Capitolo 3
La
città degli dèi
Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli
stessi,
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa che vi tocchi.
Buona notte alla falce della luna
sì cheta mentre l'aria
si fa bruna,
dalla finestra mia voglio gridare
contro il disco della luna.
La notte è
così tersa,
qui forse anche morire non fa male,
che importa se il mio spirito
è perverso
e dal mio dorso penzola un fanale.
(Confessioni di un malandrino,
Angelo Branduardi)
Londra, 1983
Scovare
un tesoro maledetto vecchio di secoli, rubare il segreto di una
città morta la
cui unica traccia ancora esistente è racchiusa in una
sepoltura dimenticata, sono
atti di superbia che meritano di essere puniti: rappresentano la sfida
di un
uomo che vuole annullare l’oblio provocato dal tempo,
riportando alla luce un
luogo favoloso che, si diceva, fosse stato eretto dagli dèi
in persona.
Tormentando il coperchio della bella bussola con le dita sottili ormai
nodose,
l’anziana professoressa Van der Vanir si domandò,
per l’ennesima volta nella
sua lunga e intensa vita, se i prodromi della tragica e coraggiosa
morte di
Loki fossero stati davvero ravvisabili nella spedizione volta a
ritrovare l’Oro del Reno.
L’archeologo aveva
commesso l’errore di credersi superiore agli avvertimenti di
una maledizione
antica, come tutti loro, ma era stato il solo a pagare;
perché? Era per via di
ciò che aveva fatto quando, entrando nella cripta antica,
ancora sorvegliata da
un essere senza tempo, si era azzardato a parlare, discorrere,
contrattare, rubare, forse?
Sigyn,
che aveva sempre creduto di avere la risposta a quella domanda crudele,
si
accorse, improvvisamente, di non essere più certa di niente.
Persino il passato
che, fino ad allora, le era sembrato nitido e privo di macchie,
iniziò a
vacillare. Da quella prospettiva aliena, era ugualmente doloroso
interpretare
la morte di Loki come la fredda vendetta di una serie di
divinità rancorose quali
il dio delle forche, del tuono e quello degli inganni; Loki e Thor
avevano varcato
le soglie della tomba perduta perché costretti, spinti dalle
canne dei fucili
di Von Svarthelfheim puntati contro le loro schiene. In gioco,
ricordò, c’erano
la sua vita e quella di Lord Odino. Era stato lui, involontariamente,
ad
attirare nella Gola del Reno Malekith Von Svarthelfheim. Non aveva
reputato il
tedesco un avversario pericoloso e aveva finito per sottovalutarlo,
lasciandosi
corrodere da un’ira che, alla fine, si era dimostrata fatale.
Claudette
la riportò al presente. “Nonna, non eri con
lui?”
La
voce dell’archeologa assunse un tono sognante, lo stesso che
aveva usato per
raccontare ai suoi bambini le fiabe, quando li metteva a letto. Si
sedette e la
ragazza l’aiutò avvicinandole la poltrona.
“Ero
con lui, ma non entrai, no. Lo fece Thor. Noi arrivammo per primi
lì dov’era il
sito,” mormorò decisa, “ma fummo
raggiunti dalle altre spedizioni che
cercavano, come noi, l’Oro del Reno.
Prima venne il tuo bisnonno, poi Von Svarthelfheim e i suoi.”
L’ultimo
nome suscitò in Claudette un brivido; lo conosceva,
l’aveva già sentito
nominare più volte, ma in un contesto altro, diverso. Le
parve un riferimento
estraneo e sbagliato, credette che sua nonna si fosse confusa, come
ormai
sempre più spesso le capitava.
“Ma
se nonno e zio Thor trovarono davvero l’Oro
del Reno, perché non risulta tra le vostre
scoperte, perché tutti credono
che non lo abbiate fatto davvero?”
Claudette
era curiosa, ma l’espressione dell’anziana la fece
pentire per aver posto
quella domanda che, era evidente, le provocava una qualche sofferenza.
Vedendola
più pallida del solito, le chiese se desiderasse bere, si
accertò che avesse
preso le sue medicine, ma Sigyn, con ancora la bussola stretta tra le
dita, insistette
affinché la ragazza rimanesse lì, con lei.
“Sono
un po’ stanca, ninì,[1]”
ammise, “ma prima devo farti vedere una cosa,”
aggiunse e aprì la bussola,
mostrandola a Claudette.
“Tuo
nonno entrò nella tomba maledetta e vide il tesoro e disse
che era magnifico.
