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Autore: shilyss    30/04/2019    28 recensioni
Archeologico AU!
1914: nell’Europa che si prepara a essere dilaniata dalla Grande Guerra, l’astuto e arrogante archeologo Loki Laufeyson è a caccia di un tesoro spettacolare che ricorda la perduta Asgard, la città degli dèi: quello raccontato nella Canzone di Reginn, un antico poema scaldico.
Affiancato dal compagno d’arme Thor e dalla sua devota assistente Sigyn, tenterà di riportare alla luce ciò che, forse, dovrebbe rimanere nascosto.
Protetto dalle quattro pareti del suo caotico studio, però, Loki Laufeyson abbandonava definitivamente la maschera del compassato e preciso studioso per rivelare la sua parte più selvaggia e, forse, sincera: ascoltandolo nella penombra di un pomeriggio inglese, Sigyn si ritrovò a pensare con un brivido che il confine tra un archeologo e un predatore di tesori per l’uomo fosse decisamente labile, forse persino troppo.
[ ♦ Storia Seconda Classificata al Contest “Lavoratori allo sbaraglio” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp. ♦ ]
[ ♦ Storia Prima Classificata al Contest “L’Antica Grecia al giorno d’oggi: vizi e virtù,” indetto da _Vintage_ sul forum di Efp ♦ ]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Malekith, Odino, Sigyn, Thor
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

La città degli dèi

 

 

Io non sono cambiato,

il cuore ed i pensieri son gli stessi,

sul tappeto magnifico dei versi

voglio dirvi qualcosa che vi tocchi.

Buona notte alla falce della luna

sì cheta mentre l'aria si fa bruna,

dalla finestra mia voglio gridare

contro il disco della luna.

La notte è così tersa,

qui forse anche morire non fa male,

che importa se il mio spirito è perverso

e dal mio dorso penzola un fanale.

(Confessioni di un malandrino, Angelo Branduardi)

 

 

 

Londra, 1983

 

Scovare un tesoro maledetto vecchio di secoli, rubare il segreto di una città morta la cui unica traccia ancora esistente è racchiusa in una sepoltura dimenticata, sono atti di superbia che meritano di essere puniti: rappresentano la sfida di un uomo che vuole annullare l’oblio provocato dal tempo, riportando alla luce un luogo favoloso che, si diceva, fosse stato eretto dagli dèi in persona. Tormentando il coperchio della bella bussola con le dita sottili ormai nodose, l’anziana professoressa Van der Vanir si domandò, per l’ennesima volta nella sua lunga e intensa vita, se i prodromi della tragica e coraggiosa morte di Loki fossero stati davvero ravvisabili nella spedizione volta a ritrovare l’Oro del Reno. L’archeologo aveva commesso l’errore di credersi superiore agli avvertimenti di una maledizione antica, come tutti loro, ma era stato il solo a pagare; perché? Era per via di ciò che aveva fatto quando, entrando nella cripta antica, ancora sorvegliata da un essere senza tempo, si era azzardato a parlare, discorrere, contrattare, rubare, forse?

Sigyn, che aveva sempre creduto di avere la risposta a quella domanda crudele, si accorse, improvvisamente, di non essere più certa di niente. Persino il passato che, fino ad allora, le era sembrato nitido e privo di macchie, iniziò a vacillare. Da quella prospettiva aliena, era ugualmente doloroso interpretare la morte di Loki come la fredda vendetta di una serie di divinità rancorose quali il dio delle forche, del tuono e quello degli inganni; Loki e Thor avevano varcato le soglie della tomba perduta perché costretti, spinti dalle canne dei fucili di Von Svarthelfheim puntati contro le loro schiene. In gioco, ricordò, c’erano la sua vita e quella di Lord Odino. Era stato lui, involontariamente, ad attirare nella Gola del Reno Malekith Von Svarthelfheim. Non aveva reputato il tedesco un avversario pericoloso e aveva finito per sottovalutarlo, lasciandosi corrodere da un’ira che, alla fine, si era dimostrata fatale.

 

Claudette la riportò al presente. “Nonna, non eri con lui?”

La voce dell’archeologa assunse un tono sognante, lo stesso che aveva usato per raccontare ai suoi bambini le fiabe, quando li metteva a letto. Si sedette e la ragazza l’aiutò avvicinandole la poltrona.

“Ero con lui, ma non entrai, no. Lo fece Thor. Noi arrivammo per primi lì dov’era il sito,” mormorò decisa, “ma fummo raggiunti dalle altre spedizioni che cercavano, come noi, l’Oro del Reno. Prima venne il tuo bisnonno, poi Von Svarthelfheim e i suoi.”

