Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: _Frame_    12/05/2019    5 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
---
[On going: dicembre 1941]
---
[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

197. Nazione monca e Migliore della tua

 

 

Bielorussia strinse il fucile incastrato fra i gomiti, affondò il colpo di baionetta disegnando un arco verso l’alto, sfiorò la spalla di Ungheria sfregiandole la guancia e l’orecchio con una profonda scia rossa, e le tranciò una ciocca di capelli.

Ungheria strinse gli occhi e soffiò un breve ansito per resistere a quella bruciante sfrecciata di dolore. Agguantò la baionetta che l’aveva ferita, la sbatté di lato, abbandonò il suo fucile sul fianco ed estrasse la pistola dal fodero. Si spinse in avanti aggredendo Bielorussia con una pesante falcata, e le sparò tre colpi di seguito.

Bielorussia ricadde sulle ginocchia, schivò i proiettili che le sfrecciarono sopra la testa, e piegò il braccio per sbattere una gomitata fra le ginocchia di Ungheria.

Ungheria intercettò quel gesto. Compì un balzo a piè pari, evitando la gomitata, e compì un tuffo sopra le spalle chine di Bielorussia. Atterrò al suolo, rotolò sul fianco, battendo l’anca sul fucile allacciato alla spalla, e tenne ben salde le mani attorno all’impugnatura della pistola, pronta a risollevare la mira.

Bielorussia si girò di scatto, ancora accovacciata.

La luce dei loro sguardi s’incrociò in una sfrecciata saettante. Il fuoco smeraldino di quelli di Ungheria contro il ghiaccio violaceo di quelli di Bielorussia.

Ungheria incurvò un sorriso che pizzicò attraverso le guance – se la stava spassando – e staccò due bombe a mano da sotto l’orlo della giacca. Incrociò i polsi, infilò le dita negli anelli tenendo premute le leve di sicurezza, diede un forte strappo, e scagliò i barattoli cilindrici contro Bielorussia.

Le bombe si scontrarono – clang! – rimbalzarono sotto gli occhi sgranati di Bielorussia che ebbe solo il tempo di strisciare all’indietro e di sollevare il braccio, e brillarono assieme.

L’esplosione innalzò un abbraccio di fumo che s’inghiottì il profilo di Bielorussia, stritolandola e nascondendola all’interno di un vortice di calore e di terra sbriciolata.

Coperta dagli alti riccioli di fumo sbocciati dalla doppia esplosione, Ungheria riprese fiato senza abbassare la guardia, senza nemmeno battere le palpebre, e tornò a stringere il fucile. Maledizione. Bielorussia è molto più rapida rispetto all’ultima volta in cui ci siamo scontrate. Si massaggiò il fianco su cui era atterrata dopo il tuffo e sollevò un mezzo sorriso soddisfatto ma ancora tremolante per il fiatone. A quanto pare si sta rendendo conto da sola che Russia è sempre più in pericolo e che la possibilità che riusciamo a ucciderlo è sempre più alta man mano che ci avviciniamo a Mosca. La paura la rafforza.

Una zaffata di vento e nevischio secco spazzò via una sbracciata di fumo, e rese più nitida la sagoma scura che si celava dietro la foschia.

Bielorussia oltrepassò il fumo con un salto e si avventò su Ungheria. “Aaah!

Ungheria sollevò il fucile di profilo, come una sbarra, ricevette il peso di Bielorussia, e ricadde con la schiena a terra, battendo la nuca. Impietrì i muscoli delle braccia e spinse via la pressione del fucile di Bielorussia incrociato al suo, come la lama di una spada. Mani e fronte lacrimarono spessi rivoli di sudore. Bielorussia le affondò una ginocchiata nello stomaco, spinse il suo fucile con un ringhio, e la tenne schiacciata a terra.

Di nuovo i loro sguardi s’incrociarono, feroci come a volersi incenerire a vicenda.

Bielorussia gracchiò una risata. “Ti sei riaggiustata il naso solo per fartelo rompere di nuovo?” Una ciocca di capelli le scivolò da dietro l’orecchia e ricadde sulla guancia di Ungheria.

Sfiorata dai suoi capelli biondi, anche Ungheria sghignazzò nonostante la pressione del ginocchio nemico sul ventre. “E tu non hai ancora imparato a legarti i capelli, eh?” Staccò una mano dal fucile, arrotolò la ciocca di Bielorussia fra le dita, le diede uno strattone e le fece sbattere il naso a terra. Sbalzò via Bielorussia con una doppia sgambata e si rotolò lontano, abbracciata al fucile. Si rimise sulle ginocchia e le puntò la carabina addosso.  “Non arriverai mai alla trincea.” Sparò due colpi di seguito.

Bielorussia incrociò le braccia davanti al viso, chinò il capo per proteggersi, e i proiettili le passarono di striscio sulla spalla destra, abbrustolirono la stoffa della giacca, graffiarono la pelle e fecero zampillare in aria uno schizzo di sangue.

Bielorussia sollevò lo sguardo nero come la pece, aggrottò la fronte, e i suoi occhi ristretti e fiammeggianti scavalcarono le spalle di Ungheria, puntando il confine della trincea, dove le ombre degli altri nemici si erano volatilizzate. Gli altri saranno davvero ancora nella trincea? No, impossibile. Impossibile che siano rimasti tutti così passivi mentre lei mi sta massacrando, la starebbero aiutando. Eppure non ho visto uscire nessuno, e se l’hanno lasciata di guardia significa che...

Il fucile di Ungheria sputò un’altra sequenza di spari.

Bielorussia ricadde pancia a terra e questa volta evitò i proiettili. Pescò una piastrina di caricamento dalla tasca della giacca e scoperchiò il serbatoio del suo fucile. Le mani sporche e sudate lasciarono viscide e scivolose tracce di sangue sul metallo. Non ho tempo per pensarci, non ho tempo nemmeno per tirare fiato. Ma finché io la terrò a bada allora nessuno di loro potrà raggiungere Russia. Agganciò la piastrina e fece scorrere l’otturatore. Finché avrò sangue nelle vene e ossigeno nei polmoni... Sollevò il fucile fra i gomiti, lo accostò alla guancia, e prese la mira da dietro la ciocca di capelli che ancora le pendeva davanti al viso. Non le lascerò scampo! Fece fuoco.

Ungheria spalancò le palpebre, colta alla sprovvista, e il lampo dello sparo si specchiò nei suoi occhi allarmati. “Ah!” Ricadde all’indietro, si coprì il viso con il braccio, e il proiettile le sfrecciò sopra la testa, esplodendo a vuoto. Attorno a lei galleggiava ancora il fumo nato dalle esplosioni delle sue bombe a mano. Ungheria si spinse all’indietro, spremendo i piedi nella terra cedevole e bruciata dagli scoppi, e gettò lo sguardo fra le pareti della trincea che sprofondavano al suolo. Quanto dovrò resistere ancora? Riprese il fucile fra le mani doloranti e si rialzò. Ormai Germania e gli altri dovrebbero già essere usciti. Romania e Bulgaria dovrebbero aver già disposto il filo spinato, e gli altri dovrebbero aver già raggiunto Russia con gli obici e i cannoni. E se non...

I pesanti e rapidi passi di Bielorussia le corsero incontro.

Ungheria si girò di scatto. Spalancò gli occhi davanti all’immagine di Bielorussia che stava per assalirla. Ah, merda!

Bielorussia le fu addosso per una seconda volta, la schiacciò con la schiena a terra, stritolò le mani sui polsi, fino a tatuarle due profondi segni rossi, e sibilò un’aspra risata. “È ora di chiudere i conti, principessina delle bambole.”

Un aspro reflusso di rabbia e umiliazione bruciò attraverso la pancia di Ungheria, salì a inacidendole la bocca torta in un ringhio che giurava vendetta.

Bielorussia sfilò qualcosa da sotto la cinta. Un lungo filo di luce metallica accompagnò il movimento, disegnò un arco d’argento e si condensò fra le sue dita chiuse a pugno. Sorrise. “Begli alleati che ti ritrovi. Ora morirai e sarà tutta colpa loro.” Le accostò il pugnale d’assalto sotto la gola, senza premere, e fece scorrere la lama in un gesto lento, ma freddo e bruciante, che trasmise a Ungheria una scia di brividi.

Bielorussia risollevò la lama, schiacciò il pugno fino a far sbiancare le nocche, e fece per affondarla. “Questa volta non te la caverai con un naso rotto.”

La sagoma di un fucile discese su di lei e le si accostò alla nuca. “E questa volta temo proprio che nemmeno Lituania potrà intervenire per salvarti la vita.”

Il braccio di Bielorussia si congelò a mezz’aria e la sua faccia sbiancò di colpo. Bielorussia ruotò la coda dell’occhio, andò incontro alla figura che stava in piedi alle sue spalle, reggendo il fucile calato sulla sua nuca.

Gli ultimi riccioli di fumo evaporarono fra le gambe di Austria, finirono spazzati via da una zaffata di vento che gli soffiò fra le ginocchia, e il cielo grigio alle sue spalle divenne più chiaro. Le nubi color latte a circondare la sua sagoma e i pallidi raggi di sole riflessi sulla neve a specchiarsi sulle lenti che coprivano l’austerità del suo volto.

Austria spinse la bocca di fuoco contro il collo di Bielorussia, affondando il fucile fra i capelli biondi che le ricadevano lungo la schiena e davanti alle spalle, e guardò verso la trincea. “Prussia, ora!”

Un paio di braccia sbucarono dal confine delimitato dalle assi di legno e da sacchi di sabbia, s’infilarono sotto quelle di Ungheria, s’incatenarono ai suoi gomiti, “Presa!”, e la trascinarono dentro il riparo, sottraendola alle grinfie di Bielorussia.

Prussia ricadde all’indietro, inciampò, sbatté sulla parete interrata, strinse le braccia attorno a quelle di Ungheria, e la sorresse sotto la leggera frana di terra ghiacciata che era rotolata dentro assieme a loro. Soffiò un sospiro rauco, il suo petto si gonfiò contro la schiena di lei, e le batté una piccola pacca sulla testa. “Tutta intera?”