Solo, non poté portare con sé nulla.”
“Perché?”
boccheggiò la ragazza.
♥
La Gola del
Reno, 1920, la notte
della scoperta
Il
fuoco danzava al centro dell’accampamento posto sulle placide
rive del fiume. Sigyn
aveva i polsi legati dietro la schiena e la corda segnava
irrimediabilmente la
sua pelle candida.
“Ve
l’avevo detto, che ci avrebbe traditi.”
Dietro
di lei, la voce di Lord Odino risuonò distaccata e amara,
perché lo studioso si
fregiava di conoscere meglio di tutti loro lo spirito arguto e inquieto
del suo
figlio cadetto. Si assomigliavano troppo, del resto. Thor gli
lanciò
un’occhiata furente, perché del genitore non
condivideva certe posizioni che,
in vecchiaia, si erano sclerotizzate. Al contrario di Loki, era
riuscito a far
pace già da tempo con il temperamento volitivo del loro
padre, ma questa
circostanza era dovuta anche al fatto che, tutto sommato, era stato
più
fortunato dell’archeologo. Odino Borson gli si era sempre
presentato per quello
che era – un padre dedito allo studio e da esso corroso e
Lady Frigga, sua
madre, lo aveva allevato in seno a una famiglia serena, trattandolo
come il
giovane e glorioso erede di un patrimonio incredibilmente ingente.
“Sei
davvero il peggiore dei fratelli,” mormorò con
tono di rimprovero in direzione
di Loki. Quello, libero e in piedi di fronte a loro, ma con le armi
puntate
addosso, gli rivolse un sorriso affilato.
“È
la
scoperta del secolo, Thor,” ironizzò bieco.
“La mia scelta è tra morire in nome
di un principio discutibile, o approfittarne e salire sulla barca del
vincitore.”
Thor
si divincolò, accusandolo, mentre Kurse, fratello di
Malekith, lo trascinava
verso l’entrata della grotta. Un drago marino era inciso
sulla sua pietra.
Vedendolo, Lord Borson aveva pronunciato un solo nome: Fafnir.
“Abbiamo
combattuto insieme, viaggiato insieme, deciso ogni dettaglio di questa
spedizione insieme,” gridò Stormbreaker
rivolgendosi al professor Laufeyson. “Tutto
questo non significa niente, per te?”
Una
smorfia si delineò sul viso affilato dell’altro.
“Una
scoperta fatta all’ombra della tua grandezza, dei tuoi
soldi” constatò
freddamente, valutando il peso della loro alleanza come fosse un
mercante. “Non
è questo, ciò che voglio. Von Svarthelfheim mi ha
appena concesso dei vantaggi
migliori,” gli ricordò.
“Il
tesoro del Reno dovrebbe stare in un museo, col nostro
nome accanto! Loro lo venderanno a qualche collezionista, lo
smembreranno,” insistette Thor, furente, maledicendolo ad
alta voce per la sua
doppiezza bieca, crudele.
“È
davvero questo, quello che desideri, Loki? Vuoi distruggere
l’ultima traccia
della tua Asgard?”
Alla
luce delle fiamme, gli occhi chiari dell’archeologo parevano
quasi lucidi. “È
troppo tardi. È comunque troppo tardi,”
mormorò tra i denti.
Sigyn
non entrò mai nella sepoltura proibita che, come si
racconta, custodiva
addirittura l’ultima traccia dell’immenso tesoro
dei perduti Æsir: furono Loki
e Thor, a farlo, perché Malekith Von Svarthelfheim li aveva
catturati,
piombando su di loro con una squadra armata che era riuscita a
sovrastarli per
numero, ma era stata la presenza di Lord Borson prigioniero, a bloccare
i due
ex ufficiali britannici, costringendoli ad alzare le mani in segno di
resa.
Odino era stato senz’altro crudele e spietato con loro,
anteponendo all’amore,
che avrebbe dovuto dimostrare nei loro confronti, la sfrontata ricerca
della
conoscenza. Era troppo impegnato a interessarsi al destino di popoli
morti
millenni prima, che a occuparsi dei suoi figli o delle loro madri[2].
Nonostante tale consapevolezza, però, persino Loki si
arrese. Il tradimento
bruciava ancora nel suo petto fiero, lo diceva la piega severa delle
labbra
sottili e altrimenti ironiche, le sopracciglia scure aggrottate, ma che
Odino
morisse per mano di Von Svarthelfheim era qualcosa che nemmeno
l’enorme
menzogna in cui era vissuto, poteva giustificare. Perdonarlo no, non
gli
sarebbe stato possibile, neanche quella notte, ma un giorno avrebbe
accettato
che suo padre era tale pur con i suoi limiti, vizi, debolezze,
meschinità,
peccati, difetti.
