NON MI AVETE FATTO
NIENTE
Capitolo primo
Non mi avete fatto niente
Non mi avete tolto niente
Questa è la mia vita che va avanti
Oltre tutto, oltre la gente
Non mi avete fatto niente
Non avete avuto niente
Perché tutto va oltre le vostre inutili guerre
Ma contro ogni terrore che ostacola il cammino
Il mondo si rialza col sorriso di un bambino…
(“Non mi avete fatto niente” – Ermal Meta, Fabrizio Moro)
Il ragazzo era giunto a Firenze il giorno prima e
adesso si trovava davanti alla Cattedrale incompiuta di Santa Maria del Fiore.
Era incantato dalle dimensioni di quella chiesa, dalla sua bellezza ed eleganza
e… si chiedeva perché accidenti non l’avessero finita di costruire! Senza la
cupola, di sicuro non era agibile, a meno che non la usassero d’estate per fare
le celebrazioni religiose al fresco!
Tuttavia non era per ammirare la Cattedrale che era
venuto a Firenze, bensì per incontrare Cosimo de’ Medici. Sarebbe dovuto pur
passare da quelle parti e lui ne avrebbe approfittato per parlargli.
Il problema, caso mai, era un altro: lui conosceva il
Medici di fama, certo, ma non lo aveva mai visto in vita sua, come avrebbe
fatto a riconoscerlo, se pure gli fosse passato davanti? A questo non aveva
pensato, quando era partito da casa sua, a Siena… Beh, pensò, era l’uomo più
importante di Firenze, in qualche modo si sarebbe fatto notare più degli altri,
no?
Il giovane aveva visto giusto, o magari fu solo
questione di fortuna. Qualche minuto più tardi vide passare proprio davanti
alla Cattedrale un uomo elegante, dall’aspetto austero, accompagnato da un
ragazzo. L’uomo si fermò e indicò al giovane che lo accompagnava qualcosa in
alto, dove ci sarebbe dovuta essere la cupola, dicendo qualcosa che il nostro
protagonista non riuscì a udire. Poi un altro uomo passò accanto ai due e li
salutò.
“Buongiorno, Messer Medici, buongiorno, Messer Piero”
disse il passante, con un sorriso, e i due ricambiarono cortesemente il saluto.
Il cuore balzò nel petto del giovane: eccolo, era
quello Cosimo de’ Medici, e il ragazzo doveva essere suo figlio… Sorrise. Piero
doveva avere più o meno la sua età.
Il ragazzo si fece ardito e si incamminò deciso verso
Cosimo.
“Buongiorno, Messer Medici. Potrei scambiare una
parola con voi, per favore?” gli domandò.
Cosimo, sorpreso, si fermò a guardare il giovane
sconosciuto che gli aveva parlato. Era davvero molto giovane, un ragazzo di non
più di sedici o diciassette anni, vestito con abiti semplici ma ordinati e
puliti. Occhi e capelli castani e un volto aperto, che ispirava fiducia. Il
rapido esame di Cosimo promosse il
giovane interlocutore e il Medici si mostrò disponibile ad ascoltarlo.
“Vorrei sapere prima il tuo nome, ragazzo, poi potremo
parlare” rispose.
“Mi chiamo Giovanni, Messere, Giovanni...” e qui ci fu
una rapida esitazione, che però non sfuggì a Cosimo. Insomma, non stava
conquistando il potere a Firenze facendo la figura del fesso! “Giovanni
Ranieri. Sono giunto a Firenze proprio ieri da Siena e desideravo molto
incontrarvi.”
Da come Cosimo lo fissava, Giovanni si rese conto di non
essere credibile proprio per niente e quindi cercò di rimediare, finendo per
incartarsi ancora di più.
“Mio padre mi parlava molto bene di voi, nutriva una grande
stima nei vostri confronti, Messer Medici, diceva sempre che avreste fatto
grandi cose per Firenze e… beh, io ho pensato che sarebbe stato bello poter
lavorare per voi, per questo sono venuto” proseguì il ragazzo, intuendo
vagamente che la sua posizione era sempre meno solida. “Lui è morto due mesi fa
e io non avevo ragione di rimanere a Siena.”
