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Autore: G RAFFA uwetta    13/05/2019    0 recensioni
Un’antica maledizione bussa alla vita del giovane Auror Harry Potter sfiorandolo, quasi derisoria. Ma il Fato è capriccioso e ha in serbo per lui ben altro. Attraverso i chiaroscuri dei suoi ricordi, torneranno a galla verità nascoste e faranno male, quasi quanto pronunciare: Avada Kedrava.
‘L’eternità giace in chi ha memoria.’ – uwetta.
Dal testo: “— Ho l’impressione che ci sia qualcuno che non dovrebbe essere qui, — aveva risposto all’amico, senza smettere un secondo di guardarsi in giro preoccupato. — Quanto sei paranoico, Harry! Vabbè che hai vinto il premio come miglio Auror dell’anno, ma adesso esageri! Chi vuoi che sia così pazzo da pensare di potersi mettere contro di loro, — aveva indicato la sala gremita di gente, mentre gli poggiava il braccio intorno al collo in un goffo abbraccio. — Goditi il momento, — poi l’aveva trascinato con sé.
— Imperio! — aveva sibilato sottovoce qualcuno: gli occhi di Ron divennero vacui mentre con estrema lentezza estraeva la propria bacchetta.”
Tutte le riflessioni sulla psiche sono mie personali considerazioni.
Presenza accennata di Bondage e di violenza. Pre-slash.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Narcissa Malfoy, Ron Weasley | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Harry, Harry/Ginny
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 7 – Il destino di un uomo è vergato fin dal ventre materno



Il sole aveva raggiunto il suo apice quando Harry uscì dalla sua stanza in cerca di Draco. Quella mattina aveva ricevuto, nascosta tra le pieghe del giornale, una lettera di Hermione. Erano passati poco più di due anni dall’ultima volta che aveva visto, o soltanto sentito, i membri della sua famiglia. La signora Malfoy gli aveva spiegato che c’era in corso un processo perché i Weasley non avevano accettato la versione del Ministero in cui veniva dichiarata accidentale la morte di sua moglie. Di certo, Harry non aveva potuto biasimarli. Ma vi era qualcosa in quella lettera, un dolore che traspariva dalle parole scritte contro di lui, che l’aveva stupito e, allo stesso tempo, lasciato perplesso.



“…Non credere che non sappia che è solo una sordida macchinazione, Harry, un modo subdolo e crudele per scampare al tuo destino…

«Ma di quale destino stava parlando?»

“…Sei una creatura orrenda, come puoi permettere che un onesto padre di famiglia finisca ad Azkaban al posto tuo? Come puoi anche solo pensare che io possa ritenermi tua amica? Che possa essere fiera di aver condiviso una parte della mia vita…

« Azkaban?»

“…So tutto sull’uso improprio dei ricordi, su come si possano manipolare. E i tuoi sono solo carta straccia…

«Ricordi? I miei ricordi stavano bene, l’ultima volta che ho controllato.»



Eppure, nel momento stesso in cui aveva cercato di visualizzare il volto dell’amico, Harry si era piegato in due dal dolore. Fitte lancinanti avevano preso vita all’interno della testa, facendogli vedere il mondo a pallini neri. Il cuore aveva preso a battere furioso, corroso dall’ansia di non riuscirci e dal dubbio che Hermione avesse ragione. Dentro di sé, la magia stava vagando inquieta per mantenere una parvenza di equilibrio, indirizzando i pensieri di Harry altrove. Seccato e impotente, stringendo tra le dita la lettera, aveva attraversato il corridoio che lo separavano dal resto della casa, pestando i piedi in terra come un moccioso.

L’atrio, solitamente luminoso, sembrava un’anonima sala di un mausoleo, con tutti quei fregi sporcati dall’ombra; Harry aveva girato su se stesso un paio di volte, indeciso se fiondarsi prima nella biblioteca o raggiungere lo studio privato di Draco salendo l’ampia scalinata. Presa una decisione, cautamente, tenendosi ancorato al corrimano, era andato al piano di sopra. Stava per bussare alla porta in noce quando tutti i suoi sensi si erano allertati. Si era voltato e, socchiudendo gli occhi miopi, aveva scrutato tra le pieghe della luce che filtrava dai tendaggi delle ampie finestre. Nel silenzio più assoluto, da qualche parte oltre il buio delle scale, gli era parso di sentire un fruscio, lieve come un sospiro.