Sì,
Sigyn
non entrò mai nella sepoltura proibita: rimase
all’esterno, con Odino. La sua
vita, assieme a quella del vecchio studioso, costitutiva
l’accordo su cui si
era basata la pericolosa alleanza tra Loki e Malekith. “La
salvezza del vecchio
e della ragazza in cambio del mio aiuto,” si era sbilanciato,
ignorando del
tutto la volontà del suo commilitone, amico, fratello, che
gli gridava di non
cedere a nessun compromesso e lo accusava a gran voce di essere un
traditore
con quanto fiato aveva in gola.
Le
canne metalliche dei fucili erano a pochi centimetri dai loro volti
pallidi,
fiocamente illuminati dalla luce dei falò che Malekith aveva
ordinato di
accendere. Le fiamme guizzanti, però, non facevano altro che
rendere ancora più
spaventose le ombre già terrificanti che circondavano
l’accesso alla sepoltura.
Era come lei e Loki avevano ipotizzato: c’era
un’apertura quasi invisibile nella
grotta, che si trasformava in un cunicolo che scendeva giù,
nelle cavità della
roccia. L’archeologo e sir Stormbreaker furono costretti ad
avvicinarsi al buio
corridoio di pietra, incontro alla maledizione, pena
l’immediata fucilazione.
“Vi
concedo l’onore di aprirci la strada, professor
Laufeyson,” esordì Malekith, ma
il suo dono era tale solo all’apparenza: non aveva avuto
accesso alle stesse
informazioni dell’archeologo e temeva, forse a ragione, la
presenza di
trabocchetti o trappole sparse. Oppure, l’avvertimento contro
i ladri di tombe
faceva più effetto sul suo spirito. Non si fidava
palesemente di Loki e
continuava a tenerlo sotto tiro e quest’ultimo, dal canto
suo, non aveva smesso
di sfoggiare la consueta aria spavalda e fiera. A bilanciare la
situazione,
c’era Thor: la reazione di sir Stormbreaker era stata troppo
scomposta e
sincera perché si trattasse di una qualche trappola; nessuno
avrebbe saputo
recitare una parte con altrettanta bravura.
“Von
Svarthelfeim, sei più generoso di quanto pensassi, con i
tuoi amici e con i
tuoi prigionieri,” constatò Loki sfoggiando un
sorriso di lupo.
“Per
questo credo che non vi dispiacerà, professore, se anche
vostro fratello ci
accompagnerà nella nostra allegra gita. È una
precauzione in più.”
Loki
non batté ciglio. In questo modo, l’ira dei
rancorosi Æsir avrebbe colpito
loro, per primi, perché questo avviene, quando fiaba e mito
e storia si
mescolano assieme. Sigyn cercò lo sguardo quasi trasparente
dell’archeologo,
riuscendo a intercettarlo, sì, ma per un solo istante. Vi
lesse una
determinazione gelida che la spaventò, suo malgrado, quasi
facendole ignorare
l’ammonimento criptico che Odino lanciò ai figli
quando quelli erano già oltre
la spaventosa soglia.
“Perché fare l’angelo quando
puoi fare Dio?”
Malekith
si incupì. Il buio della caverna già li
inghiottiva e un cattivo presagio gli
scivolò lungo la schiena. “Che
significa?” si stizzì, impaziente.
L’archeologo
inglese piegò le labbra sottili in una smorfia.
“Davvero lo ignori? Allora è
vero quello che si dice sul vero motivo per cui ti hanno affidato la
cattedra,”
gli soffiò contro, mellifluo e crudele e sfrontato.
“Gli Æsir credevano, o
meglio facevano credere agli altri,
di essere delle vere e proprie divinità invincibili. Ne
erano così convinti,
che le popolazioni da loro conquistate offrivano loro ingenti tributi.
Anche
così si formò il tesoro,”
spiegò, ma forse era una menzogna, la sua.
Quello
che avvenne dopo, Sigyn non lo seppe mai con assoluta certezza.
Sentì più volte
la versione di Loki e, quando lui era ormai morto, udì anche
quella di Thor: i
due racconti combaciavano quasi alla perfezione, ma la donna avrebbe
avuto per
sempre la sensazione che qualcosa le fosse stato volutamente nascosto.