Ungheria boccheggiò pesanti e rauchi risucchi di fiato che le contrassero il petto e scesero a pesare nello stomaco. Il cuore pulsava rapido e violento, lo sentiva rimbombare nelle orecchie, e una vampata di paura ghiacciata trasudò dalla sua pelle, dandole l’impressione di soffocare nell’abbraccio degli abiti improvvisamente troppo stretti e pesanti. “P-pensavo...” Altro affanno. Spinse una mano sotto la gola, dove era rimasto un leggero segno rosso – il passaggio della lama attraverso il suo collo – e strofinò via quella scia di brividi penetrati fin sotto la pelle. “Pensavo che stavolta mi avrebbe davvero ammazzato, merda.”

Prussia finse un ansito scandalizzato. “Ehi, non sta bene per una signorina dire queste parolacce.”

Ungheria sbuffò, contenendo un mezzo sorriso, e si girò piantandosi i pugni sui fianchi. “A chi dai della signorina?”

Prussia sfoderò un aguzzo sorriso vendicativo e premette l’indice sulla punta del suo naso. “A quella che si è appena fatta salvare, a quanto pare.”

“Piantala!” Ungheria arrossì e gli cacciò via il dito dalla faccia. “Guarda che avevo tutto sotto controllo, e non...” Nella trincea regnava un cupo silenzio echeggiante, dove l’aria fredda era condensata fra le pareti che s’innalzavano fin sopra le loro teste. Nessun’altra voce, nessun’altra ombra tranne le loro. Ungheria si guardò attorno. “Ci sei solo tu,” realizzò. “Ma...” Il suo cuore si alleggerì, il viso riprese colorito, e la doccia di paura le scivolò di dosso. “Ma allora Germania e gli altri hanno già raggiunto Russia? Il piano ha funzionato? La trappola è...”

“Tutto liscio e limpido.” Prussia le batté di nuovo due colpetti sulla testa. “Almeno fino a quando tu non hai rischiato di farti sgozzare dalla psicopatica.”

“Tu e Austria siete rimasti.”

“E come avremmo potuto lasciarti in pasto a quella? Poi West si è portato dietro tutti gli altri, e sarà un giochetto per loro tenere testa a Russia.”

Il collo di Ungheria tornò a bruciare, a ricordarle il pericolo scampato. Lei schiacciò i pugni lungo i fianchi, ribollì sotto una vampata di rabbia e umiliazione che le infiammò le guance finendo a battere contro le tempie. “Che nervi.” Scagliò una feroce occhiata di sprezzo verso l’alto. “Mai che riesca a finirla da sola, quella dannata strega.”

Prussia sollevò un sopracciglio. “Guarda che non c’è niente di male nel farsi aiutare, ogni tanto.”

Ungheria rispose con un piccolo sbuffo. “Parli solo perché ti ho salvato le chiappe quando ti sei trovato da solo davanti a Russia.”

“E ora infatti ho pagato il debito. Direi che siamo pari.”

“Ah-ah, ma solo fino al prossimo debito. Ma aspetta...” Sul cuore di Ungheria tornò a precipitare un peso, un masso fra le costole, un singhiozzo di fiato che la soffocò, travolgendola in un’ondata di dubbio e preoccupazione. “Sei sicuro che non sia il caso di raggiungere gli altri? Potrebbero aver bisogno di noi. Potrebbero essere in pericolo.”

Prussia soppresse un singhiozzo di risata che lo fece sbuffare dal naso e spinse l’indice verso l’alto. “Mai quanto la nostra amica qua sopra, ti pare?” Raccolse il suo fucile, se lo caricò in spalla, diede una spolverata alla giacca macchiata di sangue, e i suoi occhi tornarono rossi e accesi. Un brivido d’eccitazione fremette attraverso il suo sorriso. “Ora ci divertiamo.”

Uscirono entrambi dalla trincea, rimisero i piedi sul suolo rovesciato dal passaggio dei panzer, bruciato dai fori degli spari e dalle esplosioni delle bombe a mano, e i loro passi scricchiolarono su qualche sprazzo di neve rimasto a chiazzare la landa nera e massacrata dalla battaglia.

Prussia incrociò lo sguardo con Austria che stava ancora tenendo il fucile puntato alla nuca di Bielorussia. “Com’è qua?” Accennò alla nemica con un’alzata di mento. “Sta facendo la brava?”

Bielorussia stritolò i pugni a terra fino a farsi sanguinare le unghie penetrate dai sassolini più sottili. Un viscido e rovente brivido di rabbia e umiliazione sbocciò dove il metallo del fucile le toccava la nuca, e saettò attraverso la schiena curva e tremante. Diede uno strappo con la spalla, fece avanzare un ginocchio di un balzo, e gettò la mano contro il fucile che aveva abbandonato per estrarre il pugnale.

Austria spinse il fucile più a fondo, scaricandole un altro brivido sulla nuca. “Non ti muovere.” La sua voce era tanto calma quanto fredda. “Se dovessi spostare anche solo una mano, allora io farò fuoco. Sei troppo lontana dalla tua arma, non raggiungeresti mai il fucile in tempo.” Flesse l’indice sul grilletto, senza però sfiorarlo. “Non costringermi a sparare. E cerca di essere collaborativa.”

Prussia rise. “Collaborativa,” commentò. “Proprio un modo elegante per dire che ora deve fare esattamente come diciamo noi se vuole rimanere viva.” Si portò davanti a Bielorussia, scese anche lui sulle ginocchia, e le portò due nocche sotto il mento per farle sollevare la testa. “Stavi per ammazzare la nostra principessina, e questo non te lo perdonerò mai.” Socchiuse le palpebre, e i suoi occhi divennero spiragli cremisi nel buio. “Nessuno tocca le mie principessine.”

Austria aggrottò un sopracciglio. “Le tue principessine?”

Vene gonfie di rabbia pulsarono attraverso i pugni che Ungheria teneva schiacciati lungo i fianchi. “Le tue principessine?”

Prussia ignorò entrambi e sfilò le nocche da sotto il mento di Bielorussia. “Ora cosa pensi che dovremmo fare con te? Potremmo ucciderti qua? Uhm, oppure potresti anche andare a fare compagnia a Ucraina. Oppure potremmo tenervi separate, in modo che non ci creiate altri problemi.” Fece una risata cattiva. “Dev’essere proprio il nuovo passatempo di Russia, no? Quello di farsi rubare le sorelle da sotto il naso.”

Bielorussia si sentì pietrificare per una seconda volta da quando si era ritrovata con il fucile puntato alla nuca. Le parole che Russia le aveva rivolto prima di separarsi le rimbalzarono contro,“Ho già perso una sorella per colpa dei miei errori, non costringermi a vedere anche te fra le mani del nemico”, facendole solo desiderare di morire piuttosto che rivivere il dolore trasmesso dallo sguardo sconfitto di suo fratello.

In tre, ragionò Bielorussia, riprendendo a tremare per il dolore alla spalla ferita e sanguinante. Loro sono solo in tre. Ma questo vuol dire che Germania ha sempre saputo che saremmo arrivati a questo punto? Vuol dire che è sempre stata una trappola? Che io ero l’esca? Strinse i denti – la ciocca di capelli le era rimasta incollata alle labbra – e risucchiò l’aspro sapore della sconfitta. Hanno fatto apposta a sguinzagliarmi addosso Ungheria perché sapevano che io avrei fatto di tutto per combatterla una seconda volta, e che sarei stata disposta persino a separarmi da Russia. E adesso arriveranno da lui dopo aver catturato anche me. Non ho davvero via di scampo?

Prussia si rimise in piedi. “Tiriamola su e vediamo di sistemarla.” Diede un piccolo calcio al fucile di Bielorussia e lo fece rimbalzare lontano da lei. “Ormai non può più farci niente.”

Un’elettrica ondata di rabbia sfrigolò attraverso i nervi di Bielorussia, le accese gli occhi come due bracieri. Lo realizzò anche lei. Non posso più fargli niente. Stritolò la mano sul pugnale d’assalto con cui era quasi riuscita ad affettare la gola a Ungheria, e tornò a caricarsi della stessa furia omicida che l’aveva guidata durante la lotta. Glielo faccio vedere io chi è che non può più...

Un rombo ruggì attraverso l’aria, seguì il suono brontolante della terra ribaltata, di cingoli che macinano il suolo gelato, e una prima serie di spari – spari sottili e a ripetizione, da fucile di precisione – piombarono loro addosso, schiantandosi dietro le gambe di Austria.

Austria fu il primo a compiere uno scarto, a evitare lo schizzo di terra, e a voltarsi verso l’ombra materializzata assieme al fragore che aveva squarciato l’aria.

Estonia abbassò il fucile dal quale soffiava ancora un leggero alito di fumo azzurrino, si aggrappò con una mano al portellone aperto sopra di lui, sotto il cannone del carro armato, e si resse per non finire sbalzato fuori dalla frenata improvvisa del mezzo. “Scappa, Bielorussia, scappa!” Indossava gli occhialoni da carrista attorno al collo e quelli da vista di nuovo alla radice del naso. Era sporco di sangue lungo le braccia e sul petto, e la sua espressione pallida era incavata da grigi segni di affaticamento.

Prussia salutò la comparsata del Matilda con un ringhio di minaccia e riacchiappò il fucile da dietro la spalla. “Eh, no.” Prese la mira. “Non ci...”

Bielorussia diede uno strappo al braccio e gli scagliò addosso il pugnale.

La sfrecciata di luce d’argento rasentò il fucile di Prussia, gli sfregiò la guancia, e volò al di là della sua spalla. “Gha!” Prussia ricadde all’indietro e finì fra le braccia di Ungheria.

Il fucile di Estonia sputò altri scoppi che esplosero di nuovo davanti ai piedi di Austria, costringendolo a ripararsi e a staccare la mira della sua arma da Bielorussia. Estonia snocciolò i bossoli vuoti e tornò a chiamarla. “Corri, svelta!” La voce si fece più ansiosa e affannata. “Ti copro io!”

Bielorussia si diede una spinta con i palmi, si rialzò in un balzo e allungò una prima falcata verso il Matilda.

Prussia compì uno slancio, sfilandosi dalle braccia di Ungheria, e sferrò un calcio fra le caviglie di Bielorussia. Bielorussia inciampò, ricadde a terra battendo il petto e il mento, e Prussia le pestò il piede sulla schiena, immobilizzandola. Risollevò il fucile e incrociò la mira con quella di Estonia. Non ebbe più voglia di scherzare. “Avete capito male.”

Una tonante sequenza di cannonate scoppiò dalla landa di Borodino. Le esplosioni s’incrociarono fino a divenire un unico boato tanto profondo da affondare nello stomaco come un pugno, e l’eco di quella tuonata s’innalzò in uno sfrigolio, risucchiando ogni altro suono della battaglia.

