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Autore: Adele Emmeti    14/05/2019    2 recensioni
In un mondo apocalittico, dove gli umani sopravvissuti all'avvento dei sanguinari Succhiatori cercano di armarsi per reagire all'assalto, la piccola Carey viene ritrovata allo stremo delle forze, sfatta e affamata, ancora sconvolta dallo straziante omicidio del padre.
In grembo all'umana che la soccorre, la bambina non può immaginare che da lì a breve diventerà una delle combattenti più temute e che proprio tra coloro che odia e che caccia con violenza, si nasconde quel qualcuno che ha sempre cercato, fin dalla nascita...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Copertina-odi-et-amo

Quando i demoni si impossessarono del mondo, riducendolo ad un macabro teatrino di teste penzolanti e ruscelli di plasma fetido, Carey era ancora troppo piccola per decidere. Aveva soltanto cinque anni, infatti, e giocava ancora con due bambola di pezza, alle quali, sedute intorno al tavolino azzurro, serviva il tè in una vecchia caraffa di vino del padre. E aveva ancora i capelli tagliati a caschetto, pettinati alla buona, di quel color castagna, che ogni tanto imbrattava con la terra o le tempere, regalatele dalla madre, prima che morisse. Quando il sole iniziava a calare, dipanando la luce color ambra tra le fessure del paese, e riflettendosi nei vetri sporchi della porta della veranda, Carey si accasciava stanca sul tappeto, nel cortile ricavato tra le lamiere dietro casa, e aspettava che qualcuno le dedicasse un'attenzione spicciola, anche fugace. Sperava che il padre, di ritorno dal porto, la prendesse in spalla per portarla a letto. E quando al padre chiedevano dove stesse Carey, quando se ne andava a sgobbare tra i rimorchi, rispondeva: «C'è una vecchia che pago alla giornata», mentendo.

Quando i demoni si impossessarono del mondo, Carey aveva ancora qualche dentino da latte. Perse l'ultimo al sesto compleanno, quando il padre le tirò una sberla perché l'aveva svegliato, mentre russava sull'amaca nel giardino fittizio. Se ne tornò dentro con due grosse lacrime, agli angoli degli occhi e, guardandosi il dentino perso, se ne andò accanto al suo letto, tra un televisore vecchio e del ciarpame sudicio, per riporlo in una scatola di latta.

Il giorno in cui i demoni si impossessarono del mondo, il padre di Carey era nascosto, tremante, nell'angolo della cucina, sotto il tavolo di plastica, e faceva segno alla piccola di andarsene, perché quel posto era stato già preso. Carey, aveva allungato le manine verso di lui e con gli occhi pieni di terrore aveva elemosinato un briciolo di protezione.

«Lì! Vai a metterti lì, nel mobile, sparisci!»

Allora ritrasse le piccole braccia, e si diresse verso la credenza annichilita. In quel preciso istante, la porta di casa venne schiodata e sbattuta dall'altro lato della stanza, e dall'esterno entrano tre alti individui, che puzzavano di vecchio e nicotina. Erano pallidi in viso, asciutti e ben vestiti. Indossavano scarpe lucide e nere, pantaloni di stoffa scura, gessata e cappotti di pelle umana - a quanto diceva la gente-.

Inizialmente restarono disgustati dal lerciume e dal disordine convulso della bettola: un divano sventrato, un tappeto di lattine e di scarti di cibo, un frigo strisciato di verde e marrone, ammuffito negli angoli, una serie di zampe di animali cacciati illegalmente e imbalsamati, tutti in fila su un ripiano di legno inchiodato male. Uno di loro sputò a terra, l'altro fece cenno di andare ma il terzo li fermò. Aveva sentito l'odore di una paura, tanto denso quanto patetico. Fece allora tre rapidi passi e con un dito scaraventò il tavolo di plastica nel fondo della stanza. Il padre di Carey aveva sporcato di urina la moquette scollata, e piangeva tenendosi le mani sulla testa.

«Puzza di piscio.» Disse quello con i capelli chiari, e lo colpì con la punta della scarpa.

«Prego, è tutto vostro.» Aggiunse il secondo con i capelli scuri, legati dietro la nuca.

«No, dobbiamo spartirlo.» Rispose il terzo, con due occhi rossi e placidi.

«Io non lo tocco. Fate voi». Quello con la coda fece per voltarsi.

«Ti sei beccato la biondina della casa affianco». Lo riprese il biondo.

«L'ho vista per primo, voi due eravate lontani. Cosa dovevo fare? Non sai quanto si dimenava.»

«Beh, siccome ti è andata di lusso prima, potresti sacrificarti per noi altri adesso».

«Ma l'hai visto? Avrà il sangue pieno d'alcool.»

