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Autore: SusyCherry    12/05/2019    4 recensioni
«Devi assolutamente imparare a nuotare, è assurdo che un ragazzo della tua età non sia in grado di farlo.»
Così era iniziato tutto, con sua madre che lo ossessionava per convincerlo a iscriversi in piscina e Sherlock che l’aveva ignorata fino a che non era sopraggiunto Mycroft.
[...]
Ed ecco perché si trovava lì, in accappatoio e ciabatte, sul bordo di una piscina invasa da bambini urlanti, con cuffia e occhialini in una mano e nessunissima intenzione di entrare in acqua.
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Storia già terminata.
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[Storia scritta per l’evento "Merry Christmas!" del gruppo facebook "Johnlock is the way... and Freebatch of course!"]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve, rieccoci col nuovo capitolo. So che ultimamente i tempi si stanno un po' dilatando, purtroppo è un periodo in cui non riesco nemmeno ad avvicinarmi ad un computer per il poco tempo che ho. Motivo per cui non ho riletto il capitolo tante volte quanto avrei voluto e faccio di solito, ma davvero se avessi fatto diversamente avrei finito per pubblicarlo chissà quando. Quindi se notate errori e refusi per favore fatemelo notare. Alla fine comunque ci siamo, ringrazio chi sta tenendo duro, chi mi dedica un po' del suo tempo recensendo e chi ha inserito la storia in una categoria. Mi date un sacco di gioia e mi spingete a tenere sempre a mente che devo aggiornare la storia! La buona notizia è che per il prossimo capitolo sicuramente non dovrete aspettare così tanto, la cattiva è che sarà più piccolo degli altri, proprio per questo cercherò di pubblicarlo a non troppa distanza da questo. Spero continuiate ad apprezzare la storia, vi lascio alla lettura. A presto!




John ci aveva messo un po’ a riprendersi e quando finalmente si sentì meglio non poté tornare in piscina perché chiusa per le vacanze di Natale. Un po’ gli dispiaceva, ma in fondo le feste gli permettevano di vedere Sherlock più spesso. Mancavano pochi giorni a Natale e decisero di approfittare di un pigro pomeriggio per andare un po’ a zonzo per la città. Aveva nevicato parecchio, quindi le strade erano ricoperte di bianco, cosa che conferiva un pizzico di spirito natalizio in più all’ambiente. A John piaceva quel periodo, l’atmosfera di festa e lo spirito che si respirava in ogni dove, Sherlock lo aveva facilmente dedotto già dalla sua richiesta di “andare a fare una passeggiata sotto le luci di Natale”. Lui invece era indifferente a tutto questo, ma avrebbe cercato di non fare il guastafeste, d'altronde stare con John valeva bene prendere parte per un po’ a quel teatrino. E in fondo in fondo doveva ammettere che gli piacevano davvero i colori di cui la città si era tinta, in contrasto con il bianco niveo del manto stradale nei punti in cui questa si era accumulata ad opera degli spazzaneve. Del resto era anche ovvio: filtriamo gli impulsi e le sollecitudini esterne in base al nostro stato d’animo. Negli scorsi Natali Sherlock si era sempre sentito infelice, non capiva cosa ci fosse di diverso rispetto ad un qualsiasi altro giorno e trovava stupide e fastidiose le tradizioni correlate. Quest’anno invece era bastata la sola presenza di John per fargli vedere tutto sotto un’altra luce: le decorazioni luccicanti, i profumi invernali, i bastoncini di zucchero e le bancarelle che vendevano ogni tipo di dolciume. Ovviamente non era diventato tutto ad un tratto un tipo tutto miele e sorrisi, doveva pur sempre mantenere un certo aplomb e autocontrollo, aveva una reputazione che ci teneva a mantenere. Però dopo i soliti canonici cinque minuti in cui si era lamentato di tutto e in cui John lo aveva sopportato e assecondato pazientemente (o per meglio dire ignorato) aveva deciso che poteva anche smetterla e godersi quella giornata. La sua nomea di sociopatico ad alta funzionalità era salva (che poi lo sapeva bene che John non credeva nemmeno un po’ a quell’autodiagnosi). Stavano camminando su una strada buttando un occhio alle vetrine decorate quando udirono entrambi una tipica canzoncina natalizia che veniva sparata ad alto volume da un altoparlante lì vicino. Parlava di amore, Natale e speranza. Sherlock immaginò che sarebbe stato bello camminare in quell’atmosfera mano nella mano con John. Se solo fosse stato il suo ragazzo. Ma come previsto non avevano più nemmeno sfiorato l’argomento dopo quel giorno a casa dell’amico e non se l’era proprio sentita di affrontare un discorso tanto spinoso. Si sarebbe fatto bastare quello che avevano, almeno per il momento. Rise silenziosamente di sé, era bravo a mostrarsi freddo e scostante all’esterno, quando nella sua mente fantasticava come una ragazzina alla sua prima cotta. Lui, John, le luci di Natale e una dolce canzoncina in sottofondo, magari anche un cucciolo da portare in giro con loro. John l’avrebbe fermato e gli avrebbe stampato un bel bacio sulle labbra. O magari l’avrebbe bloccato lui per sporgersi a cercare la sua bocca. Sospirò insultandosi da solo per concepire pensieri tanto smielati, non ne avrebbe mai fatto parola con anima viva. I ragazzi non pensano queste cose, giusto? Sono forti, virili e non fantasticano. Sherlock si era sempre trovato stretto negli stereotipi e nei cliché, certo non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbero stati quel tipo di preconcetti a stargli stretti, i sentimenti erano stati da lungo tempo aboliti dalla sua mente. Ma ora si trovava qui, incastrato in questa situazione in cui era innamorato del suo migliore amico, con la recondita convinzione che non sarebbe mai successo nulla tra di loro. Perché doveva negarsi anche il semplice indugiare in quei pensieri che lo facevano sentire tanto bene? In nome di cosa? Di una sconsideratezza e superficialità tutta maschile? Perché gli uomini sono incapaci di provare sentimenti, amore? Lui sapeva di essere all’altezza della situazione per ciò che riguardava le cose importanti. La sua mascolinità la mostrava nell’essere in grado di prendersi cura dell’amico e non si sentiva più debole nel permettere all’altro di farlo a sua volta con lui. Tutto il resto, gli atteggiamenti da macho, semplicemente non gli interessavano. Probabilmente non avrebbe mai esternato i suoi pensieri, ma questo aveva poco a che fare con la spacconeria e molto con la timidezza e la difficoltà ad aprirsi, facendo fuoriuscire la sua parte più sensibile. Che era ben presente, viva e forte, ma accuratamente celata. Ma almeno con se stesso non doveva fingere e sapeva bene che con John avrebbe volentieri acconsentito ad ogni sdolcinatezza possibile, magari dopo una parvenza di reticenza, giusto per mantenere le apparenze e non sovraesporre quel suo io così emotivo.

