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Autore: Urban BlackWolf    06/05/2019    5 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Mamoru Kiba, Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Radici spezzate

 

Erano trascorsi sette giorni da quando la padrona di casa, Haruka, aveva stretto con lei un patto ben preciso. Una semplicissima stretta di mano che aveva dato vita alla stipula di un contratto verbale che legava Michiru Kaiou all’azienda vinicola Tenou. Il suo lavoro, la costanza, la forza delle sue braccia, la dedizione nel volere imparare, in cambio di vitto, alloggio, della riparazione della sua auto, per un meccanico come la bionda vero e proprio punto nodale di quell’equo scambio e la cosa che alla forestiera premeva di più; la discrezione. E quella c’era stata sin da subito. Nessuna componente della casa aveva infatti contravvenuto a quella richiesta, nonostante si fossero impegnate a dare ricovero e lavoro ad una perfetta sconosciuta.

Haruka aveva accettato la cosa come se il non sapere neanche il cognome di quella bella donna venuta da chissà dove e trovata come un randagio sul ciglio della strada, fosse una normalità. Da par suo, Usagi aveva visto in quella buona azione un viatico per il costante nervosismo della sorella maggiore nei confronti del suo rapporto con Mamoru Kiba. Erano infatti calate e di molto, le discussioni giornaliere in merito alla cosa, come se la bionda non volesse far capire a Michiru, che invece aveva compreso benissimo, il disagio che sentiva forte nei confronti di un rapporto per lei tanto squilibrato.

E di questa sorta di tregua, che poi tanto tregua non era, Usagi era grata. La simpatia immediatamente riversata sull’estranea si era presto tramutata in un’alleanza dove Michiru figurava come una spalla silenziosa che pur non permettendosi di metter bocca in faccende familiari che non la riguardavano, remava dalla sua parte con sguardi e sorrisi dolci. A tavola, in cucina ed in qualsiasi altro posto il nome dell'uomo saltasse fuori, Michiru le dava coraggio con la semplice presenza, come se capisse il suo disagio emotivo, come se avesse lei stessa, in prima persona, affrontato quelle logoranti discussioni.

“Haruka non riesce ancora a capire, piccola Usagi, ecco perché cerca in tutti i modi di proteggerti. - Le aveva sussurrato dopo il primo divieto di uscire al quale la forestiera aveva assistito. - Credo sia il suo modo di volerti bene. Non sono affari miei, ma vista da fuori sembra proprio così e l’unico consiglio che ora posso darti, è quello di non punzecchiarle troppo i nervi parlando sempre di lui.”

Un discorso semplice, maturo, che però non convinceva assolutamente una diciassettenne innamorata. Usagi ascoltava, sospirava, la guardava come un cucciolo per poi tornare a fare come le pareva innescando la bionda a nuove occhiatacce, grugniti, divieti e punizioni completamente inutili.

L’unica a non vedere di buon occhio la decisione del capo famiglia di prendersi in casa quell’estranea, era Minako. La questione non toccava la sfera affettiva, perché a differenza di Haruka, l’altrettanto bionda non aveva mai sofferto di gelosia, anzi, non le dispiaceva affatto che la piccola di casa Tenou vedesse in Michiru uno sfogo, una prospettiva meno provinciale con la quale approcciarsi, ma per il resto, quella donna proprio non le piaceva. In merito aveva persino discusso con Haruka e la sua decisione di prenderla a servizio.

“Avresti anche potuto consultarti con me! Ti ricordo che l’azienda è anche mia Haru!”

“Su Mina, non farla tanto lunga.”

“Ma di un po’, hai gli ormoni impazziti o cosa?! Ti rendi conto che non conoscendone neanche il cognome non possiamo farle un contratto o assicurarla? E l'Ispettorato del Lavoro? E se dovesse farsi male? Vuoi sulla schiena anche una denuncia?!”

“Oddio e non vedere sempre tutto nero! Perché poi dovrebbe farsi male?!”

“Perché le cose accadono Haruka e non possiamo farci proprio niente! A volte sei proprio come la mamma.”

“Minako piantala! Pensa al fatto che ci servono braccia e che con i conti in rosso non possiamo più assumere. Pur priva d’esperienza Michiru lavorerà per noi non volendo in cambio nulla!”

Avvicinandosi tanto da sentirne il calore del viso, la minore aveva accettato la cosa dandole però un’avvisaglia. “L’ultima parola spetta a te, ma lascia che ti dica una cosa: stai attenta a quella donna o finirai per farti male Haru.”

Yaten, il suo attuale ragazzo, aveva invece pensato che l’antipatia di Minako dipendesse dalla pura gelosia. La pietra dello scandalo era stato un apprezzamento alla classe della forestiera e da li la ferma convinzione della biondina nel non giudicare come oro tutto quello che riluce.

“Sei forse invidiosa?” L’aveva canzonata lui addentando il cremino che gli aveva portato come goloso spuntino tra un carico di terra e l’altro.

“Non essere sciocco! E di cosa poi? Mi fa piacere che Usa le ronzi sempre intorno, mi scarica la coscienza sul fatto che con la vendemmia alle porte non possa farlo con me. Oppure credi che debba preoccuparmi della sua bellezza?” Aveva chiesto maliziosa scansandosi con un gesto secco una ciocca dorata dal collo.

