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Autore: Surya_Asu    04/05/2019    0 recensioni
Seconda metà del secolo corrente. Crisi energetica e sovrappopolazione innescano circostanze drammatiche e precipitano il mondo nel caos. In un’ottica di conservazione del benessere, ogni essere umano diventa vittima e carnefice allo stesso tempo. Elio, ingegnere energetico italiano emigrato in Pennsylvania, cerca di salvare la sua famiglia dal male che è giunto. Un male che culmina con un nuovo olocausto per il genere umano. Ma non è tutto qui: c’è chi trama per soluzioni ancora più estreme e ci sono persone ancora più disperate di quelle che vengono sacrificate alla luce del sole.
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Avrebbe dovuto attaccare alle sette in punto. 
Uscì in sella alla sua bici Cannondale senza aver fatto colazione. Ci andò piano sui pedali, come se in quel modo potesse distorcere il tempo prolungandolo all'infinito. Ma alle sette meno quindici era già davanti alla Philadelphia UFP n° 4, nella Red Lion Industrial Park.
«Universal Fuel Plant» mormorò Elio a denti stretti, osservando la targa in cima all'edificio che riportava tre soli caratteri: 'UFP'.
Non era il primo arrivato: il parcheggio antistante l'edificio era già invaso dalle auto.
Famiglie intere sostavano nel piazzale di fronte all'imponente struttura che, vista dall'esterno, sembrava un comune stabilimento industriale. La parte centrale, un gigantesco cubo, superava in altezza i due capannoni che le poggiavano ai lati.
Una riga di agenti delle HRSS, acronimo di Human Resources Special Squad, stazionava di fianco alla porta automatica che introduceva al cubo. Riparati dietro scudi antisommossa e coi volti nascosti da caschi di ordinanza, se ne stavano immoti, come il tempo che sembrava essersi congelato.
Nel piazzale, tra abbracci inzuppati di lacrime, gli anziani salutavano i propri cari e si apprestavano a seguire le indicazioni di altri agenti della temuta HRSS.
Nelle loro divise bombate, nei loro giubbotti antiproiettile, sotto il peso di dotazioni da guerra, quei moderni dèi della morte se ne andavano in giro a richiamare i poveretti che cercavano di trattenersi il più possibile con i propri cari. Interrompendo i commiati, li invitavano a mettersi in coda all'ingresso dello stabilimento.
Molti dei trasformandi avevano indosso abiti buoni e salutavano i propri cari con la dignità e l'orgoglio di chi si sacrifica per un bene superiore.
Altri non accettavano così placidamente quel destino.
Elio spostò gli occhi verso la direzione da cui qualcuno stava urlando un lungo straziante no. Due poliziotti stavano trascinando con la forza un uomo attempato. Delle grida giunsero simultaneamente da un'altra parte: altri due poliziotti stavano trasportando di peso una signora anziana, uno tenendola sotto le ascelle, uno per i piedi. Tutto ciò tra le proteste dei relativi parenti, che ora sfidavano l'avanzata degli uomini in antisommossa.
I ribelli ebbero la fortuna di saltare la fila formata da chi s'era allineato più o meno spontaneamente.
Elio si chinò sulla ruota anteriore, passò la catena tra i raggi e assicurò la bici alla rastrelliera. Anche lui tentava di rimandare il più possibile l'ingresso.
«Buongiorno signore. Posso aiutarla?»
Sollevò lo sguardo e vide una donna dell'HRSS con la brutta copia di un sorriso di cortesia stampata sul volto.
«Oh, no grazie, penso di riuscire a trovare la strada da solo» rispose e accennò col capo alla lunga fila.
«Sembra giovane» disse la poliziotta.
«Infatti sono qui per lavoro.»
La donna sciolse i muscoli del volto. Ora sembrava quasi un essere umano.
«Oh, molto bene» disse. Aspettò che si raddrizzasse e gli strinse la mano con fare decisamente più amichevole.
«Le auguro una buona giornata.»
Elio attraversò il parcheggio con addosso la sensazione di sprofondare ogni passo un po' di più. Sotto l'obiettivo di numerose telecamere di sorveglianza, costeggiò la fila di uomini e donne canuti. Dai loro occhi trasudava terrore. Alcuni non osavano sollevarli da terra, altri li tenevano fissi davanti a sé e abbracciavano con lo sguardo l'intero complesso industriale verso il quale erano diretti: l'ultima tappa della loro vita.
Si portò in testa e nessuno protestò per il fatto che non avesse rispettato la coda.
La porta scorrevole si aprì su un atrio rettangolare adornato da piante di ficus. In fondo si stagliavano delle postazioni numerate per diligenti impiegati che si impegnavano ad accogliere i poveretti, ancora in fila, sotto la severa sorveglianza dell'HRSS. 
