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Autore: Spoocky    05/05/2019    4 recensioni
Sequel di "Peace on Earth".
Il tenente James Altham della Royal Navy è ricoverato allo Stonehouse di Plymouth per una brutta ferita ricevuta in combattimento. Stremato dal dolore, ha come unico conforto l'amico Tobias, che gli porta un regalo speciale.
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Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Periodo Napoleonico
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- Questa storia fa parte della serie 'HMS Valiant'
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Ed ecco che le sofferenze del nostro giovane amico giungono (per ora) a termine.
Ringrazio vivamente tutti coloro che hanno letto e leggeranno e chi si è prestato a lasciarmi un commento.
Un grazie in particolare a Saelde_und_Ehre ed Old Fashioned, perchè alla loro infinita pazienza ed ai preziosi consigli si deve questo capitolo.


Buona Lettura ^^

James era stremato e terribilmente confuso.
 Aveva sudato tanto che le lenzuola gli si erano incollate alla pelle ma un gelo inarrestabile gli era penetrato fin nelle ossa, sentiva un vago tepore solo nel punto in cui la sua schiena nuda premeva contro il materasso.
Da quando Tobias si era allontanato, la febbre ed il laudano lo avevano avvolto come una coltre pesante, un peso soffocante che gli premeva addosso, ottundendo i suoi sensi e trasformando le ombre in mostri.

Aveva la vista annebbiata e tutto gli appariva sfocato e tremolante, come se fosse sott’acqua.
La tenda che separava il suo letto dal vicino gli apparve come uno spettro orribile, che allungava gli artigli verso di lui per ghermirlo e divorarlo. Chiuse gli occhi per non vedere ma gli sembrava di avvertire il suo respiro gelido sulla pelle.
Le gambe pulsavano e bruciavano come se un fuoco impietoso le stesse divorando dall’interno. Non riusciva a descrivere nemmeno a se stesso il dolore che provava, era come se fossero state intaccate dal vetriolo e bruciavano, bruciavano all’infinito.

Entrò un uomo, un pastore gli parve di sentire.
Si accostò al suo capezzale e si chinò su di lui, quando gli stese una mano fredda sulla fronte, James gemette. Anche quel tocco leggero gli aveva provocato dolore, nonostante fosse tanto lontano dalle sue ferite fisiche.
Avrebbe voluto avere la forza necessaria per supplicare l’uomo di non toccarlo, di non provocargli altro dolore, ma quello interpretò il suo gemito come una richiesta d’aiuto e prese ad accarezzargli i capelli: “Povero piccolo! Anche Nostro Signore ha patito tanto sulla croce, bambino mio. In questo momento sei come lui.”

Nell’abisso del suo dolore e stordito com’era dalla febbre, James si chiese cosa c’entrasse in quel momento Nostro Signore e cosa avesse a che fare con lui dato che, per quanto ne sapesse, non era ancora stato crocifisso. Anche se il dolore che gli lacerava le gambe avrebbe potuto benissimo essere quello di un chiodo conficcato nelle ossa.

Il pastore segnò la fronte di James e lo benedisse, invocando la formula per il perdono dei peccati.
Il ferito recitò la risposta di rito senza rendersene conto, tanto era stravolto, ma il caparbio officiante non si arrese ed aprì il breviario: “Dal Vangelo secondo Luca. E uscì, e andò, com’era sua abitudine, al monte degli Olivi[1]…”

Da lì in poi James non sentì più nulla.

Non avrebbe saputo dire se avesse chiuso gli occhi e stesse sognando, se avesse avuto un qualche tipo di visione mistica o se fosse stato tutto reale. Però ad un certo punto vide un uomo di fronte a sé.
Era inginocchiato e nascondeva il volto tra le mani, sembrava scosso dai singhiozzi ma non emetteva alcun rumore.
Steso nel suo lettino, James avrebbe voluto dire qualcosa per consolarlo o mostrargli un poco di umana solidarietà ma la voce gli morì in gola e le braccia rimasero inchiodate al materasso, schiacciate da un peso immane ed irrigidite mentre le gambe erano ormai ridotte ad un blocco di agonia pulsante.
Eppure non poteva distogliere lo sguardo da quell’uomo: lo terrorizzava ed al contempo sembrava attirarlo verso di lui. Anelava e temeva insieme il momento in cui avrebbe abbassato le mani per lasciarsi vedere in volto.

