Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: lady igraine    09/05/2019    1 recensioni
Elena ha ventun anni, è bella, spaventata dal futuro e tremendamente insicura della sua vita e delle sue scelte. Al secondo anno di infermieristica, costretta all'ennesimo tirocinio sofferto per compiacere la propria famiglia, pensa di gettare tutto al vento ma ha troppa paura di prendere una decisione.
Demian è un ragazzino, ha tredici anni, è terribilmente ostile ed ha una situazione famigliare disastrata alle spalle.
In apparenza nulla li lega, eppure il destino intreccia le loro strade indissolubilmente, perché a volte le risposte più ovvie sono nelle persone più improbabili.
***
"Quante verità costellavano il suo mondo, e lei neanche poteva immaginarle. C’era troppa complessità lì, dentro quel corpo pallido e diafano, dietro a quegli occhi freddi. Lei non poteva afferrarla del tutto, non poteva capirlo e aveva deciso di non farlo.
Non aveva bisogno di capirlo per preoccuparsi per lui."
"Elena era come una poesia di Neruda, indefinita e irreale. C’era una delicatezza in lei che filtrava attraverso le parole e gli penetrava nella pelle, diventava parte di lui, di un desiderio che non trovava sfogo e si comprimeva nel petto sempre più a fondo, una spina dolorosa che non riusciva a togliere."
Spin-off della storia "A' Demian"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Perché tu possa ascoltarmi

 

EPILOGO

 

 

 

 

La neve si scioglieva, inumidiva i prati, macchiava le grandi mani della statua di Don Bosco, protese verso i bambini nel centro del cortile.

Lo sguardo di Elena si perdeva oltre le vetrate della saletta ristoro, oltre le parole di Chiara che continuava a raccontarle, a spiegarle. Era una ragazza minuta e dalle guance morbide, Chiara, non era cambiata molto dagli anni in università, quando ancora erano compagne di corso. Lavorare all’Hospice però, l’aveva resa più pragmatica, meno spontanea e solare.

A volte, le aveva confidato che si intristiva, era difficile per lei non legarsi.

«Non credo le resti ancora molto, meno di un mese ormai. Ne abbiamo parlato con la sorella, ma non penso lo abbiano detto a suo figlio, è così giovane»

Elena ingurgitò il caffè con una smorfia.

Il caffè insapore delle macchinette le ricordava Demian.

«No, Dami ancora non lo sa. Non dirgli niente»

La sua amica tacque, si rigirò il bicchierino di plastica tra le dita corte e tozze. Le aveva spiegato quanto fosse legata emotivamente alla famiglia Lemaire e che Jenevieve era stata uno dei suoi primi casi medici quando ancora era una tirocinante, un paio di anni prima, per questo Chiara le raccontava tutto, anche se non avrebbe dovuto.

Per questo non si meravigliava che, almeno un paio di volte alla settimana, Elena si presentasse all’Hospice, per osservare quella donna diafana e sfatta da lontano, senza mai avvicinarsi per parlare.

Elena le era grata per tutta la sua discrezione e la sua disponibilità.

Dopo quella fatidica mattina, quando si era svegliata e Demian non era più accanto a lei, qualcosa si era irrimediabilmente rotto nel loro rapporto. Da lì, il crollo era stato lento e inesorabile, il terreno sotto i loro piedi era come la parete scoscesa e friabile di una montagna, sempre sul punto di franare, di perdere un pezzo.

Così erano stati loro.

Non si erano persi, non avrebbero potuto nemmeno volendo, ma tutta la confidenza e la dolcezza che li aveva uniti si era dispersa, scialacquata nell’odio e nell’insofferenza di Demian. Perciò, perfino chiedergli come stesse lui, come stesse Jenevieve, era un diritto che aveva perduto, e non le restava altra scelta che vegliarli da lontano.

«Che rapporto hai con il ragazzo?» osò domandarle Chiara, con incertezza.