«Ho capito. Mi avete scocciato. Spostati.» Intervenne quello dallo sguardo severo, il quale afferrò l'uomo spaventato e lo scaraventò a terra. Il padre di Carey iniziò a urlare e cercò diverse volte di mettersi in piedi, ma la creatura lo immobilizzò inginocchiandosi sulla sua schiena. Gli prese la testa e dopo avergli scoperto il collo per bene, affondò i canini nella sua carne sudicia. I suoi lamenti arrivarono fin dentro ai campi di grano intorno, spaventando le anatre nello stagno. Rimbombarono nelle lamiere del cortile, sovrastarono il tavolino azzurro e le due bamboline invecchiate, riverse sull'asfalto. Inquietarono i miserabili che, come lui, attendevano la stessa sorte in qualche sfatto meandro della casa.

I suoi lamenti raggiunsero anche Carey, la cui integrità mentale di bambina qual era, si frantumò in schegge e la lasciò sconvolta senza fiato. Sussultò nel suo gracile corpo e si coprì la bocca per trattenere il pianto. Ma il biondo, rimasto ad osservare la scena annoiato, la percepì e si avvicinò al mobile scardinato nel quale si nascondeva. Così, mentre il padre di Carey trapassava risucchiato fin dentro al midollo e abbandonava le membra accasciandosi tra le mani del carnefice, quello spalancò le ante del ripostiglio di legno, e vi trovò la piccola creatura tremante, raggomitolata nelle proprie braccia sottili. Sogghignò e la prese per un braccio.

«Questa è mia.»

La creatura con la coda nera si voltò di scatto, perché invaso dal profumo delizioso di un sangue tanto limpido e pregiato: «Dobbiamo farne un po' ciascuno...». Anche quello che aveva appena smesso di nutrirsi del padre e aveva gettato la carcassa a terra, si mise dritto e si avvicinò a loro pulendosi la bocca con la manica della giacca: «Bell'affare, io il lercio e tu la bambina».

«Tu hai già bevuto. Stai lontano.» Gli rispose divertito.

Intanto Carey era scivolata in profondo stato di oblio. Il terrore e lo sgomento l'avevano spenta come la fiammella di una candela al passare del vento. Si lasciò sollevare senza opporsi o lamentarsi, come se nel corpo non vi fosse rimasto che buio.

«Aspetta, guardala. Non mi sembra del tutto normale.» Intervenne quello con la coda.

«Che vuoi dire?» Chiese il biondo.

«Non la vedi? È immobile, sembra già morta».

Il biondo la guardò bene, sollevandola sulla sua testa. Ne vide gli occhi spenti e l'espressione marmorea. La scosse e poi ne prese il piccolo viso tra le dita ossute.

«Ehi...ci sei?» Ma non ebbe risposta.

«Lasciala andare Gavriel, sarà malata, o qualcosa del genere».

«Ma sentite come profuma...»

«Sì, ma il sangue malato ti fa puzzare, ricordi?»

Gavriel abbassò Carey, e lasciò cadere a terra. Fece uno sbuffo di disapprovazione e poi si aggiustò i capelli.

«Davvero un peccato. Non è facile trovarne di così piccoli.»

Si voltò, scavalcò il corpo dilaniato del padre della bambina e si diresse verso l'uscita.

Gli altri due guardarono l'orologio, si accorsero del poco tempo rimasto e lo seguirono infilando le mani nelle tasche.

Carey era rimasta immobile, accasciata a terra, in silenzio.

Venne l'alba e dissipò le tenebre. Lentamente la linea del sole percorse il pavimento e colse i suoi occhi spenti, il suo viso riverso a terra, la sua canottiera rosa e quei pantaloncini azzurri che la madre le aveva regalato un anno prima.

 

 

***

 

 

Quando i demoni si impossessarono del mondo, e il padre di Carey era morto ormai da una decina di giorni, la piccola si era trovata a rovistare nel cassonetto di un ex fast-food, perché attirata dall'odore di cibo. Era sporca, sudata, aveva camminato per un po', fermandosi ad ogni pozza d'acqua occasionale per dissetarsi. Dopo aver ripreso il senno, infatti, lo schifo di sangue e brandelli rimasti a gemere del padre, in quella bettola, l'avevano inquietata a tal punto da costringerla a fuggire. Nel cassonetto trovò dei resti di pane non del tutto andato a male e, soddisfatta, si mise a mangiare all'ombra di una pila di cassette di legno.

A un tratto, dal fondo della strada, udì una camionetta avvicinarsi a grande velocità. Si sollevò subito e si nascose sotto ad uno scatolone di carta bianco. La camionetta rallentò in prossimità dell'ex fast-food, e frenò strisciando e cigolando per ancora pochi metri. Vi scesero una donna, due uomini e un ragazzino sui sedici anni.

«Voi restate di guardia, io e Logan entriamo.» Disse la donna, indicando ai due uomini di posizionarsi con i loro fucili agli angoli del locale. Nel frattempo, il ragazzo si era avvicinato all'ingresso dell'ex fast-food e con una mazza da baseball aveva iniziato a colpire la parte inferiore della porta di vetro. In breve tempo questa si frantumò e sia lui che la donna si lanciarono all'interno del locale, per saccheggiare tutto ciò che fosse ancora commestibile.