L’ultimo nome suscitò in Claudette un brivido; lo conosceva, l’aveva già sentito nominare più volte, ma in un contesto altro, diverso. Le parve un riferimento estraneo e sbagliato, credette che sua nonna si fosse confusa, come ormai sempre più spesso le capitava.

“Ma se nonno e zio Thor trovarono davvero l’Oro del Reno, perché non risulta tra le vostre scoperte, perché tutti credono che non lo abbiate fatto davvero?”

Claudette era curiosa, ma l’espressione dell’anziana la fece pentire per aver posto quella domanda che, era evidente, le provocava una qualche sofferenza. Vedendola più pallida del solito, le chiese se desiderasse bere, si accertò che avesse preso le sue medicine, ma Sigyn, con ancora la bussola stretta tra le dita, insistette affinché la ragazza rimanesse lì, con lei.

“Sono un po’ stanca, ninì,[1]” ammise, “ma prima devo farti vedere una cosa,” aggiunse e aprì la bussola, mostrandola a Claudette.

“Tuo nonno entrò nella tomba maledetta e vide il tesoro e disse che era magnifico. Solo, non poté portare con sé nulla.”

“Perché?” boccheggiò la ragazza.

 

 

La Gola del Reno, 1920, la notte della scoperta

 

 

Il fuoco danzava al centro dell’accampamento posto sulle placide rive del fiume. Sigyn aveva i polsi legati dietro la schiena e la corda segnava irrimediabilmente la sua pelle candida.

“Ve l’avevo detto, che ci avrebbe traditi.”

Dietro di lei, la voce di Lord Odino risuonò distaccata e amara, perché lo studioso si fregiava di conoscere meglio di tutti loro lo spirito arguto e inquieto del suo figlio cadetto. Si assomigliavano troppo, del resto. Thor gli lanciò un’occhiata furente, perché del genitore non condivideva certe posizioni che, in vecchiaia, si erano sclerotizzate. Al contrario di Loki, era riuscito a far pace già da tempo con il temperamento volitivo del loro padre, ma questa circostanza era dovuta anche al fatto che, tutto sommato, era stato più fortunato dell’archeologo. Odino Borson gli si era sempre presentato per quello che era – un padre dedito allo studio e da esso corroso e Lady Frigga, sua madre, lo aveva allevato in seno a una famiglia serena, trattandolo come il giovane e glorioso erede di un patrimonio incredibilmente ingente.

“Sei davvero il peggiore dei fratelli,” mormorò con tono di rimprovero in direzione di Loki. Quello, libero e in piedi di fronte a loro, ma con le armi puntate addosso, gli rivolse un sorriso affilato.

“È la scoperta del secolo, Thor,” ironizzò bieco. “La mia scelta è tra morire in nome di un principio discutibile, o approfittarne e salire sulla barca del vincitore.”

Thor si divincolò, accusandolo, mentre Kurse, fratello di Malekith, lo trascinava verso l’entrata della grotta. Un drago marino era inciso sulla sua pietra. Vedendolo, Lord Borson aveva pronunciato un solo nome: Fafnir.

“Abbiamo combattuto insieme, viaggiato insieme, deciso ogni dettaglio di questa spedizione insieme,” gridò Stormbreaker rivolgendosi al professor Laufeyson. “Tutto questo non significa niente, per te?”

Una smorfia si delineò sul viso affilato dell’altro.

“Una scoperta fatta all’ombra della tua grandezza, dei tuoi soldi” constatò freddamente, valutando il peso della loro alleanza come fosse un mercante. “Non è questo, ciò che voglio. Von Svarthelfheim mi ha appena concesso dei vantaggi migliori,” gli ricordò.

“Il tesoro del Reno dovrebbe stare in un museo, col nostro nome accanto! Loro lo venderanno a qualche collezionista, lo smembreranno,” insistette Thor, furente, maledicendolo ad alta voce per la sua doppiezza bieca, crudele.

“È davvero questo, quello che desideri, Loki? Vuoi distruggere l’ultima traccia della tua Asgard?”

Alla luce delle fiamme, gli occhi chiari dell’archeologo parevano quasi lucidi. “È troppo tardi. È comunque troppo tardi,” mormorò tra i denti.

