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Autore: Hermes    12/05/2019    0 recensioni
Diciassette anni di giorni da spiegare e mettere a fuoco.
Un’autopsia al tempo fra la nebbia di San Francisco e la polvere del deserto, per arrivare nel presente che potrebbe essere solo una possibilità nel futuro.
Il mondo è costruito sulle nostre scelte.
[Questa storia fa parte della serie 'Steps']
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Steps'
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Let's dig a hole in the sand, brother
A little grave we can fill together
I got myself a problem
That I been looking to sell
The dead weather ~ Die by the drop

Impasse.
Sembra così figo dirlo in francese.
La realtà delle cose invece è molto diversa.
Sono due giorni che abbiamo cenato fuori.
Quarantotto ore passate ad evitarci, sostanzialmente.
Il giochino idiota l’ho iniziato io, lo confesso.
Al nostro ritorno mi son chiusa nella mia stanza ed il mattino dopo ero uscita all’alba per non tornare fino al tardo pomeriggio.
Da parte sua Linds non ha tentato di mettermi i bastoni fra le ruote.
Il topastro non è propriamente mogio e dispiaciuto, tutt’altro.
Mantiene il silenzio e si fa i cazzi suoi, in poche parole.
Sì, ho ricominciato a fumare…si nota?
Questo silenzio, pieno di calma apparente, mi logora.
Sono stata tentata di schiaffeggiarlo, abbracciarlo, buttarlo fuori di casa, cercare di comprenderlo, urlargli contro e fargli altre domande.
Sunto della situazione o qui facciamo notte, Hervas!
Non posso perdonarlo.
Non credo nemmeno che a Linds interessi essere perdonato.

~ dieci anni prima, Rachel, Ospedale della Base.
Avevo viaggiato nel primo pomeriggio estivo, dalle tre alle quattro ore.
Faceva un caldo infernale e fare gli ultimi cocenti dodici chilometri su una camionetta militare sprovvista di portiere, con la polvere che entrava dappertutto non era stato uno dei viaggi più comodi della mia esistenza.
Non aveva migliorato il mio umore.
Quel mattino avevo ricevuto una telefonata insolita dal comandante di quella Base-a-casa-del-Diavolo dove Linds lavorava a proposito di un ‘incidente’ nel quale Kurt era stato coinvolto.
Subito avevo pensato a qualche malfunzionamento da laboratorio…Linds all’epoca mi aveva parlato – seppur raramente – dei delicati esperimenti con particelle, quanti, eccetera al quale aveva assistito.
Poi la verità era giunta: il mio bambino morso da un crotalo, un fottutissimo serpente a sonagli.
Per poco non ero svenuta a quella notizia.
Quindi avevo lasciato San Diego con un volo diretto a Las Vegas, ero poi salita prima su un camion e dopo su quella camionetta militare muta come una tomba, non prestavo nemmeno attenzione a quel poverello al quale era stato dato l’ordine di portarmi alla base di Rachel e che aveva cercato di attaccare bottone amichevolmente.
Ero peggio che livida mentre attraversavamo la stretta pianura dove si proiettavano le lunghe ombre della sera imminente ed il profilo della recinzione della zona militare.
Ero stata munita di pass ‘Visitatore’ che avrei voluto tanto far ingoiare a qualcuno quindi introdotta nel braccio ospedaliero della Base.
Ricominciai a respirare solo quando misi a fuoco il letto sul quale stava Kurt, sette anni compiuti, pallido come un cencio.
Ascoltai paziente il sunto del dottore poi mi installai seduta.
In attesa.