Carey sollevò leggermente il cartone, e allungò la testina spettinata al di fuori. Intravide la donna e il ragazzino riempire dei carrelli con confezioni di pane, formaggio e insaccati, persino di bevande, e il suo stomaco si contorse gemendo. Si avvicinò ancora un po', stando attenta a non farsi vedere, e pensò che quando quelli sarebbero ripartiti, lei sarebbe potuta entrare e raccogliere gli avanzi ignorati, come le patatine annerite nella friggitrice spenta, le pizze ammuffite nel bancone di vetro, un mestolo di salsa riversa su un ripiano impolverato. Presa dalla vista di quel cibo, la bambina non si accorse che uno degli uomini messi a fare la guardia la stava fissando dal fondo della strada, nel difficile tentativo di comprenderne la natura.

L'uomo, infatti, non riusciva a decifrarne la provenienza, né le fattezze, visto lo stato primordiale al quale si era ridotta. Fece segno all'amico di avvicinarsi piano e quando entrambi furono sicuri che fosse una piccola umana, iniziarono ad andarle incontro. Fu allora che Carey si accorse della loro presenza, si voltò ed emise un urlo.

«Tranquilla piccola... non siamo cattivi... non vogliamo farti del male.»

Carey si lanciò tra gli scatoloni e sbatté contro una rete di ferro.

«Non avere paura, siamo amici!» Aggiunse, ma la bambina continuò ad urlare e quando realizzò di essere circondata e di non poter fuggire da nessuno dei due lati, si rannicchiò e inizio a piangere con le mani sulla testa.

«Con chi stai parlando?» La donna entrata nell'ex fast-food sopraggiunse, attratta dalle urla.

«Qui c'è una bambina Sally, è umana.»

«Una bambina?»

La donna indirizzò lo sguardo verso gli scatoloni disposti alla rinfusa e si avvicinò a passi lenti.

«È molto spaventata. Si è rannicchiata lì dietro, non fa che urlare.»

Sally iniziò a distinguerne la figura e rimase sconvolta quando comprese lo stato di degrado nel quale vessava l'inerme creatura.

«Ciao... piccola. Mi senti? Riesci a comprendermi?» Le chiese con tono dolce e amorevole.

«Io mi chiamo Sally. Siamo tutti tuoi amici, non devi avere paura.» Continuò ad avvicinarsi e le arrivò a poco meno di un metro di distanza.

«Tu come ti chiami? Vivi qui?»

Carey stringeva i capelli tra le esili dita e si dondolava per scaricare il terrore.

La donna si inginocchiò e le avvicinò una mano sulla testa. Le accarezzò le dita e i capelli più volte.

«Ti va di parlare?»

La bambina iniziò a frenare il dondolio convulso.

«Hai fame, vero? Ti andrebbe un bel sandwich? O degli orsacchiotti gommosi?»

A tale proposta, Carey si fermò definitivamente e sollevò lo sguardo. Ciò che vide fu qualcosa di inaspettato e inusuale. Due occhi umidi e un dolce sorriso compassionevole l'attendevano sulla soglia. I rossi capelli ricci della donna le ricordarono quelli della madre, mentre le sue mani calde e innocue le parvero tanto accoglienti da non sembrare vere.

«Vuoi venire con me? Ti porto in un bel posto, pieno di amici e di caramelle.»

Sally le porse la mano. Carey sciolse la morsa nel quale si era rifugiata e pian piano si aprì. Continuò a fissare la donna e si chiese se, finalmente, qualcuno avrebbe potuto darle quell'abbraccio che agognava da tanto tempo. Se avrebbe finalmente potuto risentire sulla pelle quell'amore che aveva dovuto elemosinare invano. Allora fece un balzo e le andò incontro, avvolgendole il collo. Gli uomini della scorta sollevarono i fucili spaventati ma Sally fece segno di fermarsi. Poi prese la bambina e pian piano si mise in piedi. La strinse al suo petto e l'avvolse con le sue braccia, lasciando che immergesse il viso nel suo collo, sotto i suoi morbidi capelli.

«Andiamo ragazzi... » sussurrò, dirigendosi verso la camionetta. Salì a bordo e tenne la bambina seduta a cavalcioni, avvinghiata a lei come se dovesse risucchiarne il calore.

Quando le scorte vennero sistemate e tutti furono saliti, la camionetta partì e Carey scostò per un istante gli occhi dal petto della sua nuova madre per mirare, in lontananza, il cammino fatto da innocente anima errabonda. Le parve quasi di intravedere la sua vecchia casa, forse il tetto scrostato o le due bambole compagne di silenzi. E pensò che ne era stata una padrona sconsiderata, a lasciarle sole, nel sangue raggrumato e puzza di carogna.

   
 
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