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Autore: Duncneyforever    09/05/2019    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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La sua camicia si inzuppa; nessuno può sentire ma, il mio, è un pianto disperato.

L'ho umiliato, eppure lui non leva la mano per colpirmi; mi stringe, mi accarezza, mi rassicura dicendo che non ho alcun motivo di piangere. 

Si piega e, sollevandomi il mento, mi bacia lascivamente, bagnandosi le labbra delle mie lacrime. 

Nessuno ha capito cos'è successo: non è vergogna, è riservatezza, in quanto lui ha espressamente deciso di non voler condividere con nessun altro questa manifestazione di tenerezza. 

Oppure è vergogna...

Forse non voleva far vergognare me davanti a Loro. 

Mi porta via, proteggendomi dalle occhiate velenose degli altri soldati. 

Appena rientrati in auto, mi sento fuori posto, a disagio e, temendo un'improvviso attacco di collera, mi rifugio nel silenzio. 

- Non potrei mai prendermela con te. Io mi sono distratto... Tu hai seguito il cuore, come hai sempre fatto. - 

- Ho creduto che mi avresti odiata... Ora cosa penseranno di te quegli uomini? - 

- Ti preoccupi anche di questo, adesso? Della mia reputazione? - Mi rimprovera con occhi troppo dolci, sicchè il suo tono duro venga subito tradito. 

Lui ha ragione; non ho motivo di piangere: di fatto, sono diventata il suo punto di forza e, al contempo, la sua debolezza. 

- Sono proprio la luce dei tuoi occhi... - Sussurro, impudente, sedotta dall'innaturale scintillio di quell'azzurro sempre più azzurro e sfavillante. 

Acqua chiara di una sorgente vergine, risparmiata dall'ombra che, invece, cala giorno dopo giorno sulla sua coscienza. 

- Sei tutto il bene che mi resta, l'unica per la quale sfiderei il Sole, affinché mi possa concedere l'energia di cui hai bisogno per brillare. - Non ha fretta di accendere il motore ma, rendendosi conto di avere poco tempo a disposizione, non gli resta che inserire la chiave nella fessura e ripartire. 

Mi chiede di appoggiare il palmo sulla marcia, in modo tale da cingermela in ogni momento. 

Accosta appena fuori Cracovia, in prossimità di un campo di papaveri. 

Che bei colori... 

Se ci fossero Van Gogh e Monet, avrebbero già il cavalletto allestito. 

- Vuoi che scenda e colga dei fiori per te? - Osservo gli steli danzare cullati dal dolce venticello e le corolle già socchiuse oscillare a ritmo, senza sciuparsi. Il senso si repulsione verso ciò che abbiamo creato mi ha resa sensibile anche verso questo tipo di bellezza: se adesso strappassi un fiore alla terra, avrei la sensazione di star commettendo un crimine contro natura, di star profanando il lavoro di Dio. 

- Preferisco non reciderli. - Confesso, limitandomi ad ammirare da lontano quei corpi danzanti. 

" Sara, Sara " ripete il mio nome cantilenando, tuffandosi sul collo esposto, il punto debole. 

Sussulto, provando dapprima una sensazione di solletico quasi insostenibile e, successivamente, un forte benessere. 

Ogni mio muscolo si rilassa a contatto con le sue morbide labbra ed io, per un attimo, rifiuto di essere soggetta a tensioni terrene, come se avessi raggiunto una sorta di " nirvana ". 

È fresca la sua pelle, che sfrega sulla mia, con la pretesa di ottenere attenzioni. 

Vorrei insinuargli le dita tra i capelli, ma l'odiosa brillantina me lo impedisce. 

- Ho chiamato mia madre al telefono ieri; mi ha detto che mio fratello, Johann, è vivo e che presto otterrà due settimane di congedo. Sono sicuro che a loro farebbe piacere conoscerti. Prima di partire per Buchenwald, potremmo fermarci a Dresda, in modo tale che possa presentarti anche alla mia famiglia. - 

" Vuole presentarmi alla mamma... " È il mio primo pensiero, sapendo che, almeno in Italia, non è una cosa di poco conto. 

Poi, vengo assalita da mille dubbi. 

- Oh, Reiner, ma non li hai neppure avvisati... Cosa penseranno di questa situazione? Nelle tue vene scorre il sangue dei principi e tu vuoi portare davanti a loro un'italiana squattrinata? Non mi sembra il caso, forse sarebbe meglio aspettare che trovino loro una ragazza che sia consona al tuo rango... - Come se avessi appena bestemmiato, lui si scansa, fissandomi in malo modo. 