Non avrebbe saputo dire quando accadde di preciso, ma quel momento arrivò senza che se ne accorgesse e si ritrovò a fissare il viso dell’uomo misterioso.
I lunghi capelli neri erano incrostati di sudore e sangue. Quest’ultimo sembrava trasudare, denso e vermiglio, dai pori dello sconosciuto fino a nasconderne i lineamenti.
James non sapeva se fosse davvero possibile una cosa del genere, ma a quel punto stava talmente male da pensare che a breve lo avrebbe sperimentato di persona.
Il viso sfigurato dell’uomo l’atterriva ma a spaventarlo ancora di più era il fatto che non si fosse alzato per raggiungerlo. Nel suo intimo sapeva che non avrebbe potuto farlo neanche volendo: perché quell’uomo non aveva più le gambe.
Immaginava, senza vederli, l’aspetto dei moncherini sanguinanti e lanciò un grido di terrore al pensiero che il dolore bruciante ai suoi arti inferiori fosse in realtà un lascito di parti ormai inesistenti. Non riusciva a muovere le gambe e, dalla vita in giù, sentiva solo dolore. Possibile che gliele avessero amputate mentre non poteva accorgersene?

Qualcosa si mosse alla periferia del suo campo visivo, distogliendo la sua attenzione dal corpo mutilato che gli si agitava di fronte. Sobbalzò sentendosi toccare la fronte ma poi si accorse che si trattava solo di un impacco freddo, un dolce sollievo dall’ arsura della febbre.
“Shh.” La voce era quella del mefitico sacerdote ma il tono era diverso, più gentile e sincero mentre gli rinfrescava il viso con la pezza: “Riposa tranquillo, bambino mio.  Non ti agitare: è tutto a posto.”
Dalle labbra pallide di Altham uscì un gemito sottile, quasi un pigolio più che una voce umana.
“Shh.” Ripeté il pastore “Dormi, piccolo. Dormi.”

La testa del giovane scivolò di lato e sprofondò nel guanciale, mentre tutto diventava improvvisamente buio.
 

Quando riaprì gli occhi la febbre doveva essere scesa un poco perché sentiva meno freddo e, per quanto avesse ancora la vista offuscata, la stanza gli appariva di nuovo quella di sempre.
Il dolore bruciante alle gambe si era ridotto ad un pulsare sordo ma, per esperienza, rimase comunque immobile: anche in un momento simile il minimo spostamento gli avrebbe causato una fitta lancinante, tanto forte da accecarlo come un fulmine a ciel sereno.

Il pastore doveva essersene andato a benedire qualche altra prossima salma perché al suo capezzale adesso era seduto Woodward.
Il medico gli stava reggendo delicatamente un polso tra le dita per contare i battiti. Lo vide sveglio e gli sorrise ma non gli rivolse la parola: sapeva che non avrebbe avuto la forza di dire nulla.
Altham sbatté lentamente le palpebre, un segno convenuto per far capire che lo aveva riconosciuto e che era relativamente lucido. 
Mentre il dottore proseguiva i suoi esami in silenzio, James voltò lentamente il capo sul cuscino, per guardare dalla finestra.

Il freddo sole di dicembre splendeva pallido nel cielo terso. Sapeva, pur senza scorgerne i segni, che in quel momento stava spirando una leggera ma gelida brezza e avrebbe volentieri rinunciato agli impacchi pur di sentirla solo per un momento sul viso.
Woodward, tuttavia, si era rivelato di ben altro avviso: “Debole come siete, tenente, il minimo alito di vento potrebbe causarvi una polmonite o peggio. La finestra si può guardare tranquillamente anche tutto il giorno ma non bisogna assolutamente toccarla: e su questo non transigo.”

I vetri sigillati, tuttavia, non gli impedirono di sentire il grido di un gabbiano, a cui presto fece eco quello di un compagno. Non passò molto tempo prima che potesse vederli svolazzare fuori dalla sua stanza, avvitandosi e rincorrendosi nel cielo fino a sparire oltre il muro di pietra.
Gli venne in mente Tobias e sentì una fitta di dispiacere nel petto al pensiero di averlo allontanato.
Subito però si sentì un egoista. Quella mattina il suo amico sembrava stravolto quasi quanto lui: aveva gli occhi arrossati e gonfi, la barba di due giorni gli adombrava le guance, e aveva la voce impastata.
Costringerlo a restare avrebbe significato sfiancarlo completamente, al punto che forse sarebbe svenuto. Non sarebbe stata la prima volta.

