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Autore: NyxTNeko    05/05/2019    2 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 15 - Suicidio -

16 aprile 1786

Durante quei giorni di noia ricominciò a buttarsi a capofitto nella lettura; la metà della paga che risparmiava la spendeva in libri, erano il suo pane quotidiano,  rinunciando molto spesso al cibo, ritenuto poco importante per la sua formazione. Stavolta non si concentrava più solo su letture puramente teoriche e pratiche, che non mancavano mai nella sua lista, ma anche su argomenti più scandalosi come segreti di Stato e pettegolezzi tra nobili esponenti a Versailles e non solo.

La parte più istintiva, più irrazionale, quella più intima e poco conosciuta della sua personalità, che aveva soffocato in quegli anni, stava riemergendo prepotentemente e Napoleone, ben conscio di questo, decise di soddisfarla in maniera sempre controllata e subdola, cercando di legarsi con alcune donzelle della zona. Tra queste vi era una certa Caroline de Colombier, rimasta affascinata dalle poesie, prese dai libri di Racine, Corneille e Voltaire, che quel giovane sottoufficiale follemente innamorato le dedicava con tono suadente e romantico. Veniva ospitato spesso dalla sua famiglia, con la quale aveva instaurato un bel rapporto di amicizia.

- Avete l’anima di un poeta, Buonaparte! - lo lusingava la ragazza arrossendo.

- Il mio cuore arde per voi, neanche il Cielo potrà cancellare questa passione che mi condanna alla perdizione, madamoiselle, il fuoco divampa offuscando i sensi, la contraria ragione è condotta verso la vostra incantevole figura senza pari - le cantò baciandole la candida mano.

- Queste di chi sono? - gli chiese curiosa.

- Sono mie, le ho inventate appositamente per voi - rispose con gli occhi brillanti, stare in compagnia con qualche bella ragazza, avere semplici frequentazioni, senza carnalità, era sufficiente al giovane corso, per il momento. Rimasero legati per pochi mesi, trascorsi con lunghe passeggiate tra i prati e i giardini in cui molte volte mangiavano ciliegie come due veri innamorati. Aveva deciso di perfezionare le sue doti di ballerino, per non sfigurare di fronte alle continue fidanzatine con le quali si legava, che però, lo lasciavano dopo poco tempo.

- Come sarebbe? E i nostri progetti? - domandò lui con aria spaesata.

- Dovrete elaborarli con qualcun’altra, mi spiace, mi avete offerto un’ottima compagnia, mi avete rallegrato nei momenti grigi, sono stati giorni lieti, ma sono promessa ad un altro - emise la ragazza con sguardo timido.

- Potrei sapere chi è costui? - esclamò con la gelosia che cresceva.

- È l’uomo più affascinante, ricco che abbia mai visto, è un capitano! Appartiene ad un'importante, aristocratica famiglia della Lorena, dove presta servizio, si chiama Pierre-Ignace de Garempel de Bressieux…

Napoleone lanciò con rabbia il mazzo di fiori che le aveva comprato e se ne andò furibondo - Non me ne va una giusta! Sembra proprio che il mondo ce l’abbia con me! - sbraitò mentre si allontanava.

3 maggio

Comprese che il puro rapporto platonico non gli bastava, aveva bisogno di esperienze più coinvolgenti, per potersi liberare dal macigno che aveva sul cuore, dalla solitudine e dall'incomprensione che lo attanagliava.

Nonostante i suoi sforzi, infatti, sentiva che qualcosa gli mancava, non riusciva più a trovare sé stesso, era come imbrigliato in una ragnatela che lui stesso aveva costruito, cercando di non pensare a cosa volesse davvero. Udiva il richiamo del suo popolo e della sua terra, il nazionalismo più puro riemerse e Napoleone lasciava che riempisse pagine e pagine di saggi, sfoghi personali, che scriveva sempre per sé e che nascondeva tra i libri per evitare che qualcuno avesse potuto leggerli ed usarli contro di lui.

Diffidenza e sospetto non erano solo riservati ai francesi, anzi erano rivolti a tutti gli uomini di qualsiasi nazione e lingua che considerava malvagi e opportunisti. Questo pensiero lo prese da Machiavelli, dal suo Principe, un libro che aveva fatto parlare di sé, che aveva suscitato scandalo fin dalla sua comparsa per il suo messaggio prettamente laico, in cui la morale cristiana non coincideva con la politica dissimulatrice e subdola.

'Sempre solo, pur stando in mezzo agli uomini, rientro per sognare fra me e me e abbandonarmi a tutta l’asprezza della mia malinconia' pensava rapidamente accompagnato dalla mano altrettanto veloce che riportava sulla carta la sua disperazione 'Da che parte si è volta oggi? Dalla parte della morte! Nell'aurora dei miei giorni posso ancora sperare di vivere a lungo. Manco dalla mia patria da sei o sette anni. Che gioia proverò quando rivedendo fra quattro mesi i miei compatrioti, i miei genitori!'

