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Autore: Melabanana_    11/05/2019    1 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Arrivo con un nuovo capitolo fresco fresco di scrittura. È il penultimo capitolo dell'Hiroto Arc e sarà praticamente tutto pov di Hiroto (in terza persona). Questo arc è quasi concluso!


 
[NORMAL P.O.V.]



 
 
-Va tutto bene. Non fa male…
 

Hiroto sentì Midorikawa mormorare queste parole mentre i suoi occhi già si chiudevano. La mano del ragazzo, ancora premuta contro la sua guancia, scivolò via e il braccio gli ricadde lungo il fianco, inerme. Quando le forze vennero a mancargli del tutto, anche le gambe cedettero e Midorikawa iniziò a sfuggirgli dalle braccia. Hiroto strinse istintivamente la presa attorno alla sua vita per fermarne la caduta. La testa di Midorikawa si reclinò all’indietro e i capelli scompigliati gli ricaddero sul viso: l’aura minacciosa che poco prima l’aveva circondato era scomparsa, lasciando posto ad un’espressione innocua.
Osservando quel volto addormentato, Hiroto si pietrificò, assalito dall’ondata di terrore che accompagnava sempre l’uso del proprio dono.
Alzando lo sguardo, notò Kazemaru ed Endou correre loro incontro. Kazemaru sembrava molto scosso e, mentre osservava Midorikawa, i suoi occhi si riempirono di lacrime.
-Sta…?- mormorò con voce soffocata, troppo spaventato dalla possibile risposta per riuscire a completare la domanda. Hiroto lo guardò, apprensivo, e cercò di colmare i vuoti al posto suo.
-Sta bene. Dorme- rispose. Sperava di suonare confortante, ma non sapeva se con quelle parole stava tentando di confortare più Kazemaru o se stesso. Hiroto spostò lo sguardo da Kazemaru a Midorikawa, e viceversa.
-Vuoi… portarlo tu alla base?- azzardò.
Kazemaru deglutì, il suo sguardo fisso su Midorikawa. Rifletté sulla proposta per qualche minuto, poi strizzò forte gli occhi per ricacciare indietro le lacrime e scosse il capo.
-Con te è al sicuro- disse. La sua voce era più ferma e calma di poco prima. Hiroto ne restò colpito, anche se non era sicuro che Kazemaru avesse ragione.
Guardandosi intorno, vide che la stanza si era riempita di persone. Buffalo e Fox erano ancora a terra, svenuti, mentre Windy aveva ammanettato Coyote e gli teneva le braccia strette dietro la schiena. Probabilmente, anche gli altri ragazzi di Garshield erano stati presi.
Mark Kruger si avvicinò di corsa.
-Tutto bene qui? Dobbiamo evacuare subito l’edificio, con tutti i danni subiti dubito reggerà molto… Valtinas sta venendo qui con il suo elicottero- li informò, apprensivo.
-Tutto bene… Certo- rispose Hiroto, poi tacque. Non sapeva cos’altro avrebbe potuto aggiungere. Kruger abbassò per un attimo gli occhi sulle sue braccia, ma distolse subito lo sguardo. Hiroto capì che stava cercando di non fissare Midorikawa, forse per tatto, forse per altri motivi.
-Ottimo lavoro, Kiyama. Senza di te sarebbe stato impossibile fermare del tutto Garshield. Hai mantenuto la tua parola, grazie del tuo sostegno. Inoltre…- Mark si fermò, osservando la devastazione che li circondava. Hiroto attese che continuasse, ma Mark decise di non farlo. Scosse il capo. -Ottimo lavoro- disse di nuovo, poi si allontanò per tornare dalla propria squadra.
Hiroto non era affatto sicuro di aver fatto un ottimo lavoro.
Endou e Kazemaru gli toccarono gentilmente la schiena, come per incoraggiarlo.
-Andiamo, Hiroto- disse Endou.
–Torniamo a casa- aggiunse Kazemaru.
Hiroto gettò uno sguardo verso i due compagni. Entrambi gli sorrisero, anche se visibilmente provati dalle ultime ore, e Hiroto sentì un’ondata di affetto verso di loro. Gli vennero le lacrime agli occhi, al punto che riuscì solo ad annuire. Con il loro aiuto, si caricò Midorikawa sulla schiena mentre si avviavano verso gli altri agenti. Un rumore di pale di elicottero squarciò il cielo e, poco dopo, videro il mezzo di Valtinas fare capolino attraverso macerie e calcinacci.
 