Non
scoprì mai, invece, che la strana frase sarebbe stata
mormorata all’orecchio
del professor Laufeyson poco più di vent’anni
dopo, quando il plotone di
esecuzione comandato da Kurse Von Svarthelfheim era pronto a porre fine
alla
sua vita sfrontata e colma d’avventura.
♥
Loki
e Thor raccontarono a Sigyn e a Odino una strana storia, quando
uscirono dal
cunicolo. Erano riusciti a salvarsi per un soffio, ma l’oro del Reno era rimasto lì,
nel cuore della terra, protetto dalla
roccia e dal tempo. Con esso, erano sparite per sempre anche le ultime
vestigia
della perduta città degli dèi. Malekith si era
sopravvalutato: non si era
accorto che i due fratellastri erano in combutta tra loro. La loro
recita
carica d’improvvisazione fu condotta, da ambo le parti, con
maestria e abilità
e acume, perché era vero ciò che sir Stormbreaker
aveva gridato a gran voce
all’archeologo: prima di essere fratelli di sangue, erano
amici, alleati, compagni
d’avventura sopravvissuti a mille orrori. Eppure, dove
trovare le parole per
spiegare ciò che avvenne in fondo alla sepoltura di Reginn,
un re che si diceva
fosse stato ucciso dal suo congiunto Fafnir che, compiuto
l’insano gesto, aveva
mutato il proprio aspetto in quello d’un drago? Si
inoltrarono lungo il
corridoio di pietra, osservando i disegni e le rune del tempo che era
stato,
incantandosi di fronte alla vastità del sepolcro del re,
posto sotto un’immensa
volta naturale d’inimmaginabile perfezione. La nave che lo
aveva ospitato,
contro ogni logica e previsione, si era perfettamente conservata e,
sulla sua
sommità, riposava un corpo, ma nessuna gemma o pietra o
manufatto rischiarava
la sepoltura.
“Dov’è
l’oro del Reno?”
gridò Malekith
voltandosi verso Loki e Thor. Il primo forse avrebbe sorriso e si
sarebbe
dilettato in una delle sue battute facete e pungenti, ma il suo volto
scolorì,
fissando un punto dietro Von Svarthelfheim.
“Temo
che siamo arrivati comunque tardi,” deglutì,
sgranando gli occhi.
Gli
uomini di Von Svarthelfheim indietreggiarono, uno sparò
nonostante non ne
avesse ricevuto l’ordine. Il proiettile colpì la
strana e imponente figura,
provocando un frastuono che echeggiò tetro tra le pareti di
pietra, ma l’ombra
continuò a emergere dall’oscurità
rivelandosi per quello che era. Un guerriero
d’altri tempi con la pelle scurissima e un’armatura
antica addosso. Nelle sue
mani, stringeva una lama affilata dall’elsa finemente
decorata.
“Vi
ho aspettati per tempo lunghissimo, quindi sì, siete
arrivati tardi,” constatò.
I suoi occhi di brace si posarono brevemente su Malekith, per poi
tornare a
soffermarsi sui due britannici.
“Chi
sei tu? Dov’è il resto del tesoro?”
“Io
sono il Guardiano di Asgard, Heimdall,” spiegò la
figura impassibile e severa.
“Per mille anni ho aspettato che qualcuno varcasse la Porta
di Fafnir. Se vi
dimostrerete degni, potrete avere tutto ciò che
desiderate.” La meravigliosa
arma continuava a rilucere tra le sue mani, né il misterioso
straniero mostrava
l’intenzione di abbassarla.
“E
cosa dobbiamo fare, per dimostrarci degni?”
s’interessò Loki guardingo,
cercando di capire se l’uomo di fronte a lui fosse un folle o
un incubo sbucato
dal passato.
“Rispondere
alla mia domanda. Posso
leggere nel tuo
cuore come in quello dei tuoi compagni, quindi siate
sinceri,” spiegò sicuro
Heimdall.
I due
ex ufficiali si scambiarono un’occhiata sorpresa. Non
c’era scritto in nessun
codice antico, né in alcuna poesia, che il tesoro di Asgard
fosse protetto da
un guardiano imponente. Malekith diede ordine che fosse ucciso e una
pioggia di
piombo si riversò sulla figura ammantata d’oro e
armata, ma Heimdall non solo
sopravvisse ai proiettili, ma usò la sua spada contro gli
uomini, uccidendo
quanti gli si opposero. I sopravvissuti imboccarono la via
d’uscita; alcuni si
persero, inoltrandosi nel cunicolo sbagliato, altri si misero in salvo
e
fuggirono. Solo Von Svarthelfheim, Loki e Thor rimasero al cospetto del
Guardiano.