~

Un ragazzo magro e alto camminava tranquillamente, sulle sue spalle sedeva Nala, una bimbetta di quattro anni, felice come una pasqua, le braccine che gli circondavano il collo, incrociandosi sotto il suo mento ed il visetto nascosto fra i capelli neri del ragazzo.
Al fianco di Kurt camminava Savannah la sorella dodicenne di Nigel mentre percorrevano la strada principale del quartiere per il chiosco dell’Ice-Cream alcuni isolati più in là.
Era a Charleston da quasi quattro giorni e il ragazzo californiano si era innamorato della città, ma soprattutto della gente.
Il clima tropicale mitigato dalle correnti atlantiche e quell’aria così rilassata della cittadina balneare ma non ‘centro del mondo’ al quale era abituato.
La parlata stretta, tanto che faticava a comprenderla.
La cucina a base di pesce, il sole verticale e una quantità di gabbiani che volteggiavano sulla banchina del porto.
Vogliamo parlare della storia? In ogni angolo si trovavano le tracce di civiltà differenti, mischiate dalla costante emigrazione e la tratta degli schiavi per le piantagioni.
Just a few more days for to tote the weary load…
Anche San Francisco vantava edifici storici ma non con quella concentrazione ed diversità.
Solo il giorno prima il padre di Nigel aveva accompagnato la famiglia a mangiare fuori con il loro ospite in un autentico ristorante del posto che, un secolo e mezzo prima, vantava essere un bordello di gran lusso.
L’esperienza era stata interessante, si era sbellicato dalle risate quando Nigel era stato preso per le orecchie da sua madre alla sua insistenza nell’esaminare le foto-testimonianza del locale.
La famiglia del ragazzo di colore era cattolica praticante ed osservante, c’era stato un leggero disagio due giorni prima – una domenica – Kurt si era rifiutato di seguirli a messa ma ciò non aveva alzato che il sopracciglio della signora di casa.
Quindi aveva finito per fare una passeggiata per il quartiere nella calma tranquillità del mattino mentre i tosaerba rapavano senza sosta i prati dei vicini dove l’erba, come nelle migliori pubblicità americane, è sempre più verde...
KUT! KUT!
Il ragazzo allampanato strinse appena gli occhi mentre la vocina eccitata della bambina appollaiata sulle sue spalle gli perforava un timpano, eppure aveva un sorriso sulle labbra.
“Dimmi, Nala.”
“Is-Crem!” un piccolo indice entrò nella sua zona visiva, indicando il chiosco sgargiante in azzurro e bianco, due isolati più in là.
Yep! Perché non pensi a cosa vuoi?” aveva battuto delicato una mano sul ginocchio sinistro della piccola.
“Tanto non la smuovi dal cioccolato, Kurt.” esclamò Savannah al suo fianco, saltando un blocco di cemento e precedendoli.
“Perché tu hai altro in mente, Sav?”
Fratello e sorella si scambiarono un’occhiataccia quindi iniziarono a litigare per il resto della strada come solo dei consanguinei avrebbero potuto fare.
Kurt li ignorò, passando le strisce pedonali, mentre dentro provava una minuscola punta di invidia.
Abituato a vivere da solo non si era mai veramente chiesto come sarebbe stato avere dei fratelli o delle sorelle…
Il destino aveva voluto che lui fosse un figlio unico.
Oh…se la ricordava eccome quella litigata epocale…
“Kut…?”
“Sì? Cosa c’è?”
“Coa prendi?”
“Oh…fammi pensare che è una domanda difficile…” gli piaceva sentirla ridere, e sorrise anche lui scorrendo la lista “Direi che mi basta un ghiacciolo al limone con stecco di liquirizia.”