Sherlock doveva essere perso nelle sue riflessioni già da un po’ perché quando si girò trovò lo sguardo di John su di sé che lo osservava curioso. Arrossì lievemente quasi temendo che i suoi pensieri potessero essere visibili sul suo volto e affondò un po’ di più la testa contro la sciarpa.

«Perché mi fissi?» domandò titubante.

«Avevi un’aria così assorta. Eri carino così concentrato.»

Il lieve rossore di poco prima si caricò ulteriormente colorandogli tutto il viso. John se ne usciva sempre con frasi del genere con una semplicità disarmante.

Era indeciso se cogliere l’occasione per riprendere un discorso in realtà mai cominciato quando la loro attenzione fu calamitata da un uomo vestito da Babbo Natale che suonava una campanella. Accanto a sé reggeva un sacco di iuta e un cartello spiegava che era una raccolta di beneficenza. John fu subito entusiasta della cosa e si avvicinò estraendo dalla tasca il portafoglio per lasciare una piccola offerta a quell’uomo. Sherlock lo seguì in silenzio, contribuendo anche lui alla giusta causa. Ammetteva che probabilmente non ci avrebbe mai pensato se avesse incrociato l’uomo da solo, ma questo era uno dei motivi per cui amava John: lo manteneva sulla retta via[1]. L’uomo in risposta al loro gesto fece suonare la campana che reggeva in mano augurando loro un buon Natale, ovviamente preceduto dall’iconico “Oh oh oh”. Sherlock riuscì persino a non evidenziare gli evidenti errori di travestimento dell’uomo, né obiettò sull’inutilità di una simile figura nell’immaginario dei bambini (anche se dovette mordersi piuttosto forte la lingua per non farlo) e John inspiegabilmente capì l’enorme sacrificio che aveva appena fatto e lo ricompensò con un sorriso e una timida carezza tra i capelli.

«Quando eri piccolo credevi a Babbo Natale?» gli domandò curioso John allontanandosi di qualche passo dall’uomo.

«Mi costa ammetterlo ma hanno rifilato anche a me quella stupida storiella. Ovviamente non è andata avanti a lungo, ci ho messo poco a capire l’illogicità della cosa. All’asilo già informai tutti i miei compagni di classe sulla realtà dei fatti. Ricordo non la presero molto bene.»

«Immagino» ridacchiò divertito.

«E tu? Fino a che età hai creduto a Babbo Natale?»

«Non mi hanno mai raccontato la favola di Babbo Natale» rispose con un’alzata di spalle.

«Oh.»

Chissà perché proprio non si aspettava una cosa del genere. John aveva un cuore tanto buono ed era in grado di mostrare un tale genuino stupore per le sue deduzioni che gli era venuto spontaneo supporre che avrebbe amato credere in una simile figura. Invece i genitori lo avevano privato di questa possibilità.

«Non fraintendere, ricevevo anch’io dei regali di Natale. Solo che sapevo che erano i miei genitori a portarmeli.»

«E non ti è dispiaciuto? Non credere a questa magia almeno per un po’.»