L’edificio stava crollando.
I danni provocati da Jackal erano stati enormi, al punto che era un miracolo che la struttura non avesse ceduto molto prima, mentre loro erano ancora dentro. A modo loro, erano stati fortunati. Hiroto non si sentiva molto fortunato in quel momento ed era sicuro che anche Endou e Kazemaru fossero dello stesso avviso.
Circondati dalle auto della polizia e dei paramedici, che continuavano ad arrivare, accalcandosi nello spazio davanti al palazzo, tutti i partecipanti alla missione osservavano il crollo da una distanza di sicurezza. Di certo, nessuno dei presenti avevano mai visto niente del genere, perché non potevano nascondere il loro sgomento né a smettere di osservare quello che sembrava uno scenario post-apocalittico. Il generatore doveva essere esploso a causa dei danni e aveva trascinato con sé nella rovina l’intero impianto elettrico, facendo scoppiare un incendio: ciò che non era stato devastato da Jackal e da Midorikawa sarebbe finito ugualmente distrutto.
Una mano si posò sulla sua spalla. Hiroto sussultò e si voltò verso Valtinas.
-Ora che Garshield è sotto arresto, lo incastreremo una volta e per tutte per i suoi crimini. Dovrà pagare per tutto il sangue versato… Questa volta ce la faremo- disse, mentre stringeva leggermente la sua spalla. Abbozzò un sorriso. Hiroto non riuscì a ricambiarlo, ma annuì, sperando che Valtinas capisse. Sperava con tutto se stesso che fosse davvero finita; al tempo stesso, però, non riusciva a scrollarsi di dosso la paura, la sensazione che qualcosa avrebbe potuto andare storto. Si era già concesso di pensare che sarebbe andato tutto liscio una volta, subito dopo aver spento il generatore, e aveva pagato il suo errore a caro prezzo.
Addormentare Hiroto Kira non era stato… difficile. Quello che restava, e che Garshield aveva sfruttato per bene, non era Hiroto Kira in nessun modo: quella persona era ormai sparita per sempre, apparteneva ad un passato che non sarebbe ritornato. Hiroto gli aveva già detto addio tante, tante volte, in cuor proprio. Questo era stato soltanto l’ultimo di una serie di addii. Aveva disattivato per sempre il dono della copia, spento il generatore e, con esso, le macchine che per anni avevano spremuto quel potere fino all’ultima goccia. Non avevano affatto previsto di cadere in un’imboscata, di essere attaccati da un gruppo misto di drifters e guardie. I drifters di Garshield erano feroci, spericolati, infuriati: non avevano paura del dolore, o persino della morte. Le guardie erano soltanto esseri umani normali, per cui bisognava essere cauti. Mettere fuori combattimento qualcuno senza arrecare troppi danni non era mai semplice. La fortuna di Hiroto era stata semplicemente quella di trovarsi con due Spy Eleven esperte e una buona squadra, pronta a coprir loro le spalle. Stentava a credere che fosse successo solo qualche ora prima.
Nulla di ciò di cui era stato testimone quella sera, però, avrebbe potuto prepararlo a ciò che avrebbe visto dopo. Quel potere devastante, distruttivo, come un buco nero che risucchiava ogni cosa verso di sé, polverizzando e trasformando qualsiasi cosa.
E Midorikawa, l’occhio del ciclone, al centro di tutto.
Midorikawa.
 