Gli sguardi di tutti s’impennarono al cielo, verso la cresta di boscaglia, e i loro volti finirono investiti da una risacca di vento che scosse le cime degli alberi, innalzando un’onda di nevischio. Nei loro occhi lucidi e spalancati si riflesse una gonfia e spumosa nuvola nera. Il brontolio si dilatò invadendo l’intero campo di battaglia, come un ruggito di Borodino stessa.

Ungheria riprese a respirare. Aveva ancora le labbra schiuse e la lingua secca, quel battito di sorpresa e spavento fermo nel petto. “È...” Un breve spiraglio di speranza le brillò nello sguardo, scacciò via la paura. “È quello che penso?”

“Un’esplosione simile,” commentò Austria, anche lui con gli occhi rivolti alla nube e le orecchie tese verso il boato. “Può essere solo...”

“Ce l’hanno fatta.” Prussia ghignò. Gli occhi brillarono sotto una fiera e feroce luce vittoriosa che gli fece risplendere il sorriso. “Russia è andato.”

Ancora sdraiata sotto la suola del suo stivale, il petto a terra e uno sbuffo di terriccio a sporcarle il mento che aveva battuto, Bielorussia strizzò i pugni ed emise un singhiozzo di panico. Russia. Strusciò via dalla suola di Prussia, si rialzò in piedi dopo una rapida spinta con gomiti e ginocchia, e sfrecciò verso il Matilda, rincorsa dallo sventolio dei suoi capelli. “Rimettete in moto!”

Estonia riabbassò lo sguardo dal cielo, scrollò la testa per disfarsi di quel brivido d’intontimento, e fece volare una sbracciata all’interno dell’abitacolo. “Vai, vai, vira e torna indietro!” Il Matilda rombò sotto il suo comando, compì la manovra, ed Estonia si sporse fuori dal portellone aperto per tendere la mano verso la corsa di Bielorussia. “Aggrappati!”

Ungheria bruciò di frustrazione, e la radice del suo naso pulsò come se le ossa fossero state ancora rotte. Ci sta scappando di nuovo! “Maledetta!” Superò la spalla di Prussia e sparò addosso al carro.

Bielorussia vi balzò all’interno, tirata per la spalla da Estonia, e i proiettili rimbalzarono sul portellone caduto chiuso alle sue spalle, lasciandosi dietro solo una serie di schizzi di luce.

Ungheria calò il fucile. “Stanno scappando!” Compì un balzo per rincorrerli, ma la presa di Prussia la bloccò per il braccio.

“No, ferma,” le fece lui. “Lascia che vadano.”

“Lasciar...” Ungheria sgranò gli occhi e lo trafisse con uno sguardo incredulo. “Ma ora andranno...”

“Di certo non da Russia.” Prussia le mollò il braccio e indicò verso l’alto, verso la nube che aveva annerito il cielo e bruciato il vento pregno di nevischio. “Se l’attacco combinato è riuscito come avevamo previsto, allora significa che Russia è in trappola. Vivo o morto che sia, nemmeno i suoi animaletti potranno fare più nulla per aiutarlo.”

Austria camminò evitando i fori degli spari che Estonia gli aveva piantato davanti ai piedi, abbandonò il fucile sul fianco, si massaggiò le mani bandate, e rivolse un’espressione scettica alla scia di fumo dissolta dietro l’ultimo rombo del Matilda. “Questo però non spiega il perché del carro armato tornato indietro a soccorrere Bielorussia. Pensavo che i Baltici sarebbero rimasti assieme a Russia.”

“Probabilmente Russia stesso li ha fatti tornare indietro per salvare Bielorussia,” lo liquidò Prussia. “E questo significa che la trappola con il filo spinato per bloccare il Matilda ha funzionato e che non sono riusciti a spingere oltre il carro, costringendo Russia a isolarsi.”

Tornarono i rumori della battaglia che proseguiva – gli scossoni delle mitragliate, la carica dei cosacchi ancora in grado di combattere, l’avanzare dei mezzi corazzati –, ma fra loro tre cadde un fitto silenzio di contemplazione.

Ungheria fu la prima a romperlo con un sospiro. “Quindi...” Sgranchì i pugni e si rosicchiò il labbro inferiore, ancora incerta. “Se ora il piano è riuscito, noi cosa dovremmo...”

“Io direi che è inutile e ridicolo rincorrerci a vicenda.” Prussia sistemò sulla spalla il suo fucile, massaggiò il braccio che si era ferito durate l’assalto, e si guardò attorno. Nessun altro carro nemico in vista. “Quindi lasciamo pure che i cuccioli di Mamma Orsa vadano dove meglio credono. Prendiamo la direzione opposta, cogliamoli alle spalle, e vediamo di capire in che condizioni sono West e gli altri.”

Austria annuì. Non ebbe alcun desiderio di protestare. “Come vuoi.” Sfiorò la mano di Ungheria, la avvolse con una piccola stretta sulle punte delle dita, per poi lasciarla subito, e le fece un cenno col capo per farsi seguire.

Partirono tutti e tre, con Prussia in testa che aveva smesso di sanguinare dalle sue ferite e che correva rapido come quando aveva attraversato il campo in sella al cavallo cosacco.

Prussia scoccò un’ultima occhiata alla nube nera e bitorzoluta sorta dalla combinazione di cannonate, e tese l’orecchio verso i rombi del Matilda che si stava allontanando, sempre più flebile e distante in mezzo alla boscaglia. Continuò a fissare il cielo e pregò Fritz di aver compiuto la scelta giusta.

 

.

 

Estonia strizzò una manica di Bielorussia, quella che sanguinava, scivolò all’indietro lasciandosi ricadere fra i sedili, e la aiutò a tirarsi su dopo la corsa e il salto al volo con cui lei si era precipitata nel carro. Sospirò a fondo, allentò il laccio degli occhialoni che pendevano dal collo, e le mollò la manica. “Stai bene?” All’interno dell’abitacolo echeggiavano ancora i rimbalzi metallici dei proiettili che si erano schiantati sul portellone appena richiuso. “Per fortuna siamo arrivati in tempo.” Annaspò e si spostò sul sedile affianco. “Sennò...” Strinse le punte delle dita e le trovò umide e tiepide, qualcosa gocciolò dai polpastrelli. Sollevò la mano contro gli spiragli di luce, e la sua pelle si tinse di rosso. Trasalì. “Sang...” Calò il braccio e si ritrovò davanti all’immagine di Bielorussia china sul sedile, le ginocchia al petto e la mano serrata sulla spalla da cui colavano copiosi rivoli rossi. Lo assalì un breve sentimento di afflizione. “Sei ferita.”

Bielorussia sbuffò e si diede una strofinata alla spalla ferita. “Lascia perdere.” Cacciò via una ciocca di capelli dal viso, lasciandovi sopra una sbavatura rossa, e si sistemò nonostante i continui sobbalzi del carro che facevano vibrare i sedili.

Lettonia, alla guida, dovette far scivolare le spalle lungo lo schienale e tendere le punte dei piedi per spingere più a fondo sui pedali dove comunque non arrivava a posare il tallone. Andò in cerca di Estonia con quei suoi occhioni tremolanti e spaventati. “Ci stanno inseguendo?”

“N-no.” Estonia scosse la testa e si diede un colpetto agli occhiali che stavano scivolando sulla pelle sudata. “Non credo, ma... ma quell’esplosione...” Rivisse il momento in cui erano stati sorpresi dal boato che aveva lacerato il cielo e che aveva innalzato quella rigonfia nube nera in cui le spirali di fumo si divoravano a vicenda. Lo sfrigolio e il silenzio che erano seguiti gli rimbombavano ancora nelle orecchie. “C-credete che fosse diretta a Russia?”

“Perché?” Bielorussia diede un’ultima strofinata alla spalla ferita che ora cominciava a dolerle fino all’osso, e tossì sotto il bruciore del fiatone. “Cosa...” Scrutò ogni angolo dell’abitacolo sommerso nella penombra. Estonia accanto a lei, Lettonia alla guida, e nessuna traccia di... Russia! “Dov’è?” Saltò sul sedile di Estonia e gli agguantò la giacca. “Dov’è mio fratello?” gridò. “Perché cazzo lo avete lasciato solo?”

Estonia si fece piccolo contro lo schienale, sollevò le mani fra lui e Bielorussia, e strinse gli occhi. “Ma è...” Rabbrividì. “È stato lui a ordinarcelo, credimi. Voleva che tornassimo indietro a salvarti.”

“E voi gli avete dato retta?”

“E che alternative avremmo avuto? Non potevamo disobbedirgli. Il carro si è bloccato, Lituania è rimasto ferito, tu eri in pericolo, e anche...”

“Cos...” Bielorussia allentò la pressione dell’artiglio su Estonia, batté le palpebre, e rilassò i tratti del volto contratto nel grugno di prepotenza. “Lituania è ferito?”

Estonia abbassò le mani, le posò un palmo sul polso, e le fece cenno di guardare nell’angolino più buio. I suoi occhi si colmarono di dolore.

Lituania era rannicchiato su uno dei sedili, tremolante come un animaletto nel mezzo di una bufera. I suoi respiri soffiavano lenti e sibilanti fra le labbra impallidite, le palpebre chiuse e annerite dal dolore vibravano a ogni spasmo, e le mani insanguinate che tremavano, aggrappate alla stoffa della sciarpa avvolta attorno alle sue spalle. Il tessuto era zuppo di sangue, nero, e qualche goccia ticchettava sul pavimento.

Bielorussia aggrottò un sopracciglio e fece schioccare la lingua fra i denti stretti. “Che razza di – un momento...” Tese l’orecchio. Solo i rombi del carro armato in moto e il respiro sofferente di Lituania. Troppo silenzio. Si toccò entrambe le spalle, in un riflesso incondizionato, facendo scendere il tocco anche fra le scapole. Schiena troppo leggera, nessun peso a dondolarci sopra. “Dov’è lo sgorbio?”

Lettonia sventolò una manina. “Io sono qui.”

“No, non tu, smidollato. L’altro sgorbio. Moldavia.”

“Moldavia?” Estonia indicò fuori da uno degli spiragli. “Lui è rimasto con Russia, ma se...” La botta di panico gli sfondò lo stomaco come un pugno. Si portò la mano alla bocca. “Credi che l’esplosione abbia travolto tutti e due?”