“Per quanto m riguarda tu non devi preoccuparti di niente, ma… c’è sempre Haruka.”

“Non è il suo tipo! Ed anche se lo fosse credo che a differenza di Usagi, sia grande e vaccinata per poter decidere da sola se farsi male o meno.

“Stavo solo scherzando Mina e poi credi davvero che possa esserci una donna al mondo capace di far soffrire il nostro capo?”

Lei aveva allora sorriso tristemente. “O Yaten, ti ho già detto di non far caso a tutte le voci che circolano sul conto di Haru e dai retta a me, quella Michiru è proprio la donna che potrebbe polverizzarle la corazza e stritolarle il cuore. Chi non ha rispetto per la sua vita, non l’ha neanche per quella degli altri.”

“Cosa intendi dire?” Sputando il legnetto del gelato in mezzo ad una frasca aveva riacceso il motore non capendo.

“Nulla, non farci caso. Ora torna al lavoro o il capo ti striglierà a dovere.” Così issandosi sul mezzo l’aveva baciato sulle labbra e dopo un occhiolino era saltata sullo sterrato polveroso inforcando la bicicletta pronta a tornarsene a casa.

Già; il rispetto della vita altrui. Minako era fermamente convinta che gente del calibro di Michiru, ricca, a suo modo potente, fascinosa quanto basta per irretire le persone, fosse pericolosa al pari di un’inondazione o una siccità prolungata e non vedeva l’ora che si togliesse dai piedi.

Non reggerà ancora per molto il peso di questo lavoro. Pensava con una punta di sadismo ogni volta che la vedeva gironzolare come una mosca impazzita tra i viottoli della masseria con i suoi vestiti addosso. Sempre più stanca. Sempre meno reattiva.

Ma Minako Tenou non aveva messo in conto il carattere granitico di una musicista abituata alla ferrea disciplina della classica. E come avrebbe potuto non conoscendola e fermandosi solamente all’apparenza. Ed infatti, se pur devastata da dolori muscolari nati in varie parti del corpo per lei completamente sconosciute, la forestiera arrivò a passare indenne la prima settimana di lavoro, tanto che Haruka iniziò a pensare d’istruirla in qualcosa di più impegnativo che il fare avanti ed indietro con cassette di legno tra le mani.

All’alba del settimo giorno, come in una biblica profezia, la bionda la chiamò all’aperto infilandosi i guanti da lavoro.

“Oggi vorrei farti guidare.” Iniziò pragmatica fissando il cielo bluastro.

“Va bene. Vedrai che non andrà come l’ultima volta.” Sorrise riferendosi alla sua Mercedes.

Stringendo le labbra in quella smorfia che Kaiou aveva imparato a riconoscere come un chiaro segno di scherno, la bionda non raccolse la battuta. Indicandole il suo garage le ordinò di andarsi a prendere un paio di guanti. “Sul banco di sinistra c’è una scatola gialla. Prendi pure quelli che ti stanno meglio. Io ti aspetto dietro l’orto.”

“Ma servono proprio per guidare?” Chiese mentre la vedeva allontanarsi.

“Se non vuoi rischiare di perdere un dito… Fai come ti dico Michiru!”

Rabbrividendo ed arpionandosi d’impulso le mani, l'altra obbedì dirigendosi verso il silos. Non amava essere comandata, ma quel lavoro le serviva come, se non più del pane che aveva preso a trangugiare con avidità ogni sera, quando avvertiva lo stomaco aprirsi come una voragine senza fondo. Si sentiva fisicamente stanca, ma emotivamente vuota e rilassata come non le accadeva da tempo. Nessun concerto, nessuna telefonata, niente responsabilità. Via i sorrisi condiscendenti regalati alla dirigenza della Union Artists Foundation. Via i rospi ingoiati a forza per un compagno traditore. Perciò che importanza poteva avere lo stare sull’attenti di fronte ad una donna che non voleva far altro che mandare avanti l'attività di famiglia?

Arrivata alla porta di legno borchiato del mondo Tenou la spinse sporgendosi un po’ verso l’interno ombrato. La sua Mercedes era ancora li, proprio fronte uscita. Alla sua destra una Ducati rossa e poco oltre due moto da cross inzaccherate di fango solido. Era con quelle che Haruka e Minako si muovevano per andare e venire dalle vigne.

“Dunque, il banco di sinistra.” Si disse scansando un poco l’anta per entrare.

Si avvicinò al bancale di truciolato notando l’infinità di cose che c’erano sopra. Pezzi di cavi elettrici, scatoline con dadi e bulloni di varia grandezza, pile e fusibili. Inchiodata al muro, una piastra metallica dov’erano appese chiavi inglesi e cacciaviti dal manico colorato. Michiru sorrise al caos controllato che rappresentava perfettamente la bionda. Spostando le iridi sulla superficie, scannerizzò tutto non vedendo però il contenitore giallo dove avrebbe dovuto trovare i guanti. Guadò allora al di sotto del pianale, ma notò solo scarpe, calosce e due scatoloni pieni zeppi di parti meccaniche. Scuotendo la testa iniziò a guardarsi intorno spostandosi verso il posteriore della sua auto.

