza che le lasciava sulla pelle, contando le
lentiggini che le costellavano le spalle, per poi diradarsi a
lambirle appena il seno latteo e le areole rosee. Si perse nel
seguire la sua linea alba, e deviò più volte dal
suo percorso per
risalire a cercarle le labbra, catturando i suoi sospiri e il suo
stesso nome con le proprie; sentì i suoi tremiti
riverberargli nelle
ossa quando la liberò senza fretta dei pantaloni e degli
slip,
facendola poi sussultare ad ogni tocco più intimo e deciso,
con le
sue mani aggrappate ai capelli, al collo, alle spalle nella ricerca
di un appiglio saldo, perché ora Pepper si sentiva sul punto
di
cadere da un momento all’altro. Gli accarezzò il
profilo forte del
collo, scoprendo che baciare la conchetta tra la spalla e la
clavicola gli strappava più di un gemito mentre la
stringeva di
nuovo a sé, trovando le sue fossette di Venere. Vi
incuneò le dita,
stringendola e facendola inarcare contro di lui
mentre
lei gli tracciava la linea della schiena, percorrendo con lentezza
quel lieve avvallamento, soffermandosi sulla sua pelle increspata,
sulla curva spigolosa dei fianchi stretti, sui tenui rilievi di
qualche vecchia cicatrice. Gli sfiorò il torace, con una
stretta al
cuore nel percepire i segni del palladio e le costole troppo
pronunciate, proseguendo quindi sull'addome e trovando i due solchi
virili che scomparivano oltre l'orlo dei boxer. Li scostò
appena,
facendogli trattenere bruscamente il respiro mentre si tendeva contro
di lei a quel contatto più intenso, che ricercò a
sua volta
sfiorandole un seno con le labbra. Sentì le sue mani che lo
liberavano del tutto, in una carezza languida che lo fece tremare.
Le
linee dei loro corpi si sovrapposero, finalmente prive di barriere, e
si trovarono avvinti in un abbraccio che cercava di stabilizzarli
senza riuscirvi, esaltando solo la percezione dell’uno contro
l’altro mentre si guidavano a vicenda verso il limite.
I
loro occhi si cercarono, ora impazienti, e si incontrarono in una
tacita intesa. Tony le lasciò un ultimo bacio sulle labbra,
prima di
immergersi in un solo, lento movimento nel suo calore;
quell’unione
strappò un sospiro estatico a entrambi, rimasti sopraffatti
per un
istante dal piacere prima di ricercarlo con più veemenza,
verso quel
limite, sempre più vicino ad ogni contatto più
profondo.
Pepper
lo valicò per prima, avvinghiandosi con forza a lui, e Tony
rallentò
appena, incatenandosi a lei, ai suoi occhi, alle sue dita, come a
trattenere quell’attimo che fuggiva via e imprimerselo nel
corpo;
voleva prolungare quel momento, sentirlo in ogni dettaglio prima di
cadere anche lui insieme a lei, congiunto a quella parte di
sé che
non gli apparteneva, ma che gli era indispensabile.
Per
quel singolo istante di attesa in bilico, cessò di essere
carne e
metallo, di essere lui, in uno scavalcamento di campo che lo
annullò e allo stesso tempo lo fece sentire completo,
finché un
nugolo di vertigini lo invase da capo a piedi, spingendolo di colpo
oltre il bordo e nelle sue braccia pronte ad accoglierlo.
***
Rimasero
abbracciati nella penombra, ansanti e con le gambe ancora
intrecciate, donandosi carezze morbide e stremate. Tony si
scostò
appena di lato per non pesarle addosso, e lei seguì quel
movimento,
stringendogli il busto per rimanere pelle contro pelle con lui.
Tony
deglutì, cercando di recuperare il fiato che gli rimaneva
sospeso
tra gola e polmoni, e sentì le mani di Pepper adagiarsi sul
suo
petto, come ad aiutarlo.