“Dimmi,”
disse Heimdall rivolgendosi a Malekith, “Perché
desideri il tesoro maledetto di
Reginn?”
Von
Svarthelfheim spostò lo sguardo su Loki e Thor.
Fu
l’archeologo a parlare. “È la frase che
ha detto Lord Borson, ricordi? Perché
fare l’angelo quando puoi fare Dio.
Gli Æsir consideravano se stessi delle
vere… divinità scese in terra. Vuole sapere se
sei degno, l’ha detto.”
“Il
mio nome deve legarsi ad Asgard in eterno. Il tesoro mi
spetta,” proferì sicuro
Malekith, “perché io l’ho
trovato.”
Il
Guardiano non parlò, limitandosi ad annuire. La risposta era
stata sicura e
superba e senz’altro adatta a un popolo di predoni e feroci
combattenti che
aveva messo a ferro e a fuoco il mondo intero.
“Il
tuo cuore è gonfio d’arroganza e la tua risposta
è sbagliata,” decise dopo un
tempo che parve a tutti infinito e lo uccise con un fendente secco
della sua
spada. Mentre la lama era ancora infilata nel cadavere dello studioso,
si
rivolse a Loki e a Thor. “Lo avete consigliato molto, molto
male. E voi, perché
siete qui, cosa volete dal tesoro di Reginn?”
“Qual
è la risposta giusta?” chiese a denti stretti
Thor, fissando il corpo ormai
inerte ai suoi piedi.
Loki
scosse la testa: non la conosceva. La sicurezza che aveva sfoggiato
fino a quel
momento era frutto dell’improvvisazione e della sua natura
istrionica e astuta,
capace di adattarsi a ogni situazione, ma la verità era che
l’archeologo non
aveva la più pallida idea di cosa fosse giusto dire.
C’erano state, tra lui e
Lord Borson, numerose teorie e illazioni su cosa potesse avvenire una
volta
varcate le Porte di Fafnir, ma nessuna riguardava indovinelli mortali.
Improvvisamente, gli tornò in mente la criptica frase che
gli aveva suggerito
Odino. Perché fare
l’angelo quando puoi
fare Dio? Il riferimento era strano e
l’interpretazione tronfia che aveva
dato, buona solo a metà. Nei poemi scaldici e nelle canzoni,
gli Æsir erano un
popolo fierissimo e arrogante che si vantava di avere ascendenze
addirittura
divine. I riferimenti in tal senso erano numerosissimi, ma gli angeli?
Cosa
c’entravano quelle figure che appartenevano a
tutt’altra religione, con l’oro
del Reno? Perché
fare l’angelo quando
puoi fare Dio?
Un
guizzo, un ragionamento gli illuminò la mente sempre
scaltra. Gli angeli. Beda
il Venerabile. Snorri Sturloson, che era stato, allo stesso tempo, un
monaco e
un capo del Thing[3],
unendo le due culture – quella cristiana e quella vichinga
– mettendo per
iscritto l’Edda e pregando, allo stesso tempo, gli angeli.
Era lui che
rappresentava il punto di unione tra il mito e ciò che era
reale. Odino gli
aveva dato la soluzione senza nominarla davvero, affidandosi alla sua
intelligenza, ma anche a un’illazione fantasiosa e forse
fallace, a una
profezia vecchia mille anni. Un guizzo di nero orgoglio gli
gonfiò il petto.
Sorrise,
sfoggiando una sicurezza che, forse, non possedeva del tutto.
“Siamo qui perché
la Voluspa dice che, anche se il destino degli Æsir era
quello di morire
nonostante il loro grande potere, un giorno sarebbero comunque
tornati.”
Si
fermò, stupito improvvisamente da una consapevolezza che si
dipanava nella sua
testa. “Asgard non è solamente un luogo o un
tesoro, ma la memoria di un
popolo. Noi non siamo qui come fossimo dei messaggeri alati, ma per
portare
agli uomini la vera vista di un tesoro favoloso e per raccogliere
l’eredità di genti
scomparse.”
“Allora
la tua Lingua d’Argento non
si è improvvisamente
seccata,” mormorò il Guardiano. “Sei
stato saggio, e io ho aspettato che tornaste
qui per molto, molto tempo,”
gli disse e mostrò a lui e a sir Stormbreaker ciò
che era rimasto del tesoro
perduto nascosto nella Gola del Reno e raccontò loro una
storia di anime cui
era stata data la possibilità di avere altre occasioni e, assieme
a queste fiabe,
altri miti e leggende e canzoni che erano state dimenticate.
