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Autore: DuskForm    08/05/2019    0 recensioni
Isla de Engranajes; un'isola misteriosa, che nessuno finora è mai riuscito a trovare, e di cui si trovano riscontri solo nelle leggende... un'isola che si dice abbondi di sconfinate ricchezze e inimmaginabili tesori. Un'isola che sembra racchiudere il segreto di particolari strumenti che ultimamente sono stati rinvenuti nei dungeon di tutto il mondo; gli Artefatti, aggeggi misteriosi e dall'incredibile fascino. Ma da dove arrivano? Cos'è davvero Isla de Engranajes? Come arrivarci?
Ad avere tutte le risposte potrebbe essere una piccola Purrloin... in un mondo di dungeon come non ne avete mai visti prima!
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Furry | Contesto: Anime, Manga
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Terra della Luce, Foresta Erbapietra

Il Team Bluemoon, quella mattina, era partito presto dalla Gilda. Erano sempre stati dei tipi mattutini. Fuori, c'era davvero un bellissimo tempo... il sole splendeva... i fiori sbocciavano... e, come ciliegina sulla torta, soffiava una gradevolissima brezza.
Sarebbe stata una bellissima giornata, se non fosse stato per il fatto che avrebbero dovuta spenderla in un dungeon, alla ricerca di un preziosissimo... pezzo di stoffa chiamato Galadoro.
«È una giornata così splendida», commentò in tono lamentoso Simon, scendendo lentamente il pendio ricoperto di erba. «Peccato non potersi prendere le ferie più spesso, dico bene?».
Manhattan non rispose. La cosa non sorprese affatto Simon. Il Riolu rispondeva molto raramente alle osservazioni del suo compagno Espurr. Il più delle volte, si limitava a grugnire e a proseguire la missione. Simon era piuttosto convinto che non dicesse più di tre parole l'anno. Quando gli aveva chiesto il perché fosse così taciturno, egli aveva risposto; «Per risparmiare fiato», e per il resto dell'anno, non lo aveva più sentito proferir parola. Simon aveva sempre usato le stesse parole per descriverlo, e cioè; "Serio, blu e assolutamente... taciturno". Con il tempo, certo, ci aveva fatto il callo. Dopotutto, era da quando erano nati che si conoscevano... be', forse non esattamente, visto che il Riolu era di sei mesi più grande dell'Espurr.
Quest'ultimo scosse la testa e tornò a concentrarsi sull'esplorazione; avevano del lavoro da fare. Erano il Team Bluemoon, non dei cazzeggiatori!
E il loro abbigliamento per l'occasione era alquanto... originale; Simon indossava una sciarpa logora da lui stesso realizzata e battezzata "Heartless Conflicts"; si trattava, in pratica, di un Nastrozinco e un Nastrospex cuciti assieme da un filo nero. Siccome erano stati lavorati, i due strumenti avevano perso parte del loro potere, e la loro efficacia era dimezzata, ma erano pur sempre utili. Manhattan, invece, portava allacciato al braccio un Velodifesa, visto che era predisposto al combattimento ravvicinato che a quello a distanza. Era compito di Simon sopperire a questa sua debolezza, con mosse come Psichico o Schermoluce. D'altro canto, il punto debole dell'Espurr erano proprio le lotte a distanza ravvicinata, delle quali però si occupava il suo compagno. Insomma, tutto sommato quei due formavano una bella squadra. Ah, e ovviamente entrambi portavano una borsa; in quella di Simon erano custodite le provviste, mentre in quella di Manhattan i vari strumenti che potevano tornare utili durante un'esplorazione.
Simon si fece strada fra i rami semipietrificati degli alberi, stando attento a non tagliarsi. All'inizio, sia lui che Manhattan riuscirono a procedere senza difficoltà, ma man mano che la vegetazione si faceva sempre più fitta, diventava sempre più difficile proseguire. I due finirono per ricoprirsi di piccoli tagli in ogni parte del corpo; braccia, gambe, coda, e poco ci mancò che quei maledetti alberi non cavassero loro gli occhi! A quel punto, Simon perse la pazienza; nella sua zampina si formò una lama bianca, e si fece strada a suon di Tagli, seguito come sempre dal silenziosissimo compagno. L'Espurr tagliò i rami dapprima con ferocia, poi, una volta fatta sbollire la rabbia, prese a fendere il legno e la pietra con più calma, addirittura canticchiando.
«Ed... eccoci arrivati!», sospirò sollevato dopo aver tagliato l'ultimo ramo e raggiunto il centro del dungeon. «Suvvia, ora; mettiamoci a cercare quella Galadoro. Dovrebbe essere qui da qualche parte... PORCA MERDA!».