Qualcosa, forse l’istinto non ancora assopito dell’Auror che albergava in lui, lo stava trascinando verso la semi oscurità dove era ubicato l’appartamento privato del padrone di casa. Poco più in là, investita dalla luce accecante del sole proveniente da un uscio spalancato, una figura avvolta in un lungo mantello nero era rannicchiata in terra. Sotto di lei, una pozza vermiglia si stava schiudendo come una rosa appena baciata dall’aurora. Harry si era subito inginocchiato, riconoscendo in lei Astoria, la moglie di Draco. Con delicatezza, le aveva voltato il capo e scostato i lunghi capelli chiari dalla fronte di un pallore cadaverico. Stava respirando a fatica, rantolando parole senza senso, ma la presa che l’aveva stretto al polso era stata tenace, quasi disperata. I suoi occhi erano liquidi di dolore, di una consapevolezza che gli aveva stretto il petto in una morsa ferrea.

Harry non aveva la bacchetta, gli era stata portata via dalla signora Malfoy quando aveva varcato per la prima volta la porta di quella casa, ma la sua magia fremeva per essere liberata. Non v’era tempo per ragionare, pianificare, bisognava agire: il viso della donna era diventato paonazzo e le dita si erano chiuse a riccio sulla veste da camera del moro.

In fretta, aveva strappato le vesti fino all’altezza del ventre gonfio e duro di Astoria e, ingoiando la propria vergogna, le aveva gentilmente spalancato le gambe, intrufolando le mani tra le cosce umide di sangue. Vagamente isterico – nella testa scorrevano immagini di un documentario visto anni addietro a casa degli zii – aveva cercato di portare conforto alla donna raccontando, in modo approssimativo, ciò che si apprestava a fare. Erano stati momenti concitati, febbrili finché, dopo quelli che gli erano parsi secoli, si era ritrovato tra le braccia un piccolo esserino viscido di sangue. Con immensa cura, l’aveva avvolto nel mantello della donna facendo apparire la culla che apparteneva da generazioni alla famiglia Malfoy, vi aveva adagiato il corpo e, la sua magia, l’aveva rinchiuso in una teca riscaldata, come quelle Babbane viste in quel lontano giorno.

Una volta certo che il bambino fosse al sicuro, si era dedicato alla donna che, ormai stremata, lo stava guardando riconoscente. Era stato a quel punto che, preso dal panico, aveva urlato il nome del suo elfo personale. «Wagner!» all’apparizione dell’esserino, senza lasciargli il tempo di fare altro, l’aveva spedito a cercare aiuto. Pochi istanti dopo, Astoria aveva rilasciato il suo ultimo respiro: «Prenditi cura di Draco e sii un buon padrino per Scorpius, come lo sei per Teddy.» Con ancora l’ombra di un amorevole sorriso sulle labbra pallide, la donna l’aveva lasciato da solo a piangere lacrime amare.

Più tardi, la stessa sera, mentre svogliatamente stava rigirando la forchetta nel pasticcio di carne, Draco si era presentato alla sua porta. «Mi spiace,» si era affrettato a dirgli mestamente senza avere il coraggio di guardarlo, «avrei dovuto salvare entrambi.» Il biondo era rimasto a lungo fermo sull’uscio, lo sguardo assente rivolto alle vetrate irrigate dalla pioggia battente. Poi, a grandi falcate, si era diretto verso un mobile incastrato nel muro, l’aveva spalancato e si era versato una dose generosa di un liquore pastoso, il cui aroma zuccherino gli aveva fatto storcere il naso.

