Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: queenjane    02/05/2019    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il massacro dei Romanov occorse nelle prime ore del mattino del 17 luglio 1918.
 Il 25 luglio 1918, l’esercito controrivoluzionario, i Bianchi, conquistò  Ekaterinburg.
Il precettore di francese delle granduchesse e dello zarevic, Gilliard, visitò casa Ipatiev, ne percorse  le stanze e la cantina.
Notò  la svastica, il simbolo di buon augurio usato dalla zarina Alessandra, inciso su una finestra, una icona che pendeva sul letto da malato di Aleksey, la sedia a rotelle usata dal ragazzino malato.
Oggetti commoventi. 
In attesa, del ritorno,  come  Joy, il cagnolino di Alessio.
Scorse  i muri crivellati di proiettili e sangue dello scantinato, le scritte oscene, un verso che Baldassarre fu ucciso nella notte dai suoi servi.
Si raccolsero i mormorii di chi raccontava di un viaggio, un furgone Fiat che si precipitava  nella notte, a gran velocità,  e di roghi.
Misteriosi fuochi erano stati accesi nella notte siberiana, prima erano stati acquistati immensi quantitativi di acido corrosivo dal comandante  di casa Ipatiev, denominata a “destinazione speciale”, ultima dimora dei Romanov. 

Gilliard comprese e dentro si aprì il vuoto, il cuore perse più di un battito, i giorni sarebbero stati vuoti, feroci ed opachi.

"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna wrote, ovvero “Fate sapere a chi mi ricorda che li amo”.

 Il giurista S. condusse una accurata indagine, prima che i rossi riprendessero la città, concludeva che la famiglia imperiale era stata fucilata in quella cantina, insieme ai pochi fedeli rimasti con loro, undici persone in tutto, quando venne dato l’annuncio dell’esecuzione, riferirono poi gli assassini, Olga e sua madre si erano fatte il segno della croce, prima degli spari, gli sguardi sbarrati, le mani inermi. 


La Grande Guerra finì nel novembre 1918.
Crollò l’impero austriaco, crollò l’impero tedesco, non ne rimase in piedi uno.. una magra consolazione.
La chiamarono la Grande Guerra che aveva coinvolto tutto il mondo, tutti contro tutti, il mondo di ieri era mutato in modo irreversibile e senza scampo.
Noi eravamo sempre vivi, l’unica consolazione che ci rimaneva, celebravamo quel caso inopinato.
Noi arrivammo in Spagna pochi giorni prima del Natale 1918.
“Grazie Cat” nella radura melagrani, che crescevano e fiorivano sghembi da secoli, percorrendo nella corteccia le mie iniziali, da te incise molti anni prima.
I sopravissuti.
Il tempo e l’immensità.
E fiorivano i bucaneve, reali e splendidi, come quelli fittizi contenuti nel cestino-sorpresa dell’uovo di Pasqua  1913 creato da Fabergè, il gioielliere, per la zarina madre, dono dello zar. Ogni fiore era fatto di candido quarzo,  gli stami d’oro puro, le foglie delicate composte di giada, mi erano piaciuti, come quelli della radura.



