Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: KagomeSmile    06/05/2019    1 recensioni
Kayla Lilith Williamson fa parte di una lunga e forte famiglia di Licantropi. E' irriverente, scaltra, un po' stronzetta forse. E ha il fascino della mangiatrice di uomini. Dopo un anno e mezzo finalmente si rivede con la sorella gemella Maya Cautha Williamson, e le confida un segreto.
| Fantasy | Romantico |
[TITOLO PROVVISORIO]
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Maya Cautha Williamson aveva da poco sistemato la sala, nel suo piccolo appartamento londinese, e davanti allo specchio si stava sistemando i lunghi e lisci capelli color cioccolato scuro. Notò che aveva ancora delle tracce in viso della Luna Piena passata da appena 24 ore, e decise quindi di passarsi un po’ di trucco per mascherare il tutto. Sistematasi i capelli raccogliendo le ciocche attorno al viso dietro il capo con un elastico.
Quando qualcuno bussò alla porta, Maya si precipitò ad aprirla, tutta allegra e sorridente.
«Sorellina! Finalmente sei qui!»
Davanti a lei c’era Kayla Lilith Williamson, sua sorella gemella. Se di lineamenti erano abbastanza simili, lo stile di vestirsi e di truccarsi non poteva essere più differente. Maya adorava i vestiti eleganti e raffinati, un po’ casual in occasioni più tranquille. Kayla invece amava farsi notare, con i suoi lunghissimi capelli neri che sfioravano il sedere, gli occhi truccati come fosse una star e le labbra carnose rosso fuoco. Calze a rete, minigonna di pelle nere, con borchie laterali, canotta provocante rossa, inconfondibile chiodo nero sulle spalle e migliaia di collanine al collo. «Ciao Maya, sono contenta anche io di vederti!» Kayla allungò un braccio e strinse a sé la sorella.
«Sbaglio o sei dimagrita? Fai attenzione, non voglio che scompari.» fece Maya, facendo accomodare Kayla nella sala, su una comoda poltrona.
La corvina scrollò le spalle. «Il nero smagrisce. Secondo la mia bilancia ho addirittura preso 3 kg. Come va qui? Hai sentito mamma, papà o qualcuno dei nostri fratelli e sorelle?»
La famiglia Williamson infatti aveva parecchi figli, quasi una ventina, tutti di età diverse, ma ravvicinate fra loro, molti dei quali gemelli. Molti li temevano a Londra: erano molto schivi, silenziosi, quasi misteriosi e si relazionavano solo con certe persone. Ma tra loro, in famiglia, erano molto legati. In modo quasi mistico.
Maya scosse leggermente la testa. «Mi sento regolarmente solo con Bobbie, che è ancora a scuola e mi racconta cosa fanno gli altri.»
«Bobbino piccino. rise con scherno la corvina, passandosi la lingua sulle labbra. «Come sta? È ancora cotto di quella ragazzina stra-ricca?»
Maya alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva. Riempì due tazze davanti a lei di tè nero, porgendone una alla sorella, che allungò il braccio per prenderla «Sì, credo proprio di sì. L’ho convinto a provare a chiederle di uscire: insomma ormai sono amici da anni, ci sta no?»
Kayla alzò le spalle. «Ci sta perfettamente direi. Anzi, ha aspettato anche troppo.» fece alzando le sopracciglia e sfiorando col dito il bordo della tazzina. «Rosalie ed Helen? Combinano ancora guai?»
«Se ti sente che la chiami “Rosalie”…» cominciò Maya, con fare di rimprovero.
«Oh, per tutte le lune, Maya! È una ragazzina che si è trovata un soprannome tutto tranne che figo, e il suo nome è ancora Rosalie sulla carta, quindi che non rompa le…»
«Il linguaggio, per favoore
Kayla si limitò ad appoggiare con forza la schiena allo schienale della poltrona, quasi infastidita. «Come stanno Helene e… E “Lupa”?»
Maya rise, mescolando la propria tazza e annusandola con garbo. «Stanno bene. Per ora nessuno nota di demerito. Ma Bobbie mi ha confessato che ha dovuto portarla via di peso almeno 5 volte l’ultima settimana, perché stava per litigare con dei ragazzi dell’ultimo anno.»
«Ha uno spirito davvero da Licantropa, la nostra sorellina.» fece sorridendo divertita, ma gli occhi erano fissi sul proprio bracciale, ed erano quasi vitrei. «Kayla…» fece, con fare preoccupato Maya, e appoggiò la tazza col piattino sul tavolo. «Tutto bene? Ti vedo soprappensiero. Non è da te.»
«Mh?» fece come presa in contropiede e guardando la sorella. Maya la stava guardando intensamente negli occhi, che erano diventati di colpo gialli. Kayla sorrise appena, digrignando i denti e anche i suoi occhi si fecero color dell’ambra. «No, tutto bene.»
«Non puoi mentirmi, sorellina. Confessa.»
Kayla sbuffò, quasi infastidita, rimettendosi appoggiata allo schienale della poltrona, stavolta con la testa all’insù. «Ricordi che ti ho detto che sono stata in Italia per un po’ vero?»
«Sì. Non facevi altro che mandarmi cibo italiano. La mia bilancia non lo ha gradito in effetti. Ma il mio stomaco sì.»
«Oh, sì. In Italia si mangia divinamente.» confermò lei, sempre con la testa per aria e con l’acquolina già in bocca al solo pensiero. «Ma non è questo il punto. Devo confessarti una cosa. E non dovrà saperlo nessuno.» si rimise dritta, quasi con un balzo, e Maya sussultò quasi spaventata, perché gli occhi della corvina erano più seri che mai. «A nessuno. Neppure alla nostra famiglia.»
Doveva essere una cosa seria. Maya accettò, annuendo alla sorella e rimettendosi più tranquilla sulla poltrona e sorseggiando dalla propria tazza disse con voce ferma ma dolce al tempo stesso. «Lo prometto, Kayla. Dimmi tutto.»
Sbuffò di nuovo: non sapeva bene neppure lei da dove cominciare. Ma doveva farlo, perché ormai aveva tirato il sasso e non aveva alcuna intenzione di ritirare la mano. Sapeva bene che, parlandone con lei, alcuni dettagli più “scabrosi” avrebbe dovuto tenerli per sé, poiché Maya era molto impressionabile e con alcuni argomenti, nonostante i suoi 25 anni suonati, era ancora imbarazzata. Ma, forse, aveva davvero bisogno di parlarne a qualcuno. Perché quel fardello le impediva tante volte di respirare. Prese un grande respiro e cominciò a raccontare.


