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Autore: Journey    29/04/2019    0 recensioni
Ambientata nella 15x23, Cold as Ice, questa fanfiction esprime cosa vorrei fosse accaduto in quell'occasione. JAPRIL!
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“Fammi entrare! Ti ho detto di farmi entrare!”
“Dottor Avery non posso farla entrare. Mi dispiace!”
“C’è mia moglie lì dentro, Parker. Se non mi fai entrare ti giuro comincerò a prenderti a pugni così forte da farti perdere i sensi!” esclamò Jackson rosso in viso. La vena del collo cominciava a pompare visibilmente.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: April Kepner, Jackson Avery
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Lasciami entrare

“Fammi entrare! Ti ho detto di farmi entrare!”
“Dottor Avery non posso farla entrare. Mi dispiace!”
“C’è mia moglie lì dentro, Parker. Se non mi fai entrare ti giuro comincerò a prenderti a pugni così forte da farti perdere i sensi!” esclamò Jackson rosso in viso. La vena del collo cominciava a pompare visibilmente.
“Avery!” esclamò una voce alle sue spalle. Si voltò e lo vide. Richard Webber lo fissava con sguardo severo. “Che diavolo stai facendo, minacci un collega?”
“Richard devo entrare in sala operatoria”
“Signore, mi hanno ordinato di non farlo passare” disse lo specializzando guardando il superiore.
“Parker non te lo ripeterò di nuovo, lì dentro c’è mia moglie, devi lasciarmi entrare”
Richard guardò Jackson confuso.
“Che sta succedendo, Jackson?”
“April! C’è April lì dentro. Ha avuto un incidente. Devo entrare Richard, ti prego!” esclamò lui mentre qualche lacrima gli corse sul viso.
“Parker, fallo passare!” ordinò Webber.
“Ma dottor Webber, la dottoressa Grey ha detto di non farlo entrare”
“Entrerò io con lui, si comporterà bene”
“Va bene” rispose lo specializzando spostandosi dalla porta e lasciando il passaggio libero.
Jackson si affrettò a raggiungere la sala. Spinse le porte con forza e quando entrò le sue gambe si fermarono. Si sentiva immobilizzato, pietrificato, incollato al pavimento, incapace di muovere un singolo muscolo. I suoi amici e colleghi continuavano ininterrottamente le compressioni sul corpo della Kepner che giaceva sulla barella. Quel corpo pallido, violaceo, morto quasi non sembrava appartenere alla sua April. Avevano tentato di riscaldarla, stavano facendo davvero tutto il possibile per lei. L’élite dell’ospedale era lì. Ognuno faceva la sua parte. Nonostante la stanchezza, nessuno mollava. Le scariche elettriche per far ripartire il suo cuore continuavano a stressare quel corpo già provato. E Jackson non riusciva più a stare fermo e guardare. Si sentiva così impotente. All’ennesimo tentativo di defibrillazione, si gettò sul corpo di April chiedendo di smetterla, di lasciarla in pace. Voleva solo proteggerla. Voleva soltanto starle accanto. Voleva solo che tornasse a stare bene. Voleva solo che ricominciasse a vivere.
“Jackson devi lasciarla, per favore! Per favore, guardami!” esclamò Meredith e lui la guardò. I suoi occhi pieni di lacrime. “Tieni duro. Lo so, lo so che è difficile, ma non possiamo fermarci!”
E Meredith era l’unica lì dentro che in quel momento poteva capire il suo dolore. L’unica che aveva passato quell’identica situazione con suo marito Derek. Ma purtroppo, Derek non aveva avuto la stessa fortuna di April ed era deceduto a causa di alcuni incompetenti. La stessa Meredith, anni prima, aveva rischiato di morire di ipotermia in seguito ad un annegamento.
Il cuore prese a battergli all’impazzata mentre aspettava un segnale sul monitor, uno qualunque che gli facesse sperare nella ripresa di April, della sua persona. E la guardava, lì, priva di quel brio che all’inizio lo infastidiva, di quella voce che prima trovava troppo stridula e di quel sorriso che lo aveva fatto innamorare. Erano tutti lì ad aspettare che si riprendesse, tutti lì a sperare che mostrasse un segno vitale. Ormai sembrava tutto perduto, April stava morendo sotto il suo sguardo e non c’era nulla che potesse fare. Quando, all’improvviso, un beep fece prendere un sospiro di sollievo a tutta la stanza.