- Credi forse che, per me, sia tutto un gioco? Preferirei non sposarmi affatto, piuttosto che averti come amante. Non devi temere di sentirti inadeguata, perché sono certo che sarai una sorpresa gradita. - Annuisco ancora scettica, lasciando vagare distrattamente lo sguardo. - Cos'hai? - 

- Quando Rüdiger scende al campo e fischietta, i prigionieri tremano: il cielo di Birkenau verrà offuscato da una coltre di fumo. Facciamo i bagagli, carica Ariel, Maxim, Isaac e i Costa sui vagoni, prima che lui li uccida e partiamo subito... Ti supplico... Quell'odore... Io non posso più sopportarlo. - 

- Non posso sottrarmi al mio dovere, meine Kleine. Partiremo appena ne avrò l'occasione... Ma cos'è successo al ghetto? Ne sei uscita turbata. - Assalita dal panico, balbetto: " nulla, nulla ", ma è talmente ovvio che stia mentendo che, alla fine, mi dico che se non confesso io, insisterà tutto il tempo affinché venga fuori la verità. 

- Mi sono imbattuta in un giovane uomo disperato e in una bambina malaticcia... Quando ho sentito la tua voce, mi sono voltata indietro e lui ha capito che mi stavate cercando. Credo intendesse prendermi in ostaggio, almeno per salvare lei. - Questo il comandante non se lo aspettava, poiché non sa neppure come prendere la notizia, se con rabbia o stupore. - Non voleva farmi del male; l'ho letto nei suoi occhi. - 

- Dio, se solo ti fosse successo qualcosa... - 

- ... Avresti raso al suolo la città. - Lo anticipo, premurandomi di palesare il mio dissenso. - Ma non è successo nulla: sono scappata via e sono tornata da te. - Appoggio la mano fremente sul suo viso, cercando di ammorbidirlo. Sembra funzionare, tuttavia, mi incupisco, ricordando le parole di una persona tra le tante. - C'era un uomo che parlava la mia lingua, nella fila, tra i lavoratori di rientro dalle fabbriche, e lui sapeva... Sapeva dei campi di lavoro... Mi ha chiesto di Auschwitz, domandandomi se sarebbe stato meglio ribellarsi e venir uccisi o lasciarsi catturare per essere condotti in un lager. Non ho avuto la forza di rispondere. - 

- Ti ha chiesto di Auschwitz - ripete, intontito, formulando ipotesi su come sia stato possibile che un ebreo ne fosse venuto a conoscenza. 

- Avrà sentito parlare tra loro alcuni soldati; del resto, siamo relativamente vicini al campo e può anche darsi che qualcheduno lo abbia menzionato, magari senza sapere... - In realtà sto accampando scuse, per distrarre Reiner dall'idea che possa averlo appreso in altri modi, più rischiosi. 

Ad Auschwitz stesso i prigionieri vengono tenuti all'oscuro di tutto, tanto che i Sonderkommandos addetti a svolgere il " lavoro sporco " vengono liquidati e sostituiti periodicamente per evitare la diffusione di informazioni riguardanti la " soluzione finale ". 

Il sapere troppo non è mai un bene, pertanto, si può pagare con la vita, propria e di altri; per fortuna, la filosofia di Reiner al momento è impostata sul " non è vero, ma ci credo ", tant'è che ripone il discorso senza fare troppe cerimonie, nervoso per ciò ho rivelato prima a proposito dell'incontro ravvicinato con l'ebreo " pericoloso ". 

- L'importante è che tu sia sana e salva. - 

- Sto bene. - Assicuro, stringendomi nelle spalle. - Potrei stare meglio. - Mi solleva il mento con una toccata fugace delle dita, sussurrando parole cariche di malizia con una dolcezza insinuante; la sua voce scorre come il miele, imprimendosi prepotentemente nella mia testa. 

Abbasso lo sguardo, vergognosa, addentando appena una nocca per smorzare la tensione. 

- Vorresti di più da me? N-non ti vado bene così? - Nonostante l'inenarrabile bellezza di Reiner, sarei sinceramente dispiaciuta, se lui rispondesse in modo affermativo. 