♥
Sigyn
e Odino ascoltarono il racconto e se lo fecero ripetere più
volte. Non
riuscivano a credere a una storia così fantasiosa, non
potevano farlo, eppure,
nei loro cuori, sapevano in qualche modo che Loki e Thor avevano
ragione ed
erano sinceri. Intuirono anche che una parte del dialogo con il
Guardiano
sarebbe stato loro precluso per sempre, ma questo non aveva importanza.
Certe
cose devono rimanere sepolte, come Heimdall, che si lasciò
soffocare dalla
caverna che gli cadde sulla testa quando Loki e Thor uscirono di corsa
dalla
sepoltura di Reginn, perché così diceva la
Voluspa. Kurse Von Svarthelfheim,
vedendo uscire dalla caverna i due inglesi senza il fratello,
giurò vendetta e
tentò di ucciderli, ma, poiché era rimasto
pressoché solo, finì per essere
sopraffatto dai suoi avversari e fuggì.
L’archeologo
rimediò un graffio lieve alla spalla e fu allora, mentre
Sigyn medicava la
ferita leggera con gli scarsi mezzi che aveva, che tirò
fuori dalla camicia
imbrattata di polvere la bussola.
“Ti
sei quasi fatto uccidere,” lo rimproverò lei.
“E adesso, professor Laufeyson? A
quale altro tesoro vorrai dare la caccia?”
Un
lampo divertito illuminò lo sguardo verde
dell’archeologo. “Troverò qualcosa,
non preoccuparti,” ghignò.
“Immagino:
qualcosa di pericoloso, potenzialmente mortale, che mi farà
vivere in una
preoccupazione costante.”
“È
la
mia natura, Sigyn.” Loki parlò con lentezza,
osservando i bei capelli d’oro
stretti in una treccia morbida e leggera, fissando gli occhi grigi e
dolci
della donna dietro le lenti degli occhiali. “Andrò
sempre in cerca di
qualcos’altro; la soddisfazione non è nella mia
natura. Non posso rimanere
seduto dietro a una scrivania a fare lezione. Sono nato per lasciare un
segno
nel mondo,” disse fiero.
“Amo
di te, Loki Laufeyson, che anche se qualcosa ti spezza, tu non ti
arrendi mai,”
rispose Sigyn continuando a medicarlo con infinita dolcezza.
“Per questo sono
qui, sono spezzata anch’io; forse tu puoi ripararmi, e io
riparerò te, se me lo
lascerai fare.” Lo guardò alla luce fioca della
lampada e trattenne il respiro,
perché sapeva di essersi esposta eccessivamente, ma quando
Loki era entrato con
Thor nella caverna aveva temuto che non tornasse più da lei.
“Credevo
fossero l’ambizione e la voglia di diventare
un’importante studiosa, a muoverti,”
ironizzò.
“Oh,
Loki!” rise lei, “sei acuto
nell’indovinare i pensieri degli altri, ma
terribilmente cieco per il resto.”
“Hai
un pessimo senso dell’orientamento e la x
non è mai il punto dove scavare. Ti serviranno le coordinate
giuste,” decise
spiccio lo studioso, sorvolando sull’allusione di lei e su
molte, troppe cose.
Sigyn
guardò la bussola dal coperchio intarsiato che le ricordava
sempre troppe cose
– notti d’amore lontane, eppure vicine.
“Ti consoli del tesoro perduto
facendomi un regalo?”
“Abbiamo
trovato l’oro del Reno,
eppure non ci
è rimasto niente. Anche se, forse, non tutto è
andato perduto.” Un sorriso
lento e sbieco, di lupo, si disegnò sulle labbra sottili del
professore.
Premette un pulsante e la bussola si aprì, rivelando il
segreto di un
doppiofondo.
“Loki
Laufeyson, mi stai dando un anello?”
“Un
anello che viene da un tesoro maledetto, per la precisione. Ma non
preoccuparti, nessuna sventura toccherà la persona cui
è stato donato. Me l’ha
assicurato il Guardiano. Un tipo pedante, ma non male,
dopotutto.”
“Perché?”
boccheggiò Sigyn.