“Non hai nessun altro della tua famiglia?” gli chiese
il Medici, continuando a scrutarlo.
“Mia madre è andata a vivere con il mio fratello
maggiore, Lapo, che a Mantova è capitano delle guardie, e gli altri miei due
fratelli seguono la carriera militare a Verona” rispose Giovanni, “ma io volevo
venire a Firenze. Ho sognato di Firenze per tutta la vita, grazie ai racconti
di mio padre e di mio nonno e…”
S’interruppe, a un tratto timoroso di aver detto fin
troppo.
“Tuo padre e tuo nonno erano di Firenze, quindi”
riprese Cosimo che sì, gli stava facendo il terzo
grado, ma aveva ben ragione di sospettare in quel clima di tensioni e
intrighi e anche un ragazzino apparentemente innocente come quello poteva
essere inviato da qualche nemico.
“Tutti noi siamo di Firenze” replicò il ragazzo, con
un lampo fiero nello sguardo, che subito cercò di nascondere. “Cioè, i nostri
antenati erano di Firenze e…”
Quelle parole inaspettate incuriosirono Cosimo che
decise di scoprire di più su quello strano ragazzo, però prima preferì
allontanare il figlio e mandarlo a casa, al sicuro. Insomma, non si poteva mai
dire, magari era un attentatore in erba!
“Piero, aspettami a palazzo, io ti raggiungerò presto”
disse. Il giovane avrebbe voluto protestare, si era incuriosito anche lui e
voleva capirci di più sulla storia di quello sconosciuto che aveva rimorchiato suo padre davanti alla
Cattedrale, ma dovette obbedire.
“Dunque tu sei venuto a Firenze perché i tuoi antenati
erano di qui” ricapitolò Cosimo, “e adesso vorresti metterti al servizio della
famiglia Medici?”
Di nuovo quel lampo fiero negli occhi del ragazzo, che
proprio non ce la faceva a dissimulare più di tanto quando venivano toccati
certi argomenti…
“Io non sono al servizio
di nessuno! Vorrei lavorare per voi, come un impiegato della vostra Banca, ad
esempio, perché ammiro quello che state facendo per Firenze e…”
“Va bene, ragazzo, cerchiamo di parlarci chiaro.
Questo non è un buon momento per Firenze, il lavoro manca per tutti, la gente
finisce per strada a causa delle tasse imposte per la guerra contro Lucca”
spiegò Cosimo. “Non capisco perché dovrei dare lavoro a uno sconosciuto che non
mi dice nemmeno la verità.”
Beh, era vero che i Medici aiutavano il popolo e che
Cosimo stesso, quasi vent’anni prima, aveva raccolto dalla strada Marco Bello
facendone poi il suo uomo di fiducia, ma a tutto c’era un limite!
Giovanni trasse un lungo sospiro e chinò il capo.
“Io non vi ho mentito, Messer Medici” disse, “è vero
che la mia famiglia è originaria di Firenze e che mio padre e mio nonno
ammiravano tutto ciò che voi e vostro padre avete fatto per la città. E’ vero
che i miei fratelli e mia madre sono andati a vivere a Mantova e a Verona e che
io, invece, ho inseguito il sogno che ho sempre avuto e sono venuto a Firenze.
Spero che voi mi possiate aiutare, Messer Medici.”
“Potremmo cominciare da una cosa molto semplice: il
tuo nome è veramente Giovanni Ranieri?” lo incalzò Cosimo. Da un lato era
ancora sospettoso, dall’altro, però, il coraggio del ragazzo lo aveva colpito:
rimasto solo, era venuto a Firenze per inseguire il suo sogno, cosa che lui non
aveva avuto modo di fare alla sua età.
“Io… non proprio” ammise il giovane. “Io mi chiamo
Giovanni, sì, ma Ranieri era il nome di mio padre. Si chiamava come un suo
antenato, un valoroso capitano delle milizie fiorentine. Non ero sicuro di
poter dire il nome della mia famiglia perché per tanto tempo è stato un nome
che a Firenze non si poteva nemmeno pronunciare, ma adesso io sono sicuro che,
con voi, le cose potranno cambiare!”
Ora il Medici sembrava più confuso che sospettoso.