 

Sigyn non entrò mai nella sepoltura proibita che, come si racconta, custodiva addirittura l’ultima traccia dell’immenso tesoro dei perduti Æsir: furono Loki e Thor, a farlo, perché Malekith Von Svarthelfheim li aveva catturati, piombando su di loro con una squadra armata che era riuscita a sovrastarli per numero, ma era stata la presenza di Lord Borson prigioniero, a bloccare i due ex ufficiali britannici, costringendoli ad alzare le mani in segno di resa. Odino era stato senz’altro crudele e spietato con loro, anteponendo all’amore, che avrebbe dovuto dimostrare nei loro confronti, la sfrontata ricerca della conoscenza. Era troppo impegnato a interessarsi al destino di popoli morti millenni prima, che a occuparsi dei suoi figli o delle loro madri[2]. Nonostante tale consapevolezza, però, persino Loki si arrese. Il tradimento bruciava ancora nel suo petto fiero, lo diceva la piega severa delle labbra sottili e altrimenti ironiche, le sopracciglia scure aggrottate, ma che Odino morisse per mano di Von Svarthelfheim era qualcosa che nemmeno l’enorme menzogna in cui era vissuto, poteva giustificare. Perdonarlo no, non gli sarebbe stato possibile, neanche quella notte, ma un giorno avrebbe accettato che suo padre era tale pur con i suoi limiti, vizi, debolezze, meschinità, peccati, difetti.

 

Sì, Sigyn non entrò mai nella sepoltura proibita: rimase all’esterno, con Odino. La sua vita, assieme a quella del vecchio studioso, costitutiva l’accordo su cui si era basata la pericolosa alleanza tra Loki e Malekith. “La salvezza del vecchio e della ragazza in cambio del mio aiuto,” si era sbilanciato, ignorando del tutto la volontà del suo commilitone, amico, fratello, che gli gridava di non cedere a nessun compromesso e lo accusava a gran voce di essere un traditore con quanto fiato aveva in gola.

Le canne metalliche dei fucili erano a pochi centimetri dai loro volti pallidi, fiocamente illuminati dalla luce dei falò che Malekith aveva ordinato di accendere. Le fiamme guizzanti, però, non facevano altro che rendere ancora più spaventose le ombre già terrificanti che circondavano l’accesso alla sepoltura. Era come lei e Loki avevano ipotizzato: c’era un’apertura quasi invisibile nella grotta, che si trasformava in un cunicolo che scendeva giù, nelle cavità della roccia. L’archeologo e sir Stormbreaker furono costretti ad avvicinarsi al buio corridoio di pietra, incontro alla maledizione, pena l’immediata fucilazione.

“Vi concedo l’onore di aprirci la strada, professor Laufeyson,” esordì Malekith, ma il suo dono era tale solo all’apparenza: non aveva avuto accesso alle stesse informazioni dell’archeologo e temeva, forse a ragione, la presenza di trabocchetti o trappole sparse. Oppure, l’avvertimento contro i ladri di tombe faceva più effetto sul suo spirito. Non si fidava palesemente di Loki e continuava a tenerlo sotto tiro e quest’ultimo, dal canto suo, non aveva smesso di sfoggiare la consueta aria spavalda e fiera. A bilanciare la situazione, c’era Thor: la reazione di sir Stormbreaker era stata troppo scomposta e sincera perché si trattasse di una qualche trappola; nessuno avrebbe saputo recitare una parte con altrettanta bravura.

“Von Svarthelfeim, sei più generoso di quanto pensassi, con i tuoi amici e con i tuoi prigionieri,” constatò Loki sfoggiando un sorriso di lupo.

“Per questo credo che non vi dispiacerà, professore, se anche vostro fratello ci accompagnerà nella nostra allegra gita. È una precauzione in più.”

Loki non batté ciglio. In questo modo, l’ira dei rancorosi Æsir avrebbe colpito loro, per primi, perché questo avviene, quando fiaba e mito e storia si mescolano assieme. Sigyn cercò lo sguardo quasi trasparente dell’archeologo, riuscendo a intercettarlo, sì, ma per un solo istante. Vi lesse una determinazione gelida che la spaventò, suo malgrado, quasi facendole ignorare l’ammonimento criptico che Odino lanciò ai figli quando quelli erano già oltre la spaventosa soglia.

Perché fare l’angelo quando puoi fare Dio?”

Malekith si incupì. Il buio della caverna già li inghiottiva e un cattivo presagio gli scivolò lungo la schiena. “Che significa?” si stizzì, impaziente.