“Tieni tanto alla puntualità, ma dovresti mettere in conto il disordine che regna qui dentro.” Borbottò come se avesse avuto Haruka presente mentre arrivava al portabagagli accarezzarlo con la mano.

Al suo interno c’era ancora un oggetto che amava portarsi sempre dietro, come una sorta di rete di sicurezza, ma che per assurdo era diventato ormai la sua zavorra. Restò per qualche secondo a fissare il bianco lucido della carrozzeria per poi spostare la testa in direzione di un grosso telo cerato che ricopriva una sagoma schiacciata sul finire dell’ambiente. Incuriosita gli si avvicinò tanto da notarne la patina di polvere che vi si era formata sopra. Evidentemente qualsiasi cosa ci fosse stata sotto non vedeva la luce da un infinità di tempo.

Come attratta allungò la mano quando la voce di Minako irruppe nell’ambiente. “Cosa stai facendo?!”

Bloccandosi di colpo l’altra voltò di scatto il busto dilatando gli occhi. “O Mina, sei tu! Mi hai spaventata.”

“Perché sei qui? Chi ti ha dato il permesso di entrare?” Tagliente vide la forestiera riemergere dall’ombra.

Sentito il tono Michiru raddrizzò la postura preparando le difese. “Haruka. Dovevo prendere dei guanti.”

“E li cerchi li?” Chiese indicando con il mento la cerata grigia.

“Li cerco ovunque possano essere.”

“Non li, te lo assicuro… - Andando verso l’anta aperta la spostò rivelando la scatola gialla dimenticata a terra. - … e per il futuro ti pregherei di non ficcanasare più qui dentro.”

Afferrando un paio di guanti glieli porse. “Siamo intesi?”

Respirando profondamente la donna più grande li prese stringendoli tra le dita. Era ad Haruka che doveva obbedienza, non alla sorella e al suo assurdo modo di porsi. Sin da subito aveva avuto l’impressione di starle antipatica e quello poteva essere il momento giusto per mettere le cose in chiaro.

“Dato che ci siamo Minako, vorrei farti una domanda… Ti ho forse fatto qualcosa?”

“Non so a cosa tu voglia alludere.”

“Al fatto che mi tratti da cani ogni volta che ci troviamo vicine.”

La biondina sembrò divertita della cosa. “Non essere assurda! Ti ho solo pregato di non entrare più qui dentro. Ricordati che sei una dipendente ed è già una concessione grande il fatto che Haruka ti abbia dato un letto nel quale dormire. Perciò non ti sembra di doverle almeno la privacy che tu per prima hai richiesto?!”

Minako non era calma per carattere, ma con la crescita aveva capito che più si rimaneva freddi e meglio si riuscivano a controllare le discussioni ottenendo così il massimo. E l’altra accusò il colpo vacillando per qualche secondo.

“Ora se vuoi scusarmi…” Tagliò corto andando verso la prima moto da cross pronta ad afferrare il casco dimenticato penzolante sul braccio del manubrio.

“Non ti conosco, ma non ci vuole certo un genio per capire quanto ti stia sullo stomaco e se avessi un minimo di forza di carattere, lasceresti quel casco, ti volteresti e mi spiegheresti il perché!”

“Il perché? - E la voce le tremò leggermente. - Gente come te proprio non riesce a capire quella come noi, vero?”

“Cosa diamine vuoi dire?!”

L’altra sentì di stare sul punto di esplodere e non voleva. Provando a finirla li le ribadì di non entrare più nel silos.

Michiru continuò non volendo cedere. “Questo l’ho capito e ti chiedo scusa per l’ENORME errore appena commesso.”

L’aver sottolineato enorme con l’aiuto di una mano spezzò la corda e Minako partì in quarta. Abbandonando il casco sulla sella in due passi le fu addosso.

“Voi impaccati di soldi fate parte di una razza disgustosa. Vi ergete puri sopra di noi…, con i vostri bei vestitini, il parlare pulito, le auto di classe. - Un indice puntato alla maglietta della forestiera e sentì incontrollato un rigurgito di rabbia, come se le parole appena dette avessero avuto il potere di ascenderla. - Non pensate mai che c’è gente che sputa sangue per guadagnarsi il pane! Che scruta il cielo tutte le mattine sperando di arrivare a raccogliere ciò che gli servirà per vivere degnamente un altro anno! Che vive onestamente, con dignità e che magari arriva anche a morire per i vostri errori! Tu Michiru sei l’esempio più chiaro di tutto ciò che disprezzo e non riesco proprio a capire cosa diavolo ci trovino le mie sorelle in tutto quell’ammasso di falsità che sei!” Terminò quasi urlando ormai presa dalla foga.

Stordita per tanta acredine Kaiou rimase di sasso. Le mani serrate dimenticate lungo la piega dei pantaloncini di cotone che usava per lavorare. Le labbra in una posa amara. La fronte aggrottata.

“Si può sapere che state facendo voi due?! Mina a quest’ora avresti già dovuto essere sulla strada per la vigna del Bel Vedere e tu Michiru…, sono dieci minuti che ti aspetto! Non ho tempo da perdere!” Haruka entrò fissando prima l’una poi l’altra.