«Ma se hai appena detto che è una stupida storiella!»

«Che c’entra, io sono io. Non ci sono molte persone logiche e razionali come me. So che il resto del mondo ci tiene molto a queste cose.»

«Comunque no, non mi è pesato. Anzi credo di aver apprezzato l’onestà dei miei genitori. Non saprei dirti se prenderei la stessa scelta se mi ritrovassi nei loro panni, ma non ho nulla da recriminare loro. Certo, questo non significa che vado dai bambini a infrangere i loro sogni!» terminò con una risata.

John restava un mistero sotto certi aspetti. A volte sembrava la persona più felice e serena del mondo, altre mostrava una vena di malinconia e tristezza che Sherlock proprio non capiva da dove derivasse. Era un meraviglioso, intricato enigma. Restò a fissarlo per qualche istante quando con la coda dell’occhio carpì i movimenti di una persona che stava attraversando la strada per dirigersi verso l’uomo vestito da Babbo Natale. Si voltò di scatto a guardarlo deducendo in poco tempo le sue intenzioni. John dovette notare il repentino cambio d’atmosfera perché la sua postura mutò in una più rigida, pronto a scattare al segnale.

«Che succede Sherlock?»

«Quell’uomo. Vuole derubare il Babbo Natale.»

Non fece in tempo a finire la frase che l’uomo in questione cominciò a correre afferrando con una mano il sacco con le offerte. La scena si svolse veramente in qualche secondo, senza dare all’uomo in costume il tempo di reagire, ma i due ragazzi erano pronti all’azione e in breve si precipitarono all’inseguimento del ladro. Gli erano entrambi alle calcagna quando Sherlock appoggiò un piede su una lastra di ghiaccio scivolando malamente a terra. John che gli stava qualche metro davanti non notò subito l’incidente e terminò l’inseguimento poco dopo, balzando sul malvivente e immobilizzandolo al suolo. Nel frattempo la confusione creata aveva attirato l’attenzione di molte persone che si avvicinarono con l’intenzione di dare una bella lezione al ladro, rubare dei soldi destinati alla beneficenza ad un Babbo Natale era davvero qualcosa di miserabile. Solo l’intervento di alcuni funzionari della polizia che erano stati richiamati dalla folla salvò il malcapitato dall’ira della massa. John si voltò in cerca dell’amico e lo trovò poco più in là che cercava di tirarsi su. Fu da lui in pochi passi e gli porse una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi, cercando di sincerarsi delle sue condizioni. Mentre cercava di capire se l’amico si fosse fatto male furono entrambi interrotti dalla gente che si era avvicinata a John per fargli i complimenti, compresi i due agenti che lo ringraziarono per il coraggio mostrato.

«Io non ho fatto niente, è tutto merito del mio amico, è stato lui a capire le intenzioni di quell’uomo» si sminuì, lasciando Sherlock a bocca aperta.

«Non ho fatto nulla di che John…» cominciò bisbigliando all’amico, in fondo era lui che aveva bloccato il ladro e se i soldi della beneficenza erano salvi era tutto merito suo. Ma John lo ignorò e continuò a parlare ad alta voce alla folla.

«Non saremmo mai riusciti a fermarlo se non avesse dedotto in anticipo quello che stava per fare, è stato grazie a lui e alla sua enorme intelligenza. Anzi, sono certo che se non fosse scivolato lo avrebbe bloccato prima di me!»

E questa era un’enorme bugia, John era più vicino all’uomo di lui. Sherlock voleva dirlo ma si ritrovò immobilizzato di fronte a tutte quelle persone che gli facevano i complimenti, gli chiedevano come avesse fatto a capirlo, lo elogiavano. Non gli era mai successo in vita sua di essere apprezzato in quel modo per qualcosa che aveva fatto. Le persone li accerchiarono per celebrarli e lodarli e per la prima volta tutti sembravano realmente interessati ad ascoltare ciò che Sherlock aveva da dire. Ne ebbe un po’ paura, come ogni volta che si raggiunge qualcosa di tanto agognato e si portò un po’ più vicino a John, cercando il suo sostegno che non si fece mancare. Mezzo nascosto dietro la spalla dell’amico spiegò ciò che l’aveva portato a capire che quell’uomo volesse derubare il Babbo Natale e tutti si esibirono in versi stupefatti ed encomi generosi, lo chiamavano genio e non mostro, gli dicevano “fantastico!” e non “fuori dai piedi”. E tutto grazie a John. Fu conseguire ciò che a lungo aveva desiderato che gli fece aprire gli occhi: non gliene importava niente. Non era la considerazione di questi estranei che voleva ottenere, né quella di nessun altro. I loro elogi lo lasciavano indifferente, non gli avevano fatto battere il cuore come quando John aveva pronunciato per la prima volta “straordinario!”. I due agenti gli fecero i complimenti e gli dissero che sarebbero servite persone come lui in centrale e Sherlock provò sì un moto d’orgoglio, una conferma per quello che avrebbe voluto nel suo futuro lavorativo, ma i suoi occhi restarono incollati sull’amico. Confuso per tutta quella situazione si avvicinò ancora di più a lui e stringendosi contro il suo braccio mormorò un «Sono stato bravo?»