~ dieci anni prima, Rachel Ospedale della Base.
Il volto di sua madre era rigido e teso, quasi grigio.
Kurt era sveglio da un po’, ma aveva paura di essere scoperto e rimproverato.
Quindi aveva strizzato le palpebre chiuse.
Non si sentiva molto bene, i suoi pensieri sembravano come galleggiare, al di fuori della completa percezione.
Ricordava appena come ci era finito in quella barella d’ospedale.
Non sentiva più la gamba da ore ed non aveva ancora trovato il coraggio di appurare se l’arto ci fosse o meno.
Il viso di un vecchio contadino che gli sorrideva con la bocca sdentata tornava fra i suoi ricordi insieme all’ondeggiare frusciante delle cime delle piante di mais dei crop circles, tre metri sopra il suo capo.
Cicale assordanti, nascoste fra le foglie taglienti come rasoi e maledetti crotali.
Quindi passi pesanti e, allo stesso tempo, vaghi.
La porta che si chiude e il silenzio fondo di una sera tardi.
“È tutto ok, Michelle.” la voce di suo padre, strascicata e senza emozione.
Un sospiro al suo fianco e Kurt immaginò le spalle di sua madre abbassarsi progressivamente ed il rumore della sedia accanto alla parete scricchiolare.
Tu dov’eri, Linds?” il tono di sua madre era accusatorio.
“Di sotto al Lambda Dep. Hanno chiamato subito aiuto ed gli è stato somministrato l’antidoto, è fuori pericolo ma hanno preferito portarlo qui per i controlli del caso.”
Sua madre non rispose a quella spiegazione dettagliata.
Era un silenzio da pelle d’oca.
Uno di quei silenzi nei quali Michelle perdeva qualsiasi sfumatura piacevole.
“Prima o poi sarebbe capitato, me lo aspettavo.”
“Michelle-”
“Com’è stato morso?”
“Un serpente del deserto, Kurt lo ha aizzato in uno dei Crop Circles, gli è andata bene che nei paraggi c’era un vecchio agricoltore.”
“Proprio un culo sfacciato.”
Il ragazzino si era irrigidito alla calma replica di sua madre, segno che il nucleo della sua irritazione aveva raggiunto il grado di fusione, non l’aveva mai sentita imprecare.
“Vieni con me, Linds. Andiamo a prendere un caffè, vuoi?”
Non aveva sentito la risposta di suo padre ma dai passi e dal cigolio della porta semi chiusa, era rimasto da solo.
Quindi si era messo seduto, tendendo bene le orecchie.
Qualche manciata di secondi dopo quella conversazione era continuata.
“Quanto tempo Kurt passa da solo, Linds?”
“…”
“Non sai dirmelo o ti sei semplicemente dimenticato che tuo figlio esiste?”
“Sei così drammatica per un morso…”
“Sì, un morso che avrebbe potuto portarmelo via, topo. Scusa se faccio la parte di sua madre, eh!”
“Tagliata su misura tu sei.”
una risatina idiota.
“La mancanza di aria fresca ti sta rincretinendo ma te lo chiedo lo stesso: quale sarebbe il tuo maledetto problema, Linds?!”
“Problema…?”
“Prima hai appena implicato che Kurt sia andato a cercare un crotalo…ho difficoltà a credere che un bambino abbia istinti suicidi. Ergo non hai ancora cessato di comportarti come il perfetto egoista. Se c’è qualcosa che non va come dovrebbe la colpa è di Kurt, vero?”
“Ti ho perso all’ergo, piccola.”
“Immagino.”
Un brivido, attutito, lungo la sua spina dorsale mentre tornava il silenzio.
“Linds, sono passati quasi cinque anni da quando te ne sei andato. Non ti ho mai chiesto di tornare, ma pensavo...” la voce di sua madre aveva perso il filo tagliente, malinconica “Mi ero stupidamente convinta che almeno di Kurt ti importasse qualche cosa. È solo un bambino, Linds, ed ha bisogno di te.”
“…”

Confusi occhi neri che spariscono lentamente dietro le palpebre una, poi due volte.
Un momento dopo la mamma aveva ripreso a parlare e la sua voce era acciaio puro.
“Vedo che le mie parole non fanno effetto. Sai cosa? Non importa e non mi interessa. Non posso più farlo, ne ho abbastanza di continuare a farmi del male e sanguinare. Passa una buona serata ed addio, Linds.”

Aveva seduto Nala sulla panchina ed acquistato una coppetta di gelato al quale la piccola aveva fatto le feste mentre gli aveva puntato nello scollo della t-shirt qualche tovagliolino perché non si imbrattasse.
Quindi aveva scartato il suo ghiacciolo con gesti meccanici.
“K! Potevi aspettarci!”
“Colpa vostra, la signorina era affamata.” sorrise Kurt, osservando la bimba che dava fondo al suo gelato senza rimorso.
Lui aveva dato un morso alla parte acquosa del suo ghiacciolo, il sapore del limone sintetico troppo dolce ed la promessa della liquirizia più in basso che gli dava una segreta soddisfazione.
Un orologio dentro di lui che ticchettava, ghignante.
Si ricordava ancora l’espressione di sua madre quando era tornata e si era seduta al suo fianco.
Le labbra tirate, il grigio dei suoi occhi quasi fosforescente nella penombra e le narici che fremevano.
Quando lo sguardo di Michelle si era posato sopra di lui quella facciata si era dissolta.
Le spalle si erano abbassate e si era morsa il labbro inferiore.
Una frazione di secondo dopo sua madre era tornata in possesso di se, gli occhi lucidi.
Aveva tirato fuori un faldone ed un notes lavorando l’intera notte, seduta al suo capezzale, nessuna espressione sul viso.