Si autocommiserava, si dava delle responsabilità di quanto accadeva nella sua Corsica, era impotente e ciò lo faceva star male, perché una delle cose che più odiava era il non poter far nulla, soprattutto nei confronti della sua famiglia, più che ai suoi conterranei. Il suo turbolento e tormentato animo adolescenziale era votato al suicidio totale del corpo e dell'anima; i pensieri nostalgici e teneri che provava nel ricordare quell'infanzia perduta non bastavano per arrivare alla felicità.

'I miei compatrioti carichi di catene, che baciano tremanti la mano che li opprime! Non sono più quei valorosi corsi che un eroe animava con le sue virtù, nemici dei tiranni, del lusso, dei vili cortigiani. Fiero e colmo del nobile sentimento della propria insostituibile importanza, un corso viveva felice se aveva dedicato la giornata agli affari pubblici. Trascorreva la notte fra le tenere braccia di una diletta sposa? La ragione e il suo entusiasmo cancellavano tutte le pene di un giorno. La tenerezza, la natura, rendevano le sue notti simili a quelle degli dèi' proseguiva nella scrittura, di getto, imbevuta di tutte quelle letture preromantiche, cariche di pathos e di sentimento lette fino alla nausea.

'Ma insieme alla libertà quei giorni felici sono svaniti come sogni. Francesi, non paghi di averci portato via tutto ciò che ci era caro, avete anche corrotto i nostri costumi. La situazione attuale della mia patria, e l'impossibilità di mutarla, sono dunque un nuovo motivo per fuggire una terra in cui sono obbligato per dovere, a lodare uomini che per virtù dovrei invece odiare. Quando arriverò nella mia terra, che atteggiamento adottare, che linguaggio tenere? Quando la patria non è più, un buon patriota deve morire'. Avrebbe combattuto contro chiunque avesse in mente di eliminare i suoi compatrioti, rischiando tutto, lottando senza posa e sosta.

Concluse questo sfogo personale 'Non posso dunque seguire la sola maniera di vivere che potrebbe farmi sopportare la vita, e ne consegue un disgusto per ogni cosa'. 

Ebbe la forza di non compiere mai quel gesto estremo perché la famiglia, già compromessa dalla morte di Carlo, aveva bisogno del suo supporto. Era il suo compito e non poteva sottrarvisi, lo aveva giurato a se stesso. Per questo aveva chiesto ed ottenuto un breve congedo per andare ad Ajaccio, per rendersi conto delle loro reali condizioni. Tempo dopo la stesura di quel saggio raggiunse l'esterno, aveva fatto preparare il cavallo e qualche piccolo bagaglio, giusto il necessario per il viaggio via terra, una volta arrivato al porto più vicino, avrebbe noleggiato una piccola nave e si sarebbe rifornito a dovere.

Il superiore, consono al suo modo di fare, gli aveva riservato una piccola carrozza subito dopo avergli consegnato il permesso di licenza. Napoleone pensò, con un pizzico di malignità, che fosse davvero molto buono e generoso nei suoi confronti. Tuttavia si permise non accettare - Che cosa se ne fa un ufficiale di una carrozza quando ha destriero e buone gambe? Lasciatele a chi si sente privilegiato, io non ne ho bisogno - aveva detto per giustificare la sua decisione. In realtà non voleva dare troppo nell'occhio. Salì sul suo fedele destriero e galoppò, sparendo all'orizzonte.

- Quello lì è proprio un pazzo! E poi non era malato? - sbottò uno dei suoi colleghi vedendolo allontanarsi come una scheggia.

- Malato? Lui? - scoppiò a ridere il suo collega vicino - Quello non si ammala nemmeno se sta una giornata intera sotto la pioggia, dovete conoscerlo ancora bene

- Ma allora il superiore si è bevuto la sua versione? - chiese ancora quell'altro.

- L'avrà assecondato - rispose di nuovo il collega facendosi serio  - O forse ha intravisto un male più doloroso di quello fisico - sospirò leggermente in quanto sapeva del malessere di quello strano ufficiale di origine corsa. Aveva riferito loro che sarebbe mancato perché aveva bisogno dell’aria marina del suo luogo d’origine, per la sua debolezza fisica e mentale; inoltre non voleva far stare in pensiero la madre, specialmente dopo aver perso da poco il marito e non avrebbe voluto che avesse un nuovo colpo se fosse anche il suo adorato figlio fosse stato lontano da lei, durante la malattia.

Dietro quella bugia, come sembrava averla raccontata, si nascondeva una verità pesante, che non avrebbe mai condiviso con nessuno.

Marsiglia, 5 luglio

Napoleone scelse di percorrere la Francia da Nord a Sud anziché arrivare alla Manica per poi attraversare l’Oceano Atlantico e lo Stretto di Gibilterra che era sotto il controllo della corona inglese. Arrivò e noleggiò una piccola nave che affittò con i pochi soldi che gli erano rimasti, poi pagò alcuni uomini, esperti di mare, affinché lo accompagnassero. Sapeva con certezza che in estate quella zona era più tranquilla dell’Oceano.