Senza rispondere la sorella riprese il casco infilandoselo ed inforcando la sella accese la moto con un gesto secco del tacco. Un ultimo sguardo di sfida alla forestiera poi sgasando un paio di volte schizzò all’aperto sparendo in una nuvola di fumo acre.

Arpionandosi i fianchi la bionda cercò spiegazioni. “E allora? Perché stavate discutendo? Vi si sentiva da fuori.”

Ma Michiru non rispose anzi, portandosi la mano libera dai guanti allo sterno, iniziò a prendere grosse boccate d’aria.

“Che c’è? Stai male?”

“Nulla. Non volevo metterci tanto, ma la scatola non era sul ripiano e così…” Lasciò cadere la frase mentre Tenou prendeva a maledirsi per avere una sorella tanto disordinata.

“E’ tipico di Mina non rimettere mai nulla dove l’ha trovato. Comunque sei pallida. Sicura di star bene? Guarda che se ti ammali non sei assicurata.” Concluse sorridendo, ma non cogliendo l’umorismo Kaiou la guardò scuotendo energicamente la coda di cavallo.

“E’ tutto apposto Haruka! Non mandarmi via!” E le si mozzò il fiato nella gola tanto che la bionda non potè fare altro che poggiarle una mano sulla spalla per rassicurarla.

“Hei… stavo solo scherzando! Non fare quella faccia.”

“Scusami.” Soffiò vinta.

“O Santo cielo, credevo fossi un tipo tosto ed invece basta una iena come Mina per affossarti?”

“No… è che…”

“Su dai, non prendertela. Dobbiamo andare in un posto e voglio che sia tu ad accompagnarmici. Coraggio!”

 

 

“No… No, no, no… No, io…. No!” Facendo un passo indietro Michiru scavò il brecciolino con il tallone come un piccolo somarello sulla strada di un mercato.

“Ti ho detto di fidarti… Non è più difficile che guidare una Mercedes.”

“Si… lallero!” Esplose guardando le scalette metalliche del cabinato che portavano al posto di guida.

In vita sua aveva messo le mani su parecchi tipi di volante; barche a vela, motoscafi, macchine sportive, ma mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe trovata davanti a quello. Di fronte agli occhi della sua incredulità un Landini Rex blu notte dalle borchie arancioni. Accanto alla sua spalla sinistra una bionda per lei completamente fuori di testa.

“Haruka non posso! Non so neanche come si accenda un trattore!”

“Con la chiave! - Disse issandosi allungando poi il braccio per invitarla a salire. - La guida su strada di questi gioiellini è tale e quale a quella di un’automobile. La differenza sta sul campo di lavoro, dove l’acceleratore a pedale si integra con quello a mano. Ma per adesso non ci interessa. Su, coraggio!”

“Non ti sembra azzardato? Perché proprio io che non ho esperienza?!”

“L’esperienza si fa sul campo e non certo rimanendo qui ferma come un’allocca. E poi non si era detto che avresti solo eseguito senza far domande? Ho bisogno che tu impari e alla svelta. Quando inizieremo la vendemmia ci servirà gente capace di manovrare questi bestioni. Io dovrò pensare alla coordinazione del lavoro e abbiamo solamente Yaten e Mina per coprire tutti gli ettari. Non vorrei, ma di Usagi ancora non mi fido e poi deve stare in amministrazione. Perciò…”

Per niente convinta la forestiera si avvicinò provando una mediazione. “Potrei starci io in amministrazione! Sono brava con i conti sai?! Ho già fatto danno con una semplice macchina, cosa pensi che accadrebbe se perdessi il controllo di questo?”

“Perché dovresti perderlo?! Avanti, non abbiamo tutta la mattina.”

Afferrata per la destra dalla salda mano di Haruka, Michiru si ritrovò seduta sul sedile di comando in una frazione di secondo. “Oddio. Come è alto.”

“Be, non ti sembra fantastico poter guardare tutto e tutti da quassù? E’ divertente non trovi?” E la faccia dell’altra, che in quel momento era tutto un programma, la fece ridere di gusto.

Fu la prima volta e Michiru ne rimase contenta. Allora anche quella bionda tutta d’un pezzo sapeva sciogliersi ogni tanto.

“Non offenderti, ma hai un concetto del divertimento tutto tuo Haruka.”

“Avanti, basta scherzare. La prima cosa è la comodità, perciò alza o abbassa la poltroncina come meglio credi.”

“Va bene così, grazie.” Sempre meno convinta Kaiou si schiacciò le mani al grembo.

“Bene. Allora i comandi base sono i due pedali del freno…”

“Due?”

“Si, due e si possono usare singolarmente, il che è una gran cosa soprattutto quando sei sotto tiro e devi effettuare una svolta con un raggio ristretto e questo capita spessissimo nelle vigne.”

“Perciò se spingo il pedale di sinistra vado a sinistra e viceversa?”

“Brava. Degli acceleratori ti ho già accennato mentre queste sono le leve idrauliche per azionare gli attrezzi trainanti.”

“Attrezzi trainanti?!” La guardò dilatandole contro il cobalto degli occhi e per reazione l'altra arretrò un poco il collo.