Si recò presso lo sportello informazioni e spiegò che era il suo primo giorno di lavoro. L'addetta gli chiese un documento d'identità e inserì i suoi dati nel terminale, quindi gli indicò la strada per l'ufficio del Responsabile del Personale, al terzo piano.
Elio seguì le indicazioni e trovò l'ufficio. Il Responsabile si limitò a consegnargli un tesserino identificativo, due divise dell'UFP e le chiavi di un armadietto.
«Vada negli spogliatoi a cambiarsi, al piano terra, e torni all'accettazione. Manderò un membro dello staff.»


Qualche minuto dopo, aveva indosso la divisa ufficiale: un'uniforme interamente bianca fatta eccezione per un'unica nota di colore sul taschino della giacca, la sigla 'UFP' ricamata in blu.
Ron Madison, il membro dello staff inviato per lui, lo accompagnava per lo stabilimento.
«Mi è stato dato il compito di affiancarla nei suoi primi giorni di lavoro. Come prima cosa le mostrerò il cuore pulsante dell'UFP: il reparto di trasformazione».
Mentre parlava, la sua stempiatura si muoveva insieme a tutte le pieghe della fronte.
Ogni muscolo della sua faccia in realtà lavorava sodo, scavando solchi intorno alla bocca, formando pieghe vicino agli occhi, spianando e infossando ad alternanza il punto in cui avrebbero dovuto esserci delle guance ancora toniche, vista la giovane età: sul cartellino identificativo che aveva al petto, la data di nascita riportava l'anno duemilaventitré.
Ron però, sembrava un vecchio pupazzo da ventriloquo.
«I trasformandi vengono suddivisi in gruppi e messi in attesa in locali differenti. Un gruppo per volta viene scortato dall'HRSS agli spogliatoi e poi al reparto di trasformazione.»
Quel pupazzo ora gli spiegava della trasformazione come se gli stesse dando la ricetta dei biscotti della nonna. Si teneva sempre un passo avanti e ogni tanto voltava a scatto la testa, come a controllare che fosse sempre lì.
Arrivarono a una porta d'acciaio. Bianca, asettica. Ron passò una tessera magnetica in un lettore e la porta scorrevole sparì nel controtelaio.
«Qui è dove avviene la prima fase del processo» disse.
Davanti agli occhi, Elio si trovò una distesa di cabine di vetro simili a box docce. Dovevano essercene almeno un centinaio, rilucenti e disposte in file ordinate. Intorno a esse si affaccendavano uomini dalle divise bianche tutte uguali. Come la sua, come quella di Ron.
Dal soffitto, coperto da pannelli bianchi, partiva un groviglio di tubature zincate che terminavano nei tetti dei box.
Ron gli spiegò che quelle tubature erano i condotti attraverso i quali scorrevano le sostanze necessarie per il processo.
«I condotti più larghi immettono il gas soporifero, quelli più piccoli sono per le sostanze enzimatiche che decompongono la materia organica. Il fluido ricavato viene espulso mediante uno scarico interno ai box. Ci sono due scarichi: uno per il prodotto della decomposizione, l'altro per l'acqua purificata mista a disinfettante che usiamo per la pulitura tra un ciclo e l'altro» disse.
Elio sentì le ginocchia liquefarsi. Aveva sperato che lo avrebbero assegnato a un reparto 'pulito', magari quello della raffineria o quello della distillazione. Invece doveva fare ancora i conti con la cattiva sorte e adesso si sentiva mancare in quell'ambiente asettico che odorava di disinfettante.
Intorno alle cabine era un bianco assoluto di pareti interamente rivestite di lastroni in ceramica che non staccavano di un tono col colore del soffitto.
L'unica cosa che spezzava quel bianco totalizzante erano grossi rettangoli di vetro specchiato in alto, su tre facce del locale, come suprema forma di crudeltà: quella di impedire ai trasformandi di vedere gli ultimi squarci di cielo.
Ma i trasformandi invece, da qualcuno potevano essere visti al di fuori di lì poiché fissate alle pareti, in ogni angolo, accanto a diffusori acustici c'erano delle telecamere.
«Lei, signor Elio, dovrà occuparsi prima di tutto di verificare ogni giorno lo stato dei box, delle tubature di erogazione e di quelle di espulsione. Fatto ciò si trasferirà in postazione di monitoraggio. Mi segua, gliela mostro».
Lo accompagnò fuori da quel luogo mediante un passaggio che conduceva a una tromba di scale. Lo scortò al secondo piano, dove la rampa sfociava in una lunga corsia su cui si affacciavano delle porte numerate da targhe adesive.