«Sì Sherlock, molto. Sei stato davvero bravo.»

In seguito si sarebbe vergognato di quell’infantile ricerca di conferme, ma in quel momento sentiva tutto vorticare intorno a sé. Dopo aver ricevuto i ringraziamenti anche da parte dell’uomo vestito da Babbo Natale la folla rapidamente si disperse, lasciando modo ai due ragazzi di sincerarsi delle condizioni del moro. La caviglia gli faceva male, doveva aver preso una bella botta. Provò a poggiare la gamba a terra e a fare qualche passo, ma caricare il peso sulla gamba gli provocava fitte di dolore. Fu così che decisero di tornare a casa di Sherlock che era la più vicina tra le due. John si posizionò dal lato della caviglia infortunata e gli passò un braccio intorno alla vita, reggendolo forte, mentre Sherlock si appoggiava alla sua spalla. Trovare un taxi in quel giorno di festa sarebbe stata un’impresa, motivo per cui iniziarono a dirigersi verso la loro destinazione zoppicando un po’. Fu solo dopo parecchia strada, con molta fatica da parte di entrambi, che una gentile coppia di fidanzati decise di cedergli il loro taxi, una volta appurate le condizioni di Sherlock. John quindi lo sollevò di peso facendolo sedere all’interno dell’autovettura, con sommo imbarazzo da parte del più piccolo.

«Potevo farcela anche da solo.»

«Lo so, ma preferivo che tu non sforzassi la caviglia. Sicuro di non voler andare in ospedale?»

«Sì John, è solo una distorsione.»

«Guarda che le distorsioni possono essere pericolose quanto le fratture.»

«La ringrazio dottore ma le assicuro che sto bene.»

«Sì sfotti, sfotti. Verrà il momento in cui dovrai darmi retta, almeno per le questioni di natura medica.»

«Credo sarò sempre un paziente difficile, scusa John.»

«Non saresti tu, altrimenti!»

Il taxi si fermò di fronte all’indirizzo che gli era stato comunicato e John scese ad aiutare l’amico, dopo aver pagato la corsa.

«Non capisco perché hai pagato tu il taxi se lo abbiamo preso a causa mia» affermò mentre si dirigevano lentamente verso l’ingresso.

«Shhh, fammi fare una buona azione su. Piuttosto preferisci che vada o…»

«Non dire sciocchezze John, entra.»

Entrarono in casa e al suono della porta richiusa Mycroft fece capolino.

«Non ti aspettavo così presto, che è successo?»

Ovviamente non bastarono che pochi secondi e una lunga occhiata affinché il maggiore degli Holmes capisse tutta la situazione. Sherlock, ben conscio di ciò, evitò di rispondere alla domanda, ma John che invece non sapeva con chi aveva a che fare si ritrovò in imbarazzo di fronte al silenzio dell’amico e cominciò a parlare incerto.

«Ecco…Sherlock è scivolato e…»

«Non sprecare fiato John, ha già dedotto ogni cosa.»

«Oh.»

John passò lo sguardo dallo sconosciuto a Sherlock e poi di nuovo verso il primo che ora lo fissava con interesse e con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

«Credo di dovermi presentare. Sono John Watson, un amico di Sherlock, piacere di conoscerti.»

«Mycroft Holmes, sono il fratello di Sherlock. Non sai che piacere sia per me conoscerti» pronunciò in tono mellifluo.

John si trovò leggermente a disagio sotto lo sguardo insistente di questo, che lo fissava come se volesse carpire ogni suo più piccolo segreto o come se John possedesse le risposte ai più grandi interrogativi del mondo e lui potesse venirne a conoscenza solo osservandolo. Per fortuna ci pensò Sherlock a trarlo d’impaccio.

«Mycroft che ci fai lì impalato? Non vedi che sto male? Vammi a prendere del ghiaccio!» esclamò lasciandosi cadere sul divano come una vera regina del dramma.

Il maggiore inaspettatamente lo accontentò in silenzio, tornando poco dopo con un impacco che passò al fratellino.

«Una cosa non mi è chiara. Perché stavi correndo pur sapendo il pericolo delle strade ghiacciate?»

«Stavamo inseguendo un ladro» rispose annoiato.

«Cosa?!»

«Oh sì! Sherlock è stato semplicemente fantastico, ha capito subito le intenzioni di quell’uomo e dopo un attimo lo stavamo rincorrendo. Tutta la gente che era lì gli ha fatto i complimenti, addirittura i due agenti che hanno arrestato l’uomo!» sciorinò con voce colma di entusiasmo e guardando adorante l’amico che si premeva il ghiaccio sulla caviglia.

«In realtà è stato John a fermarlo. Io sono caduto e non ho potuto fare molto.»