Affrontavamo il dolore ora per ora, fino a quando sarebbe stato un solo solco sbiadito, uno spazio lucido, vuoto,  uno specchio, come quando da ragazzino sognavo le battaglie, di vivere, di cavalcare, l’emofilia era il mio veleno, il monito che mi impediva di essere come gli altri, sapore di sangue, ciliegie e bugie.
Ho pianto, Cat, ti ho preso a schiaffi e spinte, non mi perdonavo di essere scampato, anche cambiarmi  era una battaglia quando mi prendevano le crisi, rabbia e disperazione e malinconia “Basta, Alessio” dura, di pietra “Se ti dà fastidio hai ragione … “ sfuggendo ai miei denti, la volta che ti morsi bene uscì del sangue, per poco non mi picchiasti, o forse quando ero scappato, credo che fossi oltre l’esasperazione. “Ti odio”  .. come  no, bugiardo, ti adoravo,  eri mia, mia e basta, in un solo dato modo“Hai ragione, noi siamo vivi, ti stai rimettendo..  Alessio“ dopo essere scampati alla cantina, ad oggi ancora mi chiedo come “STRONZA”  “Lo sono, appunto,  che vado avanti.. tu no?” una pausa “Se mi mordi, guai a te“ e me la prendevo con te, che eri la persona più vicina, e non mi hai abbandonato, siamo traslati “E che mi fai? Tu non sei…” “Decido io, punto e basta, fine delle trasmissioni” Senza giustificazioni o altro.  La punizione era guardare il muro e pensare, ti ci mettevi anche te, che urlavi e ti scappava la pazienza, la collera svuotava il cuore dal dolore.. Eri una stronza, appunto, dura, per reazione, loro morti e noi vivi, i sensi di colpa e dolore danzavano come falene, e tanto dovevamo andare avanti. L’avevo scampata, in quello scantinato, sopravissuto per caso, mi avevano sparato vicino alla testa, mi ero finto immoto, senza piangere o gridare, a stento il cuore non mi era balzato fuori dalla gola, avevano ignorato quel suono. Fermo come una pietra, senza gridare, quindi volevo vivere.. uno stronzo come te, i sensi di colpa  che oscillavano. In un dato senso, vani, che eravamo scampati, dovevamo reinventarci la vita, ci abbiamo provato, ci ho provato, riuscendoci. Si  può restare liberi dentro la proprio anima, nonostante tutto, che in quel modo nessuno può toccarti,  ho sempre vinto, a prescindere, the biggest challenge. Potevo essere una vittima o cercare di andare avanti, ho scelto quella seconda opzione. E alle volte, quando credevi che non ti sentissi, piangevi fino a spaccarti il cuore, mordendo il lenzuolo tra i denti.. non volevi farti sentire da nessuno, preoccupata di preoccuparci, io temevo la tua apparente mancanza di reazioni.. E quando sono riuscito, finalmente, a tirarmi in piedi, ti ho abbracciato “Che vuoi” ruvida “Vieni qui, scema” ruvido a mia volta carezzandoti i capelli “Siamo qui, siamo insieme, starai bene” prima che poi, o almeno dicevi così.. Olga ti chiamava stupida eroina, la principessa soldato, ma eri la sua stupida, personale  e coraggiosa eroina e viceversa, audace fino al delirio, siamo diventati grandi insieme, il ragazzino untrepido che ero stato ritornava, non si era perso. “Starò bene, Cat”  “Me lo auguro, per te” soprattutto, era a me che auguravi un futuro, come ti eri reinventata il tuo, bambina, orgogliosa e serrata dalle paure e poi eri diventata la principessa sodato, il dragone, mai ti sei arresa. Quando ti chiamavo “Mamma”, epiteto che sancivi non appartenerti, il motivo era ben semplice, mi avevi ridato un futuro,  facendo del tuo meglio, crescendo, passo per passo.  E Olga lo aveva predetto, in fondo, nei suoi quaderni, che, ove fosse successo qualcosa, la mia mamma saresti stata tu, per quanto sgangherata ti ritenessi.


 Ritornavano le sere passate a guardare le lucciole ed esprimere desideri quando ne vedevamo una, come le stelle cadenti,  una parte di me, durante la prigionia nel 1917-1918, aveva continuato a crederci e gli astri erano di nuovo roventi, ti regalavo uno sguardo, la stella più lucente ero io, quante storie hai inventato, creato per me, sostenevi che ero raro, amabile, viziato e meraviglioso, una delizia specifica, ovvero la tua.
Quei tuoi grandi occhi color onice, color miele come le foglie in autunno, innocenti e curiosi. Avevi appreso, me lo hai poi insegnato, che si può restare liberi dentro la proprio anima, nonostante tutto, che in quel modo nessuno può toccarti, avremmo sempre vinto, a prescindere, the biggest challenge, sancivi di avermi amato anche quando ero nel ventre di mia madre, ignaro, al sicuro, la sua pancia sempre in movimento, posavi le mani sopra il suo addome, come Olga e le nostre sorelle, amavi i miei calci e i movimenti, un dialogo costante  e muto, da allora in avanti.