Some people die just a little
Sometimes you die by the drop
Some people die in the middle
I live just fine on the top
[...]
Get right down to the bottom
To my little grave
The dead weather ~ Die by the drop

~

75 degrees
Nothing is bugging me
Heat whispering trees
My baby and me
75 degrees, the killer in me
Rushing through my veins
Taking away my pain
Over me, under me, within me, without me, under me, over me
Richard Ashcroft ~ 75 Degrees

“Michelle, te lo ricordi quel weekend che abbiamo passato a Daytona Beach?”
“Come potrei dimenticare quarantotto ore passate a tirarti per le orecchie prima che ti imbucassi in una corsa d’auto?!”
Linds ride di gusto, tranquillo.
Potreste non crederci ma sì, è davvero successo la seconda estate insieme mentre eravamo di ritorno da una settimana a Miami…dubitavate del topo?
Qualche ora prima ero arrivata a casa per scoprire che la porta antincendio per il tetto era socchiusa, avevo controllato l’anomalia trovandoci Linds che in maniche di camicia si crogiolava al sole di fine giornata sul tarmac bollente come un gatto in siesta.
Sul suo petto dondola il flute che ha starmato da qualche parte in cucina, il poco vino rosso che si muove ad ogni suo respiro.
“Un po’ ho il rimorso di non aver provato uno di quei bolidi quando ancora potevo, sai?”
Mi volto a guardarlo, interrogativa.
Come al solito il sottotesto nelle sue frasi mi stuzzica.
Quando ancora poteva…?
Il calore del sole qua sopra è quasi proibitivo ma a Linds non sembra dare fastidio.
Secondo lui la porta che da sul tetto è stata scassinata da Kurt, non mi fa piacere ma potrebbe anche essere così…
I raggi si fanno via via più rossi e densi, come melassa mentre un clacson sulla strada suona, brutale e sognante insieme.
Clink!
Linds si gira da supino a prono le braccia sotto il mento, gli occhi sans lenti su di me.
Tremendamente serio.
“Lo sapevi che questa parte del tetto in teoria è di proprietà insieme al loft?"
“Quindi...?” mi guardo intorno, un po’ disinteressata. Non è uno spazio che mi ispiri molto con il camino e le grate dell’aria condizionata del palazzo.
“Non ti piacerebbe trasformarlo in una terrazza a giardino pensile?”
Torno a guardarlo, un po’ sorpresa dalla sua idea.
“Non ci ho mai pensato...e comunque non riuscirei a godermelo, Linds...”
“Perché?”
“Passo il 90% della settimana a San Diego al Venter Institute quindi...”
La mia voce sfuma mentre Linds versa altro vino nei bicchieri con uno sguardo pensoso.
Sei restia Hervas? Cos’è hai una patata bollente fra le mani?
“Mi togli una curiosità, Michelle?”
“A-ha?”
“Perché non ti sei trasferita con Kurt là?”
Ecco che il topo arriva, mira, spara e fa bull’s eye!
Non trovo una risposta adeguata anche se le mie meningi vanno a pieno ritmo.
“Ci ho pensato.” riesco a dire, semi impappinata.
Questo posto…qui io e lui siamo stati felici e…
Linds fissa il fondo del suo flute, senza commentare, curiosamente disinteressato.
“Ci ho pensato.” ripeto più decisa “Ma Kurt aveva già iniziato la scuola e fraternizzato…poi comunque per traslocare avrei dovuto vendere il loft e…insomma la casa è di tua proprietà-”
Linds scuote la testa di scatto “No, ti sbagli Michelle.”
“Eh…?”
“Non sono più il proprietario di questo posto.”
“Che vuoi dire? Non capisco.”
Linds ride, seduto al mio fianco “Voglio dire che pago le tasse sì, ma il loft è a tuo nome e quello di Kurt.”
“Credevo…hai avuto problemi con il fisco?”
“No, affatto. Alcuni anni fa ho messo un po’ in ordine le mie finanze e…” si volta a guardarmi “Non ci abito qui, Michelle e se mi capitasse qualcosa verreste sfrattati dall’oggi al domani. Mi è sembrata la cosa più logica.”
Il sole sta scendendo lento sopra la nostra testa, la temperatura che cala con l’arrivo dell’ombra proiettata dai palazzi più alti.
Non riesco a smettere di guardarlo mentre Linds strizza gli occhi e mi sorride appena prima di rialzarsi e scomparire dalla porta antincendio venti metri più in là.
Hai rimesso in ordine le tue finanze…co-intestando a me e tuo figlio un loft a cinque zeri.
Questo prima o dopo l’overdose?
Scommetto che non vuoi niente in cambio, topo?