Hiroto sapeva che tutti gli sguardi erano puntati su di loro, o meglio su Midorikawa, ancora svenuto su una barella dei paramedici. Qualcuno, come Kruger, evitava di guardare verso di loro, cosa forse anche peggiore, perché era evidente che stessero tentando di evitarlo. Erano tutti incuriositi e intimoriti da Midorikawa: sembrava così innocuo, adesso. Hiroto non aveva idea che il suo dono potesse arrivare a… certi livelli. Era probabile che neanche Midorikawa lo immaginasse. La sua espressione, quando Hiroto lo aveva trovato, era difficile da descrivere. Era come… come se… come se il mondo per lui stesse finendo in quell’istante. Hiroto avrebbe voluto soltanto stringerlo a sé ancora di più, ancora più stretto, per proteggerlo e nasconderlo dagli sguardi altrui.
Hiroto, a sua volta, stava cercando adesso di evitare uno sguardo: quello di suo padre, Seijirou. Era arrivato con le altre Spy Eleven mancanti, insieme alla polizia locale. Non aveva mostrato ancora segni di volergli parlare, preferendo restare al fianco di Hitomiko, mentre i paramedici la visitavano, ma Hiroto era certo che Seijirou stesse tenendo sott’occhio anche lui. Forse avevano entrambi paura di cosa avrebbero letto uno nell’espressione dell’altro. Se per Hiroto non era stato difficile dare l’addio finale a Hiroto Kira, probabilmente per Seijirou era un pensiero insopportabile. Hiroto sapeva che avrebbe dovuto parlare, prima o poi: aveva così tante cosa da chiedere a Seijirou, così tante cose che avrebbe voluto sentirsi dire. Provò a immaginare come sarebbe stato, ma gli girava la testa. Era troppo stanco per pensarci. Gli stava salendo la nausea. Benché tra lui e suo padre ci fossero soltanto a pochi metri di distanza, sembravano divisi da una barriera insormontabile.
Un urlo lo distrasse. Arrivò da chissà dove, dalla folla, e squarciò il silenzio attonito.
Hiroto si voltò di scatto e vide la polizia chiudersi attorno ad un punto preciso. A quel singolo urlo se ne aggiunsero altre, si moltiplicarono. Valtinas gridava di restare calmi, Fideo si stava chinando su qualcuno che stava a terra. Mark Kruger. Mark era stato colpito da… da cosa? Mentre Hiroto cercava di capire cosa stesse succedendo, la temperatura circostante si abbassò di colpo.
Un brivido lo scosse, ma non era soltanto a causa dell’improvviso freddo. Era la causa a farlo rabbrividire. Era Coyote. Le manette erano cadute a terra, congelate, spezzate, e ora le sue mani erano libere. In qualche modo, doveva essersi ripreso abbastanza da fare un ultimo, disperato tentativo di resistenza. Hiroto si sentì improvvisamente del tutto inutile, non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Successe tutto in pochi attimi. Approfittando dell’effetto sorpresa, Coyote spazzò via gli agenti intervenuti per fermarlo con una tempesta di ghiaccio evocata sul momento. Li mandò gambe all’aria, li ferì con cristalli di neve e congelò le loro armi. Poi si slanciò in avanti, i suoi occhi fissi su un’unica persona, allargò le braccia e raccolse le ultime energie per creare un’altra ondata di gelo puro. Hiroto si mosse istintivamente tra lui e Midorikawa.
Qualcun altro si frappose tra loro e Coyote.
Seijirou non provò neanche a difendersi, non ne aveva modo. Semplicemente, si buttò davanti a Hiroto con le braccia spalancate. L’attacco lo colpì in pieno petto e lo sollevò da terra. Hiroto non riuscì a staccargli gli occhi di dosso: il momento gli sembrò durare un tempo indeterminato, suo padre era come sospeso in aria, come se non avesse più peso. Anche se suo padre lo aveva protetto, Hiroto si sentì come se avesse comunque ricevuto il colpo. Tutta l’aria aveva lasciato il suo corpo, i rumori erano diventati ovattati. Poi Seijirou toccò terra: cadde con un rumore secco, come un oggetto qualsiasi, e non si rialzò, e il momento finì. Il tempo per Hiroto riprese a scorrere. Erano passati solo pochi secondi.
-Figlio di…!- Fudou si scagliò contro Coyote con un ringhio, più che un urlo. Inaspettatamente, però, qualcuno lo precedette: Fideo Ardena, emerso chissà dove dalla folla, si buttò su Coyote come una furia. Coyote non provò a ribellarsi, nemmeno quando Fideo lo afferrò per il colletto e lo sbatté a terra con violenza. Hiroto incrociò per un attimo il suo sguardo e lesse soltanto delusione negli occhi di Coyote. Aveva un solo tentativo a disposizione, una sola possibilità di riuscita, e aveva fallito ed era deluso. Quasi rassegnato. Fideo gli diede un pugno in faccia, facendogli perdere i sensi, e Hiroto gliene fu grato. Lo avrebbe fatto lui, se avesse avuto la forza di fare qualcosa, qualsiasi cosa. In realtà, era ancora bloccato. Non aveva neppure urlato.
Infatti, Hiroto aprì la bocca e non ne uscì alcun suono. La voce di sua sorella riempì quel vuoto.
-Papà… No… no, papà!
Hitomiko provò persino ad alzarsi dalla barella, tuttavia la gamba rotta non resse e la trascinò verso terra; sarebbe caduta anche lei, se Desarm non fosse stato lì a sostenerla.
-Osamu, lasciami! Devo… lasciami andare da lui! Papà, apri gli occhi! Papà!- urlava, la sua voce distorta dal pianto. Hiroto aveva visto Hitomiko piangere, qualche volta, ma mai come in quel momento. La vide dibattersi nell’abbraccio di Desarm, tendere la mano verso Seijirou, che stava ancora rannicchiato a terra.
Una delle ambulanze lo portò via d’urgenza. Hitomiko vi salì, Hiroto no. Ancora frastornato, il ragazzo rimase immobile, come se non riuscisse a elaborare quanto successo. Solo quando un’altra ambulanza si apprestò a portare via Midorikawa, il ragazzo si riscosse. Si sedette accanto a Midorikawa, gli prese la mano e la strinse forte, se la portò alle labbra e la baciò più volte sul dorso. Endou e Kazemaru salirono con loro e, benché si fossero accorti che Hiroto stava piangendo, non parlarono per tutto il tragitto.
 