Anche Lettonia compì un rimbalzo di spavento. “E se ce lo portassero via?” Tornò a girarsi allentando la presa sulla leva di manovra. “Moldavia è piccolo, non può difendersi, e se lo riuscissero a separare da Russia allora potrebbero anche rapirlo e portarlo via con la forza.”

Bielorussia si morsicò il labbro assorbendo il sapore del sangue e del fumo, e si diede una strofinata alla nuca, dove il gomitolo di brividi era tornato a pungerla. “Merda.” Che situazione fottuta. “Non vi si può lasciare soli un secondo.” Si spinse in avanti e diede un calcio allo schienale di Lettonia. “Sbrigati, dobbiamo raggiungere mio fratello prima che quei bastardi lo ammazzino.”

“S-sì,” pigolò lui. “Agli ordini.”

Tornata seduta al suo posto, affianco a Estonia, e con la mano di nuovo stretta alla spalla ferita che le inviava scossette di dolore fino alle punte delle dita, Bielorussia posò di nuovo lo sguardo sul povero Lituania, sulla sua silenziosa agonia, sul sangue che gocciolava dalla sciarpa fasciata attorno alla gola, sul suo viso pallido e contratto in un’espressione di dolore. Avvertì un brivido ghiacciato e si strofinò la gola. Sono riusciti a ridurlo in quello stato pietoso. Lui, che non si è fatto fermare nemmeno quando a Uman ha scelto di prendersi i proiettili nel braccio piuttosto che mi colpissero e che ha continuato a lottare nonostante le ferite. Se ora sta soffrendo in quella maniera, tanto da non riuscire nemmeno ad alzarsi e a tenere gli occhi aperti, vuol dire che ci sono andati giù pesante. Nel suo animo si scontrarono un freddo e pungente senso d’invidia mescolato a un tepore più dolce di comprensione e compassione. E chissà fino a quanto è disposto a spingersi pur di proteggere mio fratello?

Il pensiero di Russia la attraversò come una pugnalata. Tutto il sangue che gocciolava dal corpo rannicchiato di Lituania si riversò sull’immagine di suo fratello, sulla sua schiena spezzata, sulle sue gambe costrette a cadere in ginocchio, sul suo volto contratto in un’espressione di dolore, e sui suoi capelli chiari spettinati davanti agli occhi, anneriti e resi fradici dalle ferite aperte. Il cuore di Bielorussia si contrasse in uno spasmo di dolore. Fratellone. Dovevano trovarlo, dovevano raggiungerlo, dovevano salvarlo, Bielorussia doveva poterlo riabbracciare, appendersi a lui, sprofondar con il viso nel suo petto, e lenire quell’ansia soffocante che stava strangolando anche lei. Resisti, stiamo arrivando a salvarti.

 

.

 

Il passo di Russia frantumò un’impronta di sangue, sciolse lo strato di neve congelato sul terreno nero e indurito dal gelo, e si trascinò attraverso il suolo lievemente in pendenza. Dalle labbra schiuse e sbiancate soffiò una spessa e agonizzante nuvola di fiato. Rivoli di sangue sempre più copiosi e sempre più rapidi gocciolarono dai capelli e gli rotolarono lungo le guance, andando a inzuppare gli abiti già sporchi di rosso e impolverati della terra esplosa sotto l’assalto delle cannonate che l’avevano travolto.

Russia soffiò altra condensa, cadenzando il fiato sempre più corto che cominciava a fargli girare la testa. Strinse le mani tremanti al petto, sulla giacca imbrattata di sangue, e sorresse il battito del cuore sempre più debole, sempre più lento e sempre più dolorante. Premette un altro passo. Una violenta scossa schioccò dal piede, risalì saettando la gamba e lo costrinse a cadere sul ginocchio.

L’eco delle cannonate che gli erano esplose addosso gli ronzò attorno alla testa china, penetrò le orecchie bagnate di sangue, e si trasformò in un fischio lungo e stridente, da dargli la nausea. Le mitragliate e gli spari dei cannoni controcarro e degli obici che continuavano a combattere alle sue spalle divennero un suono distante e fioco, simile a quello del suo cuore che era salito a tambureggiare in gola.

Russia ingoiò il sapore del sangue. Schiuse le palpebre, batté le ciglia per sciogliere lo strato di sangue colato davanti agli occhi, e spiò il paesaggio da dietro le ciocche di capelli sporche e gocciolanti che gli cadevano davanti alla fronte. Una patina sfocata deformava il campo di battaglia, non gli permetteva di distinguere il suolo innevato dal cielo carico di nuvole. Il fumo era una nebbia sottile e grigia che aleggiava attorno alle piccole costruzioni sorte all’orizzonte, affianco ai pennacchi più alti e neri che risalivano gli sprazzi di boscaglia.

Russia riconobbe le staccionate che proteggevano la Trincea di Semenovskoie, e un flebile e tiepido battito di speranza ridiede luce ai suoi occhi laccati di sangue. La trincea. Devo... Si tenne aggrappato al braccio dolorante e insanguinato che ricadeva sul fianco, pestò un ennesimo passo a terra, infrangendo un altro strato di neve, e si rialzò. Lo colpì un forte capogiro, il panorama gli trottolò attorno, gli diede la nausea, e Russia ricadde sulle ginocchia. Rabbrividì, batté i denti, e sentì ancora più freddo, ingabbiato in quella stritolante morsa di dolore che gli dava l’idea di sorreggersi su ossa sbriciolate. Devo arrivare alla trincea. Se dovessi subire un altro colpo del genere, non riuscirei a sopravvivere. Strinse i denti, soffiò un rauco gemito di sofferenza, e tornò a rialzarsi. Compì un breve passo barcollante, respirò a boccate profonde nonostante il sapore del sangue che gli impregnava il naso e le labbra, e riprese la marcia zoppicante.

Attraversò l’ultimo tratto di terreno in salita – ogni falcata era una serie di scosse di dolore scaricate attraverso le ferite che continuavano a gocciolare sangue –, superò le staccionate che proteggevano i caseggiati di cemento, una volta costruzioni di legno di guardia alla trincea, e si lasciò scivolare in una delle gallerie che sprofondavano nel suolo, delimitate dalle impalcature e dalle travi portanti.

Russia abbandonò la schiena alla parete, reclinò il capo all’indietro e riprese fiato dopo l’ultimo slancio di corsa con cui si era portato in salvo. La cicatrice biancheggiava sulla gola scoperta e sporca di sangue, si dilatava e si restringeva a ogni suo rauco affanno, a ogni ansito che inspessiva la nuvoletta bianca condensata fra le sue labbra. Si sfilò i guanti, li abbandonò accanto a sé, e affondò le mani nude nei grumi di neve precipitati in trincea assieme a lui.

Premette la neve su una guancia, e i cristalli di ghiaccio si sciolsero a contatto con il sangue delle ferite. Ne raccolse dell’altra, ad abbondanti manciate, e schiacciò i pugni di neve sul torso e sulle spalle, sotto i vestiti, dove le ferite aperte continuavano a sanguinare e a bruciare di dolore.

La pungente sensazione di gelo lo annaffiò come una cascata di spilli, ma Russia rovesciò il capo all’indietro e si lasciò pervadere. Il freddo gli corse nel sangue, raggiunse il suo cuore di ghiaccio, pulsò d’energia, e quel piacevole formicolio percorse la pelle ferita fino a raggiungere i laceri e a rimarginarli. Il fischio nelle orecchie si dissolse assieme alla sensazione di nausea e all’anello di vertigini che gli ronzava attorno alla testa. La vista tornò limpida, i brividi si acquietarono, e il senso di vertigine svanì.

Russia si passò una mano gocciolante di sangue e di neve sciolta sulla fronte, si scostò i capelli dalle palpebre, e rivolse gli occhi al cielo, dove i fumi della battaglia continuavano ad addensarsi e a brontolare. Sospirò, risollevato e consolato dalla sensazione del ghiaccio liquefatto sulle ferite rimarginate, e sorrise per il sollievo di averla scampata. Se ci fossimo trovati altrove, Germania, forse avresti anche potuto vincere, e forse io mi sarei davvero trovato nei guai. Fece correre la mano fra i capelli, depositando cristalli di neve fra le ciocche diventate color rame, e accostò le ginocchia al petto. Strinse le gambe e cadenzò i respiri, permettendo alla rassicurante e protettiva sensazione di gelo di avvolgerlo nel suo guscio, nella sua bolla di solitudine. Ma questa è pur sempre la mia terra. È il mio freddo, la mia neve, il mio cuore. E queste sono forze superiori persino a quelle di una nazione come te.

Il rumore ritmico di passi nemici in avvicinamento gli solleticò il padiglione dell’orecchio sporco di sangue e ghiaccio sciolto. La presenza di Germania si fece più vicina, si dilatò come un’ombra davanti al sole, si accostò alla sua spalla come l’alito caldo di una belva pronta ad azzannare la preda, ma Russia non ne ebbe paura.

Sorrise, si rialzò dalla parete della trincea, senza più provare dolore alle ferite rimarginate, s’infilò per i cunicoli dove avrebbe potuto trovare nuove armi lasciate dai soldati, e si tenne pronto a riceverlo.

 

.

 

Romano accelerò la corsa per stare al passo con Germania che avanzava a lunghe e profonde falcate attraverso la piana di terra su cui le tracce di sangue e dalle impronte depositate dalla fuga di Russia indicavano loro la via. La sua presenza nemica tornò a farsi più vicina ma anche più fioca, come la bassa e traballante fiammella di una candela che sta per spegnersi e che lotta per rimanere accesa in mezzo al gelo. Era una presenza rannicchiata al riparo, nella bolla di ostilità che circondava il lato opposto del campo di battaglia, dove l’odore di nemico era più aspro e pregno del desiderio di ucciderli.

Romano strinse la presa attorno al fucile carico e buttò un’occhiata all’indietro da sopra la spalla, senza smettere di correre. La nuvola nera sorta dall’esplosione combinata dei loro cannoni si stava dissolvendo, sempre più alta e sempre più sottile al di sopra della boscaglia da cui si stavano allontanando. Ci stiamo allontanando in maniera disumana. “Sai che...” Accelerò, soffiando spesse nuvole di condensa, e raggiunse il fianco di Germania. “Sai che se ci dovesse capitare qualcosa...” Altro boccheggio. “Nessuno potrà venire a salvarci, dato che ci stiamo praticamente buttando in pasto ai russi, nel terreno che non è stato preso nemmeno dai panzer?”