Il centro della Foresta Erbapietra era molto più... immenso di quanto avrebbero mai potuto immaginare. Si trattava di un enorme spiazzo circolare, ricoperto interamente di erba un po' grigia, un po' verde. Dagli alberi pietrificati che la soverchiavano, filtrava la luce del sole. Persino Manhattan, che di solito era taciturno come un sasso, non poté non lasciarsi sfuggire un'esclamazione di sincera sorpresa a quella vista.
«Santi Numel!», commentò, guardandosi intorno. «Questo posto è enorme! Sarà grande almeno cinque volte la hall della nostra Gilda!».
«Ci metteremo come minimo l'intera giornata...», mormorò sconsolato Simon, cadendo in ginocchio. «E CHE CAZZO! Se non lo troveremo entro oggi, dovremmo passare la notte qui!».
«Dai, non prendertela», cercò di confortarlo Manhattan. «Il dungeon non modificherà la sua struttura con noi all'interno».
«Hai ragione». Simon iniziò a scandagliare il terreno con lo sguardo, in cerca del tipico scintillio dorato emesso da ogni Galadoro. «Forza, dammi una mano. Prima troviamo quel Galadoro, prima possiamo tornare. Però, ammetto che non mi dispiacerebbe esplorare un po' di più prima di fare ritorno alla Gilda. Chissà; magari riusciremmo a trovare qualche strumento raro, o... o magari un Artefatto! Sarebbe grandioso; il Capitano ci elargirebbe sicuramente una grossa ricompensa».
Manhattan lo guardò, poi scosse la testa e riprese a cercare, ma era costretto a trovarsi d'accordo con il suo compagno; il Capitano gradiva sempre che gli venisse consegnato qualche oggetto extra da poter mettere all'asta, e se si trattava di Artefatti... be', ancora meglio! Anche se Manhattan dubitava che lì dentro avrebbero trovato Artefatti di classe superiore alla Seconda; di conseguenza, il loro guadagno sarebbe stato minimo, considerato il fatto che l'ottantacinque per cento dei profitti finivano direttamente nelle casse della Gilda. In effetti, anche se avessero trovato l'oggetto della missione quel giorno stesso, non sarebbe stata una cattiva idea rimanere nel dungeon per un altro po'. Solo un giorno o due, per ispezionarlo a fondo, e magari raccogliere oggetti di valore. Aveva sentito dire che gli Artefatti ci classe più alta venivano pagati fior di quattrini, quindi ne sarebbe decisamente valsa la pena. E forse, portandoli alla loro Gilda, la Blue Ocean Floor, avrebbero ottenuto anche un avanzamento di rango. Per un esploratore, sarebbe stato il massimo. Inoltre, la loro era la Gilda più rinomata della Terra della Luce, quindi avevano certe aspettative da soddisfare. E portare un artefatto, sebbene solo di Prima o Seconda classe, avrebbe certamente aiutato.
«Trovato niente?», domandò Simon, dopo un paio d'ore.
«No», rispose Manhattan, senza smettere di cercare. «Niente di niente».
«Allora, spingiamoci un po' più verso il centro».
«Buona idea».
Man mano che si spingevano verso il centro, riducendo l'estensione dell'area di ricerca, le loro speranze di completare la missione calavano. Ben presto, calò la notte e dovettero fermarsi. Simon prese la borsa e ne tirò fuori dalla borsa le provviste; pane, verdure e vari tipi di Bacche. Si misero a sedere sul terreno erboso, e consumarono una frugale cena, dopodiché ripresero la ricerca. Nulla. Si avvicinarono un po' di più al centro. Nulla. Dopo poco, furono nuovamente costretti a cessare le loro attività di ricerca; era notte, e loro erano stanchi. Stavolta, fu Manhattan ad aprire la borsa; ne trasse fuori un paio di coperte, una grigia e una blu. Vi si misero sotto. Nessuno dei due riuscì a prender subito sonno, così incominciarono a parlare. Ognuno chiese i pareri dell'altro sulla situazione alla Gilda, sui sogni di gloria non ancora realizzati e...
«Cosa pensi che stiano facendo quelli del team D4C?», chiese finalmente Simon, che aveva raccolto quell'immenso ammontare di coraggio che a qualunque Pokémon sano di mente sarebbe servito per porre quella domanda.
«Probabilmente stanno lavorando in un dungeon», ipotizzò Manhattan, «oppure stanno svolgendo qualche missione sotto copertura. Io opterei per la seconda opzione, visto che è da molto tempo che non li si vede alla Blue Ocean Floor».
«O forse li abbiamo sempre avuti sotto il naso», proseguì Simon, «ma non ce ne siamo mai accorti... potrebbero aver preso le sembianze di chiunque. Il solo pensiero... mi fa rizzare il pelo dalla paura!».