L’archeologo inglese piegò le labbra sottili in una smorfia. “Davvero lo ignori? Allora è vero quello che si dice sul vero motivo per cui ti hanno affidato la cattedra,” gli soffiò contro, mellifluo e crudele e sfrontato. “Gli Æsir credevano, o meglio facevano credere agli altri, di essere delle vere e proprie divinità invincibili. Ne erano così convinti, che le popolazioni da loro conquistate offrivano loro ingenti tributi. Anche così si formò il tesoro,” spiegò, ma forse era una menzogna, la sua.

Quello che avvenne dopo, Sigyn non lo seppe mai con assoluta certezza. Sentì più volte la versione di Loki e, quando lui era ormai morto, udì anche quella di Thor: i due racconti combaciavano quasi alla perfezione, ma la donna avrebbe avuto per sempre la sensazione che qualcosa le fosse stato volutamente nascosto. Non scoprì mai, invece, che la strana frase sarebbe stata mormorata all’orecchio del professor Laufeyson poco più di vent’anni dopo, quando il plotone di esecuzione comandato da Kurse Von Svarthelfheim era pronto a porre fine alla sua vita sfrontata e colma d’avventura.

 

 

 

 

Loki e Thor raccontarono a Sigyn e a Odino una strana storia, quando uscirono dal cunicolo. Erano riusciti a salvarsi per un soffio, ma l’oro del Reno era rimasto lì, nel cuore della terra, protetto dalla roccia e dal tempo. Con esso, erano sparite per sempre anche le ultime vestigia della perduta città degli dèi. Malekith si era sopravvalutato: non si era accorto che i due fratellastri erano in combutta tra loro. La loro recita carica d’improvvisazione fu condotta, da ambo le parti, con maestria e abilità e acume, perché era vero ciò che sir Stormbreaker aveva gridato a gran voce all’archeologo: prima di essere fratelli di sangue, erano amici, alleati, compagni d’avventura sopravvissuti a mille orrori. Eppure, dove trovare le parole per spiegare ciò che avvenne in fondo alla sepoltura di Reginn, un re che si diceva fosse stato ucciso dal suo congiunto Fafnir che, compiuto l’insano gesto, aveva mutato il proprio aspetto in quello d’un drago? Si inoltrarono lungo il corridoio di pietra, osservando i disegni e le rune del tempo che era stato, incantandosi di fronte alla vastità del sepolcro del re, posto sotto un’immensa volta naturale d’inimmaginabile perfezione. La nave che lo aveva ospitato, contro ogni logica e previsione, si era perfettamente conservata e, sulla sua sommità, riposava un corpo, ma nessuna gemma o pietra o manufatto rischiarava la sepoltura.

“Dov’è l’oro del Reno?” gridò Malekith voltandosi verso Loki e Thor. Il primo forse avrebbe sorriso e si sarebbe dilettato in una delle sue battute facete e pungenti, ma il suo volto scolorì, fissando un punto dietro Von Svarthelfheim.

“Temo che siamo arrivati comunque tardi,” deglutì, sgranando gli occhi.

Gli uomini di Von Svarthelfheim indietreggiarono, uno sparò nonostante non ne avesse ricevuto l’ordine. Il proiettile colpì la strana e imponente figura, provocando un frastuono che echeggiò tetro tra le pareti di pietra, ma l’ombra continuò a emergere dall’oscurità rivelandosi per quello che era. Un guerriero d’altri tempi con la pelle scurissima e un’armatura antica addosso. Nelle sue mani, stringeva una lama affilata dall’elsa finemente decorata.

“Vi ho aspettati per tempo lunghissimo, quindi sì, siete arrivati tardi,” constatò. I suoi occhi di brace si posarono brevemente su Malekith, per poi tornare a soffermarsi sui due britannici.

“Chi sei tu? Dov’è il resto del tesoro?”

“Io sono il Guardiano di Asgard, Heimdall,” spiegò la figura impassibile e severa. “Per mille anni ho aspettato che qualcuno varcasse la Porta di Fafnir. Se vi dimostrerete degni, potrete avere tutto ciò che desiderate.” La meravigliosa arma continuava a rilucere tra le sue mani, né il misterioso straniero mostrava l’intenzione di abbassarla.

“E cosa dobbiamo fare, per dimostrarci degni?” s’interessò Loki guardingo, cercando di capire se l’uomo di fronte a lui fosse un folle o un incubo sbucato dal passato.

“Rispondere alla mia domanda.  Posso leggere nel tuo cuore come in quello dei tuoi compagni, quindi siate sinceri,” spiegò sicuro Heimdall.