Germania levò gli occhi al cielo, senza rallentare, senza girarsi, ma nemmeno i fumi della battaglia riuscirono a intaccare l’azzurro dei suoi occhi così calmi nonostante il ribollire del sangue e il martellio del cuore. “Se hai paura puoi sempre tornare indietro.”

Se non si fossero trovati nel mezzo di una corsa, Romano gli avrebbe tirato un calcio sugli stinchi. “Non ho paura, idiota! Né dei soldati né di Russia. Te l’ho detto: voglio trucidarlo tanto quanto lo vuoi tu.” Fece stridere la presa sul fucile, aggredito dal desiderio di puntare la mira su Russia e di forargli la pancia e le costole a suon di spari. “Voglio vederci chiaro una volta per tutte in questa storia del cazzo e voglio capire di persona se c’è davvero una possibilità di riprenderci subito Veneziano.”

Germania riabbassò lo sguardo, socchiuse le palpebre, cercò di non illudersi. “Dovremmo comunque arrivare a Mosca prima di liberarlo.”

“Non è detto,” ribatté Romano. “Chi dice che Russia lo sta tenendo prigioniero proprio là? E anche se Veneziano fosse davvero a Mosca, di certo Russia non gli permetterebbe di andare in giro per le strade come se fosse lì in vacanza. Potrebbe essere in prigione, o in qualche sotterraneo, oppure potrebbe averlo spedito da qualche altra parte apposta per non farcelo trovare.” Le mani aggrappate al fucile tremarono, prudendo dalla voglia di mettergliele addosso. “Quindi dobbiamo fargli sputare ogni informazione prima di ammazzarlo, anche a costo di rompergli quella bocca di merda.”

Quella realizzazione si abbatté su Germania come un improvviso schiaffo di acqua gelida. Ha ragione, si disse. Italia potrebbe non essere a Mosca, e Russia potrebbe aver già pensato di tenerlo nascosto nel caso noi riuscissimo a raggiungere la capitale. Non lo avevo considerato.

“E poi...” La voce di Romano s’incupì. I suoi occhi divennero freddi e scuri come la landa in cui stavano correndo e combattendo. “Se il bastardo ha la croce di ferro, allora vuol dire che deve avergli fatto qualcosa, che gliel’ha strappata via con la forza, dato che Veneziano non permetterebbe a nessuno di toccargliela. Se gli avesse anche solo incrinato un’unghia, io...” Scosse il capo e scacciò via quel pensiero, quel peso sul cuore. “Non so di cosa sarei capace.”

Un insolito e inaspettato istinto di protezione prese il sopravvento su Germania, lo costrinse ad armarsi di voce grossa per far fronte alla testa calda che gli correva affianco. “Ora ascolta, Romano.” Germania rallentò e frenò la corsa. Si fermò per poterlo guardare negli occhi. “Se batterti con Russia è davvero quello che vuoi e se non ne hai paura, allora non cercherò di fermarti o di allontanarti. Però voglio che tu ne sia pienamente consapevole.” Spari estranei e distanti continuarono a incrociarsi e a piovere sul campo di battaglia che si stavano lasciando indietro. Gli echi di quelle raffiche scivolarono sulla pelle di Germania senza nemmeno scalfirlo. “Russia non è un avversario come Grecia, e nemmeno come Inghilterra. Non avrà alcuna pietà davanti al tuo dolore, e ti attaccherà tanto nel corpo quanto nel cuore. Non lasciarti manipolare dalle sue parole, non credere a nulla di quello che ti dirà, non compiere alcuna mossa avventata, e soprattutto...” Una dura ombra di autorevolezza gli indurì i tratti del volto. I suoi occhi divennero glaciali schegge azzurre a cui non era possibile disobbedire. “Fa’ tutto quello che ti dirò. Senza discutere.”

Un primo e viscerale spasmo di nervosismo corrugò la fronte di Romano, gli affilò la lingua. “Ma...”

“Se io e te vogliamo davvero combattere assieme...” Germania non gli diede tempo di protestare. “Allora per una volta è necessario che ci concentriamo sugli obiettivi che abbiamo in comune e non sui nostri conflitti. E in questo momento vogliamo entrambi la stessa cosa, ossia salvare Italia. Sei disposto a fidarti di me? Per il bene di tuo fratello?”

“I-io...” Romano strinse i denti sull’interno del labbro e si rimangiò le parole, quel conato di rabbia che bruciava come bile. Il suo cuore ruggì un battito di protesta, d’orgoglio. Romano si strofinò il petto e lo acquietò. Per Veneziano. Quella luce chiara e limpida negli occhi di Germania – la luce che Italia aveva sempre amato e inseguito – gli suggeriva che poteva fidarsi. Solo per lui. “Sì.” Sospirò e gettò lo sguardo altrove. “D’accordo.”

Germania annuì, liberato da quel peso. “Allora sbrighiamoci.” Diede un colpo di spalla alla mitragliatrice leggera e incalzò la corsa. “Prima che Russia si allontani troppo.”

Romano lo seguì, pestando la scia delle sue impronte, ed entrambi si addentrarono dove l’aria era ferma e stagnante, dove il freddo era crudo, e dove la terra ghiacciata era come una bocca aguzza pronta a inghiottirli.

Germania socchiuse gli occhi attraverso lo strato di condensa e fumo scivolato contro il viso bruciante e sudato per la corsa. Il suo sguardo volò verso l’orizzonte, dove la costruzione che proteggeva le gallerie della trincea era nitida anche in mezzo alla foschia. Quella... Sbarrò gli occhi. È la Trincea di Semenovskoie. Il caldo profumo della vittoria gli scivolò sotto il naso, gli fece dilatare le pupille in uno spasmo di eccitazione. È fatta. Corse più rapido, più leggero, come se non stesse reggendo due armi contemporaneamente, come se non ci fosse stata la neve fresca a rallentarlo e a schizzargli fra le caviglie. È quasi fatta, ora non posso più permettermi di sbagliare, e con Russia ferito posso sfruttare tutto il vantaggio che mi serve per vincere. Se vinco quest’ultima prova, potrò concludere la battaglia e Borodino sarà mia. Non devo lasciare che i timori irrazionali mi blocchino, e questa volta non devo nemmeno preoccuparmi di proteggere Italia, potrò pensare solo a combattere. I suoi piedi tornarono pesanti, la pressione del fucile fra le braccia e quella della mitragliatrice sulla spalla gravò sui muscoli e sulle ossa, la croce di ferro che gli pendeva sul petto divenne dolorosa da sostenere, come la punta di un coltello sullo sterno. Eppure... Germania si girò a guardare Romano che gli correva affianco. Il terrore che Russia avvolgesse anche lui fra le braccia e che lo strappasse via dalla sua vista, proprio come aveva fatto con Italia, riaccese in lui l’istinto di protezione che lo aveva spinto a rizzare la guardia quando erano scattati a correre assieme, solo loro due. So di avere ancora molto da perdere. Non avrebbe permesso a Russia di fargli alcun male.

 

.

 

Germania compì gli ultimi passi dove il terreno era più morbido e dove la neve era più soffice e rarefatta, appiattì le suole per non far scricchiolare il ghiaccio, e chinò le spalle per accovacciarsi e proseguire spingendo il peso sulle ginocchia e sulla schiena ricurva. Compì un lungo passo sulla punta del piede, schiacciò la schiena dietro lo spigolo dell’edificio di cemento armato, e sporse lo sguardo oltre il profilo del Mauser sorretto fra i gomiti. L’indice contratto e pronto a far fuoco alla minima ombra, al minimo fruscio, al minimo scatto. Gli occhi azzurri calmi e attenti, rapiti dall’atmosfera ombreggiante di quel luogo che trasudava regalità e che ancora odorava del sangue versato nelle battaglie precedenti alla sua guerra.

Tracce di sangue fresco chiazzavano la neve e il suolo, sempre più dense e sempre più scure man mano che si avvicinavano a una delle entrate della trincea.

Germania si girò. Scollò una mano dal fucile, accostò l’indice alle labbra, intimando Romano a far silenzio, appiattì il palmo verso il basso per farlo star accovacciato, e diede un colpo di dita per richiamarlo a sé.

Romano, anche lui accovacciato e con il Carcano carico stretto fra le braccia, annuì.

Proseguirono.

Attraversarono le ombre stiracchiate che si allungavano dalla staccionata che riparava i depositi deserti, superarono le costruzioni di cemento, e balzarono dentro le gallerie interrate, facendo franare qualche zolla di terra sulle loro spalle e fra i loro capelli.

Avanzarono, e Germania si girò a inviare a Romano un altro cenno con il braccio.  “Non stare a spalle scoperte, appoggiati con la schiena alla mia.”

Romano obbedì. Gli diede le spalle e schiacciò la schiena alla mitragliatrice che pendeva dalla sua spalla. Le loro nuche si sfiorarono, i capelli di Germania gli fecero solletico all’orecchio, e Romano finì avvolto dal suo profumo ferroso e muschiato, nonostante gli odori di terra, zolfo e benzina che li circondavano.

Proseguirono in quel modo.

Romano guardò in alto, sbirciò fra le impalcature della trincea, si alzò sulle punte dei piedi per non far scricchiolare i passi al suolo, e si girò di scatto verso un fruscio proveniente da una piccola frana. Deglutì. “C-come facciamo a sapere che Russia sia davvero qui?” Parlò con respiro corto e soffocato dalle ali di terra e legno innalzate sopra di loro. “E se fosse una trappola?” Il suo cuore accelerò e la fronte s’imperlò di sudore. “E se avesse calcolato tutto? Finiremmo sepolti vivi se solo lui...”

“Non può aver calcolato nulla,” gli rispose Germania. “Fino a qualche istante fa era lui quello sommerso dalle nostre esplosioni e non avrebbe potuto immaginare che saremmo arrivati fino a questo punto. Non è corso fino a qui per intrappolarci, ma per difendersi.”

“E se invece...”

Uno scoppio secco esplose sopra di loro, fuori dalla trincea, all’altezza di una delle strutture di cemento, e terminò con uno scricchiolio rantolante, simile allo scoppiettare della legna o allo sbriciolarsi di una lastra di cemento.

Romano si scollò dalla schiena di Germania ed emise un gemito. “Cos’è stato?” Il cuore gli era schizzato in gola.

Germania si girò per riafferrarlo, “Non ti allontanare”, riuscendo solo a sfiorargli il gomito.