Le era sfuggito un sorriso amaro, intriso dei suoi stessi dubbi.

 

Non lo so, che rapporto ho con lui.

Ma ciò che sono, lo devo a lui.

Ogni mia scelta sensata è nata da lui.

 

Era difficile spiegare che se alla fine aveva scelto di specializzarsi in oncologia, era stato per Demian, perché l’impotenza che aveva provato di fronte al suo dolore era stata il più grande fallimento della sua vita. Era difficile spiegare che Jenevieve, con il suo solo esistere, l’aveva messa con le spalle al muro, le aveva donato una consapevolezza che nella leggerezza dei suoi vent’anni non avrebbe mai potuto avere.

Stava valutando cosa risponderle, ma notò la figura di Demian, in lontananza nel corridoio, varcare le porte a vetri dell’ingresso, ed ogni buon proposito le morì in gola. Era meraviglioso, anche ora che i suoi sedici anni li portava come ne avesse vissuti trenta. Era bello di una bellezza bruciata e sbattuta alla James Dean, un poco consumata dagli eccessi ma sempre limpida, eterea come il suo lento incedere da mago, da creatura mitologica.

Elena esitò, si guardò le mani, come a farsi forza, per convincersi ad alzarsi, ad andare da lui.

Negli anni avevano dimenticato come parlare, come volersi bene, eppure Elena desiderava solo quello, avvicinarsi, sincerarsi che stesse bene, proprio ora che il momento peggiore incombeva su di lui ed era sempre tanto triste. Negli ultimi mesi però, la loro distanza si era fatta più grande e profonda, una gola invalicabile, e perfino quel poco che ancora era rimasto sembrava ai suoi occhi perduto in maniera tragica e disperata.

Negli ultimi due anni, una sola certezza l’aveva confortata: nel rancore, Demian le voleva ancora bene, la cercava, aveva bisogno di lei. Anche solo per scopare, con quella rabbia che non era più scemata, che si manifestava solo nel rapporto fisico, una collera aggressiva ed incurante della quale lei per prima si nutriva, come un vampiro. Perché in un mondo dorato che l’aveva viziata e coccolata, la sua rudezza non era mai davvero troppo, non era eccessiva, era solo forte, inebriante.

Un montante spietato, un colpo forte a tradimento che, nel dolore, la faceva sentire viva.

Per Demian non era mai stata di vetro, pronta a spezzarsi, per questo lo aveva amato, amava quel broncio naturale delle sue labbra gonfie mentre camminava assorto, raccolto in riflessioni che non l’avevano mai davvero inclusa.

 

Sei sempre stato una scarica di energia, afferrare il proibito. L’infinito raccolto dietro il velo della mia ipocrisia.

 

Per questo esitava, perché per quella botta di adrenalina, quel brivido intenso, era lui a doverne pagare le conseguenze. Glielo aveva letto negli occhi, alla fine di ogni rapporto consumato in fretta e senza cura, che Demian soffriva, si sentiva in colpa e si sentiva meschino.

Demian non avrebbe voluto vederla, da tempo cercava di recidere quel loro legame malsano, negli ultimi mesi con una rinnovata decisione che l’aveva spaventata, l’aveva resa debole.

Si era alzata senza accorgersene e l’aveva raggiunto in uno slancio quasi disperato.

 

Sono io che non voglio lasciarti andare, sono io che ti provoco, lo so.

Non posso farne a meno

 

«Dami, sei tu»

Demian si era fermato, a pochi metri dagli ascensori.

Si era voltato lentamente, meravigliato, quasi non credesse a se stesso.

Elena lo guardò negli occhi e rimase senza parole, sopraffatta dalla medesima sorpresa. Per la prima volta da chissà quanto tempo, non trovò instillato in quello sguardo sentimenti di odio e rancore, solo una genuina serenità, una pacatezza che scivolava nello sconforto nel trovarsela di fronte, in un appena percettibile nervosismo puerile.

 

È successo qualcosa, è evidente.