«Ma senza le tue deduzioni l’avrebbe di sicuro fatta franca. Il merito è tutto tuo.»

«Le persone ti…hanno fatto i complimenti?» si intromise Mycroft con sguardo sbigottito.

Sherlock si limitò ad un’alzata di spalle, mentre John annuiva vigorosamente.

«Già, quando poi ha spiegato come ha fatto a capire tutto sono andati fuori di testa, hanno capito che è un genio! I poliziotti hanno anche detto che servirebbero persone come lui al distretto» terminò con un moto d’orgoglio.

Mycroft, che fino a quel momento aveva fissato il fratello, spostò i suoi occhi spalancati dallo stupore su John, che invece teneva lo sguardo fisso su Sherlock. Fissò quella scena intenerito e alla fine si concesse un sorriso che riuscì abilmente a nascondere agli altri due.

«John posso offrirti un tè?»

«Oh, non preoccuparti, non vorrei disturbare.»

«Nessun disturbo. Vorrei inoltre ringraziarti per aver accompagnato Sherlock a casa.»

John lo osservò dubbioso, dove avrebbe dovuto lasciarlo secondo lui? Sherlock aveva bisogno d’aiuto, non avrebbe mica potuto abbandonarlo in quelle condizioni. Ovviamente il maggiore captò la sua perplessità perché si affrettò a chiarire mentre si portava in cucina.

«La lealtà non è una qualità da tutti.»
 

Qualche minuto più tardi Mycroft ritornò in salotto reggendo un vassoio con tre tazze di tè e dei biscotti. I loro genitori non c’erano e quindi toccava a lui fare le veci di padrone di casa e, a differenza di Sherlock, a quanto pareva il maggiore dei fratelli Holmes conosceva bene i formalismi di una buona accoglienza degli ospiti. Ciò nonostante John si sentì come sotto una lente d’ingrandimento, era evidente che l’altro lo stesse valutando e studiando. Un po’ gli sembrò esagerato, non stava mica chiedendo la mano del piccolo di casa Holmes, ma poi ripensò al fatto che Sherlock non aveva amici oltre lui e che gli altri erano soliti trattarlo male e deriderlo: un po’ di diffidenza da parte della sua famiglia era comprensibile, motivo per cui si impegnò parecchio per cercare di fare bella figura. Ci teneva all’amico, quindi voleva che Mycroft lo vedesse di buon occhio. Dopo qualche altra chiacchera, a cui Sherlock non partecipò, fu proprio quest’ultimo a dire che poteva bastare così ed invitò John ad andare in camera sua. Era rimasto insolitamente in silenzio per tutto il tempo, quasi a voler concedere al fratello il tempo per appianare i suoi dubbi. Mentre si stavano dirigendo verso la stanza del moro Mycroft richiamò il fratello, lasciando che John iniziasse a salire le scale che portavano al piano superiore.

«Che altro vuoi? Non ti è bastato il terzo grado?»

«Sei il solito esagerato. Ho fatto giusto qualche domandina di cortesia.»

«Sì come no. Beh?»

«Cosa?»

«Immagino tu mi abbia richiamato per dirmi qualcosa su di lui e le tue deduzioni. Sentiamo» esclamò con aria seccata, modulando la voce affinché John non sentisse.

«Oh no, no. Era per dirti che oggi è arrivato un pacco per te.»

«Un pacco per me?»

Cosa mai poteva essere? Una bomba? No Mycroft l’avrebbe di certo capito se fosse stato qualcosa di pericoloso. Ma lui non riceveva mai pacchi da nessuno e non aspettava nulla.

«Già. Un regalo» aggiunse enigmatico con un sorrisetto tronfio.

La faccia di Sherlock se possibile assunse un’espressione ancora più sorpresa. Prese esitante la scatola che Mycroft gli passò e la guardò incerto. L’esterno non dava molti indizi, era avvolto in un’anonima carta da pacchi marrone e presentava un’unica etichetta con su scritto il suo nome ed il suo indirizzo. Fece per voltarsi intenzionato a raggiungere l’amico quando si fermò, lanciando un’altra occhiata a suo fratello. Non sapeva come chiederlo, non voleva ammettere che gli interessava l’opinione di Mycroft. Non lo avrebbe mai confessato ad anima viva, ma sapeva che Mycroft era più bravo di lui con le deduzioni. Cosa aveva visto in John Watson? Aveva capito qualcosa che a lui era sfuggito? Voleva sapere, ma l’orgoglio gli impediva di parlare, per cui si limitò ad osservarlo mordendosi inconsciamente il labbro in un gesto di nervosismo, cercando il modo di ottenere quello che voleva senza dover chiedere esplicitamente.

Fortunatamente Mycroft non era in vena di vederlo sul patibolo, quindi intuendo cosa passasse per la testa del fratellino decise di andargli incontro.

«È un bravo ragazzo. Hai scelto bene.»