 
●●●


Mi sono trasferita in Italia, in realtà, perché stavo sfuggendo da uno psicotico Licantropo canadese: si era convinto che dopo un paio di notti di divertimento tra noi due io volessi essere la sua Alpha. Povero piccolo idiota. Ad ogni modo, trovai un posticino in un hotel vicino a Milano, e poi comprai proprio una casa, che è ancora mia attualmente. La casa era un appartamento, poco fuori Milano, piccolo ma grazioso, avevo anche una stanza in più che avevo adibito a piccola palestra, con un angolo per la luna piena. Avevo anche trovato un impiego in un centro postale: niente di che, in realtà. Dovevo solo aiutare a sistemare dei documenti e talvolta i vari pacchi. Una noia indescrivibile.

Una sera in cui al lavoro mi ero particolarmente annoiata, mi sono recata in un bar in centro per bere un po’. Ora, sappiamo tutti che ho un effetto calamita sugli uomini, e quella sera ne ho dovuti allontanare un bel po’. Ma avevo notato fin da subito che un ragazzo mi stava fissando da ore, senza però mai provare ad avvicinarsi. Era molto bello: coi capelli castani, gli occhi verdi e due spalle grandi come un sollevatore di pesi. Non era un Licantropo, lo sentivo dall’odore. Era un umano. Ma, per non so quale motivo, mi stava incuriosendo. Prima di andarmene, con ancora il bicchiere in mano mi sono diretta al suo tavolo, mi sono seduta davanti a lui e gli ho parlato per la prima volta.
«Hai finito di fissarmi da lontano? Mi consumi.»
Lui era scoppiato a ridere, ma non era imbarazzato: sembrava più divertito di me. «Però sono riuscito a farti avvicinare a me.»
Colpita e affondata. Sorrisi per mantenere un certo tono, ma dentro di me urlavo: aveva ragione.
«Touché. Devo ammetterlo.» sospirai, cercando di calmare il fastidio interiore. «Allora, posso sapere il tuo nome, furbetto?»
«Mi chiamo Andrea. Mi chiamo Andrea Ferrante. Tu?» mi allungò la mano, per presentarmi, e gliela strinsi con forza. Non volevo fargli notare che mi data ancora fastidio che mi fossi avvicinata io.
«Kayla. Kayla Williamson. Piacere di conoscerti, Andrea.»