xxx
 
Erano trascorsi appena dieci minuti da quando aveva messo piede in ospedale e già si sentiva fortemente a disagio. Hiroto non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che non dovesse trovarsi lì. Era difficile credere che due delle persone più importanti della sua vita si trovassero entrambe là, nello stesso momento; era semplicemente un pensiero orribile.
La camera di suo padre era azzurra e quasi del tutto spoglia, così come ti aspetteresti da una camera di ospedale. Sul comodino c’era un vaso di cristallo, da cui sporgeva un mazzo di camelie rosse e bianche che non avevano alcun profumo. Un leggero vento faceva oscillare le sottili tende di tele, cosicché queste sfioravano, di tanto in tanto, il tubicino della flebo che pendeva da una sacca di plastica. Hiroto si sforzò di distogliere lo sguardo dall’ago infilato nel braccio di suo padre, perché gli dava la nausea. Le lenzuola erano azzurre, una sfumatura appena più scura rispetto a quella delle pareti e del soffitto della stanza, appena più chiara di un cielo vero, quello ritagliato dalla finestra. Seijirou se ne stava seduto in mezzo a tutto quell'azzurro, con la schiena appoggiata tra due grandi cuscini e le mani nodose intrecciate sul grembo. Stava fissando il vuoto con aria pensierosa. Anche quando sentì Hiroto spostare la sedia per mettersi accanto al letto, aspettò alcuni momenti prima di voltarsi lentamente. Aveva un’espressione quasi incredula, come se non credesse che Hiroto fosse davvero lì.
-Non sapevo se saresti venuto- disse, infatti. Hiroto rimase seduto, intrecciò le mani in grembo e lo guardò, pensando che un tempo quell’uomo era stato tutto il suo mondo.
-Penso che tu abbia delle cose da raccontarmi- gli disse. -Sono venuto per ascoltare.
Sperava di apparire tranquillo, come se avesse preso quella decisione serenamente, e non rimuginandoci per tre settimane. Non era stato facile decidere di venire, anche se il ricordo di quella notte continuava a ripetersi nella sua testa, come una pellicola di un film che si riavvolgeva costantemente.
Suo padre avrebbe potuto morire quel giorno, invece la vita aveva dato loro un’altra occasione. Una possibilità di chiarire le cose. Prima che Coyote li attaccasse, Hiroto aveva pensato a quella conversazione. Sembrava quasi che il fato avesse risparmiato suo padre perché questo momento potesse arrivare.
-Voglio sapere ogni cosa. A questo punto, crederò solo a ciò che esce dalle tue labbra- disse.
Seijirou si accigliò, poi distolse lo sguardo e annuì.
-Sì… Naturalmente, hai ragione… Tu devi sapere- borbottò.
-Ci sono molte cose che non ti ho mai detto… Per esempio, che somigli molto a tua madre.
Hiroto alzò il volto di scatto e fissò Seijirou ad occhi spalancati. Aveva pensato molte volte a quale tipo di conversazione sarebbe stata. Da giorni ripeteva scenari sempre differenti nella sua testa, cercando di anticipare cosa Seijirou avrebbe detto, cosa lui gli avrebbe risposto… Hiroto aveva immaginato tante cose che suo padre avrebbe potuto dirgli, ma certamente non questa. Gli mancò la voce, si costrinse a deglutire.
–Conoscevi mia madre…?
-Sapevo chi era. Era imparentata con mia moglie, una nipote, l’unica parente che le fosse rimasta... Mia cognata è morta giovane e le due donne sopravvissute sono rimaste legatissime- spiegò Seijirou.
-Quindi, vedi, in un certo senso tu hai sempre fatto parte di questa famiglia. Hai, in parte, lo stesso sangue di Hitomiko e di… Hiroto-. Seijiirou fece una pausa, come se dire ad alta voce il nome del figlio fosse ancora troppo doloroso. Hiroto lo capiva fin troppo bene: c’erano ferite che nemmeno il tempo poteva guarire. Cercare di offrire conforto avrebbe portato solo altra sofferenza.
-Certo, è comunque incredibile che tu e Hiroto foste quasi del tutto identici. Penso sia stata mia moglie a suggerire di darvi lo stesso nome.
-La madre di Hiroto ha voluto questo…?
Seijirou annuì di nuovo.
-Quando tua madre e tuo padre sono rimasti coinvolti in un incidente, mia moglie ha subito un duro colpo… Come ti ho detto, era legatissima alla tua mamma. Mia moglie avrebbe voluto adottarti, ma non c’erano soldi. In quel periodo spendevamo molto per le sue cure, lei era malata… Per questo, invece, veniva a trovarti spesso all’orfanatrofio, portando Hiroto con sé. Te la ricordi? Ti ricordi… di lei?
Il ragazzo scosse il capo. Non conservava alcun ricordo di quella donna, ma, ora che sapeva chi era, avrebbe voluto ricordarla. Il volto di Seijirou s’incupì.
-Capisco… Sarebbe stato bello- disse, amareggiato. -Tutto è precipitato rapidamente. Mia moglie morì e, come ultimo desiderio, mi chiese di prendermi cura di te, voleva che fossimo una famiglia. E io la amavo così tanto che le dissi di sì...!- Seijirou si fermò. Singhiozzò.