Non
sapeva esattamente come sentirsi, se non frastornato ed esausto, oltre
che colto
da un leggero imbarazzo nel non sapere come comportarsi adesso.
Arrivare fin qui era stato – più o meno
– semplice, naturale, ma
adesso si sentì cogliere da una lieve, impacciata
inquietudine. Le
protesi gli inviarono una stilettata pungente, a ricordargli che
erano ancora là, e decisamente seccate per lo sforzo fisico,
ma le
ignorò, assieme al carico di ombre che cercavano di
sospingere nella
sua direzione. Si era ripromesso di non pensare al domani, ed era
intenzionato a mantenere quel proposito almeno fino al mattino.
Non
riusciva comunque a parlare, e forse non ce n’era bisogno, ma
man
mano che recuperava il controllo di sé e dei propri
pensieri, sentì
disegnarsi sul volto quel sorriso scanzonato che le rivolgeva spesso,
che fu ricambiato dallo sguardo di vago, affettuoso rimprovero che
lei gli indirizzava quando intuiva una delle sue battutine
impertinenti in arrivo.
«Allora,
è stato strano?» chiese infatti Tony, come
riprendendo un discorso
interrotto.
Pepper
acuì il suo sguardo inquisitore, per poi sospirare tra
sé e
distendersi in un sorriso. Allungò una mano ad accarezzargli
il
volto, seguendo la linea del pizzetto, e Tony si chiese per quanto
tempo si fosse astenuta da quel gesto.
«No,
per niente,» rispose poi a bassa voce, sfiorandogli di nuovo
le
labbra in un bacio leggero.
«Bene,»
rispose lui, scostandosi un poco per evitare di sprofondare
completamente in quel contatto. «Certo, possiamo sempre
migliorare,»
commentò poi, con un sorrisetto scaltro, e Pepper
alzò
prevedibilmente gli occhi al cielo.
«Tony…»
cominciò con fare ammonitore, e lui sbuffò
divertito, stringendola
a sé, sentendosi profondamente felice per il semplice fatto
di stare
parlando con lei come sempre, nonostante la situazione completamente
estranea, e vinse senza difficoltà l’immotivato
imbarazzo di poco
prima.
«Che
ci sarebbe di male?» chiese ironico, prendendo a
giocherellare con
le sue ciocche ramate e trovando di nuovo i suoi occhi.
«Dopotutto,
abbiamo aspettato solo dieci anni,» continuò,
abbassando un poco la
voce e posandole un bacio appena sotto l’orecchio.
«Un
po’ meno di dieci,» replicò sottovoce
lei, col sorriso nelle
parole.
«Quanti
allora? Nove?» la provocò lui, con un sogghigno
sicuro di sé.
Lei
sorrise un po’ perfida, sfiorandogli il naso in un gesto
giocoso.
«Direi…
quattro?» propose infine, e Tony sentì la propria
espressione
tronfia cadere di schianto.
«Quattro,»
ripeté, serissimo, vedendo fin troppo bene il modo in cui
lei si
stava trattenendo per non scoppiargli a ridere in faccia.
«Wow.
Quattro,» ripeté ancora, come un disco rotto, e si
sollevò un poco
sul gomito, rimangiandosi il sorriso che stava premendo anche sul suo
volto. «Ok, da che punto stiamo contando?» chiese
poi, alzando un
sopracciglio e Pepper finse di pensarci su.
«Ha
importanza?» scrollò poi le spalle.
«Assolutamente,
ci tengo ad essere sempre preciso nelle mie analisi,»
dichiarò lui,
e stavolta il sorriso gli sfuggì tra le labbra.
«Allora
prima dovrei sapere di cosa
stiamo parlando,» lo stuzzicò lei, con un pizzico
di curiosità ben
palpabile.
Tony
percepì che adesso la discussione stava per sconfinare in
territori
decisamente
imbarazzanti, per qualcuno che non si era mai trovato nella posizione
di dover definire un rapporto di quel tipo.