«Potrebbero aver segretamente preso il posto del Capitano...», esordì sussurrando il suo compagno, «...e aver iniziato a governare la Gilda nell'ombra...».
L'Espurr gli tirò addosso la borsa delle provviste, gridando; «PIANTALA! Oppure mi verranno gli incubi questa notte! Con il team D4C non c'è proprio un cazzo da scherzare! Sono specializzati in missioni di spionaggio, controspionaggio e lavorano quasi sempre sotto copertura... sono i soli, in tutta la Gilda, ai quali il Capitano abbia concesso la libertà di scegliere se risparmiare o meno un fuorilegge... voci di corridoio dicono che abbiano fondato il loro team e scalato la classifica apposta per ottenere la licenza di uccidere! Nessuno conosce i loro veri nomi, e la loro caposquadra è una rango Master Tre, mentre gli altri sono tutti di rango Ultra! Sono l'élite dell'élite della Gilda, nonché l'incubo ricorrente di moltissimi criminali... e di me! Quindi, per favore, smettila di parlarne!».
«...tra parentesi», proseguì Manhattan, facendo orecchie da mercante a Simon, «sembra che il loro motto sia "È tempo di compiere le peggio azioni ai prezzi più stracciati" e che...».
«PORCA... PUTTANA, MANHATTAN!», gridò Simon, saltandogli addosso. «PIANTALA!».
Il Riolu ridacchiò, poi rotolò di lato appena in tempo per evitare che le unghie del suo infuriato compagno finissero sulla sua faccia.
«...sarà una notte molto lunga», commentò l'Espurr, tornando sotto la coperta e chiudendo gli occhi, cercando lo stesso di addormentarsi nonostante gli spaventi che il compagno gli aveva procurato.

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La prima cosa che le fu insegnata fu il modo in cui avrebbe dovuto riferirsi a sé stessa, "io". Poi, la sua testa venne riempita di innumerevoli informazioni; cose da sapere sui Pokémon, sulla storia, sulla geografia, sulla matematica, sui dungeon... le fu insegnato a leggere e a scrivere in ogni lingua del mondo... le furono insegnate le emozioni... fu istruita su come comportarsi in quali situazioni, come parlare, come muoversi e come combattere. Fu istruita su chi e cosa fosse, su cosa potesse fare e non fare... le fu dato un numero praticamente illimitato di possibilità... e infine, le fu insegnato il suo nome.
Tutto questo, in un batter d'occhio, dopo appena un microsecondo dalla sua "nascita". Infine, aprì gli occhi; e fu. Si alzò in piedi senza traballare sulle proprie gambe; sapeva già come muoversi. Sapeva già un sacco di cose. Si guardò attorno; riusciva ad identificare senza difficoltà ogni singolo oggetto che si trovava in quella stanza. Infine, il suo sguardo si posò su un Pokémon che le stava dirimpetto. Assunse la postura quadrupede e gli si avvicinò; secondo quanto le era stato insegnato, quel Pokémon era un maschio, ed il nome della sua specie era Raichu e lei, soltanto lei, avrebbe avuto il diritto di chiamarlo "papà" o, più formalmente, "padre". Indossava quello che le era stato detto essere un camice, ed un paio di occhiali. Si sedette, inclinò la testa, sbatté le palpebre... sul volto di quel Raichu, il cui nome proprio era ***, si delinearono molte emozioni, sentimenti che lei riconobbe subito; felicità, soddisfazione, orgoglio e... amore. Anche lei sentì in sé l'insorgere di alcuni tra questi sentimenti... era felice anche lei, e anche lei amava ***. Provava il desiderio di rimanere sempre con lui, di passare con quel Raichu gran parte della sua vita e di imparare da lui quello che non le era ancora stato insegnato.
ERRORE!
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«Hai mai sentito parlare di Isla de Engranajes?», domandò Simon a Manhattan, il giorno dopo, quando ebbero ripreso la cerca.
«No», rispose il Riolu, frugando con le zampe fra i fili d'erba, facendo attenzione a non tagliarsi con quelli pietrificati. «Che cos'è?».
«DAVVERO NON NE HAI MAI SENTITO PARLARE?!», esclamò Simon. «Si tratta di un'isola misteriosa, che si dice sia la chiave per risolvere il mistero degli Artefatti».
«Oh, ho capito», esordì Manhattan, senza distogliere gli occhi dal terreno. «Fammi indovinare; è solo un'altra di quelle storie che ti raccontava tua madre, non è vero?».
«Non è solo una storia!», protestò Simon. «Isla de Engranajes esiste veramente!».
«Se è così, allora perché nessuno l'ha mai trovata?», gli domandò il compagno.