Qualcosa di bello.

Qualcosa di bello che non riguarda più me.

 

Il disagio del non sapere esattamente cosa dire la colse impreparata.

Il sesso era stato l’ultimo brandello di legame che li aveva uniti, avevano scopato per allontanare il peso di una mancanza, avevano sfogato in quei rapporti un dolore inesprimibile a parole, un male di cui, in realtà, erano loro stessi la causa, loro che si aggrappavano l’uno all’altro con tutte le forze per non perdersi.

Ora, anche quel desiderio si stava sbrindellando, stava diventando nulla, e questo la spaventava. Eppure, sotto le ceneri di quell’amore morboso, ritrovava il ragazzino inerme e indifeso, tenero come non le sembrava più nemmeno possibile ricordarlo.

«Ellie» aveva sospirato semplicemente, e le aveva sorriso con mestizia, carico di una nostalgia che la prese a tradimento.

 

Avevo dimenticato, quanto fossi tenero quando pronunciavi il mio nome così, in un sospiro, come fosse ovvio, scontato che fosse la mia, la mano che ti sfiorava.

Come dovessi essere io

 

Allungò emozionata una mano verso il suo volto, nel gesto di una carezza che prima era sempre stata scontata, ma che ora non lo era più, perché Dami non le aveva più permesso di concedersi certe dolcezze. Per questo le dita avevano tremato e con amarezza aveva abbassato il braccio.

«Stai bene» sussurrò.

Dami si era sciolto in un’espressione sdilinquita, lo spettro del ragazzino adorante, purificato dall’odio che li aveva inghiottiti e che, nonostante tutto, non era mai riuscito a cancellare l’affetto, lo aveva solo e sempre mascherato.

«Sto bene» aveva sussurrato.

La sua pelle non portava più le tracce dell’ultimo pestaggio che l’aveva portato ad essere ricoverato in ospedale, il suo pallore naturale rifletteva la luce come la più pura delle statue, senza alcuna ombra di sfregio. Quel pestaggio per cui, per la prima volta, non l’aveva chiamata.

Non aveva chiesto aiuto, non a lei, per non fare torto all’altra, perché ora c’era un’altra.

«L’ultima volta non mi hai chiamato. È stata la prima volta. Ho avuto paura… che non avessi più bisogno di me»                                                                      

«Le cose sono cambiate»

Non le aveva più parlato con quell’arrendevolezza, quella tenerezza impietosita.

«Lo immaginavo»

Dami le aveva dato un leggero buffetto sulla guancia, una sorta di carezza affettuosa e indulgente «Come avevi detto una volta? Che avrai sempre bisogno di me, giusto?»

Gli sorrise, anche se era triste «Sì, l’ho detto»

«Vale anche per me, Ellie. Lo sai che vale anche per me, anche quando ti odio»

Le tremò il labbro inferiore, ma lo morse, per contenere il dispiacere.

Era stato terribile per lei, quella chiamata mai avvenuta l’aveva messa davanti alla realtà: non era più il suo punto di riferimento. Guardò i capelli candidi che gli accarezzavano la fronte pallida, la linea pulita del suo viso, e pensò che, nonostante tutto, riusciva a trattarla a volte come fosse ancora la poesia di Neruda che le aveva dedicato, quel foglio che Elena teneva, piegato e sgualcito, dentro il portafoglio, per non dimenticare il proprio errore.

Per non dimenticare che oltre la violenza di quella mattina lontana, non lo aveva mai odiato e lui era sempre tornato da lei.

Per non dimenticare che l’aveva amata e che anche lei lo amava.

Solo, non abbastanza.

«Mi va bene, quando mi odi, basta che non sparisci come hai fatto in questi mesi… me lo avevi promesso»

Nel disagio, Demian l’aveva rifuggita, i suoi occhi erano corsi al corridoio, all’ascensore che lo divideva da sua madre. Ed Elena si era sentita ancora meschina, ancora piccola e immatura e ingrata.