“S…sssi. Concentrati Michiru… - Voltandole la testa con mani le indicò un pedale più piccolo alla loro destra. - Questo è presente solo sui gommati ed aziona il bloccaggio del differenziale.”

“Che cos’è un differenziale?”

“Una cosa da non usare quando si svolta.”

“Perché... se no?”

“Se no ti ribalti tu con tutto il Landini… Il che non sarebbe carino!” Sentenziò alzando gli occhi al cielo mentre l’altra girava il sedile pronta ad uscire.

“Non se ne parla!”

“Dove vai?!”

“Scendo!”

“E no! - Afferrandola per la vita la rimise a sedere. - Mi serve aiuto e TU me lo darai! Se ti dico che puoi farcela devi credermi Michiru. Mina ha imparato a quindici anni… Perché non dovresti farcela tu che ne hai il doppio o giù di li?!”

Al sentire il nome di colei che poco prima l’aveva trattata come se non peggio di una pezza da piedi, la forestiera sentì nascere lo spirito della sfida ed afferrando il volante alle 10-22 ingoiò alzando il mento.

“Ok, adesso va meglio. Noto con gioia che sei un tipetto competitivo.”

“Ed io credo che tu lo sapessi già e te ne sia approfittata.”

“Scoperta.” Ammise grattandosi il naso.

Una volta messo in moto ed abituatasi al rumore e all’oscillazione dell’abitacolo, Michiru provò l’ebbrezza di far muovere il mezzo e guidata dalla bionda, iniziò a dirigersi verso il cancello secondario che dall’azienda si apriva sulla valle sottostante. Il sole stava sorgendo quando lentamente iniziarono a costeggiare il torrente che separava i terreni dei Tenou da quelli dei Kiba.

“Dove stiamo andando?” Urlò Michiru non osando staccare gli occhi dallo sterrato polveroso.

“Al ciclo di produzione, ovvero il cuore pulsante di questa attività. - Le rispose l’altra avvicinandole le labbra all’orecchio. - Sei troppo tesa. Cerca di rilassare le spalle o domani sarai tutta un dolore.”

Ti assicuro che non è facile, pensò l'altra quasi con stizza avvertendo subito dopo le dita di Haruka ai lati del collo.

“Ti piacerà vedrai. E’ li che nasce la magia.”

Sentendo la pressione esercitata sui suoi muscoli, per reazione Kaiou li contrasse ancora di più. Non era abituata ad essere toccata e meno che mai da una donna. Avvertendo un disagio Haruka stirò le labbra togliendo le mani.

“Dai un po’ più di gas.” Le sussurrò all'orecchio.

Serrando la mascella Michiru obbedì non riuscendo però a controllare l’aumento delle vibrazioni sul volante. “Trema tutto!”

“Se così non fosse staresti guidando una Lamborghini… - Sfotté sporgendosi in avanti per serrare le mani sulle sue. - Stringi meno. Sei tu che comandi, non lui.”

Se soltanto Haruka avesse immaginato che realmente quella donna aveva guidato una Lamborghini non avrebbe usato quell’esempio. Comunque funzionò. La presa della bionda le diede sicurezza e pur se non a pieno regime, il Landini fece il suo dovere portandole a destinazione. Immettendosi su per una breve salita, dietro ad un gruppo di giovani robinie cresciute al lato dello sterrato, apparve il famoso ciclo di produzione, ovvero la struttura che accoglieva la cantina dell'azienda vinicola Tenou; dal punto vendita all’amministrazione, dal vinificatore agli enormi cilindri metallici per la fermentazione del novello, dalla cantina vecchia dove si tenevano a riposo le bottiglie di rosso al piccolo studio di grafica dove si creavano le etichette.

Una volta spento il mezzo le due scesero dirigendosi all’entrata. “Lo so, non è grandissima, ma basta per dare parecchio filo da torcere ai pezzi grossi del settore. - Senza mascherare l’orgoglio Haruka le aprì l’anta lasciandola passare. - Ed eccoci qui!”

Kaiou sorrise all’entusiasmo quasi materno dell’altra. In effetti era un gran bel posto anche se piccolo rispetto alle case vinicole che aveva avuto modo di visitare in Florida o nel meridione francese. L'ingresso si snodava su due livelli; il primo a tutt’altezza, dedicato all’accoglienza e alla vendita al dettaglio, il secondo, un ballatoio metallico, era invece occupato dagli uffici.

Quello che la colpì non fu l’estrema pulizia o la disposizione ordinata degli spazi, consuetudine ovvia per un’attività come quella, ma la luce. Il bianco delle pareti e del pavimento erano enfatizzati da grandi lucernari che si aprivano sul tetto a doppia falda e da finestroni ad arco alle pareti. Una cosa che non aveva mai visto e che le fece nascere una domanda.

“Cos’era questo posto prima?”

Già con un piede sulla scala dai gradini completamente vetrati, la bionda la guardò stupita. “Una fabbrica di laterizi…”

“Acciaio, vetro…, mattoni a vista… - Indicò con il mento un degli imbotti dei finestroni. - Mi piace molto Tenou.”

Schiudendo le labbra in un sorriso Haruka l’aspettò contenta come una ragazzina. “I miei genitori acquistarono questa struttura una trentina d’anni fa, trasformandola in quello che è oggi.”