Tue le mani che mi spingevano sull’altalena, tua la voce che mi raccontava una storia, insieme abbiamo imparato, in nome dell’amore, le imprese che potevamo compiere, di cui eravamo capaci.


Alexei the hero, sancivi, the fighter, the soldier prince, la profezia prendeva corpo e forma, finalmente, il piccolo principe aveva sconfitto i graghi.
E i tuoi occhi Alexei conservavano ogni sfumatura di indaco, zaffiro e celeste, che esisteva tra il cielo e il mare.



La sepoltura dei Romanov e dei loro ultimi fedeli, fucilati con loro in quella notte di luglio, rimase ignota per decenni. Pur  se voci e pettegolezzi enunciavano che alcuni erano sopravissuti. Taluni videro le granduchesse e la zarina Alessandra a Perm, negli anni che seguirono spuntarono sedicenti principesse o apparenti zarevic, la più famosa fu Anna Anderson, che si spacciava per Anastasia, lo scopo era ricevere quel che restava della favolosa eredità dell’ultimo zar di tutte le Russie. E fama, soldi, non era cosa da poco vantarsi di essere scampati.
E biografie, resoconti, inchieste furono scritti a fiumi nei decenni successivi, in particolare su Alessandra e Nicola, sulla loro grande storia d’amore, a life match, Rasputin, l’emofilia dello zarevic, film biografici e molto altro.  Come la malattia di un ragazzino, la disperazione di una madre, la debolezza di un padre avessero cambiato il destino di un impero, una rivoluzione che aveva squassato il mondo, dilaniato dai conflitti mondiali.
Furono oggetto di un oblio durato per decenni, oppure di una selvaggia vituperazione,  cui si tentava di porre rimedio, quando ormai i decenni erano trascorsi.


Gli amici, i parenti di Alessandra scamparono al disastro, si reinventarono. In particolare, come aveva previsto Catherine con cinica sapienza, Madame Anna Vyribova  scrisse le sue memorie, “rudagiose”, auto celebrative, un tentativo di agiografia, per rimediare all’odio, alle maldicenze di cui era stata  oggetto insieme alla zarina, i bolscevichi avevano detto che sia lei che Alessandra erano state le amanti di Rasputin, oltre che lesbiche, la diceria era stata lunga a morire, non era mai scomparsa del tutto.

Nel  1981 la zarina Alessandra  venne canonizzata a New York, dalla Chiesa Russa ortodossa in esilio, come martire della fede,  insieme ai suoi.
Era un feroce giorno di vento autunnale. Le candele danzavano, riflettendosi sugli affreschi e le icone, la vecchia bandiera imperiale russa era rappresentata da garofani nelle gradazioni del bianco, del blu e del rosso deposti sull’altare, ove vi era una icona. Vi era raffigurato Gesù Cristo che scendeva dal cielo, circondato da una turba di angeli, per accogliere i Romanov disposti su un palco, Nicola, Alessandra, Olga, Tatiana, Maria, Anastasia, Alessio, ed altri ancora, avvolti in manti di candido zibellino, una dorata aureola che li cingeva la testa, gli sguardi sereni, voltati verso l’altrove.
 
Le ossa furono infine trovate in una fossa anonima, intorno alla fine degli anni settanta, 1979 o giù di lì, la riesumazione iniziò nel 1991, i resti furono portati al dipartimento di patologia legale, iniziò l’indagine per una esatta, netta identificazione, che venne data il 28 luglio 1992, dopo esami condotti da team medico-legali sia russi che americani.  

Furono poi sepolti nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo nel 1998, 80 anni dopo l’eccidio, tra l’altro alla presenza del presidente Boris Eltsin, che ebbe a dire che un giorno storico per la Russia,che per anni era stato mantenuto il segreto su quel crimine mostruoso ma infine la verità era stata rivelata.
Ad ogni buon conto, furono rinvenuti solo nove corpi, invece degli undici previsti, all'appello mancavano quelli dello zarevic e di una delle  sorelle.
Quello che era indecente, immorale, nel 1918 come nel 1998 ed oltre ancora,  era che lo zar non fosse stato sottoposto ad alcun processo, la sentenza comminata in segreto, la moglie e i figli fucilati insieme a lui, un preludio degli eccidi di massa di quel secolo breve, come ebbe a chiosare uno storico, Pipes, dei genocidi.