«Se devi andare non farti problemi, Dami, mi basta vederti ogni tanto, almeno per poco…»

Sì sentiva tragicamente esposta, pensò che Demian l’avrebbe presa e schiacciata come un chicco d’uva tra pollice e indice, come faceva a volte quando lei gli mostrava il suo affetto, per ferirla, per pareggiare in qualche modo i conti.

Lo supplicò quasi disperatamente di non farlo.

 

Se deve essere l’ultima volta, permettici di essere quelli che siamo sempre stati prima.

Ti prego

 

«Cosa ci fai qui, Ellie?»

Abbozzò un sorriso mesto «Passo almeno un paio di volte alla settimana. L’infermiera che hai visto prima era una mia compagna di corso, lavora nel reparto di tua madre»

 

È il mio modo di starti vicino, anche quando ti sono lontana

È il mio modo di non perdere tutta la bellezza che rappresenti, che mi doni

 

Vederlo esitante le ricordava che era dolce in realtà, che fare il duro non era il suo mestiere, eppure Demian aveva sempre tentato di calcarsi addosso quella maschera di solidità e forza incrollabile.

Quanto era cambiato in quegli anni, come si era fatto fragile, di cristallo, e lei non lo aveva saputo vedere, non lo aveva aiutato, lo aveva spinto solo nel baratro. Persino la serenità che gli tingeva lo sguardo in quel momento era solo uno specchio per mascherare la debolezza che languiva nella sua anima.

Demian era un vetro incrinato che minacciava di sbriciolarsi, era una richiesta disperata a cui non aveva saputo prestare aiuto. Era un bambino che si era aggrappato a lei ogni volta che il mondo si era fatto troppo grande e troppo ostile. Ormai era una donna, aveva capito cosa voleva, non si sentiva più persa, ma di fronte a Dami, di fronte ai suoi occhi fatati di luna, Elena sentiva riaffiorare l’insicurezza dei suoi vent’anni, quell’istinto morboso di prendersi cura di lui al di là di tutto.

Si sentiva nulla, davanti all’affetto che li aveva uniti.

«Tu, adesso…» ma Dami non trovava le parole.

C’erano cose che non aveva mai saputo chiedere, cose che Elena aveva imparato a capire lo stesso.

Gli sorrise, smossa dalla familiare tenerezza per lui «Non vado via. Resto qui ancora un po’. Vuoi un passaggio per tornare a casa?»

Arrossì come un bambino, chinò piano il capo.

«Devo andare in ospedale, dopo» aveva detto, senza spiegare il perché, era quella verità omessa che lo imbarazzava.

Elena sapeva che andava da lei.

«Ti porto io»

«Non serve» borbottò imbronciato. Voleva fare il duro, risultava solo più tenero e morbido, così se stesso da farla ridere.

Perché quelli erano i “No” che adorava, che in realtà celavano un “Sì”.

«Ti aspetto qui»

Non aspettò una risposta, gli diede la schiena e tornò da Chiara, perché tanto lo sapeva, Demian stava annuendo.

 

 

Ogni volta che incontrava sua madre, Demian ne usciva un poco distrutto e Elena allora sentiva il cuore incrinarsi per il ragazzino che si portava dentro e che soffriva innocentemente la perdita di un genitore. Anche lei ritornava indietro, con lui, ritornava davanti alla camera d’ospedale di Jenevieve, ingenua e impreparata.

«Sto bene» aveva detto subito Dami, per fermarla sul nascere.

E lei aveva finto che fosse vero, non aveva insistito.

Sentirlo accanto a lei, in quella stessa macchina, le ricordava quando lo accompagnava a casa in quei mesi di tirocinio e gli bendava le ferite, una vita prima. La riportava a quel primo bacio rubato, all’errore di averlo ricambiato, di non essersi fermata.

La riportava a quando era l’oggetto della sua adorazione, non del suo disprezzo, non un semplice sfogo ma l’epicentro di un amore innocente.

