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Autore: Son of Jericho    28/04/2019    1 recensioni
A volte basta poco, e il sasso diventa valanga.
Il protagonista di questa breve storia si reca in un posto tranquillo per ritrovare la pace con se stesso, per cercare di dimenticare una fine che non si aspettava, e andare avanti.
Perché come diceva un vecchio film: "domani è un altro giorno"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Affondo i piedi nell’asfalto. Le gambe girano, le braccia fendono l’aria. Mi do la spinta con tutta la forza che mi rimane. Il mio corpo si muove ormai quasi da solo, più velocemente di quanto credevo possibile.

Il vento mi accompagna. Soffia impetuoso, sbatte le fronde da una parte all’altra con violenza, e sibila in mezzo ai tetti e alle chiome degli alberi. Tira verso di me, quasi volesse investirmi e ricacciarmi indietro. Mi graffia il viso, ma non ci presto attenzione.

Imbocco un sentiero in salita, e la fatica inizia a colpire. I polmoni cominciano a bruciare, ogni respiro s’insinua nelle narici come una stilettata.

Il battito accelera, si fa irregolare. Il sangue si infiamma sotto la pelle.

Forse dovrei smettere di correre. I muscoli mi chiedono riposo, la mente grida di non fermarmi.

E’ un tornado di emozioni a guidarmi, difficile da placare.

Rallento un istante prima di crollare a terra. Mi piego sulle ginocchia e provo a riprendere fiato. Appena ne ho abbastanza, lascio che dal profondo della gola esca un urlo che sa di rabbia, di frustrazione, di dolore.

Non m’importa se le vene stanno pulsando tanto dall’essere sul punto di esplodere, o se dovrò raccogliere i nervi col cucchiaino. Ascolto l’eco delle colline che mi sta ringhiando contro.

Appoggio la schiena contro la parete di un casolare, e mi guardo intorno, ancora ansimante.

Mi sono lasciato tanta strada alle spalle. Tante idiozie, tante parole, tanto rumore per nulla.

Non si torna indietro. Decido di rimettermi in marcia, voglio raggiungere la vetta. Chissà, magari un briciolo di quella serenità perduta mi sta aspettando lassù.

Le gambe sorreggono il peso, non solo quello fisico, ma anche e soprattutto di ciò che mi sta passando per la mente.

Scalcio via i sassi dal sentiero, anche se non mi danno fastidio. Alcuni cadono nel ruscello che scorre verso valle.

Abbasso lo sguardo, e sul ciglio, in mezzo a fili verdi, noto una punta di colore. Un piccolo tulipano rosso. Ne strappo il gambo e lo tengo stretto tra le dita. Per un attimo, mi ricorda di lei. E fa male.

Arrivo alla sorgente. Un cartello mi informa che non è saggio bere quell’acqua. Mi asciugo la fronte madida di sudore e proseguo oltre. L’aria si fa più fresca e pungente, mi lascio inebriare dall’odore di erba bagnata.

Raggiungo la chiesa che sovrasta le vie del paesino. Schivo le statue delle immagini sacre, ignoro le donne che parlano di messe o di battesimi. Sono stanco.

Mi siedo sul muretto di pietra, da lì si vede tutto il panorama. Gli alloggi dei contadini, le schiere di uliveti, le baracche abbandonate e i campi incolti.

Un tempo bastavano pochi minuti di quella visione per rilassarmi. Non più, non oggi.

Tiro fuori il cellulare dalla tasca e vado tra le foto. Mi soffermo su una di lei, al mare. Bellissima.

Un sospiro mi sfugge dalle labbra. Dio, quanto mi manca.

Rimango a fissarla più a lungo di quanto dovrei. Ecco cosa mi sto perdendo. Lo so, sto solo peggiorando le cose. Come se non fossero già abbastanza in malora.

Il piccolo tulipano rosso giace ancora nell’altra mano. La morsa allo stomaco si stringe. Mi serve un gesto, qualcosa che allevi questo tormento. Un altro addio?

Così, getto il fiore giù nel vuoto. Lo vedo librarsi e allontanarsi, portato dal vento, fino ad atterrare inerme sull’asfalto.

Una parte di me si libera. Non so bene quale, e non so nemmeno per quanto tempo lo rimarrà.

Un respiro profondo, metto via il telefono e torno ad ammirare l’orizzonte. La città appare minuscola, il vento si è calmato. E’ veramente stupendo da quassù.

La voce nella mia testa si ammutolisce. Dovrei essere a posto. Forse è ora di tornare giù.


 

 

L’ultima volta che sono stato qui, ero con te.

Volevo mostrarti un panorama mozzafiato, regalarti un’immagine che ti avrebbe impressionata. Onestamente, non ricordo se lo abbia fatto o meno.

Parlavamo di noi, della nostra storia, di quanto potesse diventare importante.

Senza forzare troppo la mano, facevamo dei progetti. Venivamo entrambi da periodi difficili, avevamo bisogno l’un dell’altro ma avevamo bisogno anche di tempo per noi stessi.

Discutevamo di andare a vivere insieme, un giorno. Non eravamo d’accordo se da te o da me. Adesso, a ripensarci, mi viene da riderci su.

Sembra passata una vita da allora.

In realtà è cambiato tutto nel giro di pochi giorni, forse addirittura nell’arco di una notte. Troppo velocemente perché potessi rendermene conto. Mi sono visto rivoltare le cose davanti agli occhi, senza che potessi reagire. Non riuscivo a capire cosa fosse andato storto, come potessi rimediare. Forse, perché semplicemente non c’era un modo.

Ora, non c’è più nessuno qui con me.

A volte torno qui da solo, a passeggiare tra i boschi e la campagna. Ma non è più lo stesso, senza di te. Troppo silenzio, troppi ricordi, troppi pensieri che affollano prepotentemente la testa.

Inutile credere alle menzogne, sarebbe solo l’ennesimo errore. Sei fuggita, hai spiccato il volo con le tue ali. Da angelo o da demone, ormai non conta nemmeno più. Io non posso rincorrerti. Le mie, di ali, stanno bruciando all’inferno.

Gli amici dicono che è stato meglio così, che non poteva andare diversamente, che sarebbe stato solo prolungare una sofferenza. Mi ricordano che il tempo guarisce tutto. Non potrò rifiutarmi per sempre di svegliarmi da questo sogno… o incubo?

Forse, un giorno i nostri mondi si incontreranno di nuovo. E queste parole avranno ancora un senso.

Ma ci penserò più tardi, una volta tornato in città. Per ora, mi godo questo splendido paesaggio.

 
   
 
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