“L’attività di famiglia.” Sottolineò Kaiou lasciandosi guidare verso l’amministrazione.

“Esattamente! Vieni, devo prendere alcuni documenti, poi ti faccio fare un giro.”

”Da quanto tempo fate questo lavoro?”

“Da poco. Non pensare che tutto questo sia il frutto di generazioni di viticoltori, perché non è così. Quello che vedi è stata una visione di mio padre. Prima di metter su l’azienda lui e mia madre facevano altro.” Disse aprendole la porta di un ufficio.

“Pensavo il contrario.”

“Be, ti ringrazio. Abbiamo faticato tutti moltissimo per imparare questo mestiere.” Ammise richiudendo per poi dirigersi verso i cassetti metallici di un porta documenti.

Fu allora, guardando quell’ambiente tipicamente lavorativo fatto di mensole e plichi, che Michiru notò una cornice a muro riconoscendo le due persone ritratte. Erano le stesse viste in una foto nello studio di Haruka. Avvicinandosi per guardarli meglio ritrovò in quei visi estranei moltissimo delle sorelle Tenou.

“Sono i tuoi?”

L'altra confermò alzando un istante lo sguardo dalle etichette. “E’ stata scattata cinque anni fa.” Disse afferrando ed aprendo la cartellina che stava cercando.

Michiru si perse in quell’immagine. Un uomo ed una donna in maniche di camicia, abbracciati. Sorridenti. Felici. Sullo sfondo le colline ammantate dai vigneti. Rivide negli occhi chiari di lei lo stesso azzurro di quelli di Minako ed Usagi e nel verde di lui, quelli di Haruka. I capelli chiari, la carnagione abbronzata di chi è abituato a lavorare sotto al sole.

“Bella coppia, vero?” La voce calda della bionda le arrivò alle spalle facendola quasi sobbalzare.

“Molto...” Non aggiunse altro rimanendo in silenzio fino a quando non fu l’altra a spezzarlo.

“Ti prego…, cerca di soprassedere sulle botte di testa di Minako. Anche se può sembrare non ce l’ha direttamente con te.”

Voltandosi di scatto la forestiera corrugò la fronte. “Allora hai ascoltato?”

“Te l’ho detto che vi si sentiva da fuori.” Ammise alzando leggermente le spalle.

“E nonostante tutto quello che mi ha vomitato addosso credi che non ce l’abbia con me?!”

“Non solo lo credo, ma ne sono sicurissima.”

Michiru diede cenni d’indolenza che l’altra bloccò subito. “Non sono solita affrontare questo argomento e per di più con una perfetta estranea, ma visto che dovrete lavorare insieme per il resto della stagione…” Sospirando le rivelò la profonda lacerazione della sorella.

“Prima di fondare questa azienda i nostri genitori erano due piloti di rally. Due piloti professionisti. Allora mia madre era ancora una delle poche donne che gareggiavano in quell’ambiente e per dimostrare di essere in gamba come, se non più dei suoi colleghi, in gara troppo spesso tendeva a prendersi dei rischi inutili. Fu così che durante una corsa forzò troppo andando fuori pista. La sua auto prese fuoco e mio padre fu il primo a prestarle soccorso riuscendo a tirarla fuori dall’abitacolo appena in tempo. Si conobbero così e s’innamorarono praticamente subito, diventando in pochissimo tempo pilota e co pilota, nonché marito e moglie. Ma la velocità cozza e di brutto con l’allargarsi di una famiglia, così quando dopo un rally in Africa mia madre si accorse di essere rimasta in cinta di me, decisero di smettere. Forse è per questo che ho la velocità nel sangue. - Sorrise guascona. - Mio padre si trovò d’accordo e ripensando ai vigneti che avevano visto durante il loro viaggio di nozze, si ricordò di una serie di terreni messi in vendita ed una vecchia fabbrica di mattoni ormai abbandonata da più di cinquant’anni.”

Andando verso uno scaffale dov’era una coppa dorata, la bionda la sfiorò con l’indice. “Hanno lavorato sodo per due lustri prima di avere uno straccio di raccolto decente ed altrettanti per riuscire ad essere competitivi con le aziende della zona. Ma con costanza e dedizione, privazioni e tanto coraggio ce l’hanno fatta.”

“Ma qualcosa deve essere successo…”

“Già… Una sera di tre anni fa, al ritorno da un congresso, verso la strada di casa un Suv li prese in pieno…”

Michiru trattenne il respiro avvertendo il colpo mentre la bionda continuava. “Mio padre morì sul colpo, mentre mia madre ebbe in sorte quattro giorni d’agonia prima di raggiungerlo. Avevano lasciato il mondo delle corse per proteggere le loro figlie, per non rischiare di lasciarle sole se fosse successo loro qualcosa in gara e invece è proprio sulla strada che hanno trovato il loro destino. Grottesco, non trovi?!”

“Ma…” Quel tristissimo epilogo cosa aveva a che fare con lei?

Intuita la domanda Haruka proseguì. “Alla guida di quel Suv c’era un ragazzo appena ventenne; il figlio di uno dei più quotati e ricchi avvocati della provincia ed era ubriaco. - Tornandole davanti la guardò fredda. - Proprio come lo eri tu la notte nella quale ti abbiamo trovata Michiru.”