Non so bene come sia successo, ma alla fine ogni sera ci vedevamo in quel bar, e parlavamo per ore, ridevamo pure, e anche tanto. Ed era pazzesco il fatto che per la prima volta in vita mia avevo davvero voglia di conoscerlo, in tutti i sensi. Mi conosci, sorellina, solitamente amo divertirmi e basta. Magari anche più volte con lo stesso, ma dopo un po’ mi annoio e mi allontano dando un taglio netto.
Ma con Andrea era diverso: mi divertivo anche senza finirci a letto, e avrei passato anche tutta la notte a parlare con lui, a ubriacarci insieme e a fare gli imbecilli.
Una sera, Andrea mi chiese un’uscita diversa. Mi portò in un ristorante italiano molto chic, io mi sentivo un po’ fuori luogo, ma anche lui stava in polo e jeans, quindi non mi preoccupai molto. Mangiammo carne, ovviamente, anche perché si avvicinava la luna piena, e avevo troppa voglia di addentarla. Offrì lui quella sera e una volta usciti mi accompagnò a casa, fino davanti alla porta dell’appartamento. Pensavo volesse arrivare al dunque, e glielo proposi davvero.
«Perdonami Kayla.» rise lui, quasi divertito. «Ma sono un uomo all’antica, e preferisco fare le cose con calma.»
«Prego?» non feci in tempo a continuare la mia frase, che lui mi tappo la bocca con la sua. Fu un bacio dolce, devo dire. Ma anche ardente di passione. Una cosa mai provata prima. Una volta che si staccò mi sorrideva con aria vincente. «Buona notte, Kay. A domani.» e se ne andò, lasciandomi davanti alla porta tutta infuocata. Ammetto che in quel momento volevo staccargli la testa. A morsi.

Andò avanti così per mesi, non scherzo, stavo per impazzire. Quando finalmente arrivammo “al dunque” fu qualcosa di bellissimo. Forse è vero: l’attesa aumenta il piacere. Oppure, semplicemente, Andrea era bravissimo. Mi riempiva di attenzioni, di regali e di amore, ma la cosa non mi stava dando alcun problema. Non mi dava fastidio, non mi annoiava mai. Anzi. Ormai quasi viveva a casa mia, e passavamo giorni, settimane e mesi insieme, a cucinare, mangiare, dormire e… fare le cose da grandi.
E anche fare la spesa assieme per la settimana era diventata una cosa normalissima per noi.
Una mattina, dopo una notte passata tra coccole di vario tipo, ancora sdraiata a letto, ma con la testa penzolante da un lato per vederlo mentre si vestiva gli chiesi, senza troppe cerimonie.
«Cosa siamo?»
«Come?»
«Cosa siamo noi due? Siamo… una coppia?» solitamente questa parola mi da il disgusto: forse perché nella nostra famiglia una “coppia” prevede una cerimonia, poi un matrimonio e nel giro di pochi anni almeno due figli e una nuova gravidanza. “Per ampliare la nostra famiglia” diceva con felicità nostra madre, perennemente con il pancione. La cosa mi dava la nausea. Non che non volessi dei figli, mi sarebbe sempre piaciuto. Ma sicuramente non voglio riempire con la mia prole un condominio intero, ecco. E non per forza con un Licantropo come noi. Non mi interessa “cosa” sia.
Andrea non sembrava sorpreso, ma sorrideva felice. «Direi di sì. No?» domandò guardandomi negli occhi e interrompendo l’allacciamento della camicia che si era posato sul torso pochi secondi prima.
«Direi di sì.» scattai a sedere, dandogli le spalle, e mi guardai le mani. Se eravamo una coppia, una coppia seria, forse avrei dovuto dirgli la verità. Fino a quel momento, nelle notti di luna piena, mi ero limitata a dirgli che andavo a trovare mia nonna che non stava bene la notte e che la sua badante era in ferie. Ma ormai la scusa era parecchio banale.
«Tutto ok, Kay?» mi cinse le spalle, tirandomi verso di lui, ed io ispirai il suo odore.
«Sì.» gli sorrisi, per rassicurarlo. «Tutto bene. Sono solo ancora in post sbronza.» risi divertita, provocando anche in lui una risata sincera.