April non era fuori pericolo. Le probabilità che i tentativi di salvataggio le avessero causato dei danni irreparabili, erano altissime. Nessuno poteva affermare con sicurezza che si sarebbe mai ripresa o risvegliata. E Jackson giurò che non l’avrebbe lasciata nemmeno per un secondo. Cancellò tutti gli interventi, chiese a Catherine di occuparsi di Harriet e rimase in quella stanza, seduto accanto al letto della sua persona senza mai darsi per vinto. Ogni tanto sua madre passava con la piccola Harriet e lui se la stringeva stretto a sé. Quella bambina, la sua bambina, la loro bambina era ciò che gli restava della sua April. Era un pezzo di April e in quel momento lui aveva bisogno di lei. Stringere sua figlia tra le braccia gli dava la forza di cui aveva bisogno per sopravvivere a quella tragedia. Sapere che ci sarebbe stata per sempre una parte di April con lui, da una parte lo consolava, dall’altra lo faceva sentire terribilmente incolpa per aver anche solo pensato alla possibilità che non ce la facesse. Una volta lei gli aveva detto che se era stanco di lottare, avrebbe lottato lei per entrambi perché credeva in loro. Adesso era il suo turno di dimostrarle che avrebbe potuto lottare per entrambi. Che era lì a lottare per loro, a sopravvivere per loro, per la loro bambina.
Stringeva forte la mano di April e, tra le lacrime. Chiuse gli occhi e si portò la mano della donna sul volto. Avrebbe fatto di tutto per poter sentire ancora una volta la sua voce, per poter guardare un’altra volta i suoi occhi, per poter sentire ancora la sua fragorosa risata, per poter guardare ancora una volta il suo sorriso radioso. Improvvisamente gli mancarono le sue braccia attorno al suo collo, le sue mani sul suo viso, le sue carezze e i suoi baci. Gli mancava April. La sua persona, la sua migliore amica, l’amore della sua vita. Purtroppo, le cose non erano andate come speravano, il loro per sempre sembrava destinato a finire. Non stavano più assieme, ma entrambi sapevano, nel profondo, che prima o poi le loro strade si sarebbero rincontrate. Prima o poi si sarebbero ritrovati e non si sarebbero più lasciati. Lo sapevano, lo sapevano entrambi. Erano legati inevitabilmente nel profondo. Con nessuno avrebbero potuto avere lo stesso legame che condividevano. Un legame così puro, profondo, un legame superiore.
Le ore passavano e April ancora non dava segni di miglioramento. Jackson non sapeva più che fare. Strani e oscuri pensieri gli offuscavano la mente. Continuava a convincersi sempre di più che non avrebbe avuto l’opportunità di dirle quanto l’amava un’ultima volta. Così, cominciò a pregare, pregò perché quel dio in cui April credeva lo aiutasse, perché la aiutasse.
“Ti prego, se esisti, non portarti via mia moglie, non portarti via la mia April. Farò di tutto, te lo giuro, ma non portartela via. Non sono nulla senza di lei. È la mia ragione di vita. Harriet ha bisogno di sua madre. Io ho bisogno di mia moglie. È la donna che amo”
E, quasi come per magia, dopo la sua preghiera straziante, sentì la mano di April chiudersi debolmente attorno alla sua. Credeva di esserselo immaginato, ma successe ancora. Jackson si lasciò andare ad un pianto liberatorio quando la vide aprire gli occhi. Quegli occhi che credeva di non rivedere mai più e si sentì terribilmente in colpa per aver pensato anche solo per un minuto che non ci fosse più speranza per lei.
Piano, piano tutta la stanza cominciò a riempirsi. Tutti passarono per assicurarsi che April stesse bene. Meredith, Amelia, Maggie, Alex, gli specializzandi, c’erano tutti. Owen cercava di ricacciare indietro le lacrime, cercava di mostrarsi forte, ma sapevano tutti quanto si fosse spaventato e quanto tenesse alla Kepner. Arizona, invece, non la smetteva di piangere. Continuava a singhiozzare e a stringere la mano della sua amica. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse successo. Sentiva il bisogno di starle accanto, di dimostrarle quanto le volesse bene. Quella donna era la sua migliore amica e aveva rischiato di perderla. Non voleva separarsene neanche quando Meredith ordinò a tutti di uscire e lasciarla riposare.
Lo stesso valeva per Jackson. Non voleva separarsi da lei. Non voleva lasciarla neanche per un minuto. Guardò la Grey con quegli occhi tristi e lei capì immediatamente. Annuì con la testa mentre trascinava, quasi di forza, Arizona fuori dalla stanza.