«Si era affezionata a te,» Harry aveva sussultato sorpreso quando Draco si era finalmente deciso a parlare, «e, contro la mia volontà, ti ha nominato padrino di mio figlio,» i suoi occhi erano diventati scuri dal disappunto. «Un Grifondoro che si prende cura di un Malfoy? Giù in galleria, i ritratti dei miei antenati si staranno strappando i capelli!» aveva detto oltraggiato. «Che sarà mai,» gli aveva risposto a tono Harry, l’ombra di un sorriso a sporcare la malinconia, «Teddy è cresciuto bene, no? Un vero Black, malandrino al punto giusto.» Draco aveva arricciato il naso, posando il bicchiere su un vassoio apparso dal nulla.

«Non saresti stato in grado di salvarla,» il moro aveva guardato con stupore il volto pallido dell’altro, piegato in una amara espressione, mentre cercava di tenere un tono di conversazione blando. «Passeggiava per Diagon Alley con sua sorella quando qualcuno l’ha urtata facendola ruzzolare malamente in terra,» Harry aveva trattenuto il fiato, una mano callosa a coprire la bocca spalancata, sapendo bene la difficoltà di quella gravidanza e la fragilità della donna. «Daphne, vedendola sparire sotto ai propri occhi, ha pensato che si fosse smaterializzata al San Mungo, invece, come ben sappiamo, è venuta qui. L’ultima cosa che ricorda, oltre al terrore e all’angoscia negli occhi della sorella, è stato il tuo nome, bisbigliato da Astoria prima di scomparire. Lei sapeva, anzi, lei era certa che saresti stato in grado di salvare nostro figlio.» Draco si era voltato bruscamente, le spalle incassate e lievemente tremanti, il capo chino. Eppure era stato con tono fermo che aveva affermato: «Ti dobbiamo molto ed è per questo che, tra una settimana, una cerimonia ufficializzerà la tua entrata nella nostra famiglia come padrino di Scorpius. E che Salazar non mi maledica,» aveva bisbigliato prima di uscire impettito dalla stanza.





Fuori dalla finestra, il primo spicchio di luna splendeva quieto nella notte che avanzava. Harry si girò inquieto e, nel muovere il braccio, urtò il telefono accanto, che iniziò a brillare di una luce sfocata. «Non avrò mai il coraggio di guardarti in faccia e confessarti che ho avuto una specie di cotta per Astoria,» disse il moro al nulla, le guance arrossate dall’imbarazzo. «Era così speciale, diversa da qualsiasi donna abbia mai conosciuto,» sospirò passando le dita tra i capelli ricci. «Mi piacque fin da subito perché dimostrò di avere molta pazienza nei miei riguardi, non mi giudicò mai. Sedeva lì, davanti alla scacchiera, la fronte graziosamente aggrottata e la mano delicata a sostenere il viso. Non ha mai abbassato lo sguardo, davanti a me, nemmeno quando mi ha confessato candidamente che tu non l’amavi.» La voce del moro si fece più sottile.

«Un pomeriggio se ne era uscita dicendo: “Ho un rammarico, Harry, a mio figlio mancherà confrontarsi con un Potter. Dovrò rimediare.” Io l’avevo guardata stralunato, come se all’improvviso le fosse cresciuta un’altra testa. Credo fu in quel momento che decise che, volente o nolente, avrei fatto parte della famiglia.» Harry teneva gli occhi malinconici fissi su una macchia scura del soffitto.

«Era molto intelligente, versatile direi, colta e aperta a ogni cambiamento. Mi manca, sai? Passavamo ore a discutere su qualsiasi argomento ci venisse in mente e dalle sue labbra spuntava sempre il tuo nome. Ti intrufolava in ogni discussione,» Harry rise al ricordo, sebbene a quei tempi ne fosse un po’ geloso. «Ora che ci penso, sembrava quasi che avesse fretta,» ragionò il moro poco dopo, «come se parlare continuamente di te, in qualche maniera, creasse un legame. Ti ho visto con i suoi occhi e mi sei piaciuto, Draco. Così diverso dal ragazzino indisponente di Hogwarts, dal ragazzo messo all’angolo dalle proprie responsabilità, dall’uomo forgiato su stampo Malfoy. Mi ha mostrato quella parte nascosta di te che ho solo potuto intuire, attraverso le microscopiche attenzioni con cui ti sei preso cura di me. Per amore di due donne, e per motivi diversi, siamo stati entrambi fortunati, perché se ora siamo ciò che siamo lo dobbiamo principalmente a loro, Draco,» il moro si stiracchiò la gamba, grattandosi distratto un orecchio.