Il tempo passava e si avvicinava nuovamente la luna piena. Non mi ero preparata un discorso, ma doveva saperlo in qualche modo. Sarebbe stato in pericolo altrimenti.
«Andrea…» cominciai una sera, mentre eravamo seduti al tavolo dopo una cena piuttosto gustosa. Giochicchiavo col bicchiere ancora pieno di vino rosso, e lui stava seduto davanti a me, a sorseggiare il suo guardando di sottecchi la tv.
«Sì? »
«Devo parlarti di una cosa. Importante. Ma devi starmi a sentire fino alla fine. E se dopo non vorrai più avere a che fare con me…»
Dovrò ucciderti” pensai, ma non potevo dirlo. Mi limitai a dirgli che avrei capito, deglutendo a fatica il rospo spinoso in gola.
«Certo, dimmi pure. » Spense la tv e mi diede tutta la sua attenzione. Giuro, cara sorellina, che non ricordo cosa gli dissi. Non ricordo che parole avevo usato per descrivere la nostra famiglia, il nostro sangue e la nostra identità segreta notturna. Ma, magicamente, lui non ne fu sorpreso. Mi confesso di aver sempre creduto all’esistenza di creature soprannaturali e che forse, molti anni prima, aveva conosciuto una sirena. Ovviamente le sirene non esistono per davvero, si sono estinte milioni di anni fa, e alla sua affermazione mi sono limitata ad annuire. Ma ero molto sorpresa della sua reazione. Non era spaventato da me. Al contrario era incuriosito e voleva aiutarmi in ogni modo. Mi prese l’alcolico che mi aiutava a placarmi in quelle notti e pochi giorni dopo, prima della fatidica notte, me lo porse per fare un brindisi.
«Alla mia lupa preferita!»
«Tu sei tutto matto, lo sai?»
Andre rise, dandomi un buffetto sulla guancia. «Ma sono il tuo matto, no?» si sedette sulla poltrona, buttando giù mezzo bicchiere e guardando poi intensamente il contenuto rimasto. «Mi spiace solo di non poterti aiutare più di tanto.»
«Se provassi ad uscire con me in quelle condizioni rischieresti al vita. Non ne vale la pena.»
«Perché sono umano.» fece, come se avesse avuto una illuminazione.
«In effetti, sì, Andre. È perché sei umano. Sei fragile. E per la lupa dentro di me sei un pasto fresco in movimento!»
Si alzò di scatto, avvicinandosi a me, vittorioso. «Ma se fossi come te, allora…»
Smisi di bere, guardandolo stralunata. «Prego?»
«Se… Se potessi diventare come te… Se mi mordessi, potrei diventare un licantropo anche io e allora… E allora potrei aiutarti…»
«Scordatelo.» dissi con ferocia. No. Non esisteva. Non avrei condannato l’uomo che amavo, per mille lune, sì, lo amavo alla follia, alla mia stessa maledizione.
«Ma pensaci, piccola…» mi prese le mani, che ancora tenevano il mio bicchiere. Fuori delle nuvole minacciavano la pioggia, ed io potevo già sentirne l’odore. I miei sensi si stavano già ampliando per la notte. «Potremmo stare insieme. E andrei bene anche ai tuoi genitori.»
«Non saresti di sangue puro, solo un ibrido nato da una pura, non è la stessa…» scossi la testa, abbassando il capo e concentrandomi con tutte le mie forze. Dentro di me una rabbia cresceva a poco a poco: la potevo sentire. Era come un fuoco che partiva dallo stomaco e mi prendeva ogni cellula. Guardai il cielo alla finestra dietro di me: doveva mancare ancora un’ora al tramonto. «Andrea non posso farlo.»
«Certo che puoi!» sorrise positivo, mentre continuavo a scuotere il capo, leccandomi il labbro. «Tesoro, basta che mi mordi. E poi tutto andrà a posto!»
 