«Lui come sta?»

Si morse le labbra, prima di rispondere.

«Sta bene. È da tanto che non mi chiedi di lui»

«Non mi è mai stato troppo simpatico» lo diceva con tranquillità, scrollando le spalle.

«E ora sì?»

Demian guardava lontano, i palazzi fuori dal finestrino, assorto, con le palpebre leggermente abbassate, le folte ciglia che mettevano in ombra le iridi chiare, le mostrava solo la nuca fragile e quel pallido riflesso nel finestrino.

«Ora lo capisco»

Aveva parcheggiato la macchina con una sola manovra, un po’ brusca, poi si era fermata, immobile per troppi istanti.

«Ti sei innamorato» constatò, e si sentì tremendamente triste.

«Dovrei esserne felice, ho sempre voluto questo per te, eppure non posso non sentirmi triste. È come vedere una parte di me che se ne va»

«Amore è una parola grande» era in imbarazzo, si sentiva in difetto.

«Eppure non ne trovo un’altra. Con quell’aria sognante hai guardato solo me, è un’espressione che conosco bene»

«Hai intenzione di provare ad allontanare Annie come hai fatto con ogni ragazza che mi si è avvicinata negli ultimi due anni?»

Elena sussultò, si sentì quasi tradita da quell’accusa.

«Ti sbagli» aveva sempre saputo che Demian l’aveva fraintesa, che da quell’unica volta in cui avevano fatto l’amore, era stato tutto distorto e traviato. Sapeva, che pensava lo avesse usato senza affetto, per egocentrismo, perché voleva troppo e pensava solo a se stessa.

Ma non era reale.

A modo suo, in modo malato forse, lo aveva amato tantissimo.

«Forse ho voluto proteggerti troppo, è vero, ma non le ho mai cacciate per possesso. L’ho fatto solo per vergogna, credo. Con la mia leggerezza infantile ti avevo fatto così male, ti avevo tolto la fiducia… non volevo che altre immeritevoli potessero avvicinarsi a te, scavare nuove crepe nella tua purezza»

La guardò confuso, gli occhi immensi erano sempre gli stessi, limpidi di un cielo invernale che incantava e raggelava, per l’immensità che le apriva davanti, senza confini.

I suoi occhi erano come la luna che ispirava i poeti, nello stesso modo le ispiravano la più nobile bellezza.

«Non sono mai stato puro»

Lo bloccò «Non sapevi guardarti. Ti ho rovinato, me ne sono sempre pentita. Sei stato la cosa più bella della mia vita, lo sai quanto vali per me, puoi fingere di non rendertene conto… ma lo sai. Lo sai che non avrei mai tradito Simone, mai con nessuno. Solo con te»

Tre anni di tradimenti, la sua vergogna più grande, l’unica a cui non riusciva a rinunciare, non le importava che lui capisse realmente la portata del suo affetto, le bastava che lo ricordasse, che si ricordasse che anche lui l’aveva amata.

Attraversarono il parcheggio, parlarono del più e del meno, di qualche sciocchezza.

«È stato triste, vederti circondato di un mondo di cui non faccio più parte, ma sono stata così felice, Dami, di sapere che stavi bene. Sembravi stare bene davvero»

Lui le aveva sorriso, arrendevole, soffice, così Elena gli aveva detto tutto, gli aveva detto la verità.

«Simone mi ha chiesto di sposarlo»

«Ah» era quasi inciampato nei suoi stessi piedi, per la sorpresa.

«Quando?» aveva recuperato il pacchetto di sigarette dalla tasca, se ne era messa una in bocca e l’altra gliel’aveva offerta. Si erano seduti, spalla contro spalla, con le volute di fumo a riempire lo spazio che li separava.

«Non è deciso»

«Hai detto di sì?» una domanda strana, che le strappò un sorriso: perché Dami restava ancora la persona che meglio la capiva, a volte.

«No. Ho detto “vediamo”»

Demian corrugò la fronte «Vediamo cosa?»