Per quanto gli pesasse la sua lontananza e gli mancasse come se non si vedessero da mesi, fu contento di essersi privato della sua compagnia. Perché era una decisione presa per il bene dell’altro, per tutelare il suo benessere.
Potendo scegliere, lo avrebbe convinto a riposarsi anche prima, nonostante né il medico né il pastore fossero riusciti a sostituire l’affetto che gli sembrava emanasse da Tobias.

Gli mancavano i suoi occhi, la sua voce, ed il suo sorriso. 
La sola presenza fisica dell’altro sembrava avere il potere di alleviare le sue sofferenze meglio di qualunque farmaco. Quando i mostri partoriti dalla febbre venivano a lambire il suo letto, il volto dell’altro gli era apparso come quello di un angelo, la cui voce dolce aveva il potere di scacciare quei demoni.
Ricordava le sue mani, strette intorno alle sue, oppure mentre scivolavano delicate tra i suoi capelli mentre cambiavano le medicazioni, quando con ogni pollice di garza sollevata pareva gli si riaprissero le ferite e la carne si lacerasse di nuovo, rinnovando il dolore ogni volta.
Tobias era stato l’unico vero conforto in quei giorni disperati perché, nonostante la gentilezza e l’indiscusso interessamento alla sua persona, Woodward ed i suoi infermieri lo accudivano per dovere ma lui lo faceva spontaneamente.

Ricordò con imbarazzo il momento in cui lo aveva supplicato di aiutarlo a togliersi la vita. Pur vedendolo in preda all’ angoscia più profonda, Tobias non aveva avuto vergogna di lui né lo aveva abbandonato.
Aveva accolto il suo sconforto come legittimo e lo aveva mitigato con le sue attenzioni.
I suoi piccoli gesti d’affetto continuavano a ricordargli come, nonostante stesse passando l’Inferno, oltre quel lettino maledetto esisteva ancora qualcosa per cui valesse la pena lottare e continuare a vivere. Era l’unico motivo per cui non si era ancora arreso alla sofferenza: se non lo avesse avuto accanto si sarebbe certamente lasciato morire.

Ricordò i suoi primi giorni da allievo: era talmente chiuso da non rivolgere mai la parola a nessuno se non formalmente obbligato.
Tobias si era seduto tutte le sere accanto lui, alla mensa, e aveva persistito a cercare di attaccare bottone fino a quando, complice una battuta idiota sugli squali, si era finalmente sciolto e abbandonato alla conversazione. Da quel giorno erano stati inseparabili.

Quel piccolo, caro ricordo gli strappò un sorriso mentre la debolezza lo sommergeva di nuovo come la risacca, facendolo sprofondare in un sonno esausto e senza sogni.

La pietanziera di terracotta emanava un piacevole calore contro il panciotto di Tobias mentre se la stringeva al petto. I suoi piedi rimbombavano sul ciottolato della strada che conduceva all’ospedale, i suoi caldi occhi castani, illuminati dalla luce morente del crepuscolo, sembravano persi nel vuoto.
Nel camminare dondolava leggermente, da una parte all’altra: la tipica andatura dei marinai abituati a compensare il costante rollio delle navi.
Ormai il portiere lo conosceva e lo lasciò passare senza dirgli nulla, ma lo sguardo contrito che ricevette lo mise in allarme.

Entrò nel reparto con il cuore in gola e trattenne il fiato fino a quando, scostata la tenda, vide Altham reclinato su due cuscini, sorretto in posizione semi seduta perché poetesse respirare più agevolmente.
Era ancora pallidissimo e teneva gli occhi chiusi, ma il magro petto nudo si alzava e si abbassava regolarmente sotto le lenzuola.

Alzandosi dal capezzale, il dottor Woodward gli si fece incontro con un sorriso stanco ma sincero: “E’ sfinito ma nel complesso comincia a stare meglio: pare anche che la febbre stia iniziando a scendere. Però, purtroppo, non c’è verso di farlo mangiare. Dopo il porridge di ieri non ha più toccato cibo.”
“Ma può mangiare? Intendo, se volesse farlo.”
“Deve mangiare, tenente.” Il medico calcò particolarmente la prima parola “Ne ha bisogno per mantenersi in forze. Vedo che avete portato qualcosa: potrebbe anche essere un maiale intero, non importa. Conoscete i suoi gusti meglio di me e, a questo punto, l’importante è che mangi. Ora, se volete scusarmi, devo fare il mio giro di visite. Con permesso.”