«È
comunque troppo tempo,» svicolò quindi,
strappandole una risatina
nel vedere tutta quella goffa reticenza da parte sua, che
però gli
guadagnò anche un altro bacio.
La
trattenne a sé, cingendola di nuovo con le braccia, e lei
fece lo
stesso, a confermare le sue parole e il desiderio che riprendeva
già
a consumare entrambi, nella consapevolezza condivisa di aver davvero
aspettato troppo.
La
sentì sciogliersi contro il suo corpo, intrecciando
le mani
dietro le sue spalle, e lui si girò piano sulla schiena,
portandola
sopra di lui col braccio a stringerle la vita. Rimase muto ad
ammirarla, illuminata solo dalla fievole luce del reattore che
giocava sui suoi capelli, disegnandole ogni curva in altorilievo, e
vide con un misto di sollievo e ardore che anche i suoi occhi
indugiavano rapiti sul suo corpo imperfetto.
Il
“sei bellissima” che gli era salito spontaneo alle
labbra si
scontrò su quelle di Pepper quando si chinò a
baciarlo con impeto.
La seguì in quell’invito e si intrecciò
subito a lei senza
esitare, sentendosi desiderato almeno quanto lui desiderava lei ad
ogni sospiro unisono, mentre si cercavano e trovavano nel buio.
Poi
si persero di nuovo, entrambi.
Ah-ehm, salve?
A parte il fatto che quest' aggiornamento è fuori tempo massimo e con pessimo tempismo, considerando il periodo e in tenore del fandom... sì, ho visto Endgame e no, non farò spoiler, ma chi l'ha visto penso possa immaginare il mio stato d'animo. E credo abbia colto anche un velato riferimento al film verso la fine del capitolo ;)
A parte tutto, questa è la primissima volta che mi cimento nello scrivere una scena simile, e forse mi sono dilungata un po' troppo... ma un po' sentivo di "doverlo" a chi legge, considerando l'attesta infinita di 50 (!) capitoli. Spero di non aver fatto troppi casini, e non abbiate timore di lanciarmi pomodori in caso non doveste gradire :') (Tony mi fa sapere dalla regia che, sì, dopo sei anni di sofferenza ha gradito molto, e anche Pepper concorda).
La scelta di farli "cedere" prima di aver trovato una soluzione, a dispetto di tutto ciò che si sono detti e ripromessi in proposito, è voluta, a sottolineare il fatto che rimangano due esseri umani, e come tali soggetti ache debolezze, ripensamenti e decisioni impulsive ;)
Come sempre, il testo in blu è di Tony e quello in arancione di Pepper. E sì, questo titolo collegato a questo momento esiste dalla prima menzione di Stand By Me nella storia, dieci capitoli fa, e a tal proposito vi sarà un piccolo spin-off in futuro :D A parte ciò, il richiamo spero più evidente è a Hysteria, uno dei miei capitoli preferiti, e mi auguro che vi sia piaciuto <3
Ringrazio immensamente _Atlas_, T612 ed Emyclarinet per aver recensito lo scorso capitolo, oltre a tutti quelli che continuano a leggere e seguire aggiungendo la storia alle loro liste <3 Confesso di essere particolarmente curiosa delle vostre opinioni su questi ultimi capitoli, considerando che il prossimo è quello finale. Ci sarà un breve (?) epilogo, ma diciamo che la storia in sé si conclude nel prossimo e, no, non so affatto come gestire lo stress emotivo di fronte alla fine del MCU (per ora) e di Phoenix.
Spero di pubblicare in tempi brevi il prossimo capitolo, che, vi avviso, sarà mastodontico :')
Un caro saluto e alla prossima,
-Light-
[AVVISO]: in vista della conclusione della storia mi accingo all'ultima fatica: sto effettuando la sua revisione finale, correggendo sviste, errori di battitura e la punteggiatura dei dialoghi, oltre a operare qualche miglioramento dal punto di vista formale. I capitoli non subiranno cambiamenti sostanziali, eccezion fatta per il prologo e il primo capitolo, che in seguito al ritrovamento di un vecchio appunto cartaceo sono stati modificati. Tutto ciò non influenzerà ovviamente la trama, né gli eventi.