- Sag es nie und nimmer. / Non dirlo nemmeno per sogno. - Replica, prendendomi di peso e posandomi sulle sue ginocchia, come una bambolina. - Mi soddisfi moltissimo. - Lascia il segno d'un bacio sulla mandibola e prosegue verso il basso, lungo tutta la linea del collo, affondando nel solco tracciato dalla clavicola. Sospiro rumorosamente, ripercorrendo l'agitarsi della catenina di metallo che, dalla base del collo, smuove il ciondolo, ora adagiatosi al centro del petto. 

Accaldata, decido di aprire lo sportello, appena un po', affinché l'arietta dispettosa possa raffreddarmi il viso. 

- Non è il momento... - Faccio presente, indicando con lo sguardo il calare del sole. - Non pensi di essere... Inopportuno? - 

- Non ti piacerebbe fare l'amore in un campo di fiori, baciata dal tramonto? - Sento le guance avvampare; appoggio il viso sulla sua camicia, stringendo il tessuto tra le mani. 

Perché è così dannatamente leggero? Svela le forme di tutto ciò che è nascosto al di sotto, anche se, ormai, il suo corpo saprei riconoscerlo da bendata.

- Come ti lanci con queste proposte! - Lo rimprovero, cercando di ignorare il percorso intrapreso dalle sue mani esperte, di giovane uomo. 

Penso che proprio il doversi reprimere sia la fonte di ogni dolore e, di questo passo, finirò col morire di nostalgia per qualcosa che non ho voluto vivere. 

- Sei il mio desiderio più profondo... - Anche la sua sicurezza vacilla, per un istante, ma solo e soltanto per un istante. - Credo di amarti. - Confessa, facendomi bagnare gli occhi. 

- Ciò che provi per me, credi veramente che possa essere amore? - 

- Sono lacrime di gioia o di dolore? - Domanda, asciugandomi il viso, aspettando trepidante una risposta. - In realtà, pensavo potesse farti piacere. -

- Io ho paura! - Esclamo, pregandolo di non essere tanto impaziente. - Tu non ti rendi conto di quanto sia sbagliato tutto questo per me... Io... Io... - Inizio ad agitarmi: mi sudano le mani, mi trema tutto il corpo, le gambe, persino le labbra, rimaste socchiuse, come le due metà di una conchiglia. 

- Ich bin wirklich in dich verknallt. / Sono veramente, perdutamente, innamorato di te. - Si struscia sul mio viso, carezzandolo con le labbra e indugiando sulle mie. - Ich liebe dich. / Ti amo. - Mormora, contro la bocca contrita, soffermandosi a questa distanza infinitesima, affannando il mio respiro. 

Chiudo gli occhi, confortandomi nel buio: il regno delle tenebre è un riparo sicuro, una morte dolce, durante la quale la coscienza tace e l'anima si ristora. 

Eppure, anche l'idea di poter vincere la morte sembra fattibile al fianco di Reiner; nulla impossibile, neppure il sogno che abbiamo dovuto riporre per paura di annullarci.

Azzero la distanza tra noi, rimodellando il mio corpo sul suo. 

Il fremito che li percorre mi fa reclinare il viso e, colta alla sprovvista, mi ritraggo. Lui, consapevole delle sue possibilità e dei suoi limiti, dimentico delle avventure e delle conquiste passate, si limita ad un singolo bacio, leggero come etere: il bacio suo è ambrosia, nettare divino, inasprito dal sapore di una sconfitta interiore che coinvolge entrambe le parti. 

- Un giorno verrà il tempo del nostro amore... - I suoi occhi tersi, frementi d'amore, mi intimidiscono e mi annichiliscono. Sono costretta a chinare lo sguardo per non esserne influenzata, tanto che mi ritrovo le gote rosse per questa mia vigliaccheria. Prendo tra le mani la sua croce, posando un bacio sulla superficie lucida. - Amerò il meglio di te: il tuo coraggio, l'amore per la patria, per l'arte, per la cultura, l'amore per me... Ma odierò sempre ciò che ti ha trasformato nella persona che sei ora. - Forse era di dolore il sussulto che, con la mano appoggiata al suo cuore, ho sentito così chiaramente. Adesso che non è più impermeabile alla sofferenza, anche lui riesce a sentire il peso delle sue miserie; è pur sempre vero che Reiner non ha la volontà di andar contro al suo destino ma, per lui, è pungente in ogni caso accorgersi di non essere amato quanto vorrebbe, a causa di una sua scelta. 

Eppure, nonostante questo, ha scelto di amare un'aliena, sapendo che quel dolore, alla fine, si sarebbe riversato fatalmente sulla sua vita. 