“Un capitano delle milizie fiorentine? Ranieri? Non è
un nome che conosco…”
“Perché è più noto come Neri” riprese Giovanni, e c’era di nuovo quella luce di orgoglio
nei suoi occhi. “Neri degli Uberti, il fratello del grande condottiero
Farinata… e da Farinata degli Uberti discende la mia famiglia, ecco.”
Questa rivelazione scombussolò non poco Cosimo. Era
vero, la famiglia Uberti era stata una delle più antiche e nobili famiglie
fiorentine del Duecento, ma poi era stata sconfitta dai suoi avversari politici
(tra cui c’erano anche i Pazzi, quelli ci sono sempre, alla fine!), i
possedimenti confiscati e distrutti, i discendenti perseguitati e costretti
all’esilio, perfino le spoglie mortali di Farinata e di sua moglie Adaleta
erano state profanate e i guelfi vincitori si erano impegnati a distruggere la
loro memoria. Non c’era da stupirsi che, anche dopo tanti anni, il ragazzo
temesse una reazione negativa.
Oddio, a quanto pareva non è che a Firenze i bei tempi antichi fossero poi tanto
diversi da quelli in cui si trovava a vivere Cosimo con la sua famiglia!
Tuttavia, almeno per quanto riguardava gli Uberti, le
cose erano cambiate: non c’erano più le divisioni tra guelfi e ghibellini (in
compenso c’erano tante altre cospirazioni e trame non meno torbide, ma vabbè…)
e negli ultimi anni a Firenze il nome di Farinata degli Uberti, la sua nobiltà
d’animo e il suo impegno al concilio di Empoli per la salvezza della sua città,
che i rivali volevano radere al suolo, erano state riconosciute e onorate. E
lui stesso, Cosimo de’ Medici, ammirava quella figura e spesso si ispirava a
lui nel suo impegno per evitare altre guerre civili a Firenze. *
“Tu dunque sei un Uberti” commentò, comprendendo
adesso perché il giovane apparisse così dignitoso pur in abiti semplici e la
motivazione della fierezza che spesso illuminava il suo sguardo. “Ma perché
volevi parlare con me? Come potrei aiutarti?”
“Messer Medici, la vostra famiglia è in ascesa a
Firenze e il vostro prestigio e potere crescono ogni giorno” replicò Giovanni,
con veemenza. “Sono convinto che, se voi parlaste in favore della mia famiglia
e dei miei antenati, gli Uberti tornerebbero ad essere rispettati nella nostra
città.”
“Credo che tu mi stia attribuendo un potere che non
possiedo, ragazzo” disse Cosimo, adesso intenerito da Giovanni e dal suo zelo
per il nome della sua famiglia, “tuttavia cercherò di accontentarti, sebbene
questo non sia davvero un momento favorevole per Firenze. Ma penseremo a una
cosa per volta. Hai un posto dove alloggiare?”
“Potrei dormire in una locanda, come ho fatto
stanotte. Per il resto… sapete che i palazzi degli Uberti sono stati rasi al
suolo e sulle rovine ci hanno costruito il vostro Palazzo dei Priori, no?”
Giovanni aveva pronunciato quelle parole con una punta
di ironia, ma Cosimo poté scorgere la malinconia nei suoi occhi.
“Molto bene, Giovanni, allora sarai ospite a Palazzo
Medici!” concluse Cosimo.
Ecco, come avevo detto, a lui piaceva raccattare la
gente dalla strada… era fatto così!
Ma la collaborazione tra Medici e Uberti avrebbe portato vantaggi a entrambi, anche se
ancora non potevano saperlo… e, in un periodo di grande crisi a Firenze, il
giovane discendente degli Uberti si sarebbe adoperato per smorzare le faide che
ancora una volta infiammavano la città, proprio come aveva tentato di fare il
suo illustre antenato circa centocinquant’anni prima!
Fine
capitolo primo
* Questa è una mia “licenza poetica”, non ho idea di cosa Cosimo de’
Medici pensasse di Farinata degli Uberti. So comunque che il granduca Cosimo,
suo discendente, aveva a palazzo un suo ritratto e per questo ho pensato che la
famiglia Medici avesse stima e ammirazione per la figura del nobile fiorentino.