«Vediamo il momento in cui questo non ti ferirà»

Insieme alla boccata di fumo, Demian liberò il suo nome, un sussurro leggero e già disgregato nell’aria, un rimprovero che sapeva di supplica.

«Ellie»

Spense la sigaretta e si appoggiò a lui: con la testa abbandonata su quella spalla non più sottile, non più infantile, si sentì un poco a casa, un luogo famigliare e sicuro che le era mancato tragicamente.

«Dovremmo lasciarci andare» le disse, con una riluttanza troppo dolce per non commuoverla.

Annuì piano «Forse dovremmo»

Ma già inclinava la testa, quel poco perché potessero guardarsi negli occhi, perché potesse assorbire lo splendore del suo ragazzino, infinitamente vicino eppure destinato a perdersi lontano da lei.

«Tu lo sai, che per me sarai sempre tu. Lo sai, devi saperlo… la tua sola esistenza ha cambiato la mia, non devi dimenticarlo. Io non lo dimenticherò»

Sentiva il suo respiro sulle labbra, quegli occhi chiari che s’infrangevano nei suoi, l’opposto, sempre, dei suoi, fragili come un cristallo di neve in controluce.

Le sorrise, si chinò piano su di lei, le sfiorò le labbra in ultimo, familiare bacio intriso di tutti i forse che, non ci fosse stato Simone, sarebbero stati realtà. Si baciarono come un addio, un ultimo delicato bacio prima di separarsi.

Le sue labbra erano morbide e dolci come succo d’uva.

Demian sarebbe sempre stato il suo “forse” più grande e la sua motivazione più forte.

 

Spero davvero che un giorno potrai perdonarmi di non essere stata abbastanza adulta quando avrei dovuto.

Spero che un poco mi capirai, capirai quanto ti ho voluto bene, quanto mi sono odiata perché quel bene non bastava.

Avrei davvero voluto saperti ascoltare come avresti meritato.

E grazie.

Grazie di avermi aperto gli occhi, ragazzino.

Grazie, di avermi dato un senso.

Ti amerò sempre, per questo.

 

 

 

 

Angolo autrice

 

È così, per la prima volta, ho portato a compimento questa storia su EFP. In passato non ci ero riuscita, per scoramento, perché questa piattaforma è un po’ morta e se non ti crei dei circoletti non combini nulla. Ora però, la soddisfazione di aver messo un punto è più grande di tutto il resto, perciò voglio ringraziare le numerose persone che pur limitandosi a leggere, hanno dedicato tempo a questo racconto.

La storia di Demian ed Elena qui si conclude, altro che li riguarda è scritto altrove, nella storia originale, e non racconta più il loro amore ma, semplicemente, il loro legame.

Sì, le loro strade non si dividono, ma si allontanano, ci sono rapporti che sono destinati a durare nel tempo, a mutare la loro natura, semplicemente. E quando due persone si sono amate molto ma vanno oltre l’amore provato, penso che sia questo che succede, non smettono di amare, semplicemente non sentono più la necessità di essere riamati.

Questo è ciò che avviene in Demian, perlomeno.

La perdonerà solo nel momento in cui non sentirà più la necessità di ricevere da lei ciò che lei non può dargli.

Amo questi due moltissimo, spero vi abbiano tenuto buona compagnia e che l’epilogo non vi abbia delusi troppo. Volevo raccontare un amore che finiva, non il per sempre, e mi piace sperare di esserci riuscita un pochino.

Per quel che vale, mi sono divertita, non mi stancherò mai di scrivere di Dami.

E quindi… niente, scusate per averci messo tanto e grazie di tutto!

 

Ps: i Red House Painters con la loro Have you Forgotten avevano accompagnato la stesura di questo capitolo. Sì, sono retrò, lenti e tragici, ma ehi, sono i padri dello Slowcore, perciò li cito, che magari a qualcuno possono piacere!

Image and video hosting by TinyPic
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: lady igraine