I due ex ufficiali si scambiarono un’occhiata sorpresa. Non c’era scritto in nessun codice antico, né in alcuna poesia, che il tesoro di Asgard fosse protetto da un guardiano imponente. Malekith diede ordine che fosse ucciso e una pioggia di piombo si riversò sulla figura ammantata d’oro e armata, ma Heimdall non solo sopravvisse ai proiettili, ma usò la sua spada contro gli uomini, uccidendo quanti gli si opposero. I sopravvissuti imboccarono la via d’uscita; alcuni si persero, inoltrandosi nel cunicolo sbagliato, altri si misero in salvo e fuggirono. Solo Von Svarthelfheim, Loki e Thor rimasero al cospetto del Guardiano.

“Dimmi,” disse Heimdall rivolgendosi a Malekith, “Perché desideri il tesoro maledetto di Reginn?”

Von Svarthelfheim spostò lo sguardo su Loki e Thor.

Fu l’archeologo a parlare. “È la frase che ha detto Lord Borson, ricordi? Perché fare l’angelo quando puoi fare Dio. Gli Æsir consideravano se stessi delle vere… divinità scese in terra. Vuole sapere se sei degno, l’ha detto.”

“Il mio nome deve legarsi ad Asgard in eterno. Il tesoro mi spetta,” proferì sicuro Malekith, “perché io l’ho trovato.”

Il Guardiano non parlò, limitandosi ad annuire. La risposta era stata sicura e superba e senz’altro adatta a un popolo di predoni e feroci combattenti che aveva messo a ferro e a fuoco il mondo intero.

“Il tuo cuore è gonfio d’arroganza e la tua risposta è sbagliata,” decise dopo un tempo che parve a tutti infinito e lo uccise con un fendente secco della sua spada. Mentre la lama era ancora infilata nel cadavere dello studioso, si rivolse a Loki e a Thor. “Lo avete consigliato molto, molto male. E voi, perché siete qui, cosa volete dal tesoro di Reginn?”

“Qual è la risposta giusta?” chiese a denti stretti Thor, fissando il corpo ormai inerte ai suoi piedi.

Loki scosse la testa: non la conosceva. La sicurezza che aveva sfoggiato fino a quel momento era frutto dell’improvvisazione e della sua natura istrionica e astuta, capace di adattarsi a ogni situazione, ma la verità era che l’archeologo non aveva la più pallida idea di cosa fosse giusto dire. C’erano state, tra lui e Lord Borson, numerose teorie e illazioni su cosa potesse avvenire una volta varcate le Porte di Fafnir, ma nessuna riguardava indovinelli mortali. Improvvisamente, gli tornò in mente la criptica frase che gli aveva suggerito Odino. Perché fare l’angelo quando puoi fare Dio? Il riferimento era strano e l’interpretazione tronfia che aveva dato, buona solo a metà. Nei poemi scaldici e nelle canzoni, gli Æsir erano un popolo fierissimo e arrogante che si vantava di avere ascendenze addirittura divine. I riferimenti in tal senso erano numerosissimi, ma gli angeli? Cosa c’entravano quelle figure che appartenevano a tutt’altra religione, con l’oro del Reno? Perché fare l’angelo quando puoi fare Dio?

Un guizzo, un ragionamento gli illuminò la mente sempre scaltra. Gli angeli. Beda il Venerabile. Snorri Sturloson, che era stato, allo stesso tempo, un monaco e un capo del Thing[3], unendo le due culture – quella cristiana e quella vichinga – mettendo per iscritto l’Edda e pregando, allo stesso tempo, gli angeli. Era lui che rappresentava il punto di unione tra il mito e ciò che era reale. Odino gli aveva dato la soluzione senza nominarla davvero, affidandosi alla sua intelligenza, ma anche a un’illazione fantasiosa e forse fallace, a una profezia vecchia mille anni. Un guizzo di nero orgoglio gli gonfiò il petto.

Sorrise, sfoggiando una sicurezza che, forse, non possedeva del tutto. “Siamo qui perché la Voluspa dice che, anche se il destino degli Æsir era quello di morire nonostante il loro grande potere, un giorno sarebbero comunque tornati.”

Si fermò, stupito improvvisamente da una consapevolezza che si dipanava nella sua testa. “Asgard non è solamente un luogo o un tesoro, ma la memoria di un popolo. Noi non siamo qui come fossimo dei messaggeri alati, ma per portare agli uomini la vera vista di un tesoro favoloso e per raccogliere l’eredità di genti scomparse.”