Ci sono lacrime sulle mie guance e non credo di volerle fermare.
Oh, mio Dio.

You know I'm afraid
You know I'm scared
And so are you, and so is he, and so is she
What's the point of trying to hide?
Give me a reson to breathe
Give me a reason to feel
Richard Ashcroft ~ 75 Degrees

~

Look at you, kids, with your vintage music
Comin' through satellites while cruisin'
You're part of the past, but now you're the future
Signals crossing can get confusing
Lana del Rey ~ Love

“Torni a casa…?”
Lizzie, sentì la propria voce uscire sorda.
“Sì, tra una settimana o dieci giorni…per ora sto da un amico a Charleston ancora per un po’…stammi bene Lizard.”
“Kur-”
La telefonata si era interrotta.
Elizabeth avrebbe voluto strangolarlo.
~
“Oi, K. C’è un particolare motivo per cui ti comporti così con quella poveretta della tua fidanzata?”
“Non è la mia ragazza, Nigel.”
“Sicuro?”
“Positivo.”
Il ragazzo al suo fianco fischiò con un sorrisetto “A me sembra che sia cotta, invece!”
La zazzera corvina scosse il capo disinteressata mentre una nuvola di fumo acre fuoriusciva dalle narici.
“Sei stato davvero gentilissimo ad ospitarmi, Nigel.”
“Nah, Kurt. Da e Ma pensano che tu sia una persona in gamba e poi giochi a Quake II talmente bene che mi dai il terrore, accidenti!”
“Esagerato…”
Avevano ripreso a camminare lungo il viale residenziale dove non si muoveva una foglia mentre l’umidità della sera si alzava appena in foschia.
I ragazzi camminarono ancora per un po’ con le mani cacciate in tasca fino ad un incrocio dove il semaforo lampeggiava fuori uso, attraversarono la strada per scavalcare i muretti e saltare nella sabbia due metri più sotto.
Il rumore della risacca un leggero mormorio che diventava sinistro il momento che l’acqua veniva risucchiata fra gli scogli cento metri più in là dove si delineava il porto.
La spiaggia non era deserta, ad alcuni metri la luce di un falò si alzava fra la sabbia dove una classe di adolescenti si era seduta intorno. Si sentivano gli accordi di una chitarra ed alcune voci cantare qualche vecchia canzone dei Beach Boys.
I due ragazzi si tennero alla larga dal gruppo, puntando per la scogliera dove Kurt iniziò per primo a saltare su una roccia agile come un gatto, seguito da Nigel poco più giù.
Era uno sport pericoloso e decisamente non salutare, Kurt lo sapeva ma la presenza di un rischio rendeva più dolce l’arrivo alla méta: una roccia liscia ed asciutta, quasi piana nel bel mezzo del cumulo di pietra.
Lì il rumore del mare era l’unica vibrazione percepibile e l’aria era ricca di iodio nell’oscurità totale.
Lì non sentiva i battiti del suo cuore.