Seppur la scelta delle parole fosse banale Sherlock conosceva Mycroft e sapeva cosa realmente significasse riuscire ad ottenere la sua approvazione. Per cui cercò di nascondere un sorrisetto soddisfatto e si voltò per dirigersi zoppicando verso la scala.

«Ovvio che sì Myc, non sono mica un idiota. E in ogni caso non mi importa di ciò che pensi tu.»

Al maggiore non sfuggì il ringraziamento nascosto in quel nomignolo e si ritenne soddisfatto. Mostrare più emotività non sarebbe stato da loro.

John lo attendeva in cima alle scale, non volendo risultare invadente, e quando vide avvicinarsi l’amico ridiscese per aiutarlo a salire. Occhieggiò la scatola che Sherlock teneva in mano ma non disse nulla.

Lo sostenne fino al letto dove il moro si adagiò, facendo riposare la caviglia, e John si affrettò a sistemargli un cuscino dove poterla appoggiare.

«John mi passeresti il pacco che ho lasciato sulla scrivania? A quanto pare ho ricevuto un regalo.»

«Oh quindi finalmente è arrivato!» esclamò allegro.

«È da parte tua?»

«Sì, è il mio regalo di Natale, temevo non arrivasse in tempo.»

«Oh. Io…ti ringrazio.»

«È solo un pensiero, non è nulla di che, ma spero che ti piaccia.»

Sherlock arrossì imbarazzato e abbassò lo sguardo sulla scatola che John gli aveva passato.

«Che c’è? Ti ho messo a disagio? Se è perché tu non mi hai preso niente non ti devi preoccupare, non l’ho fatto per questo. È che l’ho visto ed ho subito pensato a te.»

«A dire il vero io ho un regalo per te» pronunciò sempre senza guardarlo.

«Oh. Ma non dovevi» balbettò imbarazzato a sua volta.

«Beh nemmeno tu dovevi, se è per questo» rispose spostando lo sguardo su di lui.

«Giusto.»

Sherlock era incerto se dare o meno il pacchetto all’amico, ma il sorriso aperto in cui l'altro si esibì solo al sentire che gli aveva fatto un regalo gli scaldò il cuore. Sollevò gli angoli delle labbra e indicò un cassetto con un cenno del volto.

«Saresti così gentile da prenderlo tu? Dopo tutta la fatica fatta per stendermi credo non mi alzerò mai più da questo letto.»

John ridacchiò divertito avvicinandosi al punto che gli era stato indicato. Aprì il cassetto e individuò subito il pacchetto tra il resto delle cose, sforzandosi di non ficcanasare troppo tra la roba dell’amico. Ciò nonostante non potette fare a meno di notare un teschio che a tutti gli effetti sembrava vero.

Si girò ritornando vicino al letto, evitando accuratamente di fare domande, ma Sherlock dovette dedurre cosa aveva visto.

«Lui è Bill, un mio amico.»

«Carino. Ma mi avevi detto di non avere amici, quindi mi hai mentito!» esclamò con aria divertita.

«È così, non ho amici.»

John lo guardò perplesso e con un pizzico di delusione in fondo agli occhi, ma Sherlock mantenne il contatto visivo ben saldo e specchiandosi nei suoi occhi continuò a parlare.

«Ne ho solo uno.»

Si ritrovarono a osservarsi, senza poter distogliere lo sguardo l’uno dall’altro, una strana elettricità nell’aria.

«Di non inanimato almeno!» aggiunse subito dopo con una risatina nervosa per spezzare la tensione. John sorrise scuotendo la testa e sedendosi sul letto con lui. Aveva forse perso un’altra buona occasione? Probabile, ma non se l’era proprio sentita, la paura lo aveva immobilizzato. Arrivati a questo punto sarebbe ancora stato in grado di vivere senza John Watson? O ormai non poteva più trascorrere il resto della sua esistenza senza lui, sia pure accontentandosi di averlo con sé unicamente come amico? Sherlock era terrorizzato dalla risposta.

«Vuoi che apriamo ora i regali o vuoi aspettare Natale?»

«Tu che preferisci?»

«È uguale, facciamo quello che decidi tu.»

Sherlock iniziò a osservare il pacco, non aveva molti indizi con cui potesse indovinare il contenuto e fremeva dalla voglia di sapere cosa John gli avesse regalato. Erano poche le cose che era riuscito a dedurre: al di sotto della carta era presente una scatola di cartone e al suo interno c’era più di un elemento che faceva rumore al movimento. Qualcosa di delicato, ma non fragile come un oggetto di vetro o ceramica, o se c’erano erano ben imballati in modo da non tintinnare. Non molto per giungere ad una conclusione plausibile.

«Ok, ok ho capito, apriamoli ora!» aggiunse il biondo divertito dalla scena.

«Va bene. Inizio io.»

«Sei curioso come una scimmietta. Vai pure.»