Habencroft si scostò per lasciarlo passare e si accostò al giaciglio dell’amico, dove sedette con precauzione sul materasso accanto a lui prima di deporre il contenitore sul comodino ed estrarre un fazzoletto, che gli stese sul petto.
James non reagì alle sue attenzioni ma non se ne fece un problema: alla sera spesso era talmente esausto da non riuscire a rispondere neanche volendo. Pur non essendo addormentato, non dava cenno di essersi accorto di nulla.
Anziché chiamarlo, Tobias gli passò una mano tra i capelli sudati, scompigliandoli leggermente. Allora il ferito sorrise e socchiuse gli occhi, ancora lucidi per la febbre.

“Ti sei ricordato.” Sussurrò, sentendo il profumo di vaniglia dal contenitore accanto al letto.
“Budino di pane.” Gli sorrise Tobias “Il tuo preferito.”
“La mamma me lo preparava sempre a Natale. Era il suo regalo speciale.”

La madre di James era morta quando lui non aveva ancora dieci anni ed il padre, un carpentiere a servizio dell’Arsenale di Portsmouth, lo aveva fatto imbarcare come allievo perché non in grado di provvedere a lui ed ai suoi due fratelli da solo.

Da quando lo aveva saputo, Tobias si era sempre adoperato per fargliene avere una porzione durante le Feste, fossero all’ Equatore o a Capo Horn: “Ti va di mangiarne un po’? E’ ancora caldo.”
“Non lo so, Toby. Mi è tornata la nausea e non vorrei stare male di nuovo.”
“Il dottore dice che devi mangiare, e oggi non hai toccato cibo. Solo un cucchiaio o due, James: per favore.”
“Toby non…” sospirò, un gesto tra il rassegnato e la frustrazione come solo Habencroft poteva suscitarne in lui.
“Qual è il problema?”
“Non ce la faccio da solo. Sono talmente stanco che mi tremano le mani.”
“Ti aiuto io, allora. Ma devi mangiare, James. Ne hai bisogno.”

Sapendo che l’amico avrebbe insistito fino al Giorno del Giudizio se non gli avesse dato retta, Altham si arrese e sopportò con pazienza che gli sistemasse il fazzoletto al collo e gli raddrizzasse un poco la schiena, sostenendola con i cuscini. Poi Tobias si pose in grembo la pietanziera ed estrasse da una tasca un tovagliolo legato da un nastro, da cui sfilò un cucchiaio che immerse nel dolce, avendo cura di raccoglierne vari strati, e lo accostò alle labbra dell’amico.
James avrebbe voluto piangere quando si sentì inondare la bocca da quel sapore famigliare. Il suo amico si era ricordato di non far mettere l’uvetta e di abbondare leggermente con la vaniglia, proprio come faceva sua madre.

Non riusciva a credere che fosse vero, che dopo il dolore e gli incubi di quella mattina Tobias fosse di nuovo al suo fianco. Per quanto umiliante fosse, si lasciò imboccare con pazienza.
Forse per la candela accesa al suo capezzale, forse per effetto del laudano, ma il volto dell’amico gli sembrava circonfuso di luce mentre con una dolcezza spiazzante soffiava sul cibo perché non lo scottasse prima di offrirglielo.
Il suo sorriso sembrava davvero quello di uno dei cherubini dipinti sul soffitto della chiesina che frequentava da bambino, e la sua voce era gradevole e calda, tanto diversa dal suo solito chiacchiericcio e dal suo riso sguaiato. Le sue mani erano più delicate del solito sul suo viso e tra i suoi capelli quando ogni tanto si fermava per accarezzarlo ed incoraggiarlo.

“Sai che hanno congedato Tippens?”
“Quel Tippens?”  
“Storto come un’ancora, utile come uno scandaglio rotto. Lui. Me l’ha detto Bill Richardson, l’ho visto al Seagull.”
“Sta bene?” Altham aveva appena un filo di voce, ma avere un po’ di cibo nello stomaco lo aveva ristorato e, pur di non sprofondare di nuovo nell’incubo di quella mattina, era più che disposto a fare conversazione.
“Sì e ti manda i suoi saluti, a proposito. E’ venuto in città per ritirare la paga ma dovrebbe ripartire domattina: sua moglie aspetta il primo figlio.”
“Ah. Non ha perso tempo.”
“No, infatti: si sono sposati a fine marzo, deve averlo a giorni. Voleva passare a trovarti stamattina, il buon vecchio Bill, ma non l’hanno lasciato passare. Stavi così male?”