«Non è facile», rispose l'Espurr. «Isla de Engranajes si sposta continuamente. Cambia posizione in modo del tutto casuale, quindi, anche se qualcuno riuscisse a raggiungerla e a segnarla sulle mappe, l'isola dopo un po' non sarebbe comunque più lì».
«Se lo dici tu...», commentò Manhattan, alzando gli occhi al cielo.
«Senti, tu», gli chiese allora Simon, «ma com'è che sei così loquace? È da ieri pomeriggio che non stai zitto come al solito».
«...bella domanda. Onestamente, non ci avevo fatto caso, confessò il Riolu. «Suppongo che sia perché... perché... non ho idea del perché. Wow, è... davvero strano. Hey, forse è perché finalmente ho trovato qualcosa di cui parlare!».
«Oh, risparmia il fiato e cerca quella maledetta Galado- TROVATA!», esclamò Simon, sollevando la zampa destra ed esibendo un nastro dorato tutto scintillante. «Evvai! Parli del diavolo...».
«...e spuntano le corna», concluse Manhattan. «Su, facciamo ritorno alla Gilda. Sempre che tu non preferisca esplorare ancora...».
«Ovviamente la seconda». Simon annodò la Galadoro e la lanciò a Manhattan, che la mise al sicuro nella sua borsa. «Metti caso che troviamo qualche Artefatto di valore. Se lo portiamo alla Gilda, ci elargiranno di sicuro un ricco compenso!».
E così, iniziarono a cercare. Cercarono, e cercarono, e cercarono ancora, ma dopo quattro ore non avevano ancora trovato un bel niente, ed il Sole stava già per tramontare. A quel punto, era inutile rimanere. Stavano per andarsene, ma Simon scorse con la coda dell'occhio un cuneo grigio che sporgeva dal terreno.
«Hey, Manhattan!», gridò, chiamando il compagno. «Vieni a vedere!».
Il Riolu si avvicinò. «Che diamine è?».
«Non ne ho idea», rispose l'Espurr, alzando le spalle. «Forse, un Artefatto raro... hai con te il compendio degli Artefatti?».
«Certo», rispose Manhattan, «Come sempre, d'altronde».
L'esploratore estrasse dalla borsa un enorme tomo dalla copertina rovinata. Il titolo, appena leggibile, recitava "Guida agli Artefatti; come distinguerli e come usarli". Iniziò a sfogliarlo velocemente; i suoi occhi, rapidissimi, cercavano nelle illustrazioni del libro qualcosa di simile all'oggetto trovato dal compagno. Dopo un po', tirò un sospiro di rassegnazione, e disse: «Qui non c'è, quindi abbiamo due opzioni; è un Artefatto mai scoperto, oppure, cosa molto più probabile, non è nient'altro che un semplicissimo sasso dalla forma strana».
«No, non può essere». Simon tastò il cuneo con le zampe. «È troppo liscio e regolare. Dovremmo comunque prenderlo e portarlo alla Gilda, così, tanto per sicurezza».
Lo afferrò e tentò di sollevarlo, ma non riuscì a smuoverlo di un millimetro. Ci riprovò, ma ottenne come risultato soltanto uno strappo muscolare.
«Ah, maledetto affare inamovibile!», gridò. In preda alla rabbia, ebbe la pessima idea di tirargli un calcio, scoprendo che quell'aggeggio era tanto inamovibile quanto duro. «Merda... lasciamolo qui! È inutile, non possiamo spostarlo!».
«Aspetta». Manhattan si chinò ed esaminò meglio il cuneo. «Non è impossibile da spostare, è soltanto seppellito».
«Pensi di poterlo tirare fuori?», gli domandò Simon, massaggiandosi la il piede e la mano dolorante.
«Ovviamente». Il Riolu si stirò un poco le spalle, poi usò Fossa per scavare attorno all'oggetto. «Ok, ora possiamo provare a spostarlo».
Simon si avvicinò all'orlo della buca scavata dal compagno e vi si gettò dentro, salvo poi atterrare sul piede a cui si era fatto male. «PORCA MERDA! Ah, ma non importa; quando lo avremo portato alla Gilda, potremo permetterci tutte le cure mediche che vogliamo».
L'artefatto era una grossa scatola di metallo grigio. Manhattan picchiettò un paio di volte sulla superfice.
«Le pareti sono molto spesse», concluse, «a giudicare da come risuonano. È impossibile dire che cosa ci sia dentro... sempre che dentro ci sia effettivamente qualcosa».
Se la caricarono in spalla e si incamminarono sulla via del ritorno, ignari ovviamente del fatto che stessero trasportando un passeggero in stato comatoso.

 

   
 
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