Ron si fermò al numero nove.
«Questa sarà la sua postazione» disse e aprì.
Elio lo seguì nella piccola stanza con l'andatura che avrebbe avuto nell'esplorare una giungla insidiosa. Si avvicinò al tavolo dietro al quale si stagliava un'ampia finestra. Si avvicinò e posò le mani allo schienale di una poltroncina a rotelle.
Un quadro di controllo, fatto di una tastiera qwerty e innumerevoli altri pulsanti disposti intorno a un display, era incassato nel tavolo stesso. Da un lato si trovavano un microfono, un ricevitore telefonico e un telecomando. Di fronte, due monitor, di dimensioni differenti.
Ron premette il pulsante più lontano dal qwerty: un tasto verde con sopra il simbolo dell'accensione.
Non appena si avviò il sistema, sullo schermo più grande comparvero quattro sezioni video che mostravano il reparto di trasformazione tramite angolature di ripresa differenti. 
Gli operatori erano equamente distribuiti tra i box e se ne stavano composti accanto a dei carrelli di acciaio.
Elio si chiese a cosa servissero quei carrelli che poco prima non c'erano, ma pensò anche che forse non gli sarebbe piaciuto saperlo e si tenne la domanda per sé.
«Abbiamo una postazione di monitoraggio ogni dieci box. A lei sono stati assegnati i box dal numero sessantuno al settanta. Avrà il compito di seguire il corretto svolgimento del processo. Dovrà verificare la congruità dei valori registrati durante le operazioni di trasformazione e intervenire eventualmente a effettuare modifiche nell'erogazione di gas ed enzimi. Soprattutto, dovrà segnalare ogni anomalia che dovesse riscontrare.»
Elio ormai non ascoltava più.
Monitoraggio degli impianti di trasformazione, si ripeté più volte nella testa e si scoprì a indietreggiare.
«Signor De Leo si sente bene?»
«Sì, sto bene.»
Ron strinse gli occhi a fessura e delle vistose zampe di gallina si marcarono alle loro estremità. Erano così profonde che Elio le immaginò come ottimi canali di scolo in caso di pianto. Finì col chiedersi però, se quell'uomo la capacità di piangere ce l'avesse ancora o se invece l'avesse perduta nel meccanismo infernale di cui era un ingranaggio.
«Spero non sia deluso a causa dell'incarico che le è stato assegnato. Probabilmente auspicava una posizione più importante, ma alle UFP si inizia tutti così, dal basso.»
Elio fece del suo meglio per nascondere quella cosa, molto peggiore di una semplice delusione, che lo stava divorando.
«Non sono deluso anzi, sono grato di questa opportunità» rispose, rabbrividendo al pensiero dello spettacolo a cui avrebbe dovuto assistere. Solamente poco dopo, quando sarebbe stata avviata la prima trasformazione della giornata, avrebbe capito se poteva farcela davvero.
Non lasciarti sopraffare dalle emozioni, devi pensare a Noe.
Quando suo figlio era venuto al mondo, aveva giurato a sua moglie che lo avrebbe protetto a qualunque costo, che avrebbe anteposto il suo benessere a ogni altra cosa. E stava mantenendo la promessa, scambiando la vita di Noe con quella di persone innocenti.
Leucemia linfoblastica acuta. Tre parole che avevano trasformato la sua vita, che l'avevano minata, corrotta, distrutta. Che l'avevano portato lì dov'era, in una UFP nel ruolo di boia. Non avrebbe mai potuto sostenere la spesa che comportava una simile malattia, se non accettando un impiego ben pagato come quello.
«Ora osservi il ciclo nel monitor, poi le mostrerò le procedure che dovrà seguire» disse Ron e occupò la poltroncina a rotelle.
Elio guardò lo schermo, più o meno un quaranta pollici. Quattro sezioni per quattro angolature.
trasformandi, uomini e donne sotto shock, erano avvolti in vestaglie bianche.
Gli operatori li aiutavano a disporsi accanto alle cabine. Si facevano consegnare le vestaglie e le gettavano nei carrelli d'acciaio. Poi forzavano i poveretti, rimasti completamente nudi, a entrare ognuno dentro un box.
Ecco a che servivano quei carrelli.
Uno si aggrappò a un fianchetto della cabina rifiutando di andare dentro. L'operatore più vicino tirò fuori qualcosa dalla tasca e glielo puntò su un fianco. Il trasformando si inarcò di lato e si accasciò.
«Ma ha usato un taser quello lì?»
Ron stava digitando qualcosa sulla tastiera.
«Non stavo guardando, ma può essere. Gli addetti alle risorse umane hanno a disposizione un taser per le emergenze.»