Ajaccio, 4 settembre

Seguendo i suoi precisi calcoli, nei tempi stabiliti, intravide le coste della sua amata isola.

- Sì, ecco la mia Ajaccio! - esclamò fiero, poggiando una mano sugli occhi per non rimanere abbagliato dal sole caldo e implacabile mentre osservava il porto - Finalmente potrò riabbracciare la mia famiglia!

Appena attraccato e sistemata la piccola nave, Napoleone non esitò un solo istante nel ripercorrere i ricordi della sua infanzia. Con gli stivali impregnati di sabbia bagnata e salata iniziò a camminare lungo la spiaggia completamente deserta. Il vento leggero scompigliava i capelli liberi dalla parrucca incipriata, che era costretto molte volte ad indossare e i suoi occhi brillavano alla vista di quel mare cristallino, irradiato da tante piccole scaglie di luce. Gli era mancato tantissimo - Allora mare? Quante altre storie hai da raccontarmi questa volta? - chiese mentre osservava le onde che si infrangevano dolcemente sulla spiaggia e gli bagnavano i lunghi stivali bruni.

L’aria era colma di iodio, il giovane ufficiale la inspirò a pieni polmoni. Se davvero esisteva un paradiso si augurava che fosse come quello che si stagliava al suo orizzonte. Riprese il controllo dei suoi sensi. Aveva un compito di fondamentale importanza da svolgere e così, prima di introdursi nel centro cittadino, diede un’ultima occhiata al panorama alle sue spalle.

Ecco che la città irrompeva con prepotenza nell’ambiente circostante come se volesse dominarlo, ma contemporaneamente, proteggerlo.

- Ehi voi! - esclamò un ufficiale che controllava i borghi vicino la costa.

Napoleone si girò per tre quarti e lo fissò con la coda dell’occhio.

- Mostrate un documento! - continuò l’altro con aria severa e scura.

Il corso si volse completamente e gli mostrò il congedo ottenuto dal ministro della guerra che l’ufficiale afferrò. Lesse il suo nome e gli rivolse lo sguardo quasi sorpreso. Era giovanissimo, non poteva avere più di vent'anni, eppure mostrava una sicurezza, un’arroganza tipica di un superiore, di uno che comanda.

- Siete un corso alquanto vedo... - borbottò scuotendo la testa. 

- Sì - rispose Napoleone - Se è tutto a posto, posso andare, monsieur? - chiese infine non perdendo nè la calma nè la pazienza. Poi fece scendere gli uomini che lo avevano accompagnato - Ve ne occupate voi?

- Certamente - rispose l’altro che gli riconsegnò il permesso.

- Buona giornata! - aggiunse Napoleone con un lieve sorriso.

- Buona giornata anche a voi - ricambiò l’ufficiale e si allontanò da lui occupandosi del resto.

Il sottotenente si era fatto consegnare il suo arabo bianco e si incamminò: notò che la sua città natale, la sua amatissima Ajaccio, non era cambiata affatto. Era rimasta immutata ed immobile nel tempo. Il porto, le case che torreggiavano sul livello del mare, i castelli medievali, le chiese e le cattedrali imponenti, le piccole montagne ricoperte da foreste e boschi, persino la gente sembrava la stessa di sette anni prima.

Sorrideva debolmente, osservando tutto ciò, anche se sapeva che la profonda ferita che i francesi gli avevano inferto non si era ancora rimarginata. Aveva percepito l’odio e il rancore serpeggiante e mai stroncato nei loro cuori quando li passava davanti.

Quella maledetta uniforme!

Non potevano conoscerlo poiché era mancato troppo da lì e lui era solo un bambino quando era partito per servire gli invasori. O meglio lo fu solo fisicamente, dentro non lo era mai stato, questo lo sapeva fin troppo bene.

Avrebbe tanto voluto parlargli nella lingua madre per rivelargli la propria identità, spiegargli che lui non li aveva dimenticati, abbandonando l’isola, che era ancora uno di loro, ma l'inconscio lo bloccava. Non riusciva a capire cosa fosse, non era affatto piacevole: si sentiva Bruto che pugnalava Cesare alle spalle!

Controllando i propri nervi prese la decisione di dirigersi verso la Casa dei Mulini, lì avrebbe sicuramente trovato un ambiente più favorevole! Sì, anche quel posto non era mutato: la piccola piazza, i due pini che ombreggiavano l’ingresso, e la casa accogliente e rumorosa.

Sua madre, povera...quante battaglie stava combattendo con tutti quei bambini! Ebbe un leggero senso di colpa per averla lasciata da sola. Pensò speranzoso che durante quel congedo l’avrebbe aiutata, lo considerava un debito che doveva saldare con sua madre.

Era ancora un sognatore...

 

   
 
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