“Allora la tua Lingua d’Argento non si è improvvisamente seccata,” mormorò il Guardiano. “Sei stato saggio, e io ho aspettato che tornaste qui per molto, molto tempo,” gli disse e mostrò a lui e a sir Stormbreaker ciò che era rimasto del tesoro perduto nascosto nella Gola del Reno e raccontò loro una storia di anime cui era stata data la possibilità di avere altre occasioni e, assieme a queste fiabe, altri miti e leggende e canzoni che erano state dimenticate.

 

 

 

Sigyn e Odino ascoltarono il racconto e se lo fecero ripetere più volte. Non riuscivano a credere a una storia così fantasiosa, non potevano farlo, eppure, nei loro cuori, sapevano in qualche modo che Loki e Thor avevano ragione ed erano sinceri. Intuirono anche che una parte del dialogo con il Guardiano sarebbe stato loro precluso per sempre, ma questo non aveva importanza. Certe cose devono rimanere sepolte, come Heimdall, che si lasciò soffocare dalla caverna che gli cadde sulla testa quando Loki e Thor uscirono di corsa dalla sepoltura di Reginn, perché così diceva la Voluspa. Kurse Von Svarthelfheim, vedendo uscire dalla caverna i due inglesi senza il fratello, giurò vendetta e tentò di ucciderli, ma, poiché era rimasto pressoché solo, finì per essere sopraffatto dai suoi avversari e fuggì.

L’archeologo rimediò un graffio lieve alla spalla e fu allora, mentre Sigyn medicava la ferita leggera con gli scarsi mezzi che aveva, che tirò fuori dalla camicia imbrattata di polvere la bussola.

“Ti sei quasi fatto uccidere,” lo rimproverò lei. “E adesso, professor Laufeyson? A quale altro tesoro vorrai dare la caccia?”

Un lampo divertito illuminò lo sguardo verde dell’archeologo. “Troverò qualcosa, non preoccuparti,” ghignò.

“Immagino: qualcosa di pericoloso, potenzialmente mortale, che mi farà vivere in una preoccupazione costante.”

“È la mia natura, Sigyn.” Loki parlò con lentezza, osservando i bei capelli d’oro stretti in una treccia morbida e leggera, fissando gli occhi grigi e dolci della donna dietro le lenti degli occhiali. “Andrò sempre in cerca di qualcos’altro; la soddisfazione non è nella mia natura. Non posso rimanere seduto dietro a una scrivania a fare lezione. Sono nato per lasciare un segno nel mondo,” disse fiero.

“Amo di te, Loki Laufeyson, che anche se qualcosa ti spezza, tu non ti arrendi mai,” rispose Sigyn continuando a medicarlo con infinita dolcezza. “Per questo sono qui, sono spezzata anch’io; forse tu puoi ripararmi, e io riparerò te, se me lo lascerai fare.” Lo guardò alla luce fioca della lampada e trattenne il respiro, perché sapeva di essersi esposta eccessivamente, ma quando Loki era entrato con Thor nella caverna aveva temuto che non tornasse più da lei.

“Credevo fossero l’ambizione e la voglia di diventare un’importante studiosa, a muoverti,” ironizzò.

“Oh, Loki!” rise lei, “sei acuto nell’indovinare i pensieri degli altri, ma terribilmente cieco per il resto.”

“Hai un pessimo senso dell’orientamento e la x non è mai il punto dove scavare. Ti serviranno le coordinate giuste,” decise spiccio lo studioso, sorvolando sull’allusione di lei e su molte, troppe cose.

Sigyn guardò la bussola dal coperchio intarsiato che le ricordava sempre troppe cose – notti d’amore lontane, eppure vicine. “Ti consoli del tesoro perduto facendomi un regalo?”

“Abbiamo trovato l’oro del Reno, eppure non ci è rimasto niente. Anche se, forse, non tutto è andato perduto.” Un sorriso lento e sbieco, di lupo, si disegnò sulle labbra sottili del professore. Premette un pulsante e la bussola si aprì, rivelando il segreto di un doppiofondo.

“Loki Laufeyson, mi stai dando un anello?”

“Un anello che viene da un tesoro maledetto, per la precisione. Ma non preoccuparti, nessuna sventura toccherà la persona cui è stato donato. Me l’ha assicurato il Guardiano. Un tipo pedante, ma non male, dopotutto.”

“Perché?” boccheggiò Sigyn.