“Era un’esplosione.” Romano compì due passi all’indietro per tornare a scrutare il cielo con occhi vacillanti. “Stanno sparando da qualche parte, dobbiamo uscire e capire da dove stanno sparando, dobbiamo...”

“Romano, non ti –”

Whoom! Il secondo scoppio fu più profondo, scaricò su di loro un violento schiaffo d’aria rovente, scosse l’intera trincea, e abbatté la costruzione superiore che si riversò fra le pareti della galleria in una valanga di macerie.

Una trave collassò fra Germania e Romano, si spezzò in due e ricevette i frammenti di una delle impalcature sfondate dall’esplosione. Seguì una rovesciata di terra e sassi, una grossa fumata color piombo, e un altro dei sostegni in legno sbatté fra i piedi di Romano, costringendolo a balzare indietro. “Oh, merda!”

Germania si riparò la testa ma si gettò in avanti e spalancò il braccio fra le macerie che già li dividevano. “Romano, aggrappati!” Strinse la presa e gli sfiorò il braccio. Le sue dita si torsero come uncini, si appesero alla manica della giacca, e lo tirarono a sé. Una scossa frana scaricò altra terra fra di loro, tappando gli spiragli che li separavano e facendo rotolare una valanga di sassi fra i loro piedi. “Aggrappati e non mi mollare!”

Romano ficcò anche l’altro braccio in uno spazio fra due travi incrociate, strizzò più volte il pugno, sfiorò la spalla di Germania a cui non riuscì ad appendersi, spinse le spalle in avanti e si arrampicò con un piede fra le macerie. “Non ce la...”

Una colonna di legno più grossa e pesante precipitò fra loro, li costrinse a staccare le mani per non finire con le ossa spezzate, e chiuse l’ultimo spiraglio di luce e aria, isolandoli.

Germania strinse i denti. Stritolò il pugno che aveva teso verso Romano e con cui gli aveva sfiorato la spalla, senza riuscire a salvarlo, e scaricò un secco colpo di nocche sulle macerie. Maledizione. Arretrò, si guardò attorno, e si passò una nervosa manata fra i capelli. Perché doveva succedere? Perché? Come faccio a raggiungerlo, adesso? Dovrei cercare un corridoio secondario? Oppure dovrei uscire e tornare a entrare?

Spari di fucile esplosero al di là della barriera.

Germania sobbalzò per una seconda volta. Spari? Sudò freddo. Russia? È lui che sta sparando? Si è davvero nascosto per tenderci la trappola?

“Romano!” Germania si precipitò contro il muro di macerie, scaricò un altro pugno su una delle travi, riuscendo solo a spaccare una crepa nel legno. “Esci dalla trincea, Romano! Scappa!”

Un’immagine stridente gli graffiò i pensieri, dolorosa come un’unghiata sul viso. Romano intrappolato fra le braccia di Russia, un suo alleato che gli veniva sottratto per la seconda volta, e lo stesso fallimento che si ripeteva sempre per colpa sua, come con Italia.

Il panico sorse, la vista gli si laccò di rosso, l’urlo gli spaccò i polmoni, “Romano!”, ma nemmeno quello riuscì a rompere la barriera che li divideva.

 

.

 

Un leggero alone di fumo sfrigolava ancora dal fucile di Romano, attorno alla canna che aveva appena sparato tre colpi e che, ancora alta e dritta, teneva la mira tremante puntata sul nemico in piedi davanti a lui. Romano strinse la presa attorno al suo Carcano, fece stridere le unghie sul metallo, lasciò piccoli solchi sul legno, e ingoiò l’amaro nodo di paura che gli si era seccato in gola dopo l’esplosione che lo aveva isolato da Germania. Arretrò di un passo traballante, spremette un grumo di terra molle sotto lo stivale, e diede uno strappo all’otturatore per espellere l’ultimo bossolo che aveva sparato. Ricaricò il colpo in canna e premette i suoi fiammeggianti occhi furenti e spaventati contro la stazza di Russia sempre più vicina, sempre più alta, e sempre più scura contro di lui, come un drappo d’ombra pronto a spiegare i tentacoli neri e a risucchiarlo nella sua trappola.

La voce di Germania si erse come un secondo botto di tuono da dietro le macerie franate. “Romano!” Colpi picchiati sul legno. Rumore trascinato di terra sbriciolata che rotola dalla parete e di sassi che cozzano fra loro. “Esci dalla trincea, Romano! Scappa!”

Russia sollevò la mano che non reggeva il suo fucile – rivoli di sangue e neve sciolta gocciolarono dalle dita nude, senza guanti – e ne passò il fianco sul viso sorridente e sporco di rosso. “Che seccatura, non è vero? Oh, be’...” Altro sangue piovve dalle ciocche di capelli diventate color rame, i rivoli rotolarono lungo le guance e scivolarono fino al mento, disegnando la curva del collo scoperto e cicatrizzato. Russia fece sfilare la punta della lingua fra le labbra incurvate. “Che continui pure a gridare. Di certo non sarà con la voce che riuscirà a mettersi fra me e te.”

Un altro colpo dall’altra parte della barriera e un altro grido lacerante lanciato dalla voce rauca di Germania. “Romano!

Quell’urlo saettò attraverso Romano, gli fulminò la testa, scaricandosi attraverso la spina dorsale come un colpo di frusta, e spaccò la gabbia di terrore che gli aveva congelato i muscoli delle gambe. Romano mollò il fucile sul fianco, compì uno slancio contro la parete laterale della galleria, piantò le dita fra gli spazi di legno molle, spremette le punte dei piedi sul muro di terra, strusciò più volte le suole per incontrare una rientranza a cui appendersi, e si protese verso l’esterno della trincea.

Il viso di Russia si fece buio di colpo, il suo sorriso cadde. “Non ci provare.” Innalzò il fucile e gli sparò fra le gambe e sotto i piedi, senza colpirlo. Romano cacciò un breve ansito di paura e ricadde a terra, accasciandosi. Russia gli si avvicinò e lo inglobò nella sua ombra. “Non andrai da nessuna parte. Non permetterò più a nessuno di voi di sfuggirmi da sotto il naso.” Batté le palpebre e sciolse altri due rivoli di sangue che colarono lungo le guance come tristi e pesanti lacrime rosse. “Non mi farò più imbrogliare come un idiota.”

Romano strizzò le dita sul terreno rammollito dalla neve sciolta, e finì raggelato dal ricordo dell’esplosione combinata, dalla massa di fumo e calore sputata dai cannoni, dal cratere che aveva sventrato la terra morta. Tornò sull’immagine di Russia, in piedi, insanguinato, ma intero. Lo fissò con occhi lucidi di incredulità e con il cuore soffocato da una morsa di terrore. “Come cazzo fai a essere vivo?” Si appese alla parete laterale, fece forza col muscolo della spalla, e si trascinò di nuovo in piedi, in bilico sulle gambe traballanti. “Come cazzo fai a essere intero?” gli abbaiò contro. “Ti abbiamo sommerso di piombo, di te non sarebbe dovuto rimanere nemmeno un capello.”

Russia rinnovò il sorriso. Passò una mano fra i capelli insanguinati e sporchi di briciole di terra, e diede una scrollata alle dita bagnate di ghiaccio sciolto e di grumi di neve. “Avete scelto il campo di battaglia sbagliato, temo.” I rivoli sciolti attraversarono il collo scoperto, percorsero i lineamenti bianchi e tirati della cicatrice che sorrideva a Romano come una seconda bocca. “Non ti preoccupare, non vi ridarò più occasione di fare una cosa del genere. E ora che siete stati così stupidi da inseguirmi e da lasciarvi separare e intrappolare, commettendo il mio stesso errore, non me ne andrò da qui a mani vuote, anche se si dovesse trattare di perdere Borodino. Non me ne andrò...” Russia sollevò la mira del fucile contro Romano, gli sorrise da dietro il profilo dell’arma. “Fino a che non mi sarò preso la metà di Italia che mi manca.” Flesse l’indice sul grilletto.

Un altro schiocco elettrico punse la nuca di Romano, facendolo sobbalzare. La metà di Italia che gli manca. Schiacciò i pugni sul suo Carcano e si lasciò infiammare da un fuoco d’ira che sfrigolò fino alle punte dei capelli, desiderando solo strappargli quelle parole dalla bocca. “Dov’è mio fratello?” Ribaltò il suo fucile, abbatté il calcio contro l’arma di Russia – il proiettile nemico esplose a vuoto – e gli si avventò addosso facendolo arretrare di un passo. “Dimmelo!” Sollevò di nuovo il fucile.

Russia fu più rapido e lo colpì al fianco, sbattendolo sulla parete.

Romano si tenne aggrappato per non finire a terra, ingoiò un gemito di dolore, tornò a pestare un passo contro di lui, e puntò di nuovo il fucile. “Dimmi cosa gli hai fatto, dimmi cosa gli stai facendo!” Spinse l’indice sul grilletto.

Russia sorrise. “Tuo fratello è in un posto migliore, adesso.” Flesse la spalla di lato e schivò gli spari di Romano. “In un posto dove nulla gli potrà più fare del male, in un posto dove non soffrirà e dove non dovrà più patire le pene e le atrocità della guerra.” Chinò il capo e schivò il calcio del fucile che Romano gli fece volare sopra la testa. Da sotto l’ombra dei capelli caduti davanti agli occhi, il viso insanguinato di Russia si rifece buio e tetro. “Non è questo quello che hai sempre voluto anche tu? Che fosse sano e salvo? Che fosse lontano dalla guerra?” Russia agguantò il fucile di Romano, fece leva col braccio per abbassare la volata, gli premette il calcio sullo stomaco e lo spinse indietro. “Io lo sto tenendo più al sicuro di quanto non siate riusciti a fare voi in tutti questi secoli. Osi insinuare il contrario?”

Romano cadde di schiena, si girò sul fianco, si prese la pancia, sopprimendo un rantolio e una serie di tossiti. Scrollò il capo e cacciò fuori l’ultimo pugno di fiato rimasto nel petto. “Sta’ zitto!” Imbracciò il fucile, incastrandolo fra i gomiti, e sputò una serie di colpi per trafiggere la crudeltà di quelle parole.

Russia sollevò un braccio. Un proiettile gli trafisse la mano, sotto il rigonfiamento del pollice, e gli altri aprirono due chiazze nere sopra il gomito. Lui continuò ad avanzare, come se non lo avessero nemmeno scalfito. “Italia non vedrà più la guerra e voi non vedrete più Italia.” Calò il braccio insanguinato e sorrise a Romano, vicinissimo. “È un prezzo equo o no?”