- Mi privi di ogni gioia, pur essendo la mia gioia più grande. Mi sento misero e arido senza passioni; devo amare follemente per non avere l'impressione di star commettendo un peccato irremissibile. - 

- Mein Gott, hilf mir, um diese tödliche Liebe zu überleben. / Dio mio, aiutami a sopravvivere a questo amore mortale. - Riprendo la frase riportata su un anfratto del muro di Berlino est, diventata un'icona. Lui non la riconosce, si chiede da dove provenga, dove l'abbia sentita. Scorge la verità dietro a quella citazione emblematica e mi guarda compassionevole, promettendomi l'immortalità, almeno dei suoi sentimenti. 

Prego Dio che mi faccia tornare a casa, affinché non debba vederlo morire insieme ai suoi sogni. 

Prego che possa rinascere in tempo di pace, crescere servendo ideali diversi, vivere una vita normale e che, un giorno, possa ritrovarmi e amarmi così come mi ama ora. 

Allora sarebbe tutto più semplice e non dovrei provare vergogna nel ricambiare il suo interesse. 

Invece, siamo fiori della guerra, condannati a sbocciare nell'ombra per non essere schiacciati dai cingoli dei carri armati.

Auschwitz, quasi due ore dopo la nostra ultima conversazione, ci attende con le sue braccia infernali spalancate ed il fumo dei roghi distinguibile tra le nubi scure, nell'oscurità della notte. 

Questa, è senza stelle, pregna dell'odore dolciastro e nauseabondo della morte. 

La villa è deserta; Rüdiger non è in casa e ciò ci permette di introdurci all'interno senza dover sentire il suo borbottio costante.

Il treno attende alle porte di Birkenau e lui non poteva accettare di non essere presente lì, come un avvoltoio, a seminare il panico con quel suo ghigno serafico e la luce feroce negli occhi bluastri.

Ariel, docile come suo solito, ci accoglie, manifestando in viso tutta la spossatezza accumulata durante la giornata e negli ultimi mesi ( se non negli ultimi anni ). Pesanti occhiaie circondano gli occhi stanchi, malinconici per il mal di vivere, arresi ad un destino avverso, più forte della sua volontà. 

- Vado subito a preparare... - 

- Non c'è fretta. - Gli dico, sapendo di godere dell'appoggio del comandante. Ariel mi guarda impressionato, come se il mio fosse stato un atto di pietà. - Riposa pure; Schneider non tornerà prima di qualche ora. - 

Mi ringrazia con umiltà, scivolando sul pavimento. 

- Ma cosa fai? Prendi una sedia, no? - 

- Il colonnello lo proibisce severamente. - Reiner si muove da sè, prendendo una delle sedie che circondano il tavolo in soggiorno, trascinandola fino ai suoi piedi; 

- setz dich. / Siediti. - Ariel, non potendo disobbedire, si siede, mortificato. 

- Dankeschön, Herr Kommandant. - 

- Dove vai tu? - Io, che mi stavo incamminando verso la stanza della servitù, rispondo sinceramente, infiammandogli il cuore di gelosia. - L'ungherese non ha mosso un dito in tutto il giorno; quello sta meglio di noi. - 

- Io ci vado. - Asserisco, intendendo di voler andare da Isaac, ma senza di lui. In più, devo anche assicurarmi che i Costa non vengano maltrattati da Rüdiger, perché se lo facesse, sarei certa che sarebbe solo per farmi dispetto. 

Mi incammino ugualmente, lasciandomelo alle spalle. 

La porta dello stanzino è chiusa e dalla toppa della porta non filtra alcuna luce. 

Starà dormendo, non vorrei proprio disturbarlo, tuttavia, mi sento in dovere di assicurarmi che non gli sia accaduto nulla di male. 

Decido di non bussare, di entrare direttamente e il fascio di luce ricade proprio sulla figura rannicchiata in un angolo, girata di schiena. 

Non potrei scambiarlo per altri membri della servitù, poichè i capelli ricci lo rendono inconfondibile. 

Seguo con lo sguardo l'alzarsi e l'abbassarsi regolare della gabbia toracica, giungendo alla conclusione che, probabilmente, sia davvero addormentato. 

- Non riesco a dormire. - Ero già in procinto di afferrare la maniglia, quando ho sentito la sua voce rompere il silenzio. Mi volto verso di lui, piena di compassione. Mi avvicino alla sua " cuccetta " e mi siedo sul materasso, destandolo. 