Hiroto si rese conto, stupefatto, che il padre stava piangendo. Non lo aveva mai visto così vulnerabile: sembrava sul punto di cadere in mille pezzi da un momento all’altro.
-Io… Io sono una persona orribile… Aver perso metà della mia famiglia mi ha reso egoista e meschino. Ero accecato dal dolore e dalla rabbia per la morte ingiusta di mio figlio. Anche se l’avevo promesso, mi dimenticai di te dopo la morte di Hiroto. Sono caduto in depressione. E anche quando mi sono ricordato della promessa, non ero certo di potercela fare... Come avrei potuto prendermi cura di te, quando non riuscivo neanche a essere un buon padre per mia figlia? Me ne vergogno... mi vergogno terribilmente di com'ero in quel periodo, ma siete tu e Hitomiko ad averne pagato le conseguenze.
Stringendo le lenzuola così forte che le sue nocche diventarono livide, Seijirou si lasciò sfuggire un respiro tremulo, poi lo guardò con sincera commozione.
-Ero... ero convinto di non poter mai amare un bambino quanto mio figlio, ma sbagliavo. Tu mi hai fatto cambiare idea. Non ho potuto non amarti… Proprio quando ero convinto di non poter provare altro che odio, la tua mano piccola nella mia, il tuo amore incondizionato, tutto questo mi ha salvato dalla disperazione in molte occasioni. Hai cambiato la mia vita più di quanto io abbia cambiato la tua- disse Seijirou, e sorrise.
Hiroto sentì gli occhi bruciare di lacrime. Erano le parole che aveva sempre, sempre voluto sentirsi dire. Tuttavia, non era abbastanza.
-Papà… io…- mormorò, ma Seijirou scosse il capo.
-So bene che non puoi perdonarmi. Queste parole arrivano troppo tardi. Ho commesso troppi sbagli, ti ho ferito troppe volte- disse. Aveva smesso di sorridere. -Anche quel giorno è stato uno sbaglio… Non avrei mai voluto che lo scoprissi così, devi credermi, so quanto bene vuoi a mio figlio… Non avrei mai dovuto permetterlo, ma, ancora una volta, sono stato egoista… Ero così vicino a smascherare la verità e punire l’assassino di mio figlio… Ho messo la mia vendetta davanti al tuo benessere. Mi sono guadagnato il tuo disprezzo e quello dei tuoi compagni- mormorò Seijirou, coprendosi gli occhi con una mano. -Mi dispiace… Mi dispiace di averti trattato in modo così freddo… Non sono degno di essere tuo padre…
-Non dire così. Io non lo penso- lo interruppe Hiroto e, mentre lo diceva, si rese conto che era vero. Non voleva semplicemente confortare Seijirou, o essere gentile. -Mi hai dato una casa e una famiglia. So che mi avete voluto bene… Io mi ritengo fortunato. Sono stato davvero fortunato. Se sono qui oggi, è grazie a te e a Hitomiko… Quindi, basta aggrapparsi al passato. Adesso tutto ciò che voglio è guardare avanti. E penso che dovresti farlo anche tu- aggiunse, con dolcezza.
Seijirou singhiozzò più forte, apparentemente incapace di fermare il pianto. Hiroto pensò che avesse trattenuto quelle lacrime per molto, molto tempo, e decise di aspettare finché non si fosse placato. Passarono circa cinque minuti in silenzio, come unico suono quel pianto spezzato, prima che Seijirou riuscisse a parlare di nuovo.
-Ah… Ormai sono vecchio e stanco…- mormorò, asciugandosi le ultime lacrime con il pollice, poi guardò Hiroto con sincero affetto. -Ma tu, tu sei diverso da me. Sei sempre stato diverso da me… e non potrei esserne più felice. Non potrei esserne più orgoglioso… Tu non hai mai cercato vendetta, sei sempre stato puro. Perciò, non devi dimenticare questi sentimenti… Ogni giorno possiamo cambiare la vita di qualcuno, non devi mai dimenticarlo.
Finalmente Seijirou sorrise di nuovo e, soprattutto, questa volta Hiroto riuscì a ricambiare.
Seijirou sollevò a fatica una mano e indicò la cordicella argentata che pendeva dal soffitto, urtando quasi i fiori dai petali rossi. Hiroto immaginò che servisse per chiamare l’infermiera responsabile del reparto e si sporse rapidamente per afferrarla al posto di suo padre.
-Ah, grazie. Avrei proprio voglia di un bel tè nero…- disse Seijirou, pensieroso.
-Il dottore dice che la caffeina fa male ai convalescenti, vecchio mio- lo interruppe una terza voce. I due si voltarono.
Il signor Raimon era sulla porta, con una camicia a righe e un completo beige. Teneva il cappello in mano, appoggiato contro il petto. Prima di entrare, accennò un rispettoso inchino sia a Seijirou che a Hiroto.
-Posso disturbarti un po’, vecchio mio?- chiese, fermo sullo stipite.
Seijirou non sembrava sorpreso di vederlo.
-Certo- disse, con un leggero sorriso. -E puoi dire al dottore, più tardi, che un sorsetto di tè non ha mai ucciso nessuno.
Il signor Raimon rise e fece un passo avanti dentro la stanza. Si girò verso Hiroto.