“Haruka io non…” Cercò di difendersi sentendo gli occhi bruciare di colpo.

“Lo so, eri ancora abbastanza lucida, come so che con questa storia tu non c’entri nulla, ma cerca di capire mia sorella. Il fatto che grazie ai soldi della sua famiglia ed agli agganci del padre quel ragazzino non si sia fatto neanche un giorno di galera, ha portato Minako ad una grandissima diffidenza nei confronti delle persone benestanti come te. Il vederti in abito da gran gala ed il sentirti addosso odore d’alcol, ha riaperto una ferita che scioccamente io per prima credevo guarita. Mi dispiace. Non avrebbe dovuto reagire così.” Concluse scusandosi e lasciando l’altra ancora più sconvolta.

Non pensate mai che c’è gente che vive onestamente, con dignità e che magari arriva anche a morire per i vostri errori! Si ricordò. “E’ stata un’imprudenza, lo so, ma ti assicuro…, era la prima volta che mi mettevo alla guida dopo aver bevuto… Devi credermi Haruka!”

“Michiru ho capito. Anche io torno a casa in moto dopo una birra e so che non dovrei, perciò per quanto mi riguarda stai tranquilla.”

“Voglio provare a parlarle…”

“Conoscendola ti consiglio di lasciarla sbollire. Si sfogherà con Yaten, rimarrà a dormire un paio di notti da lui e poi tornerà a casa. Sai, quel ragazzo è l’unico che riesca a calmarla. Per me ed Usagi il dopo è stato più semplice. A me è sempre piaciuta questa vita e Usa era ancora troppo giovane per voler scegliere qualcosa di diverso, ma per Mina la questione è stata diversa. Oltre a perdere i suoi genitori ha visto sfumare anche i propri sogni. Avrebbe voluto diventare una designer ed andare a vivere in una grande città, ma ha scelto di restare accanto ad Usa ed aiutare me a mandare avanti l’attività. E’ una brava sorella e cerca d’impegnarsi al massimo anche se lavorare a così stretto contatto con il vino non la fa star bene.”

Nella mente di Kaiou tutto sembrò più chiaro. Aveva notato quanto a differenza delle sorelle, Minako fosse frivola, amante dei bei vestiti, delle serate in discoteca e poco avvezza alla vita campagnola, ma mai l’aveva vista arrivare in ritardo ad una comanda di Haruka, borbottare o rifiutarsi di fare qualcosa. Con molta probabilità il concentrarsi su mille cose le impediva di pensare. Improvvisamente sentì una strana empatia con lei, come se, sotto sotto, fossero simili.

“Senti Michiru, cercherò di evitare di farvi lavorare insieme, c’è talmente tanto da fare qui che non sarà certo un problema.”

Tornando ad aprire la porta le fece cenno di seguirla. Aveva ancora molto da mostrarle.

 

 

Camminarono fianco a fianco per gli ambienti della cantina. Haruka mostrò ad una Michiru segnata da quella pesantissima rivelazione, tutta l’attività; dagli enormi cilindri argentati per la fermentazione, allo studio grafico dove si creavano e stampavano le etichette per le bottiglie. Scesero persino nelle viscere della cantina vecchia, ovvero gli spazi dalla temperatura controllata dove s’invecchiava il vino dei pochi ettari ad uva rossa che l’azienda aveva scelto di coltivare.

“Questi sono vini da competizione. I più pregiati che possediamo. Qui si predilige il bianco, ma il rosso e' sempre il rosso."

Presentata al personale come nuovo acquisto stagionale, la forestiera aveva sorriso comportandosi in maniera impeccabile, notando quanto quelle mani callose abituate al lavoro fossero diverse da quelle che era solita stringere nel suo ambiente. Pur se estranea, si sentiva stranamente a suo agio, a casa, come se facesse da sempre parte di quel complesso ingranaggio bene oliato dove tutto era armonia. Nella sua testa però, il tamburo battente provocato dalle parole di Haruka. Una pesantezza d’anima che neanche il sole brillante di quel giorno riuscì a mitigare.

Una volta tornate sul piazzale, la bionda si stiracchiò la schiena. “Sarà il caso che per il ritorno guidi io. Sei talmente lenta…” Canzonò intimamente soddisfatta. Ci teneva a far vedere a Michiru una parte del suo mondo. Ci teneva e non voleva scoprirne il motivo.

“Fai pure.” Grata la lasciò salire per prima tornando poi ad issarsi su quel bestione metallico.

Per tutta la strada del ritorno Kaiou non fece altro che pensare alle parole della bionda, agli sguardi ostili di Minako e a come, grazie anche al comportamento inaccettabile di Seiya, aveva finito per dare spettacolo la sera della festa.

Rivedeva il viso volgare della sciacquetta di turno alla quale l’ex compagno aveva appena sfiorato con la mano il bordo del seno, il suo intercedere furioso dopo averli visti appartarsi dietro ad una colonna del Gran Hotel Palace, al consiglio di lui di stare calma ed allo schiaffo che le era partito subito dopo.