“Jackson va’ a casa, sto bene. Vai da Harriet” disse April.
“No, Harriet è con mia madre, sta bene. Non voglio lasciarti”
“Lo so che non vuoi ed è davvero nobile da parte tua, ma hai già fatto tanto per me. Restare qui per la notte, dormendo su quella sedia, non farebbe altro che far peggiorare il tuo mal di schiena”
“Beh se sarà così scomoda mi farai un po’ di spazio nel tuo letto” scherzò lui.
“Oh no, non ho intenzione di dividere questo lettino con te” rise lei.
Si guardarono per un attimo che sembrò infinito.
“Ti ho sentito pregare per me. So quanto sia stato difficile per te e ti ringrazio”
“Mi hai sentito?”
“Certo!”
“E che altro hai sentito?”
“Tutto”
“Tutto, tutto?”
“Sì!”
“Quindi sai che… insomma”
“Che sei innamorato di me o che ti riferisci a me come tua moglie nonostante io non lo sia più?” domandò lei.
Lui sospirò e si portò le mani sul viso.
“Entrambe le cose. Io te lo giuro, ho fatto di tutto per rimuoverti, per smettere di provare questi sentimenti per te, perché fanno male e mi fanno paura. Ma non ci riesco. Non ci riesco, sei la mia Kryptonite.”
“Jackson, tu sai quanto abbia lottato per noi. L’ho fatto anche quando tu non avevi più forza per farlo. Ho lottato e ho cercato di tenerci entrambi a galla mentre affondavamo, ma non ha funzionato. Forse questo è un segno del destino, forse sono destinata a stare con Matt”
“Non lo pensi davvero! Questa è, per me, l’ennesima prova che siamo destinati a stare insieme. Ho sbagliato, lo so, ma ero ferito. Molto ferito e ho detto cose di cui mi sono pentito immediatamente. E adesso sono qui a chiederti di tornare con me perché non voglio vivere un altro istante di questa vita lontano da te” disse alzandosi e portandosi una mano dietro la testa. “April, ti ho quasi persa. E all’improvviso il mondo mi stava crollando addosso. Ma ora sei qui, sei viva e non posso lasciarti andare. Non voglio lasciarti andare. Io ti amo.”
“Sei solo spaventato per via di quello che è successo. Non pensi davvero tutto questo. Stavi per perdere la tua migliore amica, la madre di tua figlia, è normale”
“No April, non lo è. So quello che provo. L’ho sempre saputo. Possiamo negarlo quanto vogliamo ma io so e tu sai che siamo anime gemelle”
“Non sentivo questa espressione dai tempi dei giornalini per adolescenti” lo prese in giro lei per smorzare la tensione.
“Mi prendi in giro?” domandò lui prima di sorriderle.
Si avvicinò pericolosamente a lei. Le prese la mano e gliela baciò. Poi si sedette. Le accarezzò il viso dolcemente e le baciò ancora la mano.
“Ti amo, April”
“Jackson…” rispose lei sottraendo la sua mano alla presa dell’uomo e portandogliela sul viso. Con il pollice gli accarezzava la guancia.
“Non so come tu faccia ad essere così bella anche in questo momento, mi distrai”
“Ah si?”
“Sì, sto cercando di dichiararti il mio amore”
“E non ci riesci?”
“No, perché mi guardi con quegli occhi e mi sorridi in quel modo. Mi mandi il cervello in fumo”
“Continua pure, mi piacciono le lusinghe”
“Lo so quanto ti piacciono”
“Ah quindi stai cercando di manipolarmi?”
“Sta funzionando? Sei pronta a tornare con me?”
“Sei un idiota”
“Mi sono fatto scappare te, certo che lo sono!”
“Questa era bella! Dovresti scrivere un manuale di corteggiamento”
“Quindi adesso posso baciarti?”
“No!”
“No?”
“Scioccato Avery?”
“Un po’, Kepner”
“Dovrai fare di meglio, molto di meglio”
“Ti amo, April”
“Ti amo anche io, Jackson” disse April e lui sorrise sentendo queste parole.
“Che ne dici, possiamo risposarci immediatamente? Sai non voglio perdermi un istante di vita con te”
“Un’altra fuga d’amore?”
“Sei pronta?”
“No! Sta volta dobbiamo fare le cose per bene! Inizia a corteggiarmi come si vede, prima o poi riuscirai a risposarmi”
“Mi fai impazzire” esclamò lui e la baciò con estrema dolcezza.
   
 
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