«Non è come dicono quegli stupidi libri fantasy! Essere come noi… come me è una maledizione! Tutta la tua vita ruoterà attorno a questo, avrai mille problemi e… e potremmo avere problemi anche con i bambini!»
«In che senso?»
«Mordendoti potresti perdere la possibilità di avere figli.»
«Adotteremmo allora.»
«NO!»
«Ascolta, è una cosa che devo scegliere io, no? È il mio corpo e la mia vita. E a me sta bene. Sul serio.»
«A te sta bene perché non sai cosa vuol dire davvero essere così…» Mi staccai da lui, andando verso la libreria e indicandola quasi con disgusto. «Belle le favolette in cui siamo pericolosi solo quando ci arrabbiamo vero? O che ci trasformiamo solo quando siamo arrabbiati, o che siamo caldi o altre stronzate simili!»
«Beh, senza offesa, ma non è che la Meyer sia una scrittrice con la “s” maiuscola, eh. La sua trilogia fa piuttosto…»
«Devo stare lontana ogni giorno anche dalle donne con il ciclo, perché sento l’odore di sangue, e solo Dio sa quanta voglia mi viene di lacerarle la gola e divorarmela! Se in un parco un bambino si sbuccia, a due kilometri di distanza da me, io lo sento. Sento il sangue. Sento il suo richiamo. E devo combattere contro il mostro dentro di me per non andare a caccia. E non parliamo di quando la notte di luna piena devo trasformarmi appena la luce lunare colpisce il mio corpo! E vogliamo parlare del fatto che con un solo braccio posso sollevare un elefante senza avvertire fatica?! Hai idea di cosa significa fingersi umani quando si ha tutto ciò?!» mi misi le mani tra i capelli, cercando di calmarmi, perché lo sentivo. Sentivo che stavo perdendo il controllo. E non potevo permettermelo. Non qui. Non davanti a lui. Non con lui. «Tu non hai idea del dolore fisico… Senti tutte le ossa che si spezzano in molti punti e poi si ricompongono… Non è una passeggiata. Urliamo durante la trasformazione, ma non è per l’adrenalina. È per il dolore. L’adrenalina arriva dopo.» mi inginocchiai a terra, abbracciandomi come per contenermi. «Non posso condannare la persona che amo di più nella mia vita ad una cosa così orribile…» mi uscì con voce tremante, come una bambina impaurita.
E’ vero, sorellina. Avevo paura. Davvero tanta paura. Non potevo fare una cosa simile, la sola idea che lui potesse avere la nostra maledizione mi faceva morire.
Andrea si precipitò da me, abbracciandomi così forte che mi sembrò che tutto il mio corpo si stesse ricomponendo. «Va bene, Kay. Va bene. È tutto a posto ora. E…» si allontanò un poco, giusto per rispecchiare i suoi occhi ai miei. «Ti amo anche io.» Mi baciò delicatamente e quella notte, ci puoi giurare sorellina, è stata la notte di luna piena più tranquilla di tutta la mia vita. Mi aveva addomesticata. Con un bacio.

Da quella notte passarono due anni, in cui io e Andrea continuavamo a stare insieme, e ormai progettavamo sul serio il matrimonio e i figli. Mi disse che voleva presentarmi alla sua famiglia, che però al momento era fuori d’Italia e dovevamo aspettare ancora un po’ per vederli. Mi raccontò che fino a pochi anni prima si occupava di sua sorella minore, una bimba dai capelli rossi di nome Ginevra. Mi disse che avrebbe tanto voluto farmela conoscere, e che mi sarebbe piaciuta subito sicuramente. Mi disse che suo padre non lo aveva mai conosciuto, che sua madre era morta pochi mesi dopo la nascita di Ginevra e che il padre della piccola li aveva abbandonati poco dopo. Andrea e Ginevra erano cresciuti con i nonni materni. Io gli parlai di te e di tutti gli altri. Rimase sbalordito a sentire quanti fratelli e sorelle avessi e mi disse che voleva conoscervi tutti.
Eravamo felici, Maya. Davvero felici. E non lo sono mai stata così in vita mia.
Poi un giorno, dopo una luna piena particolarmente difficile, siamo usciti per prenderci un panino. Era l’alba, non c’era nessuno in strada, a parte noi che ridevamo sottovoce per non disturbare. Stavamo scherzando sul fatto che la nostra famiglia ha già preso un sacco di nomi che ci piacevano per i nostri futuri figli. Quando degli uomini ci hanno accerchiato. Avevano dei coltelli e una pistola. Andre gli diede tutto ciò che aveva in tasca e feci lo stesso anche io, in preda al panico perché nonostante la mia forza sovraumana in quel momento ero troppo distrutta per usarla. Cercai di reagire, all’inizio, ma quelli mi schernivano. Sentivo la mia rabbia crescere, ma ero troppo debole. Per mille lune, per la prima volta ero più debole di uno stupido omuncolo umano. Pensavamo si limitassero a rapinarci e basta. Ma non gradirono i nostri sguardi. E iniziarono a picchiarci. Non so bene chi, ma qualcuno mi colpì alla nuca, e per un po’ persi i sensi: ero intontita, debole e bloccata da un paio di loro, che mi avevano tirata su di peso. Poi uno prese il coltello e iniziò a infilzare il ventre di Andrea. Cercai di divincolarmi per cercare di salvarlo, mentre urlavo con tutta la voce che avevo in corpo. Ma quelli continuavano a colpirlo, e Andrea cadde a terra privo di vita. Colpirono anche me, ma solo con le mani e i calci e mi lasciarono priva di coscienza in mezzo alla strada.