~

You know I look like a woman, but I
Cut like a buffalo
Stand up like a tower
But I fall
Just like a domino
The dead weather ~ I cut like a buffalo

Niente.
Io e Linds avevamo setacciato la Washington High da cima a fondo ed in pompa magna, accompagnati da una professoressa di Kurt che si era offerta come centurione.
Greene…cavolo l’ho già sentito questo nome…
La donna era rimasta folgorata sulla porta del Preside quando era entrata mentre ci eravamo appena accomodati sulle poltroncine per gli ospiti.
Folgorata era dire poco…quella donna salivava e pendeva dalle labbra del topo.
E lui reggeva il gioco come se fosse una seconda natura: amabile, un po’ timido e pacato e, apparentemente, con un genuino interesse nella carriera scolastica di Kurt.
A quel punto avevo lasciato tutto nelle sue sapienti mani perché a pelle intuivo che la mia civiltà non sarebbe durata più di due minuti.
Intanto i due camminavano avanti - d’amore e d’accordo - parlando di provette, teoremi e materiali scolastici.
Il tour era soporifero, la scuola era ottima ovviamente avevo cercato di indirizzarlo nel modo giusto ma i voti accademici di Kurt erano talmente perfetti e la mia agenda così incasinata che non mi ero mai data la pena di approfondire di più il mio rapporto con i professori oltre i pagellini che vedevo ogni semestre.
“La ringrazio, la sua presenza stamattina è stata illuminante, davvero!” Linds esclamò entusiasta “Certo…qualche piccola miglioria qui e là ai laboratori scientifici sarebbe necessaria sa, per non rimanere indietro con le innovazioni…ne parlerò con il mio commercialista.”
Topo! Il naso ti si allunga, attenzione!
Dieci minuti dopo eravamo di nuovo finalmente soli nell’atrio secondario.
“Non eri il commercialista di te stesso, Linds?” Il topo, impegnato nello scrutare i volantini delle bacheche, si volta e mi squadra, la mansuetudine svanita.
“Beh…ho toppato a quanto pare e giurerei che quella arpia non è la professoressa preferita di tuo figlio, Michelle.”
Roteo gli occhi, passando sopra alla sua bacchettata.
“Punto ed a capo, palla in centro. Altre idee?”
“Dai il tuo contributo Michelle, sono tutto orecchi.”
Okay. Dieci minuti dopo siamo nella segreteria dell’istituto con una delle donne di turno brontolona e pestina per essere stata disturbata nella lettura del suo quotidiano di fiducia, un opuscolo scandalistico con in copertina un titolone sull’ultima soubrette trovata a gambe all’aria.
Linds sbadiglia appoggiato allo stipite della porta mentre scorro l’yearbook di quest’anno alla ricerca dei possibili compagni di classe di mio figlio.
O porco cane…proprio una grande pensata Hervas…settecentosessantotto teenager…finirai al minimo tra qualcosa come due o tre anni e saranno già tutti al campus!
“Mi scusi, non ci sarebbe una lista dei componenti della squadra di atletica?” domando disperata.
“Quella la vada a chiedere al coach!”
Chiudo di scatto l’album.
“Lo farò, stia certa.” replico grave prima di voltarmi ed uscire, Linds che mi apre la porta prima di seguirmi nel corridoio.
“Hai una idea di quale sia la strada più veloce per il campo sportivo, topo?” le narici mi fremono ed i pugni li tengo stretti, Linds da un’occhiata fuori prima di replicare tranquillo.
“Suppongo di sì.”
Lead the way.
[…]