- Mi fa piacere che tu non abbia più paura di parlarmi. - Esordisco, allungando la mano per sfiorargli la schiena. - Ti fa ancora molto male? Ho visto le cicatrici... Devi aver provato un dolore inimmaginabile. - 

- È la mia anima a sanguinare; il mio corpo non mi appartiene più. Sono solo un " pezzo " per i tedeschi; la mia vita non vale più niente. - 

- Non per me: io mi batterei fino allo strenuo delle forze per difendervi da loro. - Commento, accarezzandogli i capelli alla base del collo, dove lo aveva afferrato quel tedesco prima di comprimerlo contro la parete. - Ti infastidisce? - 

- Nessuno mi tocca più così da tempo. È tanto, ormai, che non mi sento più un uomo. - Sentendolo parlare così, mi vengono gli occhi lucidi, perché mi rammarica non poterlo compatire, dal momento che non ho neppure idea di come ci si possa sentire nel vedersi portare via qualcuno che si ama, per poi subire ciò che ha vissuto lui; essere seviziato ogni giorno, spogliato della propria identità e principi morali. 

Lui che, fisicamente, appare più forte di tanti altri è, in realtà, un guscio vuoto, un ulivo morente, ancora suggestivo se visto dall'esterno, ma completamente inaridito all'interno. 

Ha solo diciassette anni, uno più di me, ma i suoi occhi e il suo corpo ne dimostrano tanti di più, come se, sulla pelle, portasse i segni di una vita intera di sofferenze. 

- C'è qualcun altro oltre te? Familiari, amici? - Ritiro la mano, temendo di essermi presa troppa libertà. Poi, vedendolo contrarsi ancora di più, come infreddolito, ravvedo il mio pensiero, coricandomi al suo fianco. 

- Mio padre... M-ma cosa fai? Il comandante potrebbe vederti. - Finalmente ho piena visuale del suo viso, dei suoi occhi velati di inestricabile malinconia. Allora rivedo il suo senso di impotenza, il dolore graffiante che deve aver provato nel guardare il fratellino per l'ultima volta, probabilmente sapendo che non lo avrebbe più rivisto. 

E lo sento urlare, cercare la sua mano mentre i soldati lo trascinavano via e lo spingevano a sinistra, insieme agli altri che sarebbero stati condannati a morte.  

- Come si chiamava tuo fratello? - 

- Yonathan, si chiamava Yonathan. - Sussulto impercettibilmente, notando l'incredibile assonanza tra " Johann ", fratello minore di Reiner, e " Yonathan ", l'eterno fanciullo. 

I suoi occhi si fanno vacui, dunque cambio discorso, tornando alla sua situazione; - tuo padre sa quello che ti hanno fatto? - 

- Ce ne sono tante di dicerie sul mio conto; dicono che sono la puttana dei nazisti, che sono uno sporco collaborazionista, come se io avessi scelto da me tutto questo... -  

- Io, in questo, posso capirti; il tuo dolore è il mio, la tua carne martoriata è ciò che mi attende, se non sarò tanto scaltra da reprimere ai loro occhi la mia umanità... Non posso promettervi la salvezza, ma posso assicurarvi che per me non vi sarà alcuna vera gioia, finché voi vivrete in catene e morirete per una decisione di vostri pari. - Lui prende la mia mano con la spontaneità di un bambino e se la porta sul viso, socchiudendo gli occhi illacrimati. 

Non dice nulla, ma non servono parole per comunicare il suo bisogno di cure e di tenerezza. 

- Posso guardare? - Chiedo, passando il pollice su un segno bianco, sulla clavicola. 

Lui, non senza esitare, solleva l'orlo della maglia a righe, voltandosi di schiena, rivelando le cicatrici lasciate da un passato troppo recente e doloroso. 

Mi tappo la bocca per non singhiozzare, piangendo una lacrima per ogni colpo di frusta che ha inciso la sua pelle, come una tela che è stata strappata e ricucita. 

Sono innumerevoli i tagli che subissano la sua pelle bianchissima di imperfezioni, forse, procurati da chi era troppo invidioso per ammettere che lui, un ebreo, fosse bello. 

Con i polpastrelli, come se consultassi una mappa, percorro le cicatrici, più o meno spesse, bianche o ancora rossastre, cercando, un po' troppo ingenuamente, di assorbire il suo dolore e farlo mio, in modo tale da alleviare la sua pena. 