L’uomo
rispose faceto e ironico, come sempre. “Conosci le mie
abitudini, i miei ritmi…sarebbe
seccante ricominciare daccapo, ma ormai sei una studiosa a tutti gli
effetti e
la ricerca che stai scrivendo è buona. Non puoi essere la
mia assistente in
eterno, ma nemmeno andartene in giro liberamente, con tutti i miei
segreti,”
chiosò furbo.
“Che
mi sta proponendo, professor Laufeyson?”
“Pare
che debba chiederti di diventare mia moglie. Ovviamente, come
garanzia.”
♥
Londra, 1983
“Non
ci rimase nulla, a parte questo.” L’archeologa
aprì la bussola dal coperchio
intarsiato e mostrò alla ragazza un cerchio d’oro
antico, un anello formato da
due fili che si univano. Il sorriso di Sigyn era vacuo e dolcissimo.
“Nella
canzone di Reginn c’era scritto che il tesoro era maledetto,
tutto tranne
questo anello. Così è stato. La sua
più grande scoperta l’ha condotto alla
morte. Kurse ebbe la sua vendetta, alla fine.” Un sospiro
carico di nostalgia
le uscì dal petto.
“Ora
sono davvero stanca, ninì.
È ora che
riposi.”
Le
dita ormai segnate dagli anni strinsero la bussola come fosse una cosa
cara,
preziosa.
Sigyn
chiuse gli occhi, mentre la pioggia, lentamente, la cullava col suo
ritmo
cadenzato e sempre uguale, incessante come i giorni che sarebbero
passati
scorrendo gli uni uguali agli altri. Claudette si era già
addormentata nella
sua stanza e il sonno flebile colse anche l’anziana studiosa,
trasportandola in
quella dimensione a metà strada tra il sogno e il ricordo,
tra il pensiero e la
realtà. Fu lì che rimase sospesa
finché il cuore non cessò di battere, il
respiro di uscirle dal petto. Fu una morte dolce, arrivata prima che
l’alba si
affacciasse oltre la finestra, che l’accolse mentre lei era
avvolta tra coperte
candide. Un sorriso lieve e leggero le increspava le labbra. La presa
sulla
bussola si allentò appena, ma la catenella che la reggeva
rimase a cingerle
l’anulare e il polso come fosse un fantastico gioiello. Nei
dolci sogni misti
alla memoria che la condussero lentamente verso
l’aldilà, Sigyn si ritrovò a
vagare finché ogni cosa, anche se stessa, perse di
significato. Così il sonno
eterno l’avvolse.
Gola del Reno,
Germania, 1920, la
lunga notte della scoperta
Un
rumore improvviso, forse un tuono, la riscosse. Sigyn aprì
gli occhi
sollevandosi appena dal letto, la coperta di lana ruvida stretta sulla
camicia
di raso sottile, strappandola al calore delle coltri su cui, poche ore
prima,
aveva sospirato e amato e perso il controllo. Nella penombra non
notò nulla. Si
passò una mano tra le ciocche bionde che le ricadevano,
caotiche, sulle spalle
esili e sottili e poi si adagiò di nuovo sul materasso
cigolante, cercando il
conforto di Loki, steso accanto a lei.
L’archeologo
aprì un occhio, mugugnando appena. La cinse con un braccio e
l’attirò contro il
suo corpo asciutto e tonico, carezzando il raso liscio e piacevole al
tatto che
le fasciava la pelle calda, ghermendole la vita. Sigyn si
crogiolò in
quell’abbraccio e gli diede un bacio sul collo, uno sulla
mascella affilata e
leggermente ispida, un altro, più lento e intenso, sulle
labbra ironiche e
sottili – assaggio accorato, dolce, profondo.
“Cos’hai
sognato, di così terribile?” le ghignò
lui perfido sulla bocca, facendo
scorrere le dita sul tessuto liscio, carezzandole la linea arcuata
della
schiena, i fianchi sodi e rotondi.
“Asgard,”
disse lei, ma non era sicura di averla ricreata davvero nella propria
testa,
perché si era trattato uno di quei sogni vividi che
svaniscono non appena si
aprono gli occhi.
“L’abbiamo
trovata, Asgard,” rispose Loki e chiuse di nuovo gli occhi
mentre lei respirava
il suo profumo, si consolava col suo tepore, si stringeva contro il suo
corpo,
godendo della prima di molte notti che avrebbero trascorso
l’uno tra le braccia
dell’altra.
“Ti
amo,” gli disse, ma il respiro lento e regolare
dell’uomo la convinse che non
l’avesse udita e così si lasciò cullare
dal suo respiro. Glielo avrebbe detto
ogni volta, per tutto il tempo che le sarebbe stato dato da vivere, ma
questo,
ancora, non lo sapeva.