Prese il telecomando e alzò il volume portando l'indicatore da zero a un quarto di barra.
Le voci e i rumori del reparto di trasformazione invasero con prepotenza la stanza numero nove.
Le minacce degli operatori, i pianti e le bestemmie dei trasformandi, il cigolio dei carrelli e lo schiocco dei sistemi di bloccaggio dei box. Tutta quella roba si fondeva in una suprema sinfonia di morte.
Quando tutti i box furono occupati, i suoni metallici cessarono e una voce si propagò tramite i diffusori acustici.
«Il mondo rende grazie a tutti voi, signori e signore. Il vostro sacrificio sarà per sempre ricordato dai posteri. Tra non molto un gas soporifero verrà erogato nelle cabine. Vi addormenterete dolcemente e non sentirete nulla quando, in seconda fase, saranno diffusi gli enzimi. Ora vi lasciamo a disposizione un minuto per volgere un ultimo pensiero ai vostri cari. Poi procederemo. Non abbiate timore, vi ricordo che il processo è del tutto indolore. Grazie ancora».
Tra gli uomini e le donne rinchiusi nei box, alcuni picchiavano le mani contro il vetro e le loro urla trapassavano ovattate le pareti delle cabine. Altri le avevano giunte in preghiera e muovevano rapidamente le labbra.
 Elio pensò alla tanto ostentata laicità degli USS, ora più che mai gli sembrava una barzelletta.
Si udì un sibilo.
«I diffusori di gas sono entrati in funzione» disse Ron.
In quei loculi trasparenti, le persone presero a piegarsi su se stesse strusciando contro le pareti. Si accasciavano nel poco spazio di cui disponevano, i volti premuti contro il vetro e gli occhi sbarrati di chi sperimentava il terrore.
Elio iniziò a vedere costellazioni di puntini bianchi. Le gambe gli si fecero molli e un senso di nausea peggiorò la sua condizione.
Poggiò la schiena al muro. Ron, che fino a quel momento l'aveva sempre guardato di sfuggita, adesso lo fissava intensamente.
Non sembrava preoccupato, ciò che aveva dipinto in faccia era niente più che scherno. Come se si fosse talmente allontanato dal sentimento di umana compassione, da non riuscire più nemmeno a comprenderlo.
«Signor De Leo», disse applicando una certa severità al tono della voce malgrado le sue labbra disegnassero un sorriso, «sicuro di sentirsi all'altezza di ricoprire quest'incarico?»
Elio udì a malapena quelle parole che sembravano giungere da un'altra dimensione. 
Cercando di scacciare la miriade di puntini che gli offuscavano la vista, pensò a Noe.
«Sì, ne sono sicuro» si sentì rispondere.
Vennero erogati gli enzimi che avrebbero causato la fluidificazione dei corpi. Lo spettacolo si fece agghiacciante: carni che si scioglievano come cera, scoprendo prima i muscoli e poi le ossa, fino a che anche queste ultime non si consumavano completamente.
In pochi minuti, quelli che erano stati degli esseri umani divennero un liquame di colore vermiglio.
Ron adesso teneva gli occhi sul secondo monitor, quello che mostrava l'avanzamento del processo, corredato di valori relativi a molteplici voci: densità, fluidità, purezza, peso specifico... Alcuni valori oscillavano, ma alla fine si stabilizzarono tutti.
Iniziò un concerto di risucchi. Elio tornò a guardare il monitor che mostrava il reparto di produzione. Il livello del fluido nei box stava scendendo.
«Abbiamo azionato il sistema di espulsione» disse Ron. «Il fluido viene convogliato in cisterne. Poi viene sottoposto a filtraggio e infine travasato nei serbatoi di fermentazione, dove rimane per due settimane prima di subire ulteriori trattamenti.»
I box si svuotarono completamente di quello che appariva come un frullato di carne, sangue e grasso.
«Adesso bisogna impostare la pulitura delle cabine.»
Ron si industriò ancora poco sul pannello di controllo. Le sue dita erano sicure nel correre sui tasti.
«Ecco fatto» disse. Schiacciò un pulsante esterno alla qwerty.
Nelle cabine, dall'alto, si diffuse del vapore che prese a nettare i vetri dai residui di fluido umano.
«Non rimane che controllare il riepilogo dell'operazione. In questa fase bisogna segnalare eventuali anomalie, poi si può archiviare.»
Elio cercò di assorbire un poco della freddezza di quell'uomo. Avrebbe dovuto acquisirla per forza, oppure avrebbe dovuto rinunciare allo stipendio generoso che gli avrebbe permesso di continuare a sostenere le cure mediche di suo figlio.

 
   
 
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