~

[…]
“Suo figlio è un emerito deficiente, signora.”
“Immagino di sì…”
“Non so se l’ha mai visto mentre gareggia.”
“…temo di no.”
“Ha un completo disrispetto delle più semplici nozioni di salute e se ne frega altamente del lavoro di squadra quando è in pista.”
“…”
“Alcune settimane fa l’ho sorpreso a correre al suo solito modo sotto il sole delle tre post meridian, vestito di nero. Ha una minima idea dell’insolazione che avrebbe potuto prendere con questo caldo? Ha avuto pure il coraggio di sfidarmi quel piccolo imbecille quando gli ho intimato di fermarsi.” il coach fece una pausa, strofinando con una mano la pelata sudata “Suo figlio è uno dei migliori corridori che io abbia mai avuto modo di allenare nella mia carriera di professore, signora ma se trovassi un pretesto per cacciarlo definitivamente dalla squadra lo farei per il suo bene, senza pensarci troppo.”
“…”
Ho ascoltato questa conversazione in silenzio, seduto al fianco di Michelle che ha chiuso gli occhi mentre ho visto la sua furia sfasciarsi come una lanterna di riso sotto la pioggia.
“Se vuole posso farle qualche nome ma non credo le sarò molto d’aiuto.”
Michelle inghiotte, lentamente, gli occhi chiusi e non so cosa darei per il poter confortarla.
“Gliene sarei grata.”
È stato un boccone amaro ed nel tempo che ci mettiamo ad uscire dall’ufficio e tornare al parcheggio Michelle evita il mio sguardo.
In mano stringe il biglietto dove il mister ha segnato un paio di nomi ed indirizzi ma per oggi credo che sia abbastanza, anche per lei.
So che non devo…che la sua vita non è più mio interesse…ma è più forte di me.
Guido la Jag fino ad una fila di stalli appena fuori del Golden Gate Park, parcheggio, esco fuori apro la portiera del passeggero e le tendo la mano.
Mi ignora, lo sguardo fisso sul portaoggetti anche se non demordo.
Forse attendo un miracolo che non mi merito.
La mia mano trema, visibilmente, e me ne frego.
Michelle sospira, il capo che si piega poi gli occhi che trovano la mia mano e si fissano.
La sua espressione che diventa grave e poi alza lo sguardo.
Non le offro spiegazioni, non è il momento.
Sembra accettarlo e decide di fidarsi.
Un momento dopo la chiusura dell’auto scatta mentre attraversiamo Fulton Street ed entriamo nel parco, mano nella mano.

And he understands.
He understands why people hold hands:
he'd always thought it was about possessiveness, saying 'This is mine.'
But it's about maintaining contact.
It is about speaking without words.
It is about 'I want you with me' and 'Don't go'.
~ Cassandra Clare

~~~

Canzoni del capitolo:
- The dead weather ~ Die by the drop;
- Richard Ashcroft ~ 75 Degrees;
- Lana del Rey ~ Love;
- The dead weather ~ I cut like a buffalo.

Le note di questo capitolo sono:
- Il crotalo o anche più comunemente chiamato serpente a sonagli è un nome comune di alcuni serpenti velenosi noti per il sonaglio corneo che possiedono sulla punta della coda e che agitano vorticosamente nelle situazioni di pericolo. Il veleno presenta tossine proteiche che possono attaccare la funzione cardiorespiratoria, il sangue e anche altri tessuti...tutto dipende dal tipo di crotalo;
- Just a few more days for to tote the weary load… è un verso della canzone My old Kentuchy home, una ballata da camera anti-schiavista composta da Stephen Foster nel 1852 circa;
- Charleston, qui stiamo parlando della città balneare in South Carolina dove risiede la famiglia di Nigel. Degno di nota ricordare Fort Sumter, guarnigione federale nordista che venne attaccata nel 1861 dai sudisti, evento dal quale scoppiò la Guerra di Secessione americana;
- Daytona Beach è una località balneare molto famosa situata in Florida. Oltre al turismo Daytona ha anche una fitta tradizione di associazioni sportive automobilistiche volte a modificare vetture di serie in bolidi, le stock-cars. Le gare negli anni '20 si tenevano sulla sabbia compatta caratteristica appunto della Beach e poi si spostarono dal 1959 nell'autodromo internazionale;
- Miami città famosa sulla costa sud-orientale della Florida. Chi non se lo ricorda quel singolo di Will Smith e chi non scommetterebbe che il topo lo sa a memoria...LOL
- Quake II era un videogioco realtime 3D genere sparatutto in prima persona nel quale si uccideva tutto ciò che si muoveva praticamente con tanto di sangue e pezzi di cervella in mondovisione, il primo Quake era del 1996 è mi ricordo che aveva fatto assolutamente furore con la generazione di mio fratello. Viene ricordato come successore spirituale della serie Doom. A me (allora avevo appena 8 anni) faceva venire gli incubi...sopratutto nella modalità Nightmare l'audio dei mostri e l'ambient sound era da pelle d'oca:
- I The Beach Boys sono un gruppo rock statunitense del 1961 formato da tre fratelli californiani ricordato perlopiù per la loro musica spensierata e molto legata alla tradizione surfing degli adolescenti californiani;

Altro weekend, altro aggiornamento.
Capitolo lungo questo, un po' frammentato ma giusto almeno per me che scrivevo...
Il finale si avvicina...non sembra ma è così.
Saluti.
Hermes

  
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