La bocca di Romano cadde aperta in un muto gemito di sconcerto. Le sue guance sbiancarono, il fiato venne meno, un vuoto di paura gli bucò lo stomaco. Non è possibile, no, non può esserlo. Si trascinò indietro senza mollare il fucile. Non sta facendo nemmeno una piega davanti ai miei colpi, sta incassando tutti i proiettili come se io gli stessi lanciando della ghiaia. Che razza di mostro è capace di diventare? Perché diavolo non esiste niente che possa sconfiggerlo? Gettò lo sguardo al cielo, verso la cima della parete che confinava con il grigiore delle nubi cariche di neve, di fumo e di maltempo. Ma cosa cazzo sta aspettando Germania? Digrignò i denti. Quanto gli ci vuole per sfondare quella merda di muro?

“Prezzo equo?” Romano piantò il fucile a terra, si risollevò tenendosi appeso all’arma, e si accasciò con un fianco alla parete per non rendere ovvio il tremore delle sue ginocchia. “Prezzo equo per cosa?” Annaspò, si diede una strofinata al viso, e tenne la fronte corrugata in una maschera di ferocia. “Veneziano non accetterebbe mai i tuoi stupidi compromessi, e nemmeno io lo farò. Non accetterò mai di piegarmi a una nazione come te, e dovrai uccidermi prima di farmi prigioniero!”

Lo sguardo di Russia si ammorbidì. Anche il suo sorriso si distese, appiattendosi, e gli sciolse la tensione del volto. “Sì, hai proprio ragione,” mormorò. “Tu non sei una nazione come me.” Calò il fucile. “Tu sei una nazione a metà, dopotutto.”

Romano trasalì, ingoiò un mezzo singhiozzo, e spense le fiamme che bruciavano nei suoi occhi. “C-cosa?”

Russia si morsicò il labbro inferiore e si pregustò il dolce sapore di vittoria. Aveva il sapore del sangue. “Tu non sei una nazione come me, Romano.” Gli si avvicinò di un passo. “Anzi, non sei una nazione nemmeno come Germania, o come Prussia, o come Spagna.” Gli poggiò la canna del fucile sotto il mento e gli tenne la faccia sollevata. “Tu sei una nazione a metà. Senza tuo fratello non sei niente, tuo fratello senza di te non è niente.” Gli diede un colpetto sotto la mandibola e ridacchiò. “Siete solo un paesello monco tanto debole che non è mai stato nemmeno in grado di riunirsi completamente e che ora si ritrova in queste condizioni miserevoli: in balia di una guerra che vi ha travolto e soffocato come un’onda anomala.”

Romano si sentì gelare. “Sta’ zitto.” Scattò all’indietro, sottraendosi al tocco del fucile sotto il mento, e sbatté contro una delle travi portanti. Il suo sguardo vacillò. “Non è vero.”

Russia si strinse nelle spalle. “Cosa credi di fare ora, Romano?” Compì un altro passo. “Cosa credi che ne sarà di te se rimarrai staccato troppo tempo da tuo fratello? Chi prevarrà sull’altro? Chi credi che scomparirà per primo?”

“Nessuno scomparirà,” gridò Romano. “Perché ora ti ammazzerò e andrò a Mosca a riprendermi Veneziano, e...”

Russia rise e si passò la mano ferita sul viso e fra i capelli insanguinati. “E invece io ti garantisco che uno di voi due non sopravvivrà mai a questo conflitto. È inevitabile, si tratta solo di selezione, com’è successo con Polonia e come succederà anche ad altre nazioni.” Strizzò più volte le dita per far sgocciolare il sangue. “Ma posso evitarvi tutto questo. Posso evitarti questa agonia e posso combattere la tua paura di perdere sia tuo fratello che te stesso, oltre che il tuo paese.” Distese il braccio e gli porse il palmo aperto. “Vieni con me a Mosca, Romano.”

Una stilettata di dubbio trafisse i pensieri di Romano. Lui rimase con la schiena alla parete, la trappola di terra a circondarlo, l’aria fumosa della battaglia a soffocarlo, e il braccio di Russia come unico appiglio per estrapolarlo da quella prigione, per riportarlo da suo fratello. “M...” Trasse un lieve respiro fra le labbra tremanti. “Mi vuoi,” deglutì, “riportare da Veneziano?”

“Voglio dare a te e a tuo fratello quello che Germania non vi darà mai,” rispose Russia. “Una stabilità.” Ritirò la mano e se la infilò nella tasca della giacca. Grattò sul fondo, sollevò un trillo metallico. “Germania è molto abile nello sfruttare le sue pedine, questo devo riconoscerglielo. E non accetterebbe mai di avere due pedoni fermi nella sua scacchiera.” Estrasse il pugno. “Ma con me il discorso è diverso.” Schiuse le dita davanti a Romano e lasciò cadere una luce argentata davanti a lui. “Io non ho bisogno di far combattere ogni mia pedina per poter prevalere sul nemico e per difendere la mia terra.”

Romano spalancò i palmi, raccolse al volo quella scaglia di luce, e serrò le dita su una sensazione sottile e pungente. Riaprì le mani. La croce di ferro di Italia gli giaceva fra i palmi, immobile, luminosa, raccolta fra le curve serpeggianti della catenina spezzata di netto.

“Vieni con me a Mosca, Romano,” ripeté Russia. “E io ti prometto che tu e tuo fratello non vedrete mai più un campo di battaglia. Io vincerò questa guerra, mi prenderò il territorio che mi spetta, vi farò tornare persino a casa vostra, e allora poi nessuno dovrà più combattere e nessuno avrà il potere o l’autorità di dividervi.”

Le parole di Russia sfumarono, attraversarono la mente di Romano assumendo il tono più grave di quelle pronunciate da Germania. “Russia non è un avversario come Grecia, e nemmeno come Inghilterra. Non avrà alcuna pietà davanti al tuo dolore, e ti attaccherà tanto nel corpo quanto nel cuore. Non lasciarti manipolare dalle sue parole, non credere a nulla di quello che ti dirà.”

Non lasciarti manipolare, si disse Romano. Per una volta dai retta al crucco. “Col cazzo.” Romano strinse la croce, ingoiandola nel pugno, e scagliò su Russia un’occhiataccia senza paura. “Hai davvero una considerazione così bassa di me? Piuttosto...” Diede un colpo di spalla e si scollò dalla parete di legno. “Piuttosto che essere trattato in questa maniera, come un giocattolo da tenere nell’armadio, preferisco l’onestà del crucco che cerca di riconoscere il mio valore da nazione facendomi combattere come un suo pari, anche se ci fa sgobbare e anche se non fa altro che buttarci in mezzo alla merda di questa guerra.” Corrugò la fronte. Il suo viso assunse tratti più duri, più adulti, per un attimo tremendamente simili a quelli di Nonno Roma. Il suo cuore batté un palpito caldo, profondo e antico come tutta la Storia su cui si era fondato il suo Paese. “Anche io ho il mio orgoglio.”

Russia sospirò, abbassò le palpebre. “Capisco,” disse. “È un vero peccato. Tuo fratello sentirà davvero molto la tua mancanza.” Tornò a puntargli il fucile contro, questa volta sulla fronte. “Ma a quanto pare per te non sarà così.”

Un’esplosione ruggì alle sue spalle, la vampata travolse la barriera di macerie, sfondò una breccia, squarciandola, e rigettò attorno a Russia una tempesta di fumo, aria rovente, e zolle di terra incendiata, costringendolo a piegare le spalle e a divaricare i piedi per non cadere.

Romano chinò il viso e sollevò di colpo il braccio per ripararsi. I suoi occhi scavarono nella gonfia nuvola di fumo sorta dalla frana e andarono incontro alla sagoma nera che si stava aprendo la strada pestando i passi su legno, terra e sassi. Germania. Gettò via il braccio dalla fronte e sbuffò per nascondere un mezzo ghigno di sollievo. “Era ora, cazzo.”

Germania scavalcò la frana di terra, calciò via una delle travi portanti che gli erano cadute davanti, frantumò il legno sotto i suoi piedi, fece rotolare una frana di massi da sotto le suole, e tese il braccio per chiamare Romano a sé. “Allontanati, presto!”

Romano gli corse incontro.

Russia piantò la baionetta del suo fucile nella parete opposta e gli sbarrò la strada, facendolo rimbalzare contro la volata. “Finalmente, Germania.” Si girò e sorrise a Germania. Aveva le guance impolverate del fumo che si era incollato allo strato di sangue. “Finalmente io e te di nuovo soli.” Sfilò il fucile dalla parete e si tenne fra lui e Romano come una nuova parete d’ombra.

Germania sbriciolò altra terra ghiacciata sotto i suoi passi, diede un colpetto alla mitragliatrice leggera che teneva allacciata alla spalla, e riagguantò il Mauser con entrambe le mani. I suoi occhi erano limpidi laghi ghiacciati che nemmeno la tempesta che stagnava in quelli di Russia avrebbe potuto infrangere. “Lascia andare Romano. Se è davvero me che vuoi, allora...” Il suo sguardo cadde sulla scintilla argentata racchiusa nel pugno di Romano. Quella visione arrivò come un pungente schiaffo sul viso. La croce? L’immagine della croce di ferro lo riportò allo scontro fra i due carri armati, quando Russia l’aveva sfilata dalla tasca e l’aveva lasciata dondolare davanti al viso in segno di sfida.

Russia sorrise. Un lampo di follia e soddisfazione sfrecciò fra le palpebre ristrette e fradice di sangue. “L’hai vista, eh?” Compì uno slancio col braccio che impugnava il fucile, puntò la baionetta aguzza contro Germania, e fece fuoco.

Germania impennò il suo Mauser. Il proiettile rimbalzò sul metallo della volata, accese una scintilla di luce, e schizzò via. Germania mollò la carabina, raccolse la mitragliatrice leggera dalla spalla e scaricò una grandinata di proiettili su Russia.

Russia scivolò di lato e la mitragliata sfrecciò affianco alla spalla di Romano. “Ah!” gemette lui. “Merd...” Romano cadde a terra, strinse la presa sulla croce di ferro per non lasciare che gli scivolasse dalle dita, e sbraitò addosso a Germania. “E che cazzo, vuoi ammazzarmi, pezzo d’idiota?”

“Non stare in mezzo alla mira!”

“E dove cazzo vuoi che mi metta?”