«Ti ha amato più di se stessa, Draco. Era convinta di non essere all’altezza delle tue aspettative, benché tu l’avessi sposata, per questo ha voluto avere un figlio, nonostante la gracilità del suo corpo. Era l’unico modo con cui credeva di renderti fiero di lei. Voleva essere certa che tu la ricordassi e magari, un giorno, riuscissi ad amarla un po’ attraverso il vostro bambino.»

«Le devo molto, più di quello che sono in grado di ammettere,» disse mesto. «È stata lei, complice tua madre, a farmi prendere atto dello stato della mia magia e, subdolamente, a fare in modo che ciò mi giovasse.»

«Un giorno, con una scusa, mi avevano trattenuto al tavolo appena finita la cena e, senza peli sulla lingua, Astoria mi aveva detto che era di nuovo incinta. Sapevo, perché Narcissa mi aveva accennato qualcosa, che aveva avuto dei precedenti aborti, quindi mi supplicò. Capisci? Mentre tua madre mi squadrava con occhi glaciali, lei mi implorò di porre rimedio ai miei sbalzi d’umore, come se a quel tempo ne fossi capace. Mi hanno fatto sentire un verme, un piccolo scarafaggio sfuggito alla ciabatta. Poi, come se nulla fosse, se ne erano uscite dicendo che avevano bisogno di un manufatto, un oggetto pregno di Oscurità al limite della legalità. Immagina la mia faccia, cioè, la mia solita faccia ebete ma alla massima potenza,» Harry rise, ancora incredulo dell’audacia delle due donne.

«Avevano preteso che incantassi loro un orologio da taschino, una preziosissima cipolla appartenuta a Enrico VIII1. Nel frattempo, avrei anche dovuto perfezionare il precario equilibrio delle lancette. E l’ho fatto, per Salazar, e, mentre mi tenevo impegnato nei passaggi più minuziosi della ricostruzione dell’orologio, la magia si assopiva. Dopo quello, che appresi in seguito essere un regalo destinato a te, mi avevano proposto altri oggetti e sempre più complessi. Ora ho avviato una piccola attività: la NarRia2 per l’appunto.»

In quel momento, la casa era immersa nel buio, come unica luce il bagliore lattiginoso del telefono. Harry sospirò, conscio che quella piccola confessione era arrivata anche a Draco, suo personale tormento.

«Draco, Astoria mi ha voluto nella vita di Scorpius e io, in nome dell’affetto che è stata in grado di suscitare in me, non posso e non voglio venir meno a questo impegno. È un bambino in gamba, e un po’ invidio il tuo status di padre. In un altra vita magari anch’io ne avrei avuti un paio, anzi tre. Sì, tre mi sembra il numero perfetto. Invece mi ritrovo a mendicare alla tua porta, a elargire attenzioni a un figlio che non è mio.»

«Sono patetico, vero?» Harry si asciugò con rabbia una lacrima solitaria.

«Non hai idea della bolla di calore che scoppia nel mio cuore quando, con quella sua vocina pallida, mi chiama ‘tioai’. Oppure, quando assonnato mi sussurra ‘tioioene’, un attimo prima di infilarlo sotto le coperte. Non immagini neanche l’amore che provo quando, tutto impettito, si pavoneggia davanti a te mentre indossa la mia sciarpa rosso-oro. Devo aggiungere che poi, in gran segreto, ridiamo delle tue facce buffe.» Harry borbottò tra i denti, le labbra piegate in un vago sorriso.

«Non vado da nessuna parte, Draco, avevo solo bisogno di ritrovare il mio equilibrio, di dire addio a Ginny, alla donna che ho amato ma, soprattutto, perdonare il mostro che era diventata, prima di voltare pagina definitivamente.»



Note dell’autrice: grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.

Disclaimer: l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi diritto.

2Narcissa-Astoria .

   
 
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