Lui trabalza, mosso dal ricordo di quei momenti bui, porta le ginocchia al petto, come a volersi proteggersi dai suoi aguzzini e trema, annegando lacrime vecchie, di dolori passati, in quelle nuove. 

D'istinto, lo abbraccio, confortandolo almeno della mia vicinanza. 

- Vai, ora. Il comandante potrebbe insospettirsi... È meglio che non ti veda così. - Temendo di avergli dato fastidio, mi ritraggo immediatamente, scattando in piedi. - Per il tuo bene. - Aggiunge, curvando la schiena per farsi più piccolo. 

Prendo la coperta appoggiata sul giaciglio di Ariel, dichiarando che non si sarebbe arrabbiato e che io, nel frattempo, avrei provveduto a procurargliene un'altra.  

La stendo con cura sul suo corpo, assicurandomi che nessuna parte rimanga scoperta. 

- I nazisti hanno paura di te, hajnalcsillag. - Mi immobilizzo ormai sulla soglia della porta, senza voltarmi addietro. - Tu rendi colpevoli coloro che si credono innocenti e innocenti coloro che sono resi colpevoli... Egy angyal, aki betoppant az életünkbe... Un piccolo angelo caduto nelle nostre vite. - Resto interdetta, con un piede dentro ed uno fuori, bloccata. - Hajnalcsillag, " stella del mattino ". - 

Se non fosse sbucato Reiner nel corridoio, non mi sarei mai decisa a staccarmi dai coprifili; per forza ho dovuto lasciare la stanza, avendo paura che il biondo potesse ingelosirsi e infierire su di lui. 

- Sono qui. - Manifesto la mia presenza e, strada facendo, ripenso alle parole di Isaac, destando l'interesse del comandante.

- Ti ha parlato? - 

- Non molto. - Rispondo, restando sul vago. - Dove sono i Costa? Li hai visti? - 

- Aiutano in cucina; la ragazza sta apparecchiando. - 

Una cena non proprio frugale, come sempre con Ariel: questa volta, ha preparato il mio piatto di pasta preferito, la carbonara; con l'uovo strapazzato però! così come piace a me, nonostante non sia proprio conforme alla ricetta tradizionale. 

Reiner stava già per rimproverargli l'errore, fin quando non mi ha vista gongolare, felice che si fosse ricordato di quella variazione che gli avevo richiesto. 

Un piatto, volutamente, gliel'ho lasciato, in modo che mangiasse anche lui qualcosa di sostanzioso, prima del rientro di Schneider. 

Reiner mi ha lasciata fare, curandosi poco della procedura. 

Del resto, Ariel mi ha salvata da morte certa e penso che, per questo, il comandante gli sia profondamente riconoscente e sia dunque disposto a concedergli più libertà. 

Al termine del pasto, ci viene servita della frutta esotica; mango, cocco, papaya di ignota provenienza. 

Chiaramente, non ci è dato sapere dove Rüdiger riesca a reperirla.

Intanto, anche un altro giorno è trascorso, in fretta, così in fretta, che non mi è parso neppure d'esser riuscita a fuggire da questo posto. 

Il domani mi attende e il presagio che qualcosa di terribile possa accadere non mi fa prender sonno. 

Mi giro e mi rigiro fra le coperte, ma Reiner, al mio fianco, non si lamenta, anzi, anch'egli si rotola senza sosta da una parte all'altra, inquieto. 

- Sei tutto sudato - gli sfioro il viso, trovandolo caldo e umidiccio, come se avesse la febbre alta. È naturale che mi preoccupi, eppure lui non ne vuole sapere di confidarmi il motivo del suo malessere. Faccio presa sulle sue spalle, cercando di scalare una montagna invalicabile. 

- Fass mich nicht an. / Non toccarmi. - Invece che tenermi alla targa, ciò mi spinge ancora di più ad investigare: provo a scavalcare, a passargli sopra, ma lui me lo impedisce, ributtandomi sul materasso con una spinta. 

Non è da lui. 

Per niente.

- Bitte. / Per favore. - Il suo respiro è corto e irregolare; sembra quasi che sia affaticato. 

Provo di nuovo ad avvicinarmi e lui, di rimando, si alza, tirandosi sul margine del letto. 

Non mi arrendo; gattono fino al suo lato, abbracciandolo da dietro e cingendogli affettuosamente le spalle. 