Nicola, Alessandra, tre delle loro figlie ebbero i solenni funerali nel 1998.
Cinque piccole bare di rovere, con dentro le ossa, sopra le insegne imperiali, furono posate accanto alle tombe dei loro antenati. Glorioso, il profumo delle rose era recato dal vento, al pari degli omaggi e delle fanfare.
Sempre nel 1998, l’ultima figlia di Catherine e Andres Fuentes  si recò a San Pietroburgo per rendere un omaggio, in nome di sua madre, la principessa  a quelle tombe immobili, i nomi ritagliati nel marmo, un soffio delle persone che erano state ..
Deponendo un mazzo di rose bianche, perfette e nitide come una sinfonia, contro i cancelli di marmo, come usava fare per sua madre.
Per un momento, il vento smise di soffiare e le parve di sentire il suo profumo, una giovane principessa con le iridi color onice, scuri i suoi capelli, che tornava dal passato, a passo di danza, che amava la vita e Andres Fuentes, che si baciavano, insaziabili, come adolescenti, anche quando ormai erano vecchi.


Sorse  l’immagine, a lungo riportata, di un bambino dagli occhi azzurri che correva tra le sue braccia, Cat e Alexei, due fratelli, uniti per la vita e per la morte, senza difese, che uscivano di scena, pian  piano, vita dopo vita.
Sfumati, dorati come il lungo crepuscolo, che si irradiava tra strade e nuvole, ricordò che, alle volte. prendevano il tè sotto un pergolato di rose selvatiche, rampicanti, fitte come fiori di maggio, da cui, in dato giorno d’estate, staccavano le corolle che buttavano danzanti nel torrente. In quei giorni di luglio in cui ricorreva l’anniversario dell’eccidio e si celebrava una messa commemorativa, in onore di chi non vi era più.


A rose..
The shoreline in the horizon.


Quando sono nata, mi raccontò mia madre Ella, nevicava, Catherine.  I fiocchi turbinavano silenziosi dietro le finestre, la luce era pallida, che mi aveva preso in braccio, baciato e contato le dita, la pace le scaldava il cuore.
Quando sono nati i miei figli, per ognuno ho compiuto gli stessi gesti, erano la mia speranza contro la polvere e il fumo, mie le mani che li accarezzavano, come avevano stretto Andres, il loro padre, quando ci congiungevamo, labbra su labbra, disperazione su disperazione.
Andres dagli occhi verdi. Il mio principe.  
L’amore di tutta una vita, dalla giovinezza all’età matura, ammaccati e consapevoli, averlo avuto e tenuto,  è stata la fortuna della mia esistenza.. il mio mondo era al crepuscolo, in frantumi, in qualche modo lo abbiamo ricostruito.  Ed io il suo, dopo decenni di latitanza e guerra, feroce abbandono, le mie labbra, le sue mani, tutto lavava via le reciproche rabbie, gli odi e i mondi sottosopra, la festa della giovinezza sorgiva, i prati, noi, la luna alla finestra.
A brave new world, proclamando che avevamo sorpassato sconfitte, paure e illusioni, un giorno dopo l’altro.



You’re a white rose in the wind, Cat, for always and forever.
My white rose.
".. and teach me wrong from right, and I'll show you what I can be." 
.. You’ve taught ME the wrong from right, now I show you what I AM..
 
You’re my heart, even if You are broken, forever and for always.
My wish’s real.
We are immortal, we’ve found the way.
My voice is yours voice, your voice the mine.
The dream’s real, it’s true.
Our story is a never-ending story.
A white rose for me and you, for all of us.

You’re my heart, my white rose, the Phoenix.
The Tsar’s secret daughter.
My beloved.
".. and teach me wrong from right, and I'll show you what I can be." 
.. You’ve taught ME the wrong from right, now I show you what I AM..
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: queenjane