Sei uno schifoso! Non ti accontenti più di farlo di nascosto! Adesso vuoi anche umiliarmi in pubblico!" Aveva ringhiato sentendo un’esplosione d’adrenalina alla tempia.

Michiru cerca di non dare in escandescenza, ci guardano tutti! Posso spiegarti…”

Ma cosa diavolo avrebbe potuto spiegarle che lei non avesse già capito?! Accortasi degli infiniti occhi puntati contro e dell’impossibilità di bloccare la valanga che aveva provocato con quel gesto, ai primi brusii aveva ceduto scappando all’aperto e poi giù, lungo le scale che portavano al parcheggio. Richiamando l’attenzione dell’addetto si era fatta riconsegnare le chiavi salendo al posto di guida pur avendo la testa ovattata e li, con i finestrini abbassati, si era lasciata alle spalle il mondo che conosceva da sempre, premendo sull’acceleratore mentre il crepuscolo serale calava su quel giorno estivo.

Sospirando si sorresse alla maniglia lato tettuccio guardando le acque scintillanti del torrente. Che spettacolo, pensò prima d’intravedere una figura dietro un roveto a circa una decina di metri sopra la strada che stavano percorrendo.

Michiru ebbe l’impressione che il cuore le scoppiasse nel petto e serrando la mano libera alle spalle di Haruka urlò senza quasi rendersene conto.

“Fermati!” Ordinò continuando a tenere gli occhi fissi sui cespugli.

“Che?”

“Ferma il trattore!”

La bionda obbedì tirando il freno a mano mentre lei saltava letteralmente giù dall’abitacolo.

“Cosa succede?! Michiru… - E la seguì raggiungendola in un niente. - Insomma… si può sapere che t’è preso?”

Seiya! Aveva visto Seiya fermo dietro l’ammasso di rovi e more. Abbarbicandosi sulla salita puntando i piedi ed aggrappandosi all’erba, salì per poi aggirare le frasche, ma nel punto deve le era sembrato d’intravederne la sagoma dell’uomo non trovò nessuno. Scattando il collo a destra e a sinistra notò un sentiero che serpeggiava fino a perdersi tra gli alberi.

“Allora?”

“Dove porta questo?” Indicò cercando la calma.

La bionda alzò le spalle con sufficienza. “Alla tenuta dei Kiba, perché?”

“Dei Kiba?” Fece eco non capendo.

Non aveva alcun senso. Devo essermi fatta suggestionare dai ricordi…

 

 

Yaten chiuse la porta lanciando le chiavi sul tavolo da pranzo del suo monolocale. “Sono a casa amore… e ho portato due belle pizze con tutto sopra!” Urlò sorridendo ai cartoni che stringeva nelle mani.

Minako lo aveva chiamato verso l’ora di pranzo raccontandogli dell’alterco avuto con la forestiera, ma non avrebbe mai immaginato di ritrovarsela all’imbrunire seduta sui gradini di casa con una sacca accanto.

“Mi ospiti per un po’?! - Aveva chiesto sparandogli contro due occhi da cucciolo bisognoso di coccole. - Io sotto lo stesso tetto con quella stronza non ci rimango!”

Ecco; la sua dolce ed irruenta ragazza era finalmente esplosa e adesso spettava a lui cercare di riportarla sull’asse di galleggiamento.

"Mina, hai fame?" Ma lei non rispose.

Immersa nella penombra di un appartamento completamente lasciato al buio, con il corpo vestito solamente di un paio di pantaloncini abbastanza succinti ed una canottiera, se ne stava zitta zitta a fissare il nulla. Illuminata dallo schermo della televisione accesa, allungata sul divano in preda all’apatia, dopo qualche istante lo guardò come se fosse appena riemersa da un sogno.

“Hai dormito?” Chiese lui andando in cucina per posare i cartoni.

“No…”

“E allora hai pianto.”

“No…”

“Bè, qualcosa avrai pur fatto perché hai una faccia …”

“Sarà bella la tua.” Si difese prendendo il telecomando per spegnere.

“Dai, vieni a mangiare o si freddano.” Alzando la persiana della finestra per permettere agli ultimi raggi della giornata d’illuminare l’ambiente, Yaten prese due bicchieri, della limonata ed un paio di coltelli.

Chiedendo notizie delle sorelle Minako apparve sulla porta appoggiandosi pesantemente allo stipite.

“Haruka non l’ho vista, ma mentre stavo staccando ho incontrato Usagi. Dovresti chiamarla per dirle che dormi da me.”

“Lo farò.” Soffiò obbediente.

“Bene. Allora buon’appetito!” Porgendole il coltello le sorrise come solo lui sapeva fare. Un misto di complicità ed erotismo che riusciva a tirare fuori quando erano insieme e voleva da lei qualcosa di più che semplice compagnia.

Afferrato il messaggio Minako si sfilò dai capelli la matita che aveva messo su per toglierseli dal collo e stare così più fresca e muovendo la testa un paio di volte lasciò che ricadessero con voluttà sulle spalle. “Hai fame?”

“Non puoi neanche immaginare quanta.” Rispose lui richiudendo il cartone.

“Allora credo di avere qualcosina per te…” Invitò con un sorriso ammiccante sparendo poi nella penombra.

 

 

   
 
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