- Reiner, ti prego, parlami. - Lo imploro, massaggiandogli le spalle, stampandogli un bacio sulla nuca. - Qualcosa non va? - 

Mi sporgo per guardarlo in viso, beccandolo completamente arrossito, fino alla radice dei capelli...

Eppure, un momento fa, era pallidissimo.

Appoggio una guancia sulla sua spalla, aspettando che mi rivolga lo sguardo. 

Lui, invece, rimira un punto fisso, indeterminato, oltre la finestra. 

- Perdonami. - Sussurra, facendomi subito pensare a qualcosa di terribile. Poi, mi rendo conto che non avrebbe mai reagito in questo modo se fosse stato qualcosa di grave e mi tranquillizzo, addentrandomi nel territorio della sua sfera privata. 

- Perché chiedi scusa a me? Mi hai fatto forse qualcosa? - Si piega verso di me, con occhi liquidi, sorridendo intenerito. 

- Süße Unschuld. / Beata innocenza. - La sua mano si posa sul mio viso ed io non retrocedo, strusciandomici su, come a volerlo ringraziare per la sua devozione. - Nel momento stesso in cui ti ho desiderata, mi sono sentito morire; credevo di essermi liberato da ciò che mi rendeva un vizioso vigliacco, invece, ho scoperto d'esser ancora schiavo del mio corpo, di pulsazioni irrefrenabili. - Allora sono io a guardarlo intenerita, avendo capito cosa ci sia alla radice del suo disagio. 

- Quindi non mi abbracci più? Ho un po' di freddo... - Non è vero; la temperatura all'interno della stanza si aggirerà intorno ai diciassette gradi che, per me, sono più che sufficienti, ma sono disposta a patire il caldo pur di sgomberargli la mente. - O devo temere un incontro non proprio galante con la tua parte inferiore? - 

- Mi stai provocando? - Mi rituffo sgraziatamente fra le lenzuola, incrinando il materasso. 

- Non era mia intenzione. - Ribatto, aspettando che lui si cali alla mia altezza. - Sei dolce a preoccupartene. - Confesso, riprendendo il discorso di prima. - Suppongo che la colpa sia mia, però. Mia, non tua. -

- Sei così giovane, tesoro mio... Sarebbe immorale forzarti a fare qualcosa per cui non ti senti pronta. - Si corica al mio fianco e mi osserva soggiacere accucciolata, con certi occhi dolci che, a vederlo, non si penserebbe mai. - Ti aspetterei in eterno. - Così dicendo, mi risistema la coperta addosso, coprendosi anch'egli e sistemandosi su di me, con la testa adagiata sul mio petto. - Oh, du bist super weich! Wie bequem! / Oh, sei super morbida! Che comoda! - Imbarazzata, gli do un colpetto sulla testa, pregandolo di cambiare posizione. Io, che mi ero voltata di lato, come mio solito, me lo ritrovo immerso nella pienezza di neve pudica, violata da più mani del suo candore. Ora che ciuffi biondi mi accarezzano la pelle, piango, ma di gioia, sapendo che egli mi ama senza misura e senza riserva alcuna. 

Ore dopo, luce tiepida mi irradia il volto e il sole del mattino si presenta a me in tutto il suo splendore. Il profumo di cornetti appena sfornati e caffè caldo mi riportano alla mente i classici bar all'italiana, tempo addietro, quando ancora frequentavo la caffetteria abituale con le amiche di scuola. 

Reiner è di nuovo all'opera, con il dipinto che aveva lasciato in sospeso a causa degli ultimi avvenimenti. 

Non lo avevo neanche notato il cavalletto...

Forse, gliel'avranno riportato stamane. 

- Ti ritrovo sempre in punti diversi, ma la posizione è la stessa... Interessante. - Formula, allargando le gambe sulla sedia, girata insolitamente all'incontrario. 

- Da quanto tempo sei lì? - Mi stropiccio le palpebre, cercando di appiattire un ciuffo ribelle. Non ci vedo ancora nitidamente: troppa luce dopo tanto buio e la spossatezza mi fa richiudere gli occhi ogni mezzo secondo.

- Qualche ora; ho quasi finito. - 

- Tu non fai colazione? - Mi dice che verrà tra un istante e di incominciare senza di lui. 

Ovviamente non resisto e vado subito a sbirciare. 

- Non ti sei neanche sporcato... - Avendo notato la sua canottiera immacolata, mi è venuto spontaneo domandarmi come abbia fatto ad uscirne senza neppure una macchia. 