Mi sono risvegliata in ospedale, dove per fortuna avevo una conoscenza, licantropa anche lei, che nascose i risultati reali del mio sangue, e mi disse che ero stata fortunata: solo una frattura alle costole. La mia forza sovrumana in qualche modo mi aveva aiutata.
«Il tuo amico però… Era troppo grave. Quando è arrivata l’ambulanza era già morto. Mi spiace.»
Non ho idea di quanto ho pianto e urlato. Mi hanno dovuta sedare per farmi stare calma. E una volta a casa… presa dalla rabbia ho distrutto tutto, urlando e piangendo. Non so come, devo essermi addormentata, forse sono svenuta tra le macerie, non ricordo. Mi sono risvegliata il giorno dopo e ho sperato fosse tutto un incubo. Ho avvisato la famiglia di lui con una chiamata. Mi conoscevano già telefonicamente. Sua nonna era distrutta, suo nonno scoppiò a piangere mentre mi parlava. Sua sorella, per fortuna, non c’era. Non so quando glielo hanno detto come ha reagito.


 
●●●


Finito di raccontare, Kayla si ritrovò rannicchiata sulla poltrona, le mani che torturavano il bracciale di velluto nero, regalo di Andrea anni prima, e lo sguardo fisso sul tavolo davanti a sé. Alzò gli occhi per incrociare quelli della sorella.
Maya era davanti a lei, seduta sulla poltrona, con le mani sulla bocca, gli occhi spalancati e strabordanti di lacrime, che le stavano bagnando anche i vestiti.
«Oh, Kayla… Tesoro, mi spiace così tanto…»
Kayla cercò di sorridere, alzando le spalle. «Non importa. Evidentemente l’amore non fa per me.» cercò di annuire, sorridendo poco convinta. Ma quando sentì una spada conficcarsi nel petto a tradimento, si ritrovò a piangere di nuovo, e sua sorella, balzò su di lei per abbracciarla forte e consolarla. Kayla urlava e piangeva, dando finalmente sfogo al suo dolore a qualcuno che la conosceva forse anche meglio di lei stessa.

Non le aveva detto tutto, in realtà. Non le aveva detto che, dopo averla picchiata, uno di quei criminali abusò di lei, per poi lasciarla in un lago di sangue. E non le aveva neppure detto, che un mese dopo, durante la luna piena, lei li aveva ritrovati, sbranati in modo talmente selvaggio che non pensava potesse far parte di lei. Non le aveva raccontato che i pochi resti che restavano di quelle fecce li aveva gettati nel Naviglio, all’alba. E che poi era tornata a casa per farsi una doccia in tutta tranquillità. Il dolore era ancora forte, ma sentire il sangue e la carne nel proprio corpo, le aveva dato un po’ di calore.
Il dolore non l’avrebbe mai abbandonata. Sarebbe sempre rimasto dentro di lei, e alla sera sarebbe andato a trovarla, facendole ricordare tutti i momenti di felicità con Andrea e la loro tragica fine. Il volto insanguinato e contorto dalla morte, sempre fisso nella sua testa.


____________________________________________________________________________________

Inizialmente voleva renderla una storia a capitoli, ma in realtà devo dire che mi piace anche così. Se avrò altro da raccontare potrei fare nuove one shot su Kayla, perchè è un personaggio che ho creato per un'altra fan fiction, che però non vedrà mai la luce. Quindi perchè non renderle giustizia con una fanfiction tutta sua?
Vi chiedo gentilmente di lasciarmi una recensione, anche piccina picciò, fa sempre molto piacere!
Un bacio a tutti,
La vostra Kagome Smile ~
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: KagomeSmile