Una breve pausa, in cui James masticò lentamente l’ultimo boccone e lo inghiottì prima di rispondere laconico: “Non mi va di parlarne, Tobias.”
“Va bene, tranquillo.” Habencroft ripose la pietanziera ormai semivuota sul comodino e gli sfilò il fazzoletto dal collo “Vuoi sapere perché hanno congedato Tippens?”
“Mi vengono in mente tanti motivi per cui avrebbero potuto farlo, ma sentiamo.”
“Beh, questa è esilarante: era al comando di una lancia, ora, chi possa dare anche solo una chiatta in mano ad uno storto del genere…”
“Vieni al dunque.”
“Fatto sta che avrebbe dovuto piazzarsi in fondo alla rada per arruolare di forza degli uomini da non so quale mercantile. Però si è confuso, non so come, con la Bellona che usciva dal porto e, quando non si sono identificati al suo comando – essendo pieno giorno non so che necessità potessero avere di farlo – ha cercato di abbordarli.”
“Da solo?”
“Sì, sì. Ovviamente l’equipaggio della lancia si è rifiutato di cooperare. Allora ha preso in mano il timone imprecando come un bufalo e ha manovrato per tagliar loro la strada.” Dovette fermarsi, quasi piegato in due dalle risate “Però non ha tenuto conto degli scogli e si sono trovati a doverlo ripescare, mettere agli arresti, e attrezzare una lancia che lo riportasse a terra.”
“Oddio.  Questo è troppo anche per  Storto Tippens. Quando è successo?”
“Dev’essere stato ieri o ieri l’altro. In città non si parla d’altro. Gli hanno risparmiato la corte marziale solo perché avrebbero perso del tempo per nulla: è incorreggibile.”

James però cominciava a crollare, la giornata era stata pesante e il dolore cominciava a serpeggiare di nuovo tra le pulsazioni dei suoi arti straziati. Sapeva che presto sarebbe montato di nuovo, salendo fino a travolgerlo, e si stava avvicinando l’orario per la dose serale del farmaco che lo avrebbe tenuto a bada.
Era talmente esausto da non avere dubbi: una volta che gliel’avessero somministrato avrebbe dormito tutta notte.
In quell’ ultimo momento di lucidità sentiva di avere ancora qualcosa da dire.
Prese la mano dell’amico nella propria e la strinse, catturando la sua attenzione.

Lo guardò dritto negli occhi e sussurrò, con il poco fiato che aveva: “Ti devo la vita, fratello.”
“Shh. Non dire nulla.”
“Mi dispiace che tu debba vedermi in questo stato.”
Tobias alzò gli occhi al cielo:  “Eccolo che ricomincia! Quante volte mi hai tolto le castagne dal fuoco, James? Quante? Quando ho preso quella sbronza colossale al Capo e ho rischiato di rimanere a terra, chi mi ha caricato in spalla e mi ha trascinato a bordo? O quella volta che ho mangiato quel frutto strano a Bombay? Ho vomitato per giorni e credevo sarei morto, chi mi ha retto la testa?” gli accarezzò il volto con la mano libera, spostando i capelli che vi erano caduti “Per me sei un fratello e ti voglio bene, non posso lasciarti solo in questo inferno. Non posso e non voglio.”
“L’ hai già detto.” Altham si lasciò sfuggire un sorriso stanco.
 “Sì, ma mi hai costretto a ripeterlo. Che testa sei! Prima di farti capire una cosa ce ne vuole!”
“Io però te l’avevo detto che quell’affare non sembrava commestibile. Ah!” Una fitta lancinante scosse il corpo del ferito da capo a piedi.

Intenerito, Tobias lo fece sdraiare, perché potesse riposare, e gli asciugò il sudore dalla fronte con la pezza bagnata, mormorando parole di conforto per tranquillizzarlo.
Il dottor Woodward aveva ormai fatto l’orecchio sui lamenti di James e accorse con il laudano.
Le palpebre di Altham si fecero pesanti ed il respiro rallentò.
Sentiva, più che vedere, l’amico seduto accanto a lui e strinse la sua mano quanto più forte gli riuscisse: non voleva rinunciare a quel contatto, aveva paura di cosa sarebbe potuto succedere se fosse rimasto di nuovo solo.

“Tranquillo, James. Sono qui e ci sarò ancora quando ti sveglierai. Riposa sereno, veglierò io su di te.”
L’ultima cosa che sentì, prima di abbandonarsi completamente all’abbraccio di Morfeo, furono le labbra di Tobias, che gli sfioravano una tempia: “Buonanotte, fratello.”
Per la prima volta, dopo giorni, si addormentò con un leggero sorriso in volto.
 
-  The End -
 
Note:
[1] Luca 22, 39. Dalla Bibbia di Re Giacomo, la traduzione è mia.
  
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