Soprattutto, è probabile che alcuni capitoli della prima parte cambieranno titolo e canzone introduttiva: inizialmente eravamo molto pigre nella loro scelta, e so quali sono stati buttati lì per mancanza d'inventiva/voglia. Quelli passabili di cambiamento sono indicati con * e ove è stata cambiata la canzone è presente ♪
Pubblicherò l'ultimo capitolo solo a revisione ultimata, e ho deciso di inserire su questo una sorta di countdown per tenervi aggiornati: segnerò mano mano i capitoli corretti, segnalando quelli che potrebbero essere stati soggetti a revisioni più pesanti. Chiudo il papiro, e vi lascio al "Phoenix-Bingo", con un paio di micro-sneak peek finali ;)
[Edit]: Presa dall'estro creativo (?) mi sono tolta lo sfizio di fare delle grafiche per il titolo della storia e per quelli delle tre parti, oltre che qualche illustrazione. Le trovate ai capitoli con ! :D
Capitolo 1 - It could've been worse ✔ ! Rilettura consigliata
Capitolo 2 - In dream ✔
Capitolo 3 - One way road ✔ [titolo cambiato] ♪
Capitolo 4 - As always ✔ ♪
Capitolo 5 - Get off my cloud ✔ [titolo cambiato]
Capitolo 6 - Heart of steel ✔ ♪
Capitolo 7 - Another brick in the wall ✔
Capitolo 8 - Time is running out ✔
Capitolo 9 - Stumbling ✔
Capitolo 10 - Falling ✔Correzioni&aggiunte marginali
Capitolo 11 - Sinking ✔ Rilettura consigliata
Capitolo 12 - Psychosocial? ✔
Capitolo 13 - Hysteria ✔
Capitolo 14 - Scar tissue ✔ ♪
Capitolo 15 - Twist and shout ✔ ♪ [titolo cambiato] Correzioni&aggiunte marginali
Capitolo 16 - High hopes ✔ [titolo cambiato]
Capitolo 17 - Another family reunion ✔ ♪
Capitolo 18 - It's gonna be OK, someday ✔
Capitolo 19 - Close to the bottom ✔
Capitolo 20 - Tiptoe higher ✔ [titolo cambiato] ♪
Capitolo 21 - Rage against the machine ✔
Capitolo 22 - Unsustainable ✔
Capitolo 23 - The hangover ✔ [titolo cambiato]
Capitolo 24 - Your bridges are burning down ✔
Capitolo 25 - Hycarus ✔ [titolo cambiato]
Capitolo 26 - Apocalypse, please ✔
Capitolo 27 - Of storms, shells and shattered dreams ✔
Capitolo 28 - Innervision ✔
Capitolo 29 - In noctem ✔ !
Capitolo 30 - Iron and bones ✔
Capitolo 31 - Chasing cars ✔
Capitolo 32 - It can only get better ✔
Capitolo 33 - Stay hungry ✔
Capitolo 34 - Stay foolish ✔ !
Capitolo 35 - Friends will be friends ✔
Capitolo 36 - Show and tell ✔
Capitolo 37 - No man is an island ✔
Capitolo 38 - Smoke and mirrors ✔
Capitolo 39 - Kintsugi ✔
Capitolo 40 - Dancing in the dark ✔ Correzioni&aggiunte marginali
Capitolo 41 - Showbiz ✔ !
Capitolo 42 - Legacy ✔
Capitolo 43 - Supernova ✔ !
Capitolo 44 - Neutron star ✔
Capitolo 45 - Highway to Hell ✔
Capitolo 46 - Knockin' on Heaven's door ✔
Capitolo 47 - The show must go on ✔
Capitolo 48 - Sometimes you can't do it on your own ✔
Capitolo 49 - Stand by me ✔
Capitolo 50 - W. [Completo]
Epilogo - P. [Work in progress]