Dopo
un minuto che le parve lunghissimo, lo sentì respirare con
più forza. “Lo so,”
le rispose, e cominciò a carezzarle le ciocche bionde senza
aggiungere
nient’altro finché il sonno non li avvolse.
…A time for us at last
to see
A life worthwhile for you and me
And with our love through tears and
thorns
We will endure as we pass surely
through every storm
(Nino Rota, “A time for
us”, Romeo e Giulietta OST,
regia di F. Zeffirelli, 1969)
Note Autrice:
Nome
(EFP e Forum): shilyss/Shilyss
Titolo:
L’oro del Reno
Genere:
Rating: arancione
Pacchetto
scelto + eventuale bonus: Niobe e
Latona, completo VICENDA:
Il protagonista
subisce la perdita di qualcuno di importante;
FRASE: "Perché fare
l’angelo quando
puoi fare Dio?"
SENTIMENTO:
Superbia;
Fandom: Thor
Note
(facoltative):
presenti a fine testo.
Autore:
shilyss/Shilyss
Titolo
della storia: L’oro
del Reno
Pacchetto
utilizzato: Archeologo
Elementi
utilizzati: pacchetto
completo [
Cari
Lettori,
C’è
chi questa storia
la attende da quasi un anno, chi ha chiesto che fosse inserita questa o
quella
scena, chi mi ha supportato ascoltando le mie paturnie sulla trama.
Beh, questa
storia è per voi ♥, ve la dedico, ma lo
è anche per quelli che inizieranno a
leggere e (spero) la ameranno. Scriverla non è stato
semplice: ho scelto un
periodo problematico che va dal 1914-1920 con accenni al 1944 e al 1983
e ho
ribaltato per l’occasione il canone. Il tentativo
è sempre quello di scrivere e
proporre storie sempre nuove, un po’ perché sono
una lettrice che si annoia
facilmente, un po’ perché amo sperimentare.
La storia
partecipa a
ben due contest: nel primo, Lavoratori
allo sbaraglio, dovevo inserire una relazione di
lunga data tra i
personaggi protagonisti, una bussola, e la frase «Per questo sono qui, sono spezzata
anch’io; forse tu puoi ripararmi, e
io riparerò te,» (Aviators – Angels and
Demons). Il rapporto di lunga data
è duplice ed è quello tra il professor Loki
Laufeyson e la sua bionda assistente Sigyn, poi moglie e, infine,
curatrice
delle sue opere. Un legame lungo una vita. La bussola
è l’oggetto dentro cui Loki nasconde
ciò che resta di
Asgard (l’anello) e che dona a Sigyn, che lo
conserverà per tutta la vita. La
frase è quella che trovate nel capitolo 3, anche se il
concetto di “spezzato”
domina l’intera minilong.
L’altro
contest è “L’Antica
Grecia al giorno d’oggi: vizi e virtù”
qui un personaggio doveva subire una perdita (Sigyn
rimane vedova di
Loki e ripercorre il tempo della sua giovinezza, ma anche Loki perde il
suo
mentore a seguito di una rivelazione tremenda). La vicenda doveva svolgersi in età moderna e contemporanea,
quindi abbracciare un periodo che va dal 1492 a oggi ed è
ambientata nel 1914,
nel 1917-20 e nel 1983. La frase
è
presente nel secondo capitolo e nel terzo, in riferimento alla
necessità di
violare un luogo maledetto (il luogo dov’è situato
L’oro del Reno) e come
battuta volta a dannare Malekith, anche lui vittima della propria
superbia. La superbia è
un atteggiamento che
caratterizza naturalmente il personaggio di Loki e gli Æsir,
ma qui è intesa
anche come la sfida di uno studioso che desidera violare un tesoro,
svelare un
segreto, non comprendendo realmente il significato della Voluspa. Il
discorso
finale su Snorri è reale.
Come sempre,
anche in
questa mia storia c’è tantissimo mito: in
particolare, tutta la leggenda legata
al mito delle Canzoni di Reginn e
di Fafinir (Edda poetica); rispetto
al MCU
Loki e Thor qui sono davvero fratelli. Credo di aver messo note nel
testo per
altri passaggi. Augurandomi che la lettura vi sia stata piacevole (se
così è
stato ricordatevi che ci sono le liste), vi ringrazio per essere
arrivati fino
a qui. ♥
Shilyss