Sherlock scartò in fretta la carta pacchi, per trovarsi di fronte a una scatola di cartone, esattamente come aveva dedotto, su cui spiccava la scritta “The chocolution”, l’immagine di alcuni chicchi di cioccolata e di alcune foglie. Sherlock aprì la scatola esterrefatto trovandosi di fronte a dei sacchettini contenenti chicchi di cacao di vario tipo e provenienti da varie parti del mondo, oltre ad una bottiglietta ben imballata contenente un liquido ambrato.

«Ti piace? Ho pensato alla tua passione per la cioccolata, per la chimica e gli esperimenti e mi sembrava un buon compromesso» domandò incerto.

«John ma è bellissimo. Nessuno mai mi aveva fatto un regalo così bello!» rispose Sherlock con gli occhi lucidi.

«Meno male, sono contento. Temevo che lo trovassi un regalo stupido.»

«Stupido è pensare una cosa del genere. È un regalo magnifico.»

«Quindi in definitiva sono comunque uno stupido» concluse ridendo l’amico.

«Che ci vuoi fare. Il mondo è pieno di idioti.»

«Ora posso aprire il mio regalo? Sono davvero curioso.»

Sherlock annuì timoroso.

«Solo che dopo aver visto il tuo regalo mi sento a disagio per il mio, non è davvero nulla di che, non regge proprio il confronto.»

«Permetti a me di giudicare.»

John scartò delicatamente la carta trovandosi di fronte a una sorta di sacchettino in velluto chiuso in cima da un laccetto.

«Ma è un omamori??»

Sherlock si limitò ad annuire in silenzio.

«Quando sono venuto a casa tua ho visto tutti quei manga e quella roba giapponese…non lo so John, non sono bravo coi regali, è stata un’idea stupida.»

«Sherlock, ma che dici? È bellissimo, grazie! Ma dove lo hai trovato? È una vita che ne cerco uno ma qui è praticamente impossibile da trovare e le spedizioni su internet sono eterne.»

«Sì ho visto. Questo…beh…l’ho fatto io.»

«L’hai fatto tu?» domandò John incredulo ricevendo in cambio un cenno d’assenso.

John si perse ad osservare meglio i dettagli dell’amuleto, riconoscendo così il bastone con avvolto un serpente, simbolo della medicina, presente sul sacchetto.

«Incredibile, hai anche trovato il bastone di Asclepio!»

«Ovvio, non avrei mai usato il Caduceo, non sarei mai stato così approssimativo.»[2]

«Ci avrai messo un mucchio di tempo a farlo.»

Sherlock fece spallucce, sminuendo il suo operato.

«Ripeto, non è nulla di che» decretò accarezzando lievemente il regalo che gli aveva fatto John.

John tornò a guardare il sacchettino, questa volta concentrandosi sulla bellezza della stoffa, sui dettagli curati in maniera quasi maniacale. All’interno come da tradizione c’era un pezzo di legno su cui era stata intagliata un’iscrizione in giapponese. Doveva averci lavorato veramente a lungo e con dedizione.

«Chi è lo stupido tra i due ora?» esclamò mentre lo stringeva forte. «Non avrei potuto chiedere regalo migliore, è meraviglioso e il pensiero che tu abbia perso così tanto tempo per me…grazie, grazie davvero.»

«Non è tempo perso…» sussurrò timidamente il moro.

Si staccarono dopo qualche secondo, con il cuore che ancora batteva forte. John sembrò sul punto di chiedergli qualcosa, ma poi rinunciò.

«Che c’è?» domandò Sherlock.

«Non ti si può mai nascondere nulla» ridacchiò il biondo.

«È ridicolo anche solo che tu ci possa provare.»

«Ok, ok. Amo il tuo regalo, davvero, ma posso chiederti anche un altro regalo?»

«Certo John, tutto quello che vuoi.»

«Suoneresti qualcosa per me? È da quando mi hai detto che suoni il violino che muoio dalla volta di ascoltarti. Ma forse ti fa troppo male la caviglia…»

«No, ce la faccio, tranquillo. Mi piacerebbe molto suonare per te.»

Sherlock si portò lentamente in piedi aiutato dall’amico, che gli passò anche lo strumento. Rimase immobile qualche secondo per pensare al pezzo da eseguire. Si focalizzò su John, sul suo strano modo d’essere, sulla sua allegria, ma anche sulla sua malinconia, sull’amore che provava per lui. E la scelta fu chiara.

Attaccò a suonare e lo sguardo colmo di ammirazione con cui lo guardò durante tutta l’esecuzione fu il regalo più bello che John gli potesse mai fare. Era forse amore quello che gli riempiva gli occhi? Sherlock proprio non lo sapeva e non osava sperare tanto, nonostante qualche segnale positivo ricevuto negli ultimi tempi dall’amico.

John ascoltò in silenzio per tutto il tempo, assaporando ogni nota. Solo una volta giunti al termine, quando Sherlock abbassò l’archetto si permise di proferir parola.

«È stato magnifico, un vero spettacolo. Che pezzo era? Come fai ad essere così perfetto?»

Sherlock arrossì per l’ennesima volta, gli unici complimenti mai ricevuti in vita sua erano venuti tutti da John.