Russia dovette trattenere un forte sospiro di fiato per non scoppiare a ridere. Le sue labbra rimasero però piegate in quel sorriso sghembo che non lo abbandonava. “Sai perché sono io ad avere la croce di ferro, Germania?” Premette anche lui i primi passi in mezzo alla terra e alle macerie franate dopo l’esplosione provocata da Germania. “Perché a Italia non serve più.”

Romano emise un ringhio di frustrazione e nervosismo. Imbracciò il suo fucile, anche se disteso e anche se schiacciato con una spalla alla parete di terra, e sollevò la mira. “Chiudi quella cazzo di bocca.” Sparò alla schiena di Russia.

Russia scivolò di lato per schivare i proiettili e aprì una breccia fra la parete e Germania.

Germania compì uno scatto vi s’infilò sfiorandogli il fianco. Saltò con una sola falcata sulle macerie, riatterrò davanti a Romano, lo coprì dietro le sue gambe, e si girò a scaricare un’altra raffica di proiettili su Russia.

Il corpo di Russia assorbì la grandinata di piombo, il suo torso emise solo un breve sobbalzo, larghe chiazze scure fiorirono attraverso la giacca, ma le sue gambe ressero, lo tennero in piedi come se avesse ricevuto solo una secchiata di sassolini. Russia riprese ad affondare i passi verso Germania. Il suo tono d’accusa fu un cupo eco attraverso la galleria. “A Italia ormai non importa più di avere quella croce e l’ha gettata.”

Germania guadagnò fiato. I primi rivoli di sudore freddo scivolarono lungo la fronte corrugata e sporca di terra. Non ascoltarlo, non ascoltarlo. Tese il palmo aperto verso Romano. “La pistola, svelto, dammi la tua pistola.”

Romano obbedì in fretta e se la sfilò dalla cinta.

Russia compì un altro passo, sempre più vicino. “Ormai Italia non sa cosa farsene del vostro legame, non vuole avere più niente a che fare con uno come te che l’ha abbandonato invece che proteggerlo.” Prese di nuovo la mira col fucile, e il sangue spurgato dalle ferite fresche si raccolse fra le falangi contratte. “Perché è quello che hai fatto, non è vero?” Sparò più volte.

Germania afferrò Romano con un braccio solo, lo scaraventò lontano, al riparo, e si tenne girato di schiena per incassare i proiettili al posto suo. Strinse gli occhi, soppresse un ringhio fra i denti, mentre il dolore degli spari si propagò pulsando lungo la spina dorsale, e inviò una bruciante sferzata di energia a gambe e braccia. Estrasse la sua pistola, impugnandola assieme a quella di Romano, ruotò il busto e sparò con entrambe le armi. Violenti lampi a ripetizione si specchiarono nell’azzurro dei suoi occhi.

Russia assorbì un colpo alla spalla, uno sul torso, uno poco più sopra del costato, ma mosse lo stesso un altro passo, come se non si fosse nemmeno accorto delle nuove calde chiazze di sangue sbocciate sui suoi abiti. Avanzò con quel suo buio sguardo d’accusa. Strappò la baionetta dalla volata del fucile e la sollevò come un pugnale. “Te ne sei rimasto immobile mentre lui piangeva fra le mie braccia.” Assestò un colpo affondando la punta di ferro nella spalla di Germania – ricevette in faccia uno spruzzo di sangue –, estrasse la baionetta, piegò il gomito e gliela piantò nello stomaco. Arretrò per lasciare che Germania gli cadesse davanti, scavalcò un suo braccio, e si girò a guardarlo con sufficienza. “E sarebbe questo il legame che gli avevi promesso di spartire quando vi siete alleati?” Scrollò la punta della baionetta per ripulirla dal sangue e tornò a puntare lo sguardo su Romano che era ancora a terra, con le gambe ingessate, incapace di muoversi. “È sul serio questa la vita che preferiresti, Romano?” Si passò il fianco della mano insanguinata sul viso, raschiò via uno strato di terriccio, e indicò Germania alle sue spalle. “Preferiresti un alleato che se n’è rimasto immobile a guardare mentre tuo fratello veniva rapito dal nemico e ti veniva strappato via? Preferiresti un alleato che metterà sempre davanti a sé l’esito di una battaglia e dell’intera guerra piuttosto che la salvezza dei suoi compagni?”

Germania strizzò un pugno sulla ferita allo stomaco, spremendo copiosi e bollenti rivoli di sangue fra le dita, e si risollevò sulle ginocchia. “Romano, non ascoltarlo!” Sollevò una delle due pistole, combattendo le fitte di dolore al braccio e alla pancia, e sparò ancora alla schiena di Russia.

Il torso di Russia si contrasse solo in un piccolo spasmo. La sua gamba avanzò, pestò un passo pesante che tatuò un’impronta rossa sul suolo ghiacciato, e i rivoli di sangue rotolati dalle ferite alla schiena gocciolarono fino al ginocchio. Russia rimase in piedi, intrecciò le dita ai capelli insanguinati e bagnati di neve sciolta, se li scostò dalla fronte, e rivolse quell’agghiacciante sorriso allo sguardo sconvolto di Romano. “Quando perderete la guerra, anche Italia farà parte dell’Unione Sovietica, e tu non avrai più alcun potere su di lui, quindi puoi anche smettere di combattere, non ne hai più alcun motivo.”

Romano strinse le dita tremanti fino a sentire i bracci della croce di ferro conficcarsi nella carne del palmo. Razza di mostro. Come fa a essere ancora in piedi? Il cuore accelerò, stritolato da un laccio di terrore. Un anello di nausea gli chiuse la bocca dello stomaco, e il suo respiro si fece più corto e affrettato. Cos’è che lo mantiene in vita? Cos’ha questa nazione che noi non abbiamo? “Tu che ne vuoi sapere di mio fratello?” Raccolse il suo fucile, si rialzò aiutandosi con il calcio, arretrò di due passi, e si difese innescando un colpo in canna. “Che ne vuoi sapere del suo legame con il crucco? Ho visto entrambi rischiare la vita per salvare l’altro, ho visto entrambi rinunciare a tutto pur di tornare assieme.” I ricordi volarono, rapidi e sfuggenti come battiti d’ali. Italia che correva sul tetto, abbandonandolo sul cornicione in balia di Bielorussia, e che si tuffava a salvare Germania, buttandosi fra lui e lo sparo di Russia. Romano ingoiò l’amarezza di quelle immagini. “Tu stesso hai visto come Veneziano sarebbe stato capace persino di sacrificare me pur di non far morire questo figlio di puttana. Secondo te basterebbero le parole di uno psicopatico come te per rompere un legame del genere? Cos’avrai mai tu da dargli che Germania non gli ha già dato? Perché dovrebbe scegliere te al suo posto?”

La tensione sul viso di Germania si sciolse, e quel breve ma genuino sentimento di gratitudine sciacquò via anche il dolore delle ferite fresche, gli alleggerì i muscoli e gonfiò il petto di un piacevole e inaspettato tepore.

Russia non gli diede tempo di intervenire. “Perché lo difendi, Romano?” Il suo tono assunse una sfumatura delusa, i suoi dolci occhi da psicopatico luccicarono d’incomprensione. “Perché ti ostini anche tu a rimanergli così fedele? Pensavo odiassi Germania. Dopotutto, è lui la causa dei guai che sono precipitati sul tuo paese da quando la guerra è cominciata.”

“Certo che lo disprezzo!” esclamò Romano. “Certo che non vorrei mai vedere mio fratello legato a un individuo simile che non gli ha fatto altro che causare guai.” Forti brividi lo scossero, gli scaricarono addosso un peso che lo costrinse a piegare il capo fra le spalle e a indurire i muscoli della schiena. “Ma io voglio bene a Veneziano.” La nostalgia di suo fratello e il dolore della lontananza si condensarono in un velo di lacrime che rimase a traballare fra le ciglia, pizzicandogli le palpebre e arrochendogli la voce. “E non potrei mai allontanarlo da qualcosa che ama, causando in lui una tristezza irrimediabile, rischiando che soffra per il resto dei suoi giorni. Io non sono un egoista, io non sono una nazione come te, e sono anche disposto a resistere, e ad accettare quello che fa soffrire me se questo significa il bene di mio fratello e della mia nazione.” Risollevò lo sguardo d’accusa da dietro il profilo del fucile. Scagliò su Russia quegli scuri e ardenti occhi accusatori che avevano perso ogni traccia di paura. “È questa la differenza fra me e te. Anche se tu dici che io sono una nazione monca, io so comunque incarnare l’anima di un paese mille volte migliore e più umano del tuo. Anche se non sarò mai forte come te, anche se non supererò mai la tua potenza, per me non conta nulla, perché la mia umanità vale più di qualsiasi territorio conquistato, più di qualsiasi battaglia vinta, più di qualsiasi esercito sconfitto. E questo mi basta.”

Di nuovo una breve sensazione di affetto e gratitudine fece breccia nell’animo di Germania, seppe donargli una nuova forza, nonostante tutto il sangue che gli stava imbevendo i vestiti. Romano...

“Peccato,” commentò Russia. “Avresti potuto tornare assieme a tuo fratello.” Scosse il capo con un sospiro. “E invece morirai senza nemmeno averlo rivisto. Morirai con la sua faccia in lacrime come ultimo ricordo.” Distese il braccio reggendo il suo fucile con una mano sola, accostò la bocca di fuoco al petto di Romano e infilò l’indice nell’anello del grilletto. “Addio, Romano.” Spinse la pressione sul dito e fece fuoco.

Lo schioppo esplose spalancando un lampo bianco.

Romano assorbì la spinta dello sparo e finì sbalzato indietro, spargendo solo una manciata di schizzi di sangue che volarono davanti al suo viso. Gli occhi spalancati in una pallida espressione velata di stupore per l’improvvisa botta di dolore, per quella fitta attraverso le costole, e le labbra schiuse in un debole gemito che rimase incastrato in gola, incapace di soffiare via.

Il lampo dello sparo e l’immagine di Romano che cadeva sotto lo schianto del proiettile si riflesse negli occhi di Germania, nel suo sguardo attonito e impotente. Il viso di Romano si trasformò in quello di Italia, il suo petto trafitto e sanguinante divenne quello del fratello, rievocò in Germania lo stesso dolore che lo aveva lacerato quando Russia glielo aveva strappato dalle braccia. Quando era stato lui stesso a sentire il cuore spaccarsi in due.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: _Frame_