- Le mani si lavano più facilmente. - Mostra i palmi e le dita colorate di bianco, nero, blu, rosso, come una tavolozza. - Cosa ne pensi? - 

- Penso che tu sia riuscito a catturare l'essenza di me... Tenera, pigra, sognatrice. - 

- Pigra dici? - Sorride, circondandomi la vita con un braccio, per non sporcarmi i vestiti. 

- Non ho solo pregi, bello mio. - Lo vedo guardarsi intorno, in cerca di qualcosa.

- Ho dimenticato il marroncino nell'altra camera. - Dice, riferendosi alla " sua ". 

- Te lo vado a prendere io; sia mai che gli imbratti i muri! - Esco dalla stanza, camminando tranquillamente, non più zompettando sugli alluci come in un gioco di equilibrismo: Rüdiger si sarà già destato dal sonno e, comunque, non avrebbe senso nascondermi. 

Oggi, stranamente, non sembra esserci alcuna donna in casa, nè la biondina dell'altra volta, nè la mora, nè altre con cui l'avevo visto in precedenza. In compenso, dietro la porta del suo studio si ode un vociare confuso, un parlare concitato, un complottare misterioso. 

Senza accorgermene, tendo l'orecchio, sperando di riuscire a sentire qualche cosa. Era sicuro che io stessi dormendo o che, comunque, fossi impegnata con Reiner perché, altrimenti, l'avrebbe chiusa a chiave. 

Non riesco ad identificare l'altra voce ma, dal tono quasi sottomesso, comprendo che sia un suo subalterno e che, probabilmente, gli stia comunicando una notizia sgradita. 

Il rosso si altera, alza la voce e, qui, riesco a capire: - Wie kommt es, dass kein Gas mehr gibt? Greift auf die Rücklagen züruck! / Com'è possibile che non ci sia più gas? Attingete dalle riserve! - 

- Wir haben alle Dosen erschöpft, Herr Kommandant. Der Nachschub hätten vor zwei Tagen ankommen sollen, aber es muss ein Problem gegeben haben. Morgen früh werden sie vielleicht kommen. / Abbiamo esaurito tutti i barattoli, Herr Kommandant. I rifornimenti sarebbero dovuti arrivare due giorni fa, ma ci deve essere stato un intoppo. Forse, sopraggiungeranno domani mattina. - 

- Ich habe keine Zeit zu warten. Die Listen sind schon erstellt; mindestens tausend Gefangene müssen heute liquidiert werden. / Non ho tempo di aspettare. Le liste sono già stilate; almeno un migliaio di prigionieri dovranno essere liquidati oggi stesso. - Ribatte il comandante, sbattendo il pugno sulla scrivania. Io ascolto, impassibile, sapendo di dover soffocare gemiti di preoccupazione. - Verbrennt sie. / Bruciateli. - Non posso accertarmene, ma sono sicura che i suoi occhi riflettano una luce diabolica e le sue pupille si siano contratte ferocemente, nere e taglienti come la sua anima. Non un briciolo di rimorso nella sua voce, nè pietà, solo un estatico, perverso piacere. 

- Wie bitte? - Balbetta quello, come se non avesse inteso gli ordini del comandante. 

- Weft sie lebend in die Gräber; sie sind Muslimen, sie können sich nicht einmal bewegen, sie werden nicht rebellieren. / Gettateli vivi nelle fosse; sono musulmani, non riescono neanche a muoversi, non si ribelleranno. - 

- Wie Sie befehlen, Standartenführer. / Come comandate, colonnello. - 

Scappo via, tornando da Reiner a mani vuote e accartocciandomi sotto le coperte. 

Piango silenziosamente, impregnando il materasso di lacrime. 

Lui si avvicina e mi sostiene tra le braccia, cercando di curare il mio dolore, eppure egli non sa che non vi sarà cura finché lui e tantissimi altri avranno vita, finché il cielo non piangerà le lacrime che, invano, hanno versato coloro che poi lo avrebbero raggiunto. 

Finché le preghiere inascoltate degli innocenti giaceranno nella terra e si disperderanno nel vento, il mio stato di eterna malinconia non si dissolverà mai e, nella casa di coloro che vogliono estinguere un popolo millenario, non mi sento altro che una complice compassionevole, una vittima privilegiata che, per paura di fallire, ha rinunciato alla sua virtù più grande: il coraggio. 

 

 

 

 

  
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