L’uomo rispose faceto e ironico, come sempre. “Conosci le mie abitudini, i miei ritmi…sarebbe seccante ricominciare daccapo, ma ormai sei una studiosa a tutti gli effetti e la ricerca che stai scrivendo è buona. Non puoi essere la mia assistente in eterno, ma nemmeno andartene in giro liberamente, con tutti i miei segreti,” chiosò furbo.

“Che mi sta proponendo, professor Laufeyson?”

“Pare che debba chiederti di diventare mia moglie. Ovviamente, come garanzia.”

 

 

Londra, 1983

 

“Non ci rimase nulla, a parte questo.” L’archeologa aprì la bussola dal coperchio intarsiato e mostrò alla ragazza un cerchio d’oro antico, un anello formato da due fili che si univano. Il sorriso di Sigyn era vacuo e dolcissimo.

“Nella canzone di Reginn c’era scritto che il tesoro era maledetto, tutto tranne questo anello. Così è stato. La sua più grande scoperta l’ha condotto alla morte. Kurse ebbe la sua vendetta, alla fine.” Un sospiro carico di nostalgia le uscì dal petto.

“Ora sono davvero stanca, ninì. È ora che riposi.”

Le dita ormai segnate dagli anni strinsero la bussola come fosse una cosa cara, preziosa.

Sigyn chiuse gli occhi, mentre la pioggia, lentamente, la cullava col suo ritmo cadenzato e sempre uguale, incessante come i giorni che sarebbero passati scorrendo gli uni uguali agli altri. Claudette si era già addormentata nella sua stanza e il sonno flebile colse anche l’anziana studiosa, trasportandola in quella dimensione a metà strada tra il sogno e il ricordo, tra il pensiero e la realtà. Fu lì che rimase sospesa finché il cuore non cessò di battere, il respiro di uscirle dal petto. Fu una morte dolce, arrivata prima che l’alba si affacciasse oltre la finestra, che l’accolse mentre lei era avvolta tra coperte candide. Un sorriso lieve e leggero le increspava le labbra. La presa sulla bussola si allentò appena, ma la catenella che la reggeva rimase a cingerle l’anulare e il polso come fosse un fantastico gioiello. Nei dolci sogni misti alla memoria che la condussero lentamente verso l’aldilà, Sigyn si ritrovò a vagare finché ogni cosa, anche se stessa, perse di significato. Così il sonno eterno l’avvolse.

 

 

Gola del Reno, Germania, 1920, la lunga notte della scoperta

 

Un rumore improvviso, forse un tuono, la riscosse. Sigyn aprì gli occhi sollevandosi appena dal letto, la coperta di lana ruvida stretta sulla camicia di raso sottile, strappandola al calore delle coltri su cui, poche ore prima, aveva sospirato e amato e perso il controllo. Nella penombra non notò nulla. Si passò una mano tra le ciocche bionde che le ricadevano, caotiche, sulle spalle esili e sottili e poi si adagiò di nuovo sul materasso cigolante, cercando il conforto di Loki, steso accanto a lei.

L’archeologo aprì un occhio, mugugnando appena. La cinse con un braccio e l’attirò contro il suo corpo asciutto e tonico, carezzando il raso liscio e piacevole al tatto che le fasciava la pelle calda, ghermendole la vita. Sigyn si crogiolò in quell’abbraccio e gli diede un bacio sul collo, uno sulla mascella affilata e leggermente ispida, un altro, più lento e intenso, sulle labbra ironiche e sottili – assaggio accorato, dolce, profondo.

“Cos’hai sognato, di così terribile?” le ghignò lui perfido sulla bocca, facendo scorrere le dita sul tessuto liscio, carezzandole la linea arcuata della schiena, i fianchi sodi e rotondi.

“Asgard,” disse lei, ma non era sicura di averla ricreata davvero nella propria testa, perché si era trattato uno di quei sogni vividi che svaniscono non appena si aprono gli occhi.

“L’abbiamo trovata, Asgard,” rispose Loki e chiuse di nuovo gli occhi mentre lei respirava il suo profumo, si consolava col suo tepore, si stringeva contro il suo corpo, godendo della prima di molte notti che avrebbero trascorso l’uno tra le braccia dell’altra.

“Ti amo,” gli disse, ma il respiro lento e regolare dell’uomo la convinse che non l’avesse udita e così si lasciò cullare dal suo respiro. Glielo avrebbe detto ogni volta, per tutto il tempo che le sarebbe stato dato da vivere, ma questo, ancora, non lo sapeva.