-Ho portato le carte, ti va una partita con noi?- gli chiese. Dietro le lenti degli occhiali, i suoi occhi erano gentili e cordiali, e Hiroto comprese che in realtà gli stava chiedendo se desiderasse passare un po’ di tempo in più con suo padre. Scosse il capo.
-No, la ringrazio- rispose. -Mi dà solo un altro momento?
Il signor Raimon annuì come se avesse capito perfettamente, poi girò i tacchi e se ne andò, chiudendo la porta alle proprie spalle. Hiroto si girò verso Seijirou, che lo stava guardando con vivo interesse e, forse, un filo di speranza. Hiroto non sapeva cosa si aspettasse.
-Non posso perdonarti subito, ma un giorno probabilmente lo farò. Spero che riuscirai a perdonarti anche tu- disse, esitò mordendosi il labbro. Poi aggiunse, sottovoce:- Per quello che vale… per me sarai sempre mio padre.
Seijirou non rispose, ma i suoi occhi si inumidirono di nuovo.
Hiroto si voltò e andò alla porta. Quando la aprì, si trovò faccia a faccia con il signor Raimon e si spostò per lasciarlo entrare. L’uomo gli sorrise senza dire nulla e si rivolse a Seijirou.
-Allora, vecchio mio, siamo io e te! Da quanto tempo non facciamo una bella partita, eh? Ora che la situazione si è calmata, possiamo finalmente fare una bella chiacchierata, magari ricordare i tempi andati!- affermò, poi notò lo sguardo confuso di Hiroto. -Ah, Seijirou, la signora Kira e io siamo stati compagni di liceo, non lo sapevi? Bei tempi, sì!
-Bei tempi- ripeté Seijirou, senza dubbio ripensando alla moglie. Si distrasse fissando il vaso, studiando la forma delle camelie e il modo in cui gli steli s’incurvavano nell’acqua.
-Capisco- disse Hiroto, gentile. -Allora vi lascio alla vostra chiacchierata. Buona giornata, signor Raimon, e mandi i miei saluti a vostra figlia.
-Certamente, certamente-. Il signor Raimon sorrise, un bel sorriso luminoso e amichevole. A Hiroto piaceva quell’uomo. Sembrava portare con sé un’atmosfera rilassante, come una mattina riscaldata dal sole. Si rivolse a Seijirou con quel tono caldo.
-Chiederò alla caporeparto se è possibile farti avere una tazza di tè- affermò. A quelle parole, finalmente Seijirou si riscosse e, guardando il vecchio amico, parve leggermente più allegro. La sua fronte si distese. -Oh, ti ringrazio- disse, rincuorato.
Hiroto uscì dalla stanza, chiuse la porta alle proprie spalle senza far rumore e li lasciò alle proprie cose. Dopo qualche metro, controllò che il corridoio fosse vuoto, poi si appoggiò ad un muro e, per un momento, lasciò che le proprie emozioni traboccassero: non tentò di fermare le lacrime, pianse silenziosamente, ad occhi chiusi per alcuni minuti. Dopo un po’, il nodo alla gola si sciolse e il peso che avvertiva sulle spalle si alleggerì. Forse era troppo presto per dire di star bene; sicuramente ci sarebbe voluto molto più tempo per mettere una pietra definitiva sul passato.
Hiroto buttò fuori tutta l’aria, inspirò e ripeté l’operazione finché non si sentì pronto ad affrontare la tappa successiva della giornata, non più facile della prima. Quindi, si staccò dal muro e s’incamminò nel corridoio precedentemente attraversato, entrò nell’ascensore e scese al piano di sotto. La porta della camera di Midorikawa, su cui c’era il numero 234, inciso su una targhetta di ottone, era semichiusa, il che significava che le visite erano già in corso.
Quando Hiroto bussò, tuttavia, non c’era nessuno a parte Midorikawa, che dormiva con un’espressione pacifica. Qualcuno, forse una delle infermiere, gli aveva spostato le mani in modo che stessero sul petto, con le dita intrecciate. Hiroto pensò che fosse davvero di pessimo gusto: sembrava che il ragazzo fosse sul letto di morte. Per prima cosa, quindi, separò le mani di Midorikawa, afferrò quella più vicina a sé e la strinse tra le proprie, sperando intimamente che l’altro ricambiasse la stretta. Restò in attesa di un movimento, anche impercettibile, per alcuni secondi, poi sospirò.
Era davvero patetico; non stavano certo recitando in un film strappalacrime.
La finestra era aperta e i fiori bordeaux sul comodino emanavano un odore dolciastro, un particolare aroma che ricordava quello del cioccolato. Hiroto non conosceva il nome di quel fiore e si riservò di chiederlo alla caporeparto. Gli piacevano di più rispetto alle camelie che avevano portato a suo padre.
La porta si aprì di nuovo, rivelando la presenza di Kazemaru.
Il ragazzo gli riservò un sorriso caldo e sollevò le mani, ciascuna delle quali stringeva una lattina di tipo diverso. -Ehi, ho pensato che saresti passato- disse. –Tè verde o caffellatte?