«Era la Serenade di Schubert.»

«È bellissima. Così delicata ed espressiva. Ti arriva l’amore, l’inquietudine e la tristezza. E tu l’hai eseguita in maniera magistrale.»

«Non puoi saperlo, non conosci l’originale» ridacchiò Sherlock.

«Vero, ma non può essere diversamente. Sei riuscito a trasmettermi così tante emozioni tutte insieme…»

«Sono contento che il pezzo ti piaccia. Non è da tutti rilevare così tante cose di un pezzo di musica classica.»

«È un complimento mister Holmes?»

«Magari sei un po’ meno idiota degli altri, dottor Watson. Ma non ti montare la testa.»

«Troppo tardi. Dai vieni a letto bella addormentata, hai bisogno di riposo.»

Sherlock zoppicò verso il letto, con lo sguardo di John fissò su di sé.

«Anche se a dirla tutta mi sembri più capitan Uncino in questo momento.»

«Oh finalmente un bel personaggio, era ora!»

«Ti piace capitan Uncino?»

«Ovvio è un pirata.»

«Ma è il cattivo.»

«Trascurabile. Spero di non averti traumatizzato, Trilli.»

«Ah sarei Trilli io? Beh sì, in effetti credo che quel vestito giallo mi starebbe d’incanto.»

«Trilli ha un vestito verde, idiota.»

«Oh scusa tesorino. Ho offeso il tuo cartone animato preferito?»

Sherlock trovò fosse meglio rispondere alla provocazione con una cuscinata che colpì John in pieno viso.

Risero e giocarono ancora per qualche ora, accettando l’invito a restare a cena che si svolse con insolita serenità e calore domestico. Sherlock mangiò più volentieri del solito e Mycroft fu silenziosamente grato a John di questo. Poi giunse l’ora in cui John dovette tornare a casa, Mycroft si assicurò che salisse su un taxi e pagò in anticipo la corsa nonostante le rimostranze di John. Era evidente che in una certa misura badasse lui al fratello minore, quando era a casa dal college, in assenza dei loro genitori. E qualcosa suggeriva a John che questo avvenisse piuttosto di frequente.

Rimasto solo in camera Sherlock riprese in mano la scatola osservandola dolcemente. Fu così che notò un bigliettino sul fondo che gli era sfuggito prima.

“A Sherlock, il mio migliore amico. John”

Proprio in quello stesso momento il suo cellulare squillò.
 

Sono a casa. Ti lamenti che ti chiedo di mandarmi un messaggio quando devi rientrare e poi fai la stessa identica cosa con me. D’ora in poi non voglio più sentire lamentele. JW

Che ti devo dire, le brutte abitudini sono contagiose. Poi devo stare attento al mio migliore amico, no? SH 

Ah l’hai trovato alla fine. Perdi colpi vecchio mio. JW

Taci. Buonanotte. SH

Buonanotte Uncino. Attento a Tic Tac. JW

Buonanotte Trilli. Attenta a Peter Pan. SH

Aspetta, non erano amici Trilli e Peter Pan? JW

Sì amici…e poi è bastata una Wendy qualunque perché lui si dimenticasse di lei. SH

Non me lo ricordavo proprio così. JW

Se è per questo non ti ricordavi nemmeno il colore del vestito di Trilli. SH

Ok, hai ragione tu. Spero non arrivi nessuna Wendy che ti faccia dimenticare di me. JW

Di questo dovrei essere molto più preoccupato io… SH

Ma questo farebbe di te un enorme idiota. Ma di dimensioni colossali proprio. JW

Tu dici? SH

Certo. È completamente fuori dalla realtà e da ogni logica. JW

Se lo dici tu… SH

Sì, lo dico io. Dai riposati ora. Buonanotte Sherl. JW

Buonanotte John. SH





Note:

Ringrazio Daniela e Lucrezia per avermi aiutato con i regali. L'idea della scatola con la cioccolata è infatti di Lucrezia, mentre quella dell'omamori è di Dany. 

La canzone che Sherlock suona al violino per chi non la conoscesse è questa https://www.youtube.com/watch?v=0bjB-IWEYI0. Qui potete sentirla suonata da un solo violino, cioè come la suonerebbe Sherlock https://www.youtube.com/watch?v=H0rm3RgyfUg

 
 
[1] “John Watson, you keep me right” citazione della 3x02. La traduzione non segue quella dell’adattamento italiano, Daniela spero tu sia contenta della mia scelta.
[2] Sebbene il Caduceo (associato al dio Ermes) venga utilizzato spesso in riferimento alla medicina e molti ordini professionali medici utilizzino entrambe le versioni, è più propriamente il bastone di Asclepio o di Esculapio il simbolo della medicina. Il Caduceo, ad esempio simbolo dell’ordine dei farmacisti, consiste in un bastone alato con due serpenti attorcigliati ad esso, il bastone di Asclepio invece presenta un solo serpente arrotolato intorno al bastone o verga (non ridete).
   
 
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