Dopo un minuto che le parve lunghissimo, lo sentì respirare con più forza. “Lo so,” le rispose, e cominciò a carezzarle le ciocche bionde senza aggiungere nient’altro finché il sonno non li avvolse.

 

 

…A time for us at last to see

A life worthwhile for you and me

And with our love through tears and thorns

We will endure as we pass surely through every storm

(Nino Rota, “A time for us”, Romeo e Giulietta OST, regia di F. Zeffirelli, 1969)

 

 

 

 

Note Autrice:

 

Nome (EFP e Forum):  shilyss/Shilyss

Titolo: L’oro del Reno

Genere:

Rating: arancione

Pacchetto scelto + eventuale bonus: Niobe e Latona, completo VICENDA: Il protagonista subisce la perdita di qualcuno di importante;

FRASE: "Perché fare l’angelo quando puoi fare Dio?"

SENTIMENTO: Superbia;

 

Fandom: Thor

Note (facoltative): presenti a fine testo.

 

 

Autore: shilyss/Shilyss

Titolo della storia: L’oro del Reno

Pacchetto utilizzato: Archeologo

Elementi utilizzati: pacchetto completo [

 

Cari Lettori,

 

C’è chi questa storia la attende da quasi un anno, chi ha chiesto che fosse inserita questa o quella scena, chi mi ha supportato ascoltando le mie paturnie sulla trama. Beh, questa storia è per voi ♥, ve la dedico, ma lo è anche per quelli che inizieranno a leggere e (spero) la ameranno. Scriverla non è stato semplice: ho scelto un periodo problematico che va dal 1914-1920 con accenni al 1944 e al 1983 e ho ribaltato per l’occasione il canone. Il tentativo è sempre quello di scrivere e proporre storie sempre nuove, un po’ perché sono una lettrice che si annoia facilmente, un po’ perché amo sperimentare.

 

La storia partecipa a ben due contest: nel primo, Lavoratori allo sbaraglio, dovevo inserire una relazione di lunga data tra i personaggi protagonisti, una bussola, e la frase «Per questo sono qui, sono spezzata anch’io; forse tu puoi ripararmi, e io riparerò te,» (Aviators – Angels and Demons). Il rapporto di lunga data è duplice ed è quello tra il professor Loki Laufeyson e la sua bionda assistente Sigyn, poi moglie e, infine, curatrice delle sue opere. Un legame lungo una vita. La bussola è l’oggetto dentro cui Loki nasconde ciò che resta di Asgard (l’anello) e che dona a Sigyn, che lo conserverà per tutta la vita. La frase è quella che trovate nel capitolo 3, anche se il concetto di “spezzato” domina l’intera minilong.

 

L’altro contest è “L’Antica Grecia al giorno d’oggi: vizi e virtù” qui un personaggio doveva subire una perdita (Sigyn rimane vedova di Loki e ripercorre il tempo della sua giovinezza, ma anche Loki perde il suo mentore a seguito di una rivelazione tremenda). La vicenda doveva svolgersi in età moderna e contemporanea, quindi abbracciare un periodo che va dal 1492 a oggi ed è ambientata nel 1914, nel 1917-20 e nel 1983. La frase è presente nel secondo capitolo e nel terzo, in riferimento alla necessità di violare un luogo maledetto (il luogo dov’è situato L’oro del Reno) e come battuta volta a dannare Malekith, anche lui vittima della propria superbia. La superbia è un atteggiamento che caratterizza naturalmente il personaggio di Loki e gli Æsir, ma qui è intesa anche come la sfida di uno studioso che desidera violare un tesoro, svelare un segreto, non comprendendo realmente il significato della Voluspa. Il discorso finale su Snorri è reale.

 

Come sempre, anche in questa mia storia c’è tantissimo mito: in particolare, tutta la leggenda legata al mito delle Canzoni di Reginn e di Fafinir (Edda poetica); rispetto al MCU Loki e Thor qui sono davvero fratelli. Credo di aver messo note nel testo per altri passaggi. Augurandomi che la lettura vi sia stata piacevole (se così è stato ricordatevi che ci sono le liste), vi ringrazio per essere arrivati fino a qui. ♥

 

Shilyss



[1] Ni è un abbreviativo che sta per “nipotina.” Immagino che anche le vostre nonne/zie abbiano usato dei vezzeggiativi nei vostri confronti. Ecco.

[2] Un riferimento al bellissimo Indiana Jones e l’ultima crociata era d’obbligo, ma sicuri che sia uno solo?

[3] Assemblea vichinga.

   
 
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