Hiroto ricambiò il sorriso timidamente. –Tè. Grazie- rispose. Kazemaru si avvicinò e gli diede la lattina senza esitare. Sembrava felice di vederlo. In quei giorni, si erano incrociati spesso in quella stanza, che Kazemaru lasciava solo quando strettamente necessario. In un angolo, infatti, era ammassata la sua roba, tutta rinchiusa in una borsa rigonfia. Hiroto sapeva che Kazemaru passava quasi sempre la notte in ospedale.
-Sono andato a trovare mio padre- affermò, poi si fermò. Non sapeva che altro dire, forse perché non c’era altro da dire. Kazemaru non commentò il fatto che ci fosse andato solo quel giorno, nonostante fosse venuto all’ospedale tutti i giorni della settimana a trovare Midorikawa. Lui e Kazemaru non erano gli unici; anche la squadra di Desarm faceva spesso un salto la mattina o il pomeriggio, in particolare Diam, che aveva anche l’abitudine di fare lunghi discorsi all’amico addormentato (da quando il medico aveva detto che parlare con lui aiutava, Diam aveva interpretato il consiglio come una missione di vita).
-Oggi siamo solo noi due?
-Oh, Diam è venuto stamattina con Maki. Ma all’agenzia ci sono ancora un sacco di scartoffie e… Beh, non sono potuti restare. Comunque Diam ha parlato tanto da coprire l’arco di un’intera giornata in sole due ore- disse Kazemaru, rise.
-Gli vuole davvero bene- commentò Hiroto.
-Già, e Maki gli ha fatto un braccialetto di pronta guarigione. Guarda il polso destro- Kazemaru glielo indicò. –Maki dice che esprime sempre dei desideri quando crea vestiti o accessori. Per via del suo dono, mi sembra quasi che possano avverarsi.
Hiroto osservò per qualche secondo il bracciale: era un sottile intreccio di fili neri di pelle, da cui pendevano delle perline verdi. Il colore di Midorikawa. Sorrise e spostò lo sguardo, permettendosi di indugiare sui lineamenti di Midorikawa, soffermandosi a fissare le lunghe ciglia nere posate sulle guance. Era difficile resistere alla tentazione di baciarlo, tuttavia si fermò, troppo conscio della presenza di Kazemaru accanto a sé. Quando sbirciò verso l’altro, scoprì che anche lui stava fissando Midorikawa. La lattina di caffellatte era ancora chiusa, intoccata.
-Ha un’espressione pacifica, vero? Mi chiedo cosa sogni… se sogna. Penso che glielo chiederò, quando si sveglierà- commentò Kazemaru, pensieroso.
Quando, non se.
Il braccio di Midorikawa ebbe un sussulto e lui lo guardò sorpreso, speranzoso, prima di rendersi conto che era la propria mano a tremare così forte da far muovere anche quella dell’altro; Hiroto sciolse in fretta la presa, strinse in un pugno la mano e chiuse le dita dell’altra sulle nocche nel tentativo di farla stare ferma. Prima che la situazione peggiorasse, però, Kazemaru gli afferrò una spalla e strinse forte, riportandolo di forza alla realtà. Hiroto si rese conto di star trattenendo il respiro. Alzò lo sguardo di scatto e fissò l’altro in cerca di una qualsiasi forma di rassicurazione, sentendosi patetico e piccolo e spaesato.
-Si sveglierà- disse Kazemaru, rispondendo alla domanda che aleggiava nell’aria.
-Certo che si sveglierà. Conosci qualcuno più testardo di lui? Giuro che è tornato letteralmente dalla morte, la scorsa settimana- aggiunse. Aveva gli occhi lucidi, ma la sua voce era ferma e, d’un tratto, Hiroto riuscì a percepire una tiepida, piacevole brezza che gli accarezzava il viso. Era incredibilmente confortante e, pian piano, lo calmò. Si chiese se non fosse opera di Kazemaru anche quello.
Era probabile che Midorikawa stesse dormendo così a lungo solo per riprendersi dallo sforzo fatto la scorsa settimana. E poi, Hiroto era certo di essersi trattenuto: non era mai concentrato tanto per controllare il proprio dono, proprio perché non aveva mai avuto tanta paura… La stessa paura che minacciava costantemente di togliergli il fiato. Ovviamente non avrebbe mai voluto ferire davvero qualcuno; spesso, però, le persone intorno a lui si facevano male lo stesso, che lui lo volesse o meno, e Hiroto non poteva fare a meno di pensare che fosse colpa propria.
No, Hiroto non pensava affatto di aver fatto un ottimo lavoro.
Tuttavia, Midorikawa aveva fiducia in lui. Kazemaru aveva fiducia in lui, e così tanti altri.
-Sai, spero che stia sognando te- disse Kazemaru dopo un po’. Stava sorridendo con dolcezza, gli occhi fissi sul volto di Midorikawa. -Spero stia sognando te, perché non l’ho mai visto così felice come quando è con te.
-Kazemaru, io…
-Ascoltami. Lui non è solo il mio partner. È mio fratello, e lo conosco. Lui si sveglierà.
Lo disse con tale forza che non si poteva non crederci.
Hiroto continuò a ripetersi quelle parole per tutto il tempo che rimase nella stanza. Lui e Kazemaru bevvero le loro bevande in silenzio, vegliando su Midorikawa.
Si sveglierà. So che ti sveglierai, pensava Hiroto. Midorikawa, ti sto aspettando.
E quando si sarebbe svegliato, Hiroto gli avrebbe detto tutto ciò che provava per lui.
 



xxx
 
 


Passò ancora un’altra settimana, poi un’altra.
Una fresca notte di marzo, Midorikawa Ryuuji si svegliò in un letto d’ospedale, mentre dall’altro lato dell’edificio Kira Seijirou chiuse gli occhi e non li riaprì più. Il ragazzo era confuso, spaesato, ma vivo, mentre l'uomo era andato via con le mani intrecciate e un pallido sorriso sulle labbra. Le due persone più importanti della vita di Hiroto Kiyama presero strade completamente opposte.
Erano entrambi ignari che il loro più grande nemico, il mostro che aveva terrorizzato Tokyo e il mondo intero e che li aveva spinti su quelle strade, volontariamente o meno, stava affrontando il suo destino quella stessa notte. Il mattino dopo, infatti,
si sarebbe tenuto il processo che avrebbe dichiarato Garshield Bahyan colpevole e lo avrebbe condannato all’ergastolo, mettendo così fine al sanguinoso capitolo per sempre.


 
**Angolo dell'Autrice**

La storia di Hiroto e di Seijirou ce l'avevo in mente dall'inizio, a grandi linee, l'ho modificata un po' man mano che la fic andava avanti. Avevo un po' di dubbi su come scrivere quella parte, perciò ho deciso di rivedere l'episodio 63 della serie... e allora ho capito cosa volevo fareì. La scena tra Hiroto e Seijirou non è una scena di perdono. È una scena di catarsi e di scuse dovute. Però sì, Hiroto lo perdonerà. Mi ha sempre colpita molto la scena dell'anime in cui dice a Reina che, nonostante tutto, Seijirou sarà "sempre suo padre". Per questo, sono sicura che Hiroto lo perdonerà, anche se altri non lo faranno. 

La parte che mi è piaciuto più scrivere, però, è quella con Hiroto e Kazemaru. Il loro rapporto è uno di quelli che si è evoluto di più, anche se non esplicitamente. Penso che entrambi siano cresciuti moltissimo, grazie a Midorikawa (anche se non so quanto il diretto interessato ne sia consapevole, lol).

Grazie a chi ha letto il capitolo ♥
Vi auguro una buona giornata!
     Roby

...Ah, e siccome sono una fissata con il linguaggio dei fiori: 
la camelia / il fiore di Seijirou → sacrificio (in nome dell’amore);
il chocolate cosmos/ il fiore di Midorikawa → ti amo più di chiunque altro (in generale i cosmos simboleggiano un amore